La Nato invade anche la Sardegna

aricoli, video, immagini di Antonio Mazzeo, Raniero la Valle, Manuele Bonaccorsi, Maurizio Vezzosi, Fabio Mini, Francesca Farruggia, Andrea Tornielli, Sergej Lavrov, Fabrizio Poggi, Seymour Hersh, Manlio Dinucci, Jose Vega, Giorgio Agamben, Juan Antonio Aguilar, Lee Slusher, Matteo Saudino, Carlos Latuff, Guido Salerno Aletta, Enrico Tomaselli, Norberto Fragiacomo, Ken Loach, Jesús López Almejo, Mario Lombardo, Pepe Escobar, Gianandrea Gaiani, Quino

 

SARDEGNA. ESERCITAZIONI DI GUERRA GLOBALE CON CONSULENTI-STUDENTI UNIVERSITARI – Antonio Mazzeo

Oltre 900 tra caccia, velivoli da trasporto ed intelligence, unità navali, sottomarini, mezzi terrestri (obici, carri armati, blindati, ecc.) e 4.000 partecipanti tra militari di Esercito, Marina, Aeronautica, Guardia di Finanza e Capitanerie di Porto, funzionari e addetti di Protezione Civile, Croce Rossa Italiana e Vigili del Fuoco e finanche un’agguerrita pattuglia di studenti universitari e laureandi in qualità di consulenti delle forze armate.

Sono i numeri di Joint Stars, l’esercitazione nazionale pianificata e condotta dal COVI – Comando Operativo di Vertice Interforze (COVI) che si terrà in Sardegna dall’8 al 26 maggio 2023. “Joint Stars interesserà l’aeroporto di Decimomannu, i poligoni di Capo Teulada e Salto di Quirra e le zone marittime antistanti”, spiega lo Stato Maggiore della difesa. “Si tratterà di un’esercitazione multi-dominio che vedrà le forze armate italiane addestrarsi nella difesa degli spazi aerei, terrestri e marittimi, nella sicurezza cibernetica e spaziale, nella difesa da contaminazione chimica, biologica, radiologica o nucleare e nel contrasto alle minacce derivanti dalle tecnologie emergenti, sempre più spesso utilizzate nella fabbricazione di droni sottomarini o aerei”.

“L’evento addestrativo verterà su una prima risposta civile ad una crisi umanitaria e di sicurezza pubblica e una successiva risposta militare interforze e multinazionale in aderenza all’art. 5 del Trattato del Nord-Atlantico, che stabilisce il principio di difesa collettiva in caso di aggressione a uno dei Paesi alleati”, aggiunge lo Stato Maggiore. “In particolare, saranno simulati scenari connessi al mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, all’antiterrorismo, al contrasto dei traffici illeciti, al soccorso di profughi e, più in generale, alle azioni di risposta in situazioni emergenziali”.

War games a 360 gradi, dunque, per legittimare l’impiego militare in qualsivoglia conflitto politico, sociale ed economico e che si legheranno in continuità temporale e operativamente alla vasta esercitazione multinazionale Noble Jump 2023 che ha preso il via il 27 aprile sempre in Sardegna per concludersi il prossimo 14 maggio. “A Noble Jump prendono parte 2.200 militari circa di sei nazioni dell’Alleanza Atlantica: Germania, Norvegia, Paesi Bassi, Repubblica ceca e Lussemburgo e l’Italia che come nazione ospitante fornisce il supporto logistico alle forze partecipanti”, riferisce l’Allied Joint Force Comand di Napoli (Lago Patria) che sovrintende all’esercitazione di guerra. “Noble Jump evidenzierà le capacità della NATO in ambito operativo, tattico e di comando e la sua rapidità ad intervenire in combattimento. L’esercitazione dimostrerà che la NATO è unita ed in grado di difendere gli alleati”.

Nello specifico le attività addestrative in corso sono rivolte a favore delle forze in altissima prontezza operativa della NATO (NATO VJTF – Very High Readiness Joint Task Force) e – come spiegano i vertici militari italiani – sono finalizzate a “verificare la capacità di allertamento e di schieramento in tempi brevi di tali forze, in seguito all’insorgere di una situazione di pericolo per la sicurezza dell’Alleanza”. Le VJTF sono gli elementi di punta della NATO Response Force (NRF), la forza di pronto intervento terrestre, navale ed area costituita nel 2002 con lo scopo di fornire all’Alleanza “un’opzione militare credibile e schierabile in tempi rapidi in risposta alle crisi emergenti”. Il comando della NATO Response Force ruota annualmente tra i due quartieri generali alleati di JFC Napoli e JFC Brunssum (Paesi Bassi). Il 2023 è l’anno “italiano”, con tanto di esercitazioni in territorio sardo (ancora i poligoni di Capo Teulada  e Salto di Quirra, la base aerea di Decimomannu, gli scali aerei di Cagliari-Elmas ed Alghero, il porto di Cagliari).

