L’Ucraina è fallita

articoli e video di Paolo Di Mizio, Francesco Masala, Giacomo Gabellini, Elena Basile, Roberto Buffagni, Scott Ritter, Lucio Caracciolo, Gian Andrea Gaiani, Clara Statello, Piero Bevilacqua, Alessandro Orsini, Alessandro Marescotti, Andrea Puccio, Jeffrey Sachs, Giulia Bertotto, Pubble, Kit Klarenberg, Domenico Gallo, Francesco Dall’Aglio, Julian McFarlane, Toni Muzzioli, Sara Reginella, Marco Fraquelli, Alberto Fazolo, Nicolai Lilin, Giorgio Bianchi,, Alessandro Marescotti, Alberto Negri, Juan Antonio Aguilar, Miguel Ruiz Calvo,

Nazisti a nostra insaputa – Paolo Di Mizio

Islamofobia e russofobia hanno genesi diverse. La prima cova dagli anni ’60-70, coi primi dirottamenti aerei, l’attacco agli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco, ecc., fino ai recenti orrori di Al Qaeda e Isis. C’è poi la crisi di rigetto per i migranti irregolari, in gran parte di fede islamica. La russofobia invece si è manifestata con la guerra in Ucraina. Si è appreso che in Ucraina si commemora la data di nascita di Stepan Bandera, eroe nazionale, alleato di Hitler e autore di stragi di polacchi ed ebrei. Subito dopo la nazi-nostalgia è emersa tra scandinavi e baltici, che hanno una lunga storia di guerre contro la Russia zarista. Insomma l’Ucraina è stata il detonatore di una dinamite conservata al fresco in diverse cantine, laddove negli anni ’40-45 si sperava che Hitler conquistasse la Russia. In altre parole, i nostri amici nordici erano nazisti in nuce e non lo sapevamo. Le racconto questo fatto. il 5 novembre la squadra di calcio danese Ishoj IF si è presentata allo stadio indossando maglie con la scritta “Basta stragi a Gaza” e le è stato impedito l’ingresso. Un anno fa la squadra aveva fatto altrettanto con la scritta “Basta stragi in Ucraina” ed era stata accolta con applausi. La cosa somiglia molto al sorgere del nazismo hitleriano. La vita di un bimbo ucraino, vittima dei russi, vale dieci; quella di un bimbo palestinese, vittima degli israeliani, vale zero. Mi pare si chiami nazismo, o no?

da qui

 

Parlando con mio nipote, sulla guerra in Ucraina – Francesco Masala

Mio nipote mi chiede di spiegargli qualcosa di quello che accade in Ucraina, che quello che sente in tv non lo convince.

Ci penso un po’ e gli faccio un esempio che forse aiuta a capire meglio cosa succede.

Immagina, gli dico, che il presidente del consiglio italiano sia Melonensky, arrivata al potere con un colpo di stato nel 2014, e decida di prendersela contro i tedesco-parlanti della provincia autonoma di Bolzano, vietando l’uso della lingua tedesca, a scuola e dappertutto, vietando i cartelli bilingui, facendo pubblici roghi dei libri tedeschi, in nome della Tradizione e delle Radici italiane (come nel ventennio nero).

Quando i tedesco-parlanti si rifiutano e si ribellano, Melonenky comincia a bombardare la provincia di Bolzano, a partire dai paesi di campagna, dove quasi tutti parlano il tedesco.

L’Austria fa i suoi passi, prima diplomatici, poi con l’esercito. Dopo qualche scaramuccia Melonensky e gli austriaci firmano due accordi, che prevedono che i tedesco-parlanti non siano più discriminati nella vita pubblica e possano riusare il tedesco senza nessun problema. L’esercito austriaco torna in patria, ma per otto anni l’esercito italiano bombarda sempre più la provincia di Bolzano, a dispetto dei trattati firmati, sulla cui esecuzione c’era l’impegno delle potenze europee.

I tedeschi della provincia di Bolzano implorano per otto anni l’Austria affinché annetta la provincia di Bolzano, odiata dallo Stato italiano.

