Anima e immagine: ripensando Hillman nel…

giorno della nascita: 12 aprile 1926.

di Giuseppe Callegari

Di fronte a una rappresentazione visiva apparentemente ineccepibile da un punto di vista formale compositivo capita di rimanere totalmente indifferenti e non provare alcuna emozione. Al contrario, osservando una composizione con qualche limite nella sua realizzazione si può realizzare un’empatia e provare una forte emozione.

Per comprendere le ragioni che stanno all’origine del fenomeno occorre riferirsi alle categorie della denotazione e della connotazione, partendo dal significante e dal significato. Umberto Eco (1) scriveva che il significante è una forma generatrice di senso, mentre il significato diventa il contenuto ideologico dell’atto comunicativo. Quindi quest‘ultimo diventa il terminale al quale il significante fa pervenire l’atto comunicativo al fruitore.

Prosegue Roland Barthes (2): «Ogni segno compie poi le sue funzioni comunicative in due modi distinti e complementari: la denotazione e la connotazione» . La prima si riferisce al significato fissato dal codice di base e gli ulteriori significati si rifanno alla connotazione che riguarda la sfera della soggettività, mentre la denotazione è legata all’oggettività.

È utile chiarire immediatamente che queste due categorie non possono essere utilizzate per analizzare l’immagine, anche se questa affermazione è in dissenso con quanto a suo tempo affermava Eco. L’immagine di un cane, ad esempio, viene immediatamente decodificata in base alla storia e alle esperienze del fruitore, quindi in modo soggettivo. Infatti l’appassionato cinofilo individuerà immediatamente la razza, non dirà cane di razza tibetan terrier, ma semplicemente tibetan terrier. Il non esperto invece riconoscerà la specie animale, cioè cane. In questo modo i due fruitori arrivano a connotare l’immagine con gradazioni diverse, in pratica a seconda delle loro conoscenze e del loro vissuto. In questo modo l’interazione con l’immagine è immediata e globale.

A questo punto si può tentare di fornire una prima risposta al quesito posto inizialmente. Paradossalmente il significato all’immagine non viene dato solo dagli elementi presenti al suo interno, ma dall’interpretazione, quindi dalla storia del fruitore, che in questo modo dà il soffio della vita a qualcosa di inanimato.

In questa direzione è illuminante quanto afferma lo psicoterapeuta e filosofo James Hillman (3): «Abbiamo centinaia di tessere nessuna delle quali è l’immagine. Tutte testimoniano l’esistenza di un’immagine dalla quale sono cadute. Tutte recano la possibilità di essere messe insieme, come facevano i grandi mosaicisti che riuscivano a trarre da qualche centinaio di pezzetti di pietra un’unica figura imponente, commovente, bella e spirituale. Questo riusciva loro perché avevano dentro di sé un’immagine. […] La vera immagine è quella della forma interiore, della forma psichica, della forma dell’anima. Una forma che tenendo insieme le varie visibilità dà profondità al visibile e lo fa diventare visibilità dell’anima. Abbiamo confuso l’immagine col visibile, con l’apparenza». Ecco allora che l’espressione «È un’immagine senz’anima» significa che l’autore non è stato in grado di realizzare il mosaico, nel senso che ha assemblato tanti piccoli pezzettini in un’unica figura dimenticandosi di mostrare la parte interna dell’opera stessa, non è riuscito a visualizzare il cuore pulsante.

È importante sottolineare che per Hillman anima è l’archetipo della psiche. Parlando di anima si deve intendere fare anima che significa immaginare, ovvero guardare gli eventi da un punto di vista immaginale. Le immagini sono infatti la psiche, la sua materia e la sua prospettiva.

Afferma ancora Hillman (4): «Michelangelo non si limitava a riprodurre la faccia di qualcuno, ma evocava l’immagine, rappresentava l’essenza della persona». E prosegue: «Se guardiamo le icone bizantine vediamo un’immagine dall’apparenza molto elementare, che spesso viene da noi percepita come un’arte meno avanzata, meno perfetta, per la semplicità del disegno, ma la cui imperfezione è voluta perché ciò che importa è quello che ci sta dietro e che non è visibile. Non è visibile attraverso gli occhi. Secondo i teologi e i filosofi bizantini l’immagine deve essere una via per riattivare il contatto con la nostra anima, risvegliando un altro occhio per vederla. O per essere visti. […] L’icona è stasi. È statica. Arresta. Ha il compito di concentrare, di focalizzare» . Addirittura secondo James Joyce «Ogni immagine che promuove il movimento è pornografica. Mentre l’immagine vera è statica e arresta il movimento» .