“In contemporanea alla Joint Stars 2023, saranno organizzate diverse attività collaterali di tipo sportivo, sociale, culturale, didattico e di protezione dell’ambiente a favore della popolazione, delle scuole e delle Università locali, in collaborazione con le Autorità e gli enti preposti della Regione Sardegna e dei Comuni interessati”, enfatizza lo Stato Maggiore. Così come avvenuto nella prima fase dell’esercitazione (quella di preparazione delle odierne operazioni di “confronto” bellico, svoltasi tra fine dicembre 2022 e il gennaio 2023 presso il CESIVA  – Centro di Simulazione e Validazione dell’Esercito a Civitavecchia), ospiti d’onore saranno gli studenti universitari…

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Gli alti ranghi dell’esercito di Kiev si arricchiscono sui soldati morti – Fabrizio Poggi

“Fare la guerra fino all’ultimo ucraino”: questa cinica pretesa USA si trasferisce a cascata fin nelle sfere meno alte dell’esercito dell’Ucraina golpista. Andare a morire “per l’Ucraina”: l’importante è non rischiare la propria pelle e infischiarsene di quella dei propri subalterni. “Fare la guerra fino all’ultimo ucraino” conviene alla logica che vuole la continuazione della guerra quale mezzo per «indebolire la Russia». Ma conviene altrettanto a livelli dell’ingordigia più vile e spregevole: quella che lucra sulla vita dei soldati semplici, dei giovani accalappiati (nel verso senso della parola) nelle strade ucraine e spediti al fronte senza alcun addestramento, mandati al sicuro macello. Quanti più soldati semplici moriranno sul campo di battaglia, tanto più piene saranno le tasche dei comandi: l’importante è che i soldi euro-atlantici continuino ad affluire.

Se Washington, nella smania tutta liberale di mostrarsi inflessibile nei confronti della corruzione ai massimi livelli della junta nazi-golpista, finanziata lautamente, batte continuamente la grancassa degli scandali e dell’arricchimento milionario dei vertici di Kiev, pur di “dimostrare” che, comunque, “sanata” la corruzione, la guerra deve continuare e devono perciò accrescersi gli aiuti militari e finanziari occidentali, ecco che, però, anche più in basso, tra i ras e i capimanipolo locali ucraini, si fa tesoro dell’esempio dei “capi”, e ci si arrangia in ogni modo per riempire i propri portafogli…

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“Conoscete Seymour Hersh?”. I direttori di NYT e WP annichiliti durante una conferenza (DISCORSO DELL’ANNO)

“Io e i miei amici abbiamo affrontato i direttori esecutivi di Ney York Times, Washington Post, Los Angeles Times e Reuters sulla loro censure rispetto a Seymour Hersh, Uhuru, Julian Assange, Tucker Carlson, Russiagate. Poi il decano della Columbia e la sicurezza mi hanno spinto a terra e tolto la parola.”

Presenta così il suo discorso (imperdibile) l’attivista Jose Vega che come l’AntiDiplomatico vi abbiamo tradotto e sottotitolato. Vi consigliamo di prestare molta attenzione alla non reazione dei referenti del regime mediatico occidentale. Passività che è un’ammissione di colpa palese.

Buona visione.

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La guerra in Galizia – Giorgio Agamben

Vi erano al centro dell’Europa delle regioni che sono state cancellate dalla carta geografica. Una di queste – non è la sola – è la Galizia, che coincide oggi in buona parte con il territorio in cui da più di un anno si combatte una guerra sciagurata. Fino alla fine della Prima guerra mondiale, la Galizia era la provincia più lontana dell’Impero austro-ungarico, al confine con la Russia. Alla dissoluzione dell’impero asburgico, i vincitori, certo non meno iniqui dei vinti, l’assegnarono alla rinata Polonia, come la Bucovina, che con essa confinava, fu annessa altrettanto capricciosamente alla Romania. I confini, ogni volta ridisegnati con gomma e matita sulle carte geografiche dai potenti, lasciano il tempo che trovano, ma è probabile che la Galizia non riapparirà più sugli inventari della politica europea. Assai più della cartografia c’importa il mondo che in quella regione esisteva – cioè gli uomini che nel Königreich Galizien und Lodomerien (questo era il nome ufficiale della provincia) respiravano, amavano, si guadagnavano da vivere, piangevano, speravano e morivano.

