Le parole per non dirlo

di Gianluca Cicinelli

In un momento di stanchezza, noia, umana debolezza, mi è capitato di guardare un polpettone d’amore, fuorviato dalla presenza di attori che mi piacciono in commedie brillanti, ma che in questo caso brillanti non erano. Parlare d’amore è forse la cosa più inutile in assoluto nella vita. Naturalmente dico per me, se la pensate diversamente fate bene, ma poco m’importa. A essere onesto mi convinco sempre di più che proprio parlare in genere sia inutile, i tempi sembrerebbero darmi ragione. Intendo quando manca l’interlocuzione, perchè al contrario siamo circondati di “Parlamenti”, parlamenti buffi li definiva Gianni Celati in un suo libro: buffi se, il più delle volte, non nascondessero dolore. Definire prende più tempo che vivere. Il potere della parola, nel campo dei sentimenti, è il più delle volte manipolatorio, non risponde alla voce sentimento ma alla voce rapporto, che è una cosa diversa. Mi sposto però dal tema dell’amore, che fin dalla prima volta che ho preso in mano una penna ho deciso di tenere per me, per evitare equivoci. Lo utilizzo soltanto perchè a mio avviso rende meglio di ogni altro esempio l’inutilità delle parole. Queste che sto scrivendo per esempio. Che passano innocue tra me e chi legge, innocue perchè anche chi non è d’accordo continuerà a vivere il suo rapporto con i sentimenti e le parole indipendentemente dalle mie (di parole). Eppure ne uso tante, scritte e parlate, di parole, per imbrigliare fotografie della realtà in un ordine che è soltanto mio. E’ forse l’unica forma di religione che pratico: la costruzione di un altrove pieno di nulla che non sia frutto della mia mente, del mio modo di pormi alla vita, del desiderio di mostrare che c’è un’altra faccia della realtà che io vedo e gli altri no. Di prendermi gioco del mondo e di chi crede nella verità, d’infastidire, di provocare una reazione. Sono tutti esercizi che – con un po’ d’allenamento a scrivere – tutti possono eseguire con successo. Perchè le parole sono come quelle foglie colorate che cadono in un corso d’acqua restando per un po’ a galla. Quando ripassiamo di lì dopo poco tempo troviamo soltanto il corso d’acqua, le foglie si sono sciolte e cadute nel fondo. E restano gli alberi, da cui sono cadute, spogli, immobili, essenziali, pronti a far nascere nuove foglie il prossimo anno. Sto cercando in questa fase di occuparmi soltanto di alberi ignorando le foglie. Le foglie, le troppe parole, ci impediscono di vedere le radici. Ci fanno credere di essere il verbo mentre sono soltanto un complemento (sono certo che un botanico potrà contraddirmi, proprio perchè delle parole coglierà l’aspetto scientifico e non quello metaforico, a conferma dell’ambiguità di ogni parlare). A furia di guardare le foglie non ci siamo più curati delle radici, dimenticando da dove veniamo, che noi esistiamo in quanto tali e non soltanto in relazione a un ramo su cui far bella mostra di noi per poi cadere nell’acqua e scomparire. Come prossimo obiettivo esistenziale e politico da perseguire mi porrei, per vivere meglio, una bella potatura di foglie dalla vita di tutti.

NOTA DELLA “BOTTEGA”

La redazione ha scelto – per accompagnare le parole (per NON dirlo) di Cicinelli – due fra le tante immagiini “arboree” di Jacek Yerka che qui amiamo mooooooooooooooooooolt0.

 

 

ciuoti

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