Quindi l’approccio all’immagine diventa un processo di consapevole conoscenza ma tale meccanismo è stato completamente snaturato dalle nuove tecnologie comunicative. Jerry Mander (5) nel suo libro Jerry «Quattro ragioni per abolire la televisione» ricorda che il cervello umano è in grado di decodificare 12-14 immagini al secondo. Questo significa che in tale lasso di tempo lo stimolo colpisce la retina e attraverso il sistema di neuroni arriva al cervello e viene interpretato. È lo stesso meccanismo del cibo che prima di arrivare allo stomaco viene riconosciuto prima per la forma e l’aroma e poi perché soddisfa il gusto. Succede però che il cinema e la televisione inviino ben più di 15 immagini al secondo e che siano acquisite ma non elaborate. In pratica il fruitore è pieno di immagini di cui non ha consapevolezza, un po’ come essere alimentati con la fleboclisi o la parenterale, si continua a respirare senza alcuna partecipazione al processo vitale.

Conclude Hillman (6): «C’è un’immagine più profonda dell’immagine visibile. C’è sotto, anzi no, non sotto, dentro, all’interno di ciò che mostra, della presentazione dell’immagine, c’è l’immagine invisibile. Ed è l’immagine invisibile che ci guarda mentre noi guardiamo quella visibile». Questo significa che l’immagine riesce a esprimere l’anima, cioè scandaglia la psiche, quando colui che osserva è a sua volta guardato. Se non si realizza questa simbiosi ci si ritrova di fronte a un corpo inerte che non è capace di irradiare oppure ad occhi incapaci di raccogliere lo sguardo che li osserva. Allora l’immagine e la rappresentazione visiva non possono considerarsi entità inanimate, ma la crisalide che può diventare farfalla.

NOTE

  1. Umberto Eco, Appunti per una semiologia delle comunicazioni visive, 1967, Bompiani

  2. Roland Barthes, Elementi di semiologia, 1964, Einaudi

  3. Intervista a James Hillman a cura di Silvia Ronchey su Robinson-Repubblica del 16/10/2021

  4. Jerry Mander, Quattro ragioni per abolire la televisione, 1982 Dedalo

  5. Intervista a James Hillman a cura di Silvia Ronchey su Robinsono Repubblica del 16/10/2021

  6. idem

James Hillman è stato una psicanalista, saggista e filosofo statunitense. Psicologo analista junghiano, americano di nascita, ma europeo di cultura, nasce il 12 aprile 1926 ad Atlantic City e muore il 27 ottobre 2011 a Thompson nel Connecticut.

Fra i suoi libri: «Il codice dell’anima», «L’anima del mondo e il pensiero del cuore», «Il suicidio e l’anima», «Un terribile amore per la guerra», «La forza del carattere», «Il sogno e il mondo infero», «Saggi sul puer», «Re-visione della psicologia», «Le storie che curano: Freud, Jung, Adler», «Il mito dell’analisi», «L’ultima immagine».

MA COSA SONO LE «SCOR-DATE»? NOTA PER CHI CAPITASSE QUI SOLTANTO ADESSO.

Per «scor-data» qui in “bottega” si intende il rimando a una persona o a un evento che il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna deformano, rammentano “a rovescio” o cancellano; a volte i temi possono essere più leggeri ché ogni tanto sorridere non fa male, anzi. Ovviamente assai diversi gli stili e le scelte per raccontare; a volte post brevi e magari solo un titolo, una citazione, una foto, un disegno. Comunque un gran lavoro. E si può fare meglio, specie se il nostro “collettivo di lavoro” si allargherà. Vi sentite chiamate/i “in causa”? Proprio così, questo è un bando di arruolamento nel nostro disarmato esercituccio. Grazie in anticipo a chi collaborerà, commenterà, linkerà, correggerà i nostri errori sempre possibili, segnalerà qualcun/qualcosa … o anche solo ci leggerà.

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