Per le strade di Lemberg, Tarnopol, Przemysl, Brody (patria di Joseph Roth), Rzeszow, Kolomea camminava un insieme variegato di ruteni (così allora si chiamavano gli Ucraini), polacchi, ebrei (in alcune città quasi metà della popolazione), rumeni, zingari, huzuli (che fra il 1918 e il 1919 costituirono una repubblica indipendente di breve durata). Ognuna di queste città aveva un nome diverso secondo la lingua degli abitanti che vi convivevano, in ognuna di esse le chiese cattoliche girato l’angolo si trasformavano in sinagoghe e queste in chiese ortodosse e uniate. Non era una regione ricca, anzi i funzionari della Kakania la consideravano la più povera e arretrata dell’impero; era tuttavia, proprio per la pluralità delle sue etnie, culturalmente viva e generosa, con teatri, giornali, scuole e università in più lingue e una fioritura di scrittori e musicisti che dobbiamo ancora imparare a conoscere. È questo mondo che si trovò nel 1919 da un giorno all’altro politicamente e giuridicamente annientato ed è a questa multiforme, intricata realtà che l’occupazione nazista (1941-1944) e poi quella sovietica diedero qualche decennio dopo il colpo di grazia. Ma ancor prima di diventar parte dell’Impero austro-ungarico, la terra che portava il nome di Halyč o Galizia (secondo alcuni di origine celtica, come la Galizia spagnola) e alla fine del medioevo era sotto il dominio ungherese col nome di principato di Galizia e Volinia, era stata contesa di volta in volta fra cosacchi, russi e polacchi, finché la granduchessa Maria Teresa d’Austria profittò della prima spartizione della Polonia nel 1772 per annetterlo al suo impero. Nel 1922 il territorio fu annesso all’Unione Sovietica, col nome di Repubblica socialista sovietica Ucraina, da cui si separò nel 1991 abbreviando il proprio nome in Repubblica Ucraina.

È tempo di cessare di credere ai nomi e ai confini segnati sulla carta e di chiedersi piuttosto che ne è stato, che ne è di quel mondo e di quelle forme di vita che abbiamo appena evocato. Come sopravvivono – se sopravvivono – al di là degli infami registri delle burocrazie statuali? E la guerra ora in corso non è ancora una volta il frutto dell’oblio di quelle forme di vita e l’odiosa, letale conseguenza di quei registri e di quei nomi?

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Macerie e retorica – Tanti morti per niente  – Lee Slusher

Traduciamo e pubblichiamo questa eccellente analisi della situazione militare in Ucraina, che comprende una previsione, più che condivisibile, di quali giustificazioni verranno date dalle dirigenze occidentali quando sarà inequivocabilmente chiara “la verità effettuale della cosa”[Roberto Buffagni]

La guerra in Ucraina potrebbe prendere due direzioni. La prima l’ho descritta nel mio ultimo articolo, “Armageddon all’ora del dilettante”[2]. In questo caso, l’Occidente continuerebbe l’escalation fino al conflitto diretto con la Russia, che potrebbe sfociare in una guerra nucleare, nel qual caso tutte le scommesse sarebbero annullate. La seconda opzione è che la Russia vinca in modo abbastanza deciso da stabilire le condizioni per il completamento della guerra, sia attraverso una vittoria militare schiacciante sia forzando un accordo che soddisfi le richieste fondamentali di Mosca. Perché non ci sono altre opzioni? Considerate quanto segue, che ho scritto in una spiegazione dettagliata delle origini della guerra, solo pochi giorni dopo l’invasione russa del febbraio 2022[3]:

Per essere chiari, la Russia ha i mezzi per conquistare tutta l’Ucraina, anche usando solo forze convenzionali. La Russia potrebbe scatenare il suo esercito di un tempo e impiegare massicciamente un’artiglieria, seguita da masse di fanteria di massa e da masse di forze corazzate (carri armati). Un approccio di questo tipo aumenterebbe esponenzialmente le vittime militari e civili e distruggerebbe la maggior parte, se non tutte, le infrastrutture dell’Ucraina.

Tutto ciò rimane vero oggi, anche se quando ho scritto il brano, l’Occidente non si era ancora impegnato completamente in una guerra per procura con la Russia. All’epoca, i leader occidentali si aspettavano ancora che Kiev cadesse nel giro di pochi giorni e il governo statunitense aveva da poco offerto al Presidente Zelensky l’assistenza necessaria per lasciare il Paese. La situazione iniziò a cambiare, prima gradualmente e poi improvvisamente.

Un abbondante flusso di armi occidentali e di informazioni mirate divenne il sostegno vitale su cui poggiava l’intero sforzo bellico ucraino. Gli aiuti militari occidentali hanno creato il miraggio di un’imminente vittoria ucraina, ma, come tutte le illusioni, anche questa è stata fugace. Oggi rimane visibile solo attraverso il caleidoscopio della propaganda e la nebbia febbrile del fanatismo. La verità ora è quella che è sempre stata: In una guerra tra Russia e Ucraina, la Russia vince facilmente. In una guerra per procura tra Russia e Occidente in Ucraina, la Russia vince alla fine, ma con molta più morte e distruzione, soprattutto per l’Ucraina.