Dopo otto anni di bombe sulla provincia di Bolzano, e di richieste inascoltate, l’Austria, avendo saputo della preparazione di un massacro di massa da parte delle brigate nere italiane, finalmente interviene con il suo esercito, non per invadere l’Italia, ma solo per annettere la provincia di Bolzano, e inizia una guerra.

Immagina, gli dico, che questo sia successo davvero, tu da che parte staresti?

Con gli italiani in camicia scura o con i tedesco parlanti, che da secoli hanno parlato con la loro lingua in quelle valli?

Ma la guerra in Ucraina non è solo una guerra fra Ucraina e Russia, c’è molto di più, l’Ucraina è stata armata, finanziata e sostenuta dalla Nato, cioè dagli Usa, e dall’Europa, e non da oggi, l’Ucraina è l’agnello sacrificale del tentativo di distruggere la Russia.

Una cosa che non si dice è che nel XX secolo nascono tanti stati, tra cui Israele e l’Ucraina. E l’Ucraina viene scelta come il mezzo per frantumare la Russia. Dopo che è caduto il Muro di Berlino, dopo poco tempo l’Unione Sovietica si è dissolta, le repubbliche sovietiche sono diventate indipendenti. Si ricordi che dopo la dissoluzione dell’URSS  da 15 a 20 milioni di russi sono presenti nelle repubbliche ex-sovietiche.

Casa succede in Ucraina? Lo stato e l’esercito ucraino (per conto della Nato) cominciano a bombardare e ammazzare i cittadini ucraini di etnia russa, per provocare l’intervento della Russia a loro difesa, intervento che poi si verifica. L’assedio della Nato, che abbaia ai confini della Russia, come dice il papa, è il motore della guerra. La provocazione ucraina verso i cittadini ucraini di etnia russa per anni è il casus belli, il grido di dolore del Donbass russofono è stato ascoltato.

Allora alla tv e sui giornali dicono bugie, chiede mio nipote?

L’Occidente collettivo (così viene chiamato il complesso dei paesi a guida Usa) ha sempre avuto in odio l’Urss dalla sua nascita, e forse se a Stalingrado avessero vinto i nazisti non gli darebbe dispiaciuto.

Hollywood ha sempre descritto i russi come ha quasi sempre descritto gli indiani, nemici da sconfiggere e da eliminare (vedi qui), solo che adesso non sono più comunisti (parola per indicare il diavolo), sono un paese che è stato imbrogliato e sfruttato dopo la caduta del Muro di Berlino.

I russi sanno che l’Occidente collettivo (la Nato) è un’entità da temere e da cui difendersi, e che non bisogna mai fidarsi di loro, delle parole che dicono, dei trattati che firmano (e quindi non bisogna fidarsi neanche di noi europei, che gli stiamo facendo guerra, non dichiarata, ma sempre guerra è). E hanno ragione, dicono l’allargamento della Nato e gli accordi di Minsk.

 

 

 

 

 

Le menzogne non devono celare l’abisso Ucraino – Elena Basile

Si avvicina il Natale. Quale miglior modo di celebrare la religiosità che questa festa, divenuta una orgia di consumi, ispira anche a un laico come la sottoscritta se non cercare, per dovere morale più che politico, di fare luce sul conflitto con l’Ucraina screditando le menzogne dei numerosi protagonisti della propaganda criminale che ha massacrato dai 300 ai 400 mila (fonti di Kiev) soldati ucraini?

Il conflitto a bassa intensità e sulla pelle degli ucraini è stato voluto dagli Stati Uniti che portano a casa un bottino di guerra importante indipendentemente dalla riuscita della guerra. L’obiettivo era la destabilizzazione della società russa. Oggi, lo può testimoniare chiunque si rechi a Mosca e viaggi all’interno del Paese, la Russia non sembra toccata dal conflitto né dalle sanzioni economiche. Non è affatto vero che abbia convertito l’economia civile in economia di guerra come giornalisti incompetenti scrivono. Si sono anzi opposti alla destabilizzazione rafforzando il blocco economico sociale che ha sostenuto Putin a partire dal 2000, reindirizzando i commerci verso il Medio Oriente e il Pacifico, l’America latina e il Sud globale, attirando nuovi investimenti e investendo nell’industria della difesa.

