Lo strano caso del signor Gregorio

di Pabuda

il signor Gregorio

per ‘sto fenomeno curioso

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– ma triste: patologia rarissima,

mai studiata

col necessario scrupolo –

davvero troppo male c’è stato:

non poteva tacere un momento

che lo prendeva di brutto

quel tormento.

appena spegneva lo stereo,

la piantava di cantare,

metteva in stand by la lavatrice,

azzittiva la tv

o staccava l’aspirapolvere,

la tortura cominciava da capo.

per lo stesso motivo

mai s’arrischiava

a chiudere la finestra

che dava sulla bella strada

intasata di traffico, polveri sottili

ed esorbitanti decibel.

alcuni vicini di casa,

conoscendo il suo disturbo

e cercando di dargli un po’ di sollievo,

appena potevano

gli spedivano

su da tutto il condominio, a turno,

i ragazzini più pestiferi e casinisti.

a volte, con le tate esterrefatte,

gli affidavano – si fa per dire:

glieli mollavano lì e scappavano via –

addirittura i lattanti

in preda a quei doloretti che hanno loro

ogni tanto:

perchè non riescon a far la cacca

o ne fanno troppa

o ci hanno il dentino che spuntando

perfora la tenera e rosea gengiva,

e così strillano lacrimanti

da far piangere il cuore.

anche il parroco cercava di darsi da fare,

alla sua maniera:

appena riusciva a tirar via le mani

dai chierichetti più carucci,

s’aggrappava alle corde

e scampanava, scampanava,

scampanava.

il guaio – del signor Gregorio, intendo –

era ch’appena

un po’ di silenzio gli si faceva attorno

lui – che poi è andato del tutto

fuori di testa, lo credo

bene –

lui sentiva (amplificato) l’incessante

rumore

che fanno i capelli mentre crescono.

e, per sfiga massima

(succede in rarissimi casi

simili al suo),

il povero signore percepiva forte

e chiaro

pure quella specie d’infinitesimale

cigolio stridente

che fanno i peli della barba

venendo su

e lo sfrigolio di quelli

del pube e delle ascelle,

più lieve ma non meno assordante,

quando rimbombava nella sua testa bacata.

radersi e depilarsi ogni due tre ore

non serviva a un bel niente:

in men che non si dica tutto riprendeva

a crescere rigoglioso

e, per lui, insopportabilmente rumoroso.

alla fine, dopo anni di strazio,

con ancora un rasoio in mano,

Il signor Gregorio n’è morto

di ‘sto peloso baccano.

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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