La Russia ha sicuramente commesso degli errori militari. Il principale di questi è stato il presupposto che l’Occidente non avrebbe alimentato una guerra per procura, soprattutto in una misura così ampia. È sulla base di questo presupposto errato che la forza d’invasione russa era inadeguata, sia per dimensioni che per tenacia. Ma ora la Russia si è riorientata e la sua mobilitazione in corso è formidabile. Nel frattempo, l’Occidente sta lottando per mantenere le forniture di materiale necessarie all’Ucraina per sostenere una guerra ad alta intensità. Per farlo ancora a lungo sarebbe necessaria una mobilitazione industriale su larga scala nei Paesi occidentali, in particolare negli Stati Uniti. Tuttavia, la popolarità della guerra sta svanendo, soprattutto perché l’attenzione si concentra più strettamente sulle preoccupazioni economiche e su altre questioni interne.

C’è poi la questione delle cifre spaventose delle vittime dell’Ucraina. La guerra industriale produce perdite su scala industriale. Nessuno dispone di cifre precise per entrambe le parti, ma una stima prudente e di basso livello è che l’Ucraina, in meno di un anno, abbia subito più di 150.000 morti in azione e un numero di feriti molte volte superiore. Questo per un Paese che, secondo i dati, aveva una popolazione di meno di quarantaquattro milioni di abitanti [4] il giorno dell’invasione e che da allora ha visto più di sette milioni di persone fuggire come rifugiati[5]. Le forze armate ucraine del 2014-2022, addestrate ed equipaggiate dalla NATO, non esistono più e lo stesso vale per la forza sostitutiva che Kyiv ha assemblato e schierato in fretta e furia l’anno scorso. Le manovre ad armi combinate sono difficili anche per eserciti esperti, e l’Ucraina non ha più un esercito di questo tipo.

Molti commentatori di spicco concludono stupidamente che, poiché le più recenti e migliori intuizioni sulla guerra ad alta intensità si trovano attualmente in Ucraina, gli ucraini sono in grado di raccogliere e mettere in pratica queste lezioni. Questo è falso, almeno in un senso diffuso e sostenibile. Il ritmo e l’intensità della guerra impediscono all’Ucraina di sviluppare una simile memoria istituzionale o capacità di apprendimento. Lo sforzo bellico ucraino è un paziente che si avvale di una terapia intensiva. Peggio ancora, questo paziente ora si affida a frequenti e importanti trapianti di organi e trasfusioni di sangue per sopravvivere. Nessuna quantità di addestramento in altre parti d’Europa o negli Stati Uniti può risolvere il problema dell’Ucraina, che ha troppo poco personale per vincere o anche solo sostenere questa battaglia. Nessun addestramento può sostituire la morte di massa di ufficiali esperti e soldati professionisti. Le bande di giornalisti che ora si aggirano per le strade delle città e dei paesi dell’Ucraina non possono colmare questo divario. La potenziale introduzione di sistemi d’arma finora inutilizzati, compresi i carri armati occidentali, non modificherà l’esito finale della guerra in modo significativo o anche solo percettibile. Nel frattempo, la Russia sta costruendo metodicamente una forza di centinaia di migliaia di uomini all’interno e intorno all’Ucraina e continua a degradare il personale militare e le capacità critiche dell’Ucraina, in particolare l’artiglieria e la difesa aerea.

L’orologio di Kiev sta per fermarsi, probabilmente più presto che tardi…

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L’Annus Horribilis per i Paesi del G7 – Guido Salerno Aletta

…Per l’Occidente, sembrano venuti meno i tre fattori che hanno determinato una bassa inflazione strutturale nel primo ventennio del secolo: i più bassi costi del lavoro in Cina e nei Paesi ex-comunisti dell’Europa, l’abbondanza e la convenienza delle forniture di gas russo all’Europa ora cessate, le politiche di bilancio orientate al pareggio e quindi non inflazionistiche. Se le politiche monetarie straordinariamente accomodanti in termini di tassi di interesse hanno sicuramente militato a favore di una riduzione dei costi per i produttori indebitati, le immissioni di liquidità hanno tenuto elevati i prezzi degli asset quotati, creando probabilmente quelle bolle speculative sui mercati a termine delle materie prime che hanno determinato la fiammata inflazionistica iniziata nella tarda primavera del 2020.

La questione energetica ritorna fondamentale: l’atteggiamento assai costrittivo tenuto dall’OPEC+, che di recente ha ulteriormente ridotto la produzione di petrolio, pur a fronte di una domanda mondiale in rallentamento al fine di mantenere invariati i proventi complessivi degli aderenti, riporta alla memoria le conseguenze sistemiche della crisi petrolifera del ’73, che segnò un cambio profondo ed irreversibile nei rapporti di forza tra Paesi produttori di petrolio e Paesi trasformatori, con l’abbandono di produzioni industriali energivore e la deindustrializzazione. L’Europa anche stavolta ne esce con le ossa rotte, perché l’America ha da decenni una produzione industriale assolutamente trascurabile e vende GNL all’Europa, come altri produttori, ad un prezzo che non può che essere assai più elevato rispetto a quello delle precedenti forniture russe.