Putin non ha mai avuto l’obiettivo di conquistare i territori dell’Ucraina occidentale che sa ostili. Sarebbe suicida voler governare un territorio immenso e una guerriglia di cui la stampa occidentale ha favoleggiato. Essa non si è vista nei territori dove la maggioranza è russofona e che sono stati occupati. Il Cremlino e l’entourage di Putin, che non governa da solo come con altre riduttive semplificazioni gli occidentali fanno credere, ha una strategia differente illustrata da Jacques Baud. Smantellare l’armamento ucraino da posizioni difensive, e vi sono riusciti a diverse ondate colpendo anche i rifornimenti occidentali. Il 75% della popolazione russa sostiene la guerra, ma sarebbe propenso a un negoziato. Mosca è in una posizione di forza, attende le proposte occidentali. Se non arrivano, una volta smantellato l’armamento ucraino, continuerà ad avanzare verso Odessa.

Gli aiuti Nato non possono cambiare le sorti del conflitto. I militari lo sanno benissimo, ma mandano a morire i giovani, reclutati con la forza nelle università e nelle discoteche, e i meno giovani ormai al fine di mantenere il “piglio politico”, direbbe un mio comico collega, convincere la opinione pubblica che l’Occidente non ha perso. Che la campagna elettorale di Biden sia sacra come il Natale!

Zelensky, marionetta indecente, è stretto tra le élite senza scrupoli occidentali, di cui fanno parte i socialdemocratici come Scholz e i nostri cattolici guerrafondai, e le mafie neo naziste antirusse che, come spiega Baud, hanno soltanto il 2% in Parlamento ma dominano la corrotta società ucraina, pronta a entrare in Europa. La Russia non si è mai opposta a un avvicinamento di Kiev all’Europa. Se si ha memoria storica e onestà intellettuale, si ricorderebbe che ai tempi di Yanukovich la Russia chiese un accordo tripartito: Ue, Ucraina, Russia affinché nell’accordo di associazione Ue-Ucraina si tenesse conto dei legami oggettivi tra industria Ucraina e Russia. Barroso rifiutò ogni tipo di compromesso con Mosca e l’arrogante interpretazione dell’Ue dell’accordo di associazione portò alla cacciata, con l’utilizzo delle bande violente neo naziste, di Yanucovich e al colpo di Stato a Maidan Square, favorito dalla visione patologica del mondo della neo conservatrice Nuland.

La linea rossa per Putin è stata, dal discorso di Monaco del 2007, una sola: l’entrata dell’Ucraina nella Nato che darebbe all’Occidente la possibilità di installare missili nucleari in territorio ucraino (Inutile ricordare che la crisi di Cuba nel 1962 fu causata dall’installazione di missili Urss nell’isola e risolta con il loro ritiro, accompagnato da quello Usa degli Jupiter dalla Turchia.) Stoltenberg continua a mentire all’opinione pubblica dei Paesi Nato e con l’acquiescenza delle classi dirigenti europee e dei loro cani da guardia, perpetua un conflitto senza sbocco sulla pelle del popolo ucraino.

A Gaza, peraltro, ci stiamo macchiando di crimini peggiori. Mentre vendute penne diplomatiche inneggiano all’operazione a guida Usa nel Mar Rosso e alla “potenza di fuoco e alla determinazione di Tsahal”, vengono bombardati campi profughi e ospedali. 7.000 bambini muoiono. I sopravvissuti rischiano agonie peggiori, sotto le macerie, in ospedali fatiscenti, affamati e con il rischio di terribili infezioni. Sembrerebbe che l’Italia abbia bloccato i visti ai palestinesi. Israele e l’Occidente si stanno solo difendendo. I “Guardiani della Prosperità” salpano contro gli Houthi yemeniti e preparano il terreno al vero obiettivo: l’Iran. L’intero mondo ci guarda. La risata nietzschiana ci seppellisce.

da qui

 

 

 

 

 

 

Scott Ritter – La narrazione distorta occidentale sull’operazione speciale della Russia e su Putin

Nel marzo scorso, ho avuto l’opportunità di partecipare a un forum online in cui un noto esperto russo forniva un briefing sulla “verità sul campo” come la vedeva da Mosca.

