L’ibogaina e le credenze sociali

Un intervento di Enrico Fletzer – presidente di Encod (la coalizione europea per politiche giuste ed efficaci sulle droghe) – al Forum Europeo

I dati sul consumo di oppiacei naturali e sintetici prevalenti in Paesi come USA, Iran e Afghanistan sono veramente impressionanti: 400.000 morti negli USA, 10 milioni di persone dipendenti da oppio ed eroina in Iran, un terzo degli afghani (sembra, non si hanno cifre prencise).

Nel frattempo le terapie di sostituzione – qualora accessibili a chi le desideri – sono in realtà spesso terapie di mantenimento; anche considerando come il metadone e altre sostanze siano ancora più difficili da interrompere di quelle illegali. Anche per queste ragioni da molti decenni ci sono operatori clandestini – ma anche ufficiali – che propongono la medicina della giungla, l’ibogaina, una sostanza attualmente vietata in alcuni (pochi) Paesi, legale in altri e situata in una zona grigia in gran parte del globo.

A svelare pro e contro di una sostanza in grado di bloccare in poche ore la sindrome di astinenza ci ha pensato l’Istituto dell’università statale di Tbilisi in Georgia che dal 5 al 7 dicembre 2019 ha organizzato – assieme a medici, ricercatori e attivisti antiproibizionisti – il Forum Europeo sulla Ibogaina.

Erano presenti esperti provenienti dall’ex URSS, USA, Sudafrica, Iran, Afghanistan, Italia, Portogallo, Francia, Irlanda, Slovenia e Germania.

Attivisti clandestini ma anche cliniche ufficiali sparse in giro per il mondo dove la presenza di pazienti italiani non è certo trascurabile.

Pur non essendo un medico né un tossicologo una delle ragioni dell’invito fattomi a partecipare – con una relazione su ibogaina e credenze sociali – era probabilmente dovuta alla mia attuale posizione di presidente di Encod, la coalizione europea per politiche giuste ed efficaci sulle droghe.

In passato, oltre a promuovere una analoga conferenza a Vienna, Encod aveva cercato – con scarso successo – di rompere il muro di omertà che si è diffuso non solamente in Italia (anche grazie agli interessi del governo USA) intorno alle cure promossa da un mucchio selvaggio di medici, attivisti e psiconauti per una sostanza che è anche utilizzata nella cura del morbo di Parkinson.

Nel corso del convegno si è differenziato fra un utilizzo massiccio (flood dosing) utile a interrompere la dipendenza – ma da monitorare molto attentamente – e un impiego a dosaggi bassi, simili a quelli ricercati negli anni Sessanta con il Lambarene, farmaco usato in Francia per le pratiche sportive, un approccio meno problematico e utile oltre che nel Parkinson anche a evitare ricadute nelle dipendenze.

Durante la conferenza si sono analizzati pro e contro nonchè il problema delle cliniche non ufficiali dove si sono verificati incidenti anche mortali.

Anche per questo la cura andrebbe monitorata da personale medico o per lo meno seguendo i protocolli proposti da personale qualificato. Indicazioni a riguardo sono fornite dalla associazione Ibogaine for the World. Anche perché l’esportazione abusiva della radice comporta un business piuttosto nocivo per la giunga equatoriale nonché pratiche scorrette da parte di “praticoni” oltre che da alcuni rivenditori spesso basati in Camerun. Con contaminazioni e falsificazioni di ogni genere tipiche dei mercati illegali o semilegali.

Sullo sfondo il divieto della Lorenzin (*) che ha spinto a viaggiare in Italia nel febbraio 2017 Dana Beal – nella foto – mitica figura del movimento pro-cannabis antiguerra e attivista di Act-up, il primo gruppo di mutuo soccorso per le vittime dell’Aids di New York. La ministra Lorenzin aveva vietato addirittura due alberi in data primo agosto 2016, associandoli a una lunga lista di sostanze sospette, le cosiddette nuove sostanze psicoattive NPS. Nella lista si ritrovano per la prima volta la Mitragyna Speciosa, vietata in Thailandia nel 1949 perché considerata una concorrente dell’oppio allora legale e pesantemente tassato in quel Paese. Una ragione per cui il Kratom è stato rilegalizzato negli USA, a differenza dell’Italia dove è tuttora vietato assieme all’Iboga-Ibogaina.

Non che la mafia c’entri con la Lorenzin – approdata nel PD di Zingaretti- ma sicuramente questo divieto ha dato un ulteriore piccolo aiuto a business di ogni genere e grado.

Quel divieto negli USA è addirittura stato osteggiato da FBI.

Anche per questo il convegno di Tbilisi ha considerato l’opportunità di interpellare il nostro attuale ministro della Sanità Roberto Speranza chiedendogli di ribaltare il divieto dell’iboga o anche di altre sostanze. O per lo meno di informarsi.

Speranza significa speranza, una sostanza immateriale che è generalmente dura a morire soprattuto per le persone che vogliono disperatamente uscire dal giro di eroina, cocaina, metanfetamina ma anche dal metadone come ha dimostrato una ricerca in atto in Spagna esposta dal ricercatore Genis Ona.

Il convegno ha spaziato fra le grandi incognite del cervello umano come pure sulle opportunità per il futuro con l’annuncio di una clinica a Tiblisi. Un utilizzo terapeutico che si integra con l’approccio di reintegrazione psico-sociale che serve a eliminare in poche ore il craving, la necessità fisica o psicologica di ricorrere a sostanze e di superare le sofferenze collegate alle crisi di astinenza.

Con una emivita molto lunga l’effetto attiva anche una ricrescita di cellule neuronali danneggiate permettendo al soggetto di sentirsi “rinato”.

Anche per questo gli amici e le amiche della riduzione del danno non dovrebbero considerare questa sostanza come sostitutiva della loro preziosa attività di sostegno e assistenza.
Che dire dei fissati dell’astinenza? O della “cristoterapia”?

Per molti di loro l’ibogaina non è una opzione. Meglio perseguire la cronicizzazione nelle tante cliniche della cosidetta riabilitazione che fanno della ricaduta nella dipendenza un business infernale, come dimostrato da tante inchieste giornalistiche negli USA. Oppure per piazzare migliaia di sventurai in quelle basate sulla cristoterapia o in modelli autoritari e gerarchici (come Russia, Cina e non solo).

Il dibattito è destinato purtroppo a durare e la nebbia perdura anche da noi dopo le proposte surreali dei nostri ministri degli Interni.
Nel frattempo anche in Gabon, dove la religione Bwiti è religione di stato, dominano tuttora divisioni e incomprensioni fra gli stessi tradizionali assuntori. Proprio nel Paese dove le tribù pigmee avevano comunicato alle altre popolazioni molti “segreti della foresta”, le stesse si dividono – come riporta l’antropologo bolognese Giorgio Samorini – fra buoni e cattivi,
fra veri cristiani e veri pagani. Anche considerando il fatto che gli Apindji hanno passato la conoscenza della Iboga ai Mitsogho, considerati detentori della ortodossia mentre nuovi arrivati come la comunità Fang che ha deciso di santificare l’Iboga assieme all’ostia cattolica sollevando lo sdegno dei puristi. E mentre nei Fang c’è chi si considera come l’unico vero cristiano, come sostiene Isidore Ndjoung (magistrato della Corte Suprema di quel Paese citato nello studio di Giorgio Samorini) che contrappone la noiosa messa cristiana in cui si officia Dio al sincretismo Bwiti secondo cui con l’Iboga «Dio lo vivi veramente».

(*) cfr Una cura africana per il declino della razza bianca? e Il proibizionismo acceca e uccide

 

 

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