Non è una questione di prestigio: importare più di quanto si esporta, consumare più di quanto si produce, significa doversi indebitare.

Gli Stati Uniti sono già i più grandi debitori nei confronti del resto del mondo, con una posizione finanziaria internazionale netta passiva per 16.117 miliardi di dollari. Anche la Gran Bretagna e la Francia sono in passivo, rispettivamente per 151 miliardi di sterline e per 602 miliardi di euro. Gli attivi del Canada e del Giappone, rispettivamente per 615 e 3.185 miliardi di dollari Usa, sommati a quelli di Germania e Italia, rispettivamente per 2.750 e 74 miliardi di euro, non bastano a bilanciare i conti.

Stampare soldi non basta: chi vuol pagare con moneta svalutata deve accettare prezzi sempre più alti.

Il peggioramento delle bilance commerciali dei Paesi del G7 che è stato registrato nel 2022 deriva dalle insuperabili carenze strutturali di materie prime, petrolio e gas, cui si è aggiunto il conflitto geopolitico nei confronti di Russia e Cina: la prospettiva più temibile non è solo l’impoverimento quanto l’isolamento e l’implosione.

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Il D-Day di Kiev – Enrico Tomaselli

Arriva o non arriva? La più mediatica delle controffensive dei tempi moderni, più volte annunciata, non ha ancora preso corpo, ma la finestra temporale entro cui può iniziare si restringe di giorno in giorno. Per l’Ucraina è un vero e proprio all-in, perché se dovesse fallire non ci sarà la possibilità di lanciarne un’altra. E per avere successo, non sono pochi gli elementi che si devono mettere in asse, nel giusto modo.

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Quel che serve agli ucraini

Sono ormai mesi che si parla della controffensiva ucraina e, come sempre in questi casi, più se ne parla più crescono le aspettative – soprattutto occidentali. Da un lato, ovviamente, le leadership atlantiche vorrebbero vedere almeno un successo tattico, che consentisse di dare un senso all’enorme invio di armi e denaro con cui è stata sommersa l’Ucraina negli ultimi 14 mesi, oltre che dare agio alle forze armate ucraine di riprendere fiato, così da poter prolungare ancora la guerra. Dall’altro, le opinioni pubbliche (soprattutto europee) che sperano in una rapida conclusione del conflitto, non osando tifare per Mosca, si crogiolano almeno nell’illusione di una vittoria di Kiev.

Ma dietro il massiccio schermo propagandistico, ormai si intravede sempre più lo scetticismo realista di molti analisti ed esperti di cose militari. Per dirla con le parole di Franz-Stefan Gady, analista dell’International Institute for Strategic Studies, “gli ucraini potrebbero ottenere un successo tattico (…) innescando una disfatta nella fase iniziale della controffensiva. Se questo sarà sufficiente per l’Ucraina per ottenere guadagni strategici a lungo termine – figuriamoci vincere la guerra – è tutta un’altra questione.” (1)

Stante l’impossibilità di sfruttare il fattore sorpresa, visto che sia la linea di contatto che le retrovie sono costantemente monitorate dall’aria, sia a livello strategico che tattico, la questione fondamentale per lo stato maggiore ucraino non è tanto la localizzazione dell’accumulo di forze necessario per l’offensiva, quanto piuttosto il dove ed il come ottenere quella superiorità tattica, senza la quale si trasformerebbe automaticamente in un disastro. Superiorità che deve essere conseguita – sia pure localmente e temporaneamente – su più livelli. Innanzitutto, deve poter concentrare un numero sufficiente di uomini e mezzi tale da soverchiare le forze avverse nel settore identificato come obiettivo. Normalmente, si dà per scontato che chi attacca subisca maggiori perdite rispetto a chi si difende, ma in questo conflitto – e per una serie di fattori diversi – accade costantemente il contrario: anche quando sono attestati in difesa, le forze ucraine subiscono perdite molto più rilevanti di quelle russe (2). Ne consegue che, trovandosi nella condizione di dover attaccare e di dover sfondare in tempi brevi, devono necessariamente mettere in campo forze che siano in un rapporto di almeno 4:1 rispetto ai difensori russi.

Ovviamente, la mera superiorità numerica non è di per sé garanzia di successo. Soprattutto nella primissima fase dell’attacco, è necessario disporre di un’adeguata capacità di colpire le linee nemiche, sia con l’artiglieria che dall’aria. Sappiamo che da mesi l’Ucraina ha difficoltà a reggere il ritmo di fuoco per una crescente carenza di munizionamento per l’artiglieria; quello di standard sovietico, che costituisce comunque la gran parte della dotazione dell’esercito, è stato largamente consumato durante il primo anno di guerra (e durante gli otto anni di guerra tiepida contro il Donbass che l’hanno preceduto…), e la possibilità di reperirne all’estero si è quasi del tutto esaurita. Ugualmente, le munizioni su standard NATO sono ugualmente in esaurimento ed i paesi dell’Alleanza sono in difficoltà nel produrne a sufficienza, sia per alimentare il conflitto che per ricostituire le dotazioni dei vari eserciti nazionali.