Dopo il briefing, è stata aperta la sessione per le domande. Avevo notato che il relatore, il moderatore e, in effetti, il pubblico facevano un uso ripetitivo del termine “invasione” per descrivere ciò che la Russia definiva come una “Operazione Militare Speciale”.

Ho sollevato la questione degli obiettivi limitati dello sforzo militare russo iniziale, ovvero l’obiettivo di costringere l’Ucraina a concordare un accordo negoziato, e ho chiesto se il termine “Operazione Militare Speciale” non fosse una descrizione più accurata della realtà.

L’esperto ha compreso la mia domanda e concordato sul fatto che il termine “Operazione Militare Speciale” portasse con sé una connotazione specifica che lo distingueva da una classica invasione militare. Tuttavia, nella chat di gruppo, dove i partecipanti potevano commentare gli sviluppi, un individuo ha offerto la seguente osservazione: “‘Operazione Militare Speciale?’ Cos’è quello? Non parlo Putin”.

Questo forum era pensato come un modo per informare meglio i partecipanti su una delle questioni più urgenti del giorno: il conflitto tra Russia e Ucraina, e per prepararli meglio a valutare le conseguenze di questo conflitto a livello globale.

Dato il fallimento dell’Occidente collettivo nel imporre la propria volontà alla Russia attraverso quello che è ampiamente considerato un conflitto proxy, si potrebbe pensare che una qualche forma di analisi retrospettiva sarebbe opportuna. Tuttavia, per impegnarsi in un’attività del genere in modo costruttivo, sarebbe necessario un lessico concordato per comunicare in modo efficace.

Dato che la Russia sta prevalendo nel conflitto, si potrebbe pensare anche che si dovrebbe dedicare un minimo di interesse a come la Russia definisce il conflitto. In breve, chiunque sia interessato a trarre insegnamenti dal fallimento dell’Occidente collettivo in Ucraina dovrebbe imparare “a parlare Putin”.

Pensiero logoro da guerra fredda

Il problema è che coloro nell’Occidente che dovrebbero preparare un lessico adeguato da cui il conflitto tra Russia e Ucraina potrebbe essere valutato in modo più accurato stanno invece operando con un lessico datato radicato nel linguaggio e nella mentalità di un periodo che non esiste più, nato da una mentalità da Guerra Fredda che impedisce qualsiasi analisi profonda e pertinente della vera situazione tra Russia e Occidente.

Sia gli Stati Uniti che la NATO hanno descritto il conflitto tra Russia e Ucraina come avente conseguenze esistenziali per l’Europa e il mondo, con il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, arrivato al punto di dichiarare nell’ottobre 2022 che “la vittoria della Russia nella guerra contro l’Ucraina sarà una sconfitta della NATO”, aggiungendo in modo inquietante: “Questo non può essere permesso”.

Cattive notizie, signor Stoltenberg: la Russia ha vinto. Mentre l'”Operazione Militare Speciale” deve ancora concludersi, la Russia ha preso l’iniziativa strategica su tutti i fronti per quanto riguarda il conflitto con l’Ucraina, costringendo le forze armate ucraine a interrompere un contrattacco, su cui il governo dell’Ucraina e i suoi alleati della NATO avevano investito decine di miliardi di dollari in risorse militari e decine di migliaia di vite ucraine nella speranza di ottenere una vittoria decisiva sulla Russia sul campo di battaglia.

Oggi, l’Ucraina si trova con le sue forze armate decimate dai combattimenti e incapaci di mantenere una presenza militare coesa sul campo di battaglia. Gli Stati Uniti e la NATO si trovano altrettanto incapaci e/o non disposti a continuare a fornire all’Ucraina i fondi e gli armamenti necessari per mantenere una presenza militare efficace sul campo di battaglia.

