Le mille e una scoria: settima puntata

di Giorgio Ferrari (*)

7- Sogineide

Quando Sogin fu costituita, nel 1999, i suoi compiti riguardavano lo smantellamento delle centrali elettronucleari dismesse, la chiusura del ciclo del combustibile e le attività connesse e conseguenti. Ad assolverli fu chiamata una consistente parte di tecnici provenienti dal settore nucleare dell’Enel di cui l’allora amministratore delegato Franco Tatò intendeva disfarsi: una vera e propria “catarsi” per delle persone che prima avevano impiegato le loro conoscenze nel costruire reattori nucleari e ora dovevano smantellarli! Questa nuova attività nacque all’insegna di una diffusa incertezza sia per quanto riguardava il quadro normativo tecnico (vecchio e non aggiornato) sia per le titubanze del potere politico nel delineare le modalità e le tappe con cui si doveva porre fine al ciclo nucleare italiano: una pecca di cui la classe politica italiana non potrà mai essere assolta.

Comunque sia nel 2001 e poi nel 2004 vennero meglio definiti gli indirizzi strategici di Sogin che sostanzialmente consistevano nel trattare tutti i rifiuti solidi e liquidi presenti sui suoi siti entro dieci anni; completare il riprocessamento del combustibile all’estero e provvedere alla disattivazione accelerata delle ex centrali nucleari entro venti anni. Relativamente al deposito nazionale invece, Sogin doveva collaborare con il ministero dell’Industria essendo questo il responsabile unico della sua localizzazione e realizzazione a cui, nel 2004, fu aggiunto anche il ministero dell’Ambiente. Tutto sommato si trattò di una navigazione relativamente tranquilla per Sogin fino al 2002, quando le acque cominciarono ad agitarsi. Con la proclamazione dell’emergenza nucleare e la contestuale nomina di un commissario straordinario nonché presidente di Sogin, il generale Carlo Jean, si arrivò alla crisi del 2003 determinata dalla rivolta di Scanzano Jonico. Poi, nel 2004, vennero le prime severe critiche che la Corte dei Conti fece all’operato di Sogin definendolo «rischioso» per la popolazione a causa del consistente slittamento delle attività di decommissioning. Cosa era successo? Perchè una società nata sotto i buoni auspici volti a chiudere adeguatamente il ciclo nucleare era improvvidamente caduta in disgrazia?

Per capirlo bisogna ripartire dall’attacco alle Torri gemelle di New York del settembre 2001. Quell’episodio non provocò solo (si fa per dire!) la “guerra infinita e preventiva” al terrorismo che ebbe il suo apice con l’invasione dell’Iraq, ma anche un diffuso inasprimento degli apparati e delle misure di sicurezza in tutti i Paesi dell’Occidente, ivi compresa l’Italia dove si era insediato da poco il secondo governo Berlusconi. Trasferire queste misure nel settore nucleare fu un gioco da ragazzi: cogliendo al volo l’emergenza Saluggia determinata dagli straripamenti della Dora Baltea si proclamò l’emergenza nuke, nominando un commissario straordinario con pieni poteri e con un curriculum militare di tutto rispetto. E’ lo stesso Carlo Jean ad aver fornito l’evidenza di questo indirizzo securitario, quando nelle sue audizioni alla Camera sostenne che più dello scenario catastrofico prospettato all’epoca da Carlo Rubbia (inondazione del sito di Saluggia) la sua preoccupazione principale era rappresentata dal mini-terrorismo che poteva attaccare i depositi di rifiuti radioattivi sparsi per l’Italia. Di qui l’accelerazione verso la scelta del Deposito geologico di cui però Jean non indica chi fu promotore: alla domanda specifica rivoltagli dall’onorevole Michele Vianello nella seduta parlamentare del 3/12/2003 (Da chi, o da quale organo di Governo, lei ha ricevuto l’incarico di predisporre un sito geologico per tutti i rifiuti radioattivi?) Jean sostanzialmente non risponde ma nemmeno viene incalzato a farlo. Insieme a queste influenze “militaresche”, cominciano a farsi sentire in Sogin le pressioni e gli appetiti di alcuni partiti: il vice presidente di Sogin, all’epoca di Jean, era Paolo Togni (figlio del più noto Giuseppe Togni) che oltre ad essere capo di gabinetto del ministro dell’Ambiente Altero Matteoli (che di danni ne fece parecchi) era stato presidente della Waste Management Italia, multinazionale operante nel settore dei rifiuti a sua volta oggetto di alcune inchieste giudiziarie. Da allora in poi i “lati oscuri” del management e della mission di Sogin si sono fatti più evidenti: nel 2005 venne ratificato l’accordo bilaterale Italia-Russia che prevedeva l’impiego di Sogin nelle attività di smantellamento di sottomarini nucleari della flotta russa del Nord per una durata di dieci anni e con un onere complessivo a carico dell’Italia di 360 milioni di euro, incarico che apparve veramente strano per non dire incredibile e di cui, ancora oggi, non si dispone di resoconti dettagliati. Di entità minore, ma più numerose furono le “chiacchierate” spese di Sogin per servizi di comunicazione od organizzazione di eventi come: la partecipazione al Salone del libro organizzata da Marcello dell’Utri (nel 2005) costata 257.000 euro; i contratti per divulgazione e comunicazione con società di consulenza per cifre complessive che superavano il milione di euro e che rimandavano a personaggi vicini alla Lega Nord come Massimo Polledri e Paolo Mancioppi, ex parlamentare della Lega Nord e poi consigliere di amministrazione di Sogin ed amministratore delegato di Nucleco (di cui Sogin è compropietaria): tutti episodi rilevati dalla Corte dei conti nel riesaminare i bilanci della società che, è bene ricordarlo, hanno come fonte pressoché esclusiva di introiti la componente tariffaria che si paga sulle bollette elettriche che va sotto la voce «oneri nucleari». Anche dal punto di vista tecnico-funzionale non si può dire che le cose andassero bene, tant’è che nel 2008 la Sogin rivede drasticamente il planning dello smantellamento delle ex centrali: l’obiettivo non è più il raggiungimento del green field (cioè il rilascio incondizionato dei siti, riportati a “prato verde”) ma il brown field in cui anche dopo la demolizione degli impianti il sito non è riconsegnabile alla collettività in quanto su di esso permangono i rifiuti prodotti durante lo smantellamento. Secondo Sogin questo cambiamento di strategia fu una scelta obbligata dal momento che l’inesistenza di un Deposito nazionale, a cui conferire i rifiuti da smantellamento, comprometteva il raggiungimento del green field ma, pur riconoscendo il legame funzionale che c’è tra le due cose, i ritardi accumulati nel decommissioning non risultano pienamente giustificabili.