Sicuramente gli ucraini hanno provveduto a stoccare dei quantitativi proprio in previsione della controffensiva, ma è comunque improbabile che siano in quantità tale da assicurare un vantaggio decisivo (anche considerato che, mediamente, i russi sparano 8/10 volte il numero di colpi sparato dagli ucraini); se l’attacco non ha successo rapidamente, le forze di Kiev rischiano di trovarsi con una copertura insufficiente.

Ugualmente, non potendo disporre di una superiorità nell’aria, devono quanto meno organizzare una efficiente rete di difesa aerea a protezione delle immediate retrovie dove – appunto – saranno schierate l’artiglieria e le riserve. A questo servono i sistemi Patriot, appena consegnati dagli USA, ed il SAMP-T regalato dall’Italia, così come gli Iris-T tedeschi. Per inciso, le autorità locali di Donetsk hanno recentemente segnalato che gli ucraini stanno appunto concentrando ai confini dell’oblast numerosi sistemi di difesa aerea…

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L’eco di conflitti lontani – Norberto Fragiacomo

Saltiamo i preamboli: l’Italia oggidì è nelle grinfie di un governo reazionario, inadeguato e totalmente asservito all’occupante americano, mentre la cosiddetta società civile langue scoraggiata e inerte. Se la sciagurata crisi ucraina ha avuto un merito è stato quello di certificare l’ovvio: i governanti europei sono fiduciari di Washington, i partiti socialisti del vecchio continente sono tali soltanto di nome e l’Unione/finzione Europea è il paravento dietro cui si nascondeva fino a ieri la NATO, un’organizzazione volta a promuovere le guerre e a destabilizzare quello che la premier Meloni si diverte a chiamare l’orbe terracqueo.

Abbiamo anche avuto la riprova che i media sedicenti liberi fungono da megafono di un’élite che, a dispetto di quotidiane e generalgeneriche professioni di fede democratica non esita all’occorrenza ad alimentare la xenofobia e a servirsi per i propri fini di esecutori in odor di nazismo, subito purificati dalla stampa e dalle tivù di regime.

Di recente il “signor Presidente del Consiglio” ha chiarito che il sostegno armato all’Ucraina proseguirà indipendentemente dalla contrarietà della maggioranza dell’opinione pubblica: già da tempo declassato a re travicello il Popolo Sovrano di cui all’articolo 1 della nostra Costituzione viene esautorato, ridotto al silenzio perché – come proclama una propagandista – non è abbastanza lucido.

Siamo insomma sotto tutela, sia come cittadini incapaci di intendere e di volere che come Stato retrocesso a protettorato USA. Dell’attuale esecutivo e della maggioranza che lo sostiene non si dirà mai abbastanza male: composto da retrivi parvenu si fa vanto del proprio abbietto servilismo nei confronti degli States, e in politica interna favorisce sfacciatamente padronato e benestanti e infierisce sul ceto debole, colpevolizzandolo. Si spacciano e vengono spacciati per “destra sociale”, ma ricordano più il fascismo del ’21 che quello (cartaceo) del ’19; quanto al preteso sovranismo di questa genia trattasi di un’etichetta appiccicata sul quaderno sbagliato. La colpa inemendabile di questi abusivi del potere è proprio il tradimento dell’interesse nazionale, sacrificato a quello di una potenza straniera che nei fatti non ci è amica e che soprattutto costituisce da decenni – ma più scopertamente oggi – la più seria minaccia per la pace e la stabilità mondiali…

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Ucraina, nazismo e derussificazione – Mario Lombardo

Il governo ucraino, che l’Occidente sostiene e considera come un baluardo di democrazia e libertà contro la barbarie russa, sta pianificando e mettendo in atto già da tempo un vero e proprio genocidio culturale in linea con il dilagare, nelle strutture dello stato, dell’influenza degli ambienti apertamente neonazisti. Questa realtà viene in genere occultata dalla stampa “mainstream” in Europa e negli Stati Uniti, ma le dichiarazioni e le notizie di iniziative radicali anti-russe circolano talvolta anche nel dibattito ufficiale, se non altro perché un’identica attitudine ultra-reazionaria nei confronti di qualsiasi manifestazione della cultura o della storia russa pervade in larga misura le stesse opinioni delle élites occidentali.

Una recentissima prova delle intenzioni delle autorità di Kiev è l’intervista rilasciata dal braccio destro di Zelensky, il consigliere “senior” Mikhail Podoliak, al network RFE/RL (Radio Free Europe/Radio Liberty), organo di propaganda controllato e finanziato dal governo americano. Podoliak ha tranquillamente prospettato lo “sradicamento di tutto quanto è russo in Crimea” una volta che il regime ucraino avrà rimesso le mani sulla penisola affacciata sul Mar Nero.