La Russia sta passando da una postura di difesa flessibile e sta invece avviando operazioni offensive lungo l’intera linea di contatto progettate per sfruttare le opportunità presentate da un esercito ucraino sempre più mutilato e sconfitto.

Anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha sostenuto che una vittoria russa fosse inaccettabile.

“Non possiamo permettere a Putin di vincere”, ha dichiarato Biden all’inizio di questo mese per mettere pressione su un Congresso degli Stati Uniti che ha permesso che il conflitto ucraino venisse coinvolto nella politica interna nordamericana, con importanti esponenti repubblicani sia al Senato che alla Camera che rifiutano di sostenere una legge di finanziamento che raggruppa circa 60 miliardi di dollari di assistenza all’Ucraina insieme a fondi per Israele e riforma dell’immigrazione.

“Qualsiasi interruzione della nostra capacità di fornire aiuti all’Ucraina rafforza chiaramente la posizione di Putin”, ha concluso Biden.

L’articolazione del dilemma affrontato dalla sua amministrazione sottolinea quanto gli Stati Uniti e i loro alleati europei abbiano personalizzato il conflitto tra Russia e Ucraina. A loro occhi, questa è la guerra del presidente russo Vladimir Putin.

In effetti, la Russia stessa è stata ridotta a mera appendice del Presidente russo. In questo, Biden non è solo. Un’intera classe di ex “esperti” di Russia – tra cui personaggi del calibro dell’ex ambasciatore USA in Russia Michael McFaul, della storica vincitrice del premio Pulitzer Anne Applebaum e di una schiera di cosiddetti esperti di sicurezza nazionale, tra cui l’ex vice responsabile dell’intelligence nazionale per la Russia Andrea Kendall-Taylor e l’ex direttore per la Russia del Consiglio di sicurezza nazionale Fiona Hill – ha fatto del conflitto in corso tra Ucraina e Russia una questione di Putin.

In una recente intervista a Politico, Hill, coautrice di Mr. Putin: Operative in the Kremlin, pubblicato nel 2015, ha ripreso le dichiarazioni di Stoltenberg e Biden che hanno definito il conflitto tra Russia e Ucraina come una crisi esistenziale.

Kendall-Taylor, che nel 2022 è stato coautore di un articolo su Foreign Affairs intitolato “The Beginning of the End for Putin?”, vede il conflitto come un’estensione dei bisogni di Putin come individuo, più che dei bisogni della Russia come nazione.

“Putin”, ha detto Kendall-Taylor alla NPR nel gennaio 2022, prima dell’inizio dell’operazione militare speciale, “vuole davvero mantenere l’Ucraina nell’orbita della Russia. Dopo 20 anni di potere, sta pensando alla sua eredità e vuole essere il leader che ha riportato la Russia alla grandezza. Per farlo, deve ripristinare l’influenza russa in Ucraina.

E per lui, credo che sia una questione molto personale. Putin, nel corso dei suoi 20 anni – 22 anni al potere – ha tentato e fallito ripetutamente di riportare l’Ucraina all’ovile. E credo che senta che è arrivato il momento di occuparsi di questo affare incompiuto”.

Secondo Kendall-Taylor, un simile risultato è inaccettabile. “Non credo sia esagerato sottolineare quanto sia importante l’assistenza degli Stati Uniti”, ha recentemente dichiarato al New York Times. “Se l’assistenza non continua, la guerra assume una natura radicalmente diversa”.

A novembre la Applebaum ha scritto un articolo su The Atlantic intitolato “L’impero russo deve morire”, in cui sosteneva che “un futuro migliore richiede la sconfitta di Putin – e la fine delle aspirazioni imperiali”. Recentemente ha espresso la sua opinione sull’eredità di Putin all’indomani del conflitto in Ucraina.

“Non credo ci siano dubbi sul fatto che Putin sarà ricordato come l’uomo che ha davvero deciso di distruggere il proprio Paese”, ha dichiarato Applebaum a Radio Free Europe/Radio Liberty in un’intervista dello scorso agosto. Putin, ha dichiarato Applebaum, “è una persona che ha peggiorato il tenore di vita, la libertà e la cultura della Russia stessa. Non sembra che gli interessi il benessere o la prosperità dei russi comuni. Per lui sono solo carne da macello. Non gli interessano i successi russi nelle infrastrutture, nell’arte, nella letteratura e in tutto il resto. Ha impoverito i russi. E ha anche riportato in auge una forma di dittatura che credo la maggior parte dei russi pensasse di essersi lasciata alle spalle”.