Tuttavia è solo nel 2010 che avviene il “salto di qualità” nella gestione opaca della mission di Sogin. Il ritorno di Berlusconi si era caratterizzato anche per il rilancio di un nuovo piano nucleare (poi sconfitto dal referendum del 2011) e in questo quadro era necessario rafforzare il ruolo di Sogin che si concretizzò con il Decreto legislativo 31 del 2010 tutt’ora in vigore. Se fino a quel momento la funzione di Sogin si era mantenuta entro gli indirizzi iniziali (decommissioning degli impianti, ritrattamento all’estero del combustibile e collaborazione con Mise e Minambiente per quanto riguarda localizzazione, costruzione e gestione del Deposito nazionale dei rifiuti) con il varo di questo decreto essa diviene il soggetto esclusivo di tutto ciò che riguarda la chiusura del nucleare (fatta eccezione per gli aspetti normativi). Non solo; perché nel frattempo Sogin è diventata proprietaria di molti siti ex Enea intestandosi anche le rispettive licenze di esercizio e conseguentemente la licenza per produrre e gestire i corrispondenti rifiuti. Contestualmente in quegli anni erano state avviate le gare di appalto per la realizzazione di impianti di trattamento e depositi provvisori nei siti della Trisaia e di Saluggia per un ammontare superiore ai 130 milioni di euro complessivi. Proprio nel 2010 viene rinominato Amministratore delegato di Sogin Giuseppe Nucci (già AD di Sogin nel 2005) disinvolto manager con un ricco passato in ABB e poi nell’Enel di Franco Tatò che lo mise a capo di Enel Sole (illuminazione pubblica): ed è sotto la sua gestione che si perfeziona l’appalto per l’impianto Cemex di Saluggia vinto al massimo ribasso (98 milioni di euro) dalla cordata Saipem-Maltauro. Quest’ultima – finita nel mirino dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) – sarà commissariata dal Prefetto di Roma mentre l’omonimo proprietario finirà in manette, i lavori di Saluggia interrotti e Nucci dimissionato.

Il successivo ricambio del management (2013) non basta a ridurre il discredito in cui è caduta la Sogin ma ancora una volta, nonostante le voci di possibile commissariamento, le inchieste delle Commissioni parlamentari e le ripetute censure della Corte dei Conti, la società ha proseguito nella sua turbolenta navigazione perchè nessuna forza politica ha mai voluto mettere mano al Dlgs 31/2010 che attribuisce a Sogin compiti che sono in palese conflitto di interessi fra loro: preparazione della carta dei siti; gestione di tutte le fasi di informazione e consultazione con enti locali e soggetti diversi; individuazione del sito; progettazione, costruzione e gestione del Deposito nazionale e del Parco tecnologico; erogazione delle compensazioni alle comunità locali interessate dalla localizzazione del Deposito senza contare che, siccome il conferimento dei rifiuti al Deposito nazionale è oneroso, Sogin – in quanto produttore di rifiuti – dovrà pagare una tariffa di conferimento a se stessa in quanto gestore del Deposito!

C’è dell’incredibile in questa vicenda ma del resto tutte le storie de “Le Mille e una scoria” incredibili lo sono state. Però è giunto il momento di porvi fine. Alla prossima e ultima puntata dunque.

VEDI Le mille e una scoria: sesta puntata, Le mille e una scoria: quinta puntata, Le mille e una scoria: quarta puntata, Le mille e una scoria: terza puntata, Le mille e una scoria: seconda puntata e Deposito nazionale: le mille e una scoria

(*) l’ottava puntata sarà in “bottega” venerdì notte o sabato mattina… scsp che è l’acronimo di salvo contrattempi sempre possibili.

Redazione
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