La Crimea è storicamente un territorio legato alla Russia. Parte dell’impero zarista dal 1783 e poi dell’Unione Sovietica, nel 1954 venne trasferita unilateralmente da Nikita Kruscev sotto il controllo della repubblica sovietica ucraina. Dopo il golpe di estrema destra a Kiev nel 2014, i residenti della Crimea votarono a larghissima maggioranza a favore del ricongiungimento con la Russia in un referendum mai riconosciuto dal governo ucraino né dall’Occidente. Da allora, la “comunità internazionale” continua a rivendicare il ritorno della Crimea all’Ucraina, senza alcun riguardo per le implicazioni storiche e le aspirazioni della popolazione. Per non parlare della monumentale ipocrisia se si paragona la vicenda ad altre situazioni, come ad esempio quella del Kosovo.

Tornando all’intervista di Podoliak, quest’ultimo ha spiegato nel dettaglio i piani di Kiev in vista dell’improbabile riconquista della Crimea, spiegando nel contempo alcune delle ragioni per cui la penisola ha lasciato l’Ucraina per la Russia ormai nove anni fa. I residenti della Crimea, per cominciare, non avranno più la possibilità di leggere la letteratura russa o di guardare film russi. La lingua russa non potrà essere inoltre parlata in pubblico e tutti coloro che non si adegueranno alle direttive del regime dovranno lasciare il paese.

Una durissima repressione attende quanti saranno ritenuti “collaboratori” o “traditori”, mentre chi, per qualsiasi ragione, abbia cambiato la propria cittadinanza da ucraina a russa sarà oggetto di indagini e “provvedimenti legali”. È facile comprendere quanto serie siano le minacce, visto che ritorsioni e violenze sono già state documentate nei confronti di presunti collaborazionisti nelle località ucraine da dove nei mesi scorsi le forze armate russe si erano ritirate. Come già accaduto in questi casi, anche un eventuale scenario simile in Crimea vedrebbe impegnati gruppi paramilitari e milizie neo-naziste per ristabilire l’ordine, ovvero portare a termine vendette e repressioni contro la maggioranza della popolazione russofona o semplicemente ostile al regime di Zelensky…

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L’Impero prepara la “vendetta”: incendiare l’Eurasia meridionale – Pepe Escobar

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

Quegli psicopatici neo-conservatori straussiani sono stati in grado di ottenere un successo tattico. L’Europa è una nave di folli diretti verso Scilla e Cariddi – con collaborazionisti come Le Petit Roi della Francia e il Cancelliere tedesco “Salsiccia di fegato” che cooperano alla debacle, con tanto di loggioni che annegano in un vortice di moralismo isterico.

Sono coloro che guidano l’Egemone che sta distruggendo l’Europa. Non la Russia.

Ma poi c’è Il Quadro Generale del Nuovo Grande Gioco Great Game 2.0…

Due analisti russi, con mezzi diversi, hanno elaborato una tabella di marcia allucinante, abbastanza complementare e abbastanza realistica.

Il generale Andrei Gurulyov, in pensione, è ora membro della Duma. Ritiene che la guerra NATO contro Russia sul suolo ucraino finirà solo nel 2030 – quando l’Ucraina sostanzialmente cesserà di esistere.

La sua scadenza è il 2027-2030 – qualcosa che nessuno finora ha osato prevedere. E “cessare di esistere”, secondo Gurulyov, significa effettivamente scomparire da qualsiasi mappa. Implicita è la conclusione logica dell’Operazione Militare Speciale – ribadita più e più volte dal Cremlino e dal Consiglio di Sicurezza: la smilitarizzazione e la denazificazione dell’Ucraina; uno stato neutrale; nessuna adesione alla NATO; e “l’indivisibilità della sicurezza”, allo stesso modo, per l’Europa e lo spazio post-sovietico.

Quindi, fino a quando non avremo questi fatti sul terreno, Gurulyov sta essenzialmente dicendo che il Cremlino e lo Stato Maggiore russo non faranno concessioni. Nessun “conflitto congelato” imposto da Washington o falso cessate il fuoco, che tutti sanno non sarà rispettato, proprio come gli accordi di Minsk non sono mai stati rispettati.

Eppure Mosca… “abbiamo qua un problema”. Per quanto il Cremlino possa sempre insistere che questa non è una guerra contro i fratelli e i cugini ucraini slavi – il che si traduce in nessun Shock’n Awe [Colpisci e terrorizza] in stile americano che polverizza tutto ciò che è in vista – il verdetto di Gurulyov implica che la distruzione dell’attuale, canceroso e corrotto stato ucraino è un must.

Un rapporto completo del crocevia cruciale, così com’è, sostiene correttamente che se la Russia è stata in Afghanistan per 10 anni, e in Cecenia, tutti i periodi combinati, per altri 10 anni, l’attuale SMO – altrimenti descritto da alcune persone molto potenti a Mosca come una “quasi guerra” – e per di più contro la piena forza della NATO,  potrebbe durare altri 7 anni.

Il rapporto sostiene anche correttamente che per la Russia l’aspetto cinetico della “quasi guerra” non è nemmeno il più rilevante.

In quella che a tutti gli effetti pratici è una guerra all’ultimo sangue contro il neoliberismo occidentale, ciò che conta davvero è un Grande Risveglio russo – già in vigore: “L’obiettivo della Russia è quello di emergere nel 2027-2030 non come un semplice ‘vincitore’ in piedi sulle rovine di un paese già dimenticato, ma come uno stato che si è riconnesso con il suo arco storico,  ha ritrovato se stessa, ha ristabilito i suoi principi, il suo coraggio nel difendere la sua visione del mondo”.

Sì, questa è una guerra di civiltà, come Alexander Dugin ha magistralmente sostenuto. E qui si tratta di una rinascita della civiltà. Eppure, per gli psicopatici neo-conservatori straussiani, questo è solo un altro racket per far precipitare la Russia nel caos, installare un burattino e rubare le sue risorse naturali…

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La dichiarazione (censurata) di Seymour Hersh sul ‘mercato nero’ delle armi all’Ucraina

L’Occidente sa che le armi fornite all’esercito ucraino si stanno diffondendo sul mercato nero, ma i media tacciono al riguardo, ha rivelato il famoso giornalista statunitense Seymour Hersh.

In una nuova intervista con Afshin Rattanzi, conduttore di “Going Underground” di RT, il vincitore del Premio Pulitzer ha affermato che all’inizio dell’operazione militare russa, alcuni paesi europei sono stati “inondati” di armi fornite dagli Stati Uniti all’Ucraina.

Non ho scritto di questo mercato oscuro o nero, non so come lo chiamano, ma ne ho sentito parlare. In una fase iniziale [del conflitto], Polonia, Romania e altri paesi di confine sono stati inondati di armi fornite da noi all’Ucraina per la guerra”, ha dichiarato Hersh. “In altre parole, vari comandanti, non so a che livello, spesso non generali ma colonnelli e altri, ricevevano carichi di armi e li rivendevano personalmente o li mandavano al mercato nero”, ha aggiunto.

Secondo Hersh, le preoccupazioni per la rivendita anche di sistemi di difesa aerea portatili in grado di abbattere aerei ad alta quota non sono sorte in Occidente fino a mesi dopo l’inizio delle ostilità. “C’era grande preoccupazione per questo.

Circa sei mesi fa, forse prima, la CBS ha pubblicato una storia che poi è stata ritirata”, ha rivelato il giornalista.

 

La CIA ha rimproverato Zelensky

Non solo in Occidente sono state sollevate preoccupazioni circa l’ubicazione delle armi fornite all’Ucraina. Anche la spesa irregolare di colossali aiuti in denaro da parte di alti funzionari ucraini è stata un argomento di contesa tra Kiev e Washington.

Hersh osserva che il capo della CIA William Burns ha rimproverato il presidente ucraino Vladimir Zelensky per il fatto che i funzionari e i generali ucraini “intascano troppo”.

Secondo il giornalista, gli americani hanno fornito a Zelensky una lista di 35 persone implicate in casi di corruzione. Dieci di loro sono già stati licenziati.

“Il messaggio principale che volevano trasmettere a Zelensky era questo: i funzionari e i generali [statunitensi] si stanno arrabbiando molto perché intaschi troppo, ti prendi una parte più grande per te stesso”, ha detto Hersh, osservando che la corruzione nel governo ucraino è “semplicemente scandalosa”.

 

“Il New York Times è diventato completamente pro-Biden”

Durante l’intervista, Hersh si è scagliato contro il New York Times per la sua posizione filogovernativa e per il modo in cui ha aiutato l’FBI a rintracciare Jack Teixeira, il sospettato di aver fatto trapelare informazioni riservate del Pentagono sul conflitto ucraino.

Il noto giornalista ha ricordato di aver lavorato per molti anni nel suddetto mezzo e di aver “vinto molti premi”, in un momento in cui il giornale proteggeva molto meglio le sue fonti. “In una delle storie più importanti che ho scritto [nel 1974] sullo spionaggio della CIA sui cittadini statunitensi, nessuno è stato nominato”, ha sottolineato.

Ha anche sottolineato che il New York Times si è dimostrato del tutto “pro-Biden”, dal momento che non critica affatto il presidente Usa. Hersh ha lamentato che, insieme ad altri importanti media, il giornale non ha riportato il suo recente articolo, che incolpa l’amministrazione Biden per le esplosioni ai gasdotti Nord Stream nel Mar Baltico lo scorso settembre.

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redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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