Quello che il presidente russo sta facendo, ha affermato Applebaum, “è davvero distruggere la Russia moderna. E credo che per questo sarà ricordato nel complesso”.

“La Russia è il problema perché dà potere a Putin”

McFaul, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia, ha scritto un libro di memorie, “Dalla Guerra Fredda alla Calda Pace: Un Ambasciatore Americano nella Russia di Putin”. In una recente intervista con Radio Free Europe/Radio Liberty, McFaul ha affermato: “Ho cambiato le mie opinioni a causa di questa guerra orribile e barbarica in Ucraina, perché Putin ha preso la decisione di invadere l’Ucraina”. McFaul sostiene ora che il problema è la Russia, perché la Russia ha dato potere a Putin.

McFaul supporta la sua valutazione con un po’ di storia revisionista.

Chiamando Putin “un leader completamente accidentale della Russia”, McFaul ha etichettato Putin come “una creatura del regime esistente” nominata da Boris Eltsin, il primo presidente della Russia, e priva di qualsiasi significativa base politica.

Putin, sostiene McFaul, “vuole creare questo mito che ‘c’era il caos degli anni ’90, e io sono venuto come l’eroe’. È un’assurdità totale e assoluta, afferma McFaul. “Non è la storia come è stata in tempo reale”.

Data la mancanza di pedigree politico di Putin, dice McFaul, “non sappiamo necessariamente se i russi lo sostengono. Come si fa a saperlo quando non ci sono vere elezioni libere ed eque, quando non ci sono veri media? Non si può sapere se è popolare o meno in queste condizioni”.

McFaul afferma che “ho cambiato opinione” sulla colpevolezza del popolo russo per Putin “come risultato di questa orribile e barbara guerra in Ucraina, perché Putin ha preso la decisione di invadere l’Ucraina. Non c’è stata alcuna votazione, non c’è stato alcun referendum. Non sappiamo cosa pensassero i russi di questa decisione. Ci sono sondaggi d’opinione precedenti che suggeriscono che i russi non volevano quella battaglia, anche da parte di organizzazioni indipendenti, persino occidentali.

Ma una volta entrato, c’è stato il sostegno – come di solito accade quando i Paesi entrano in guerra – e ora ci sono russi che violentano donne e bambini ucraini; ci sono russi che commettono atrocità di massa in Ucraina. Quindi Putin non può fare queste cose senza il sostegno dei russi. Quindi, questa scusa che i russi non sono colpevoli e non dovrebbero essere trattati male, e non dovrebbero essere sanzionati a causa dell’autocrazia, non mi trova d’accordo”. La guerra di Putin, conclude McFaul, è ora la guerra della Russia.

Le accuse infondate di McFaul sulle atrocità russe forniscono un quadro chiaro della base priva di fatti utilizzata dall’ex ambasciatore per plasmare la sua narrazione della Russia di Putin.

L’affermazione di McFaul sullo stupro è particolarmente grave, se si considera che, all’epoca della sua intervista – luglio 2023 – queste accuse erano state smentite dalla stessa Ucraina in seguito alle rivelazioni che Lyudmila Denisova, commissario per i diritti umani del Parlamento ucraino, aveva rilasciato dichiarazioni ufficiali utilizzando informazioni non verificate.

In una lettera al Parlamento, i giornalisti ucraini hanno affermato che i rapporti di Denisova erano dannosi per l’Ucraina, notando che le informazioni diffuse dall’ufficio di Denisova sono state considerate come reali dai media e sono state “poi utilizzate in articoli e discorsi di personaggi pubblici”.

Denisova è stata licenziata nel maggio del 2022, più di un anno prima che McFaul facesse eco alle sue screditate affermazioni, in una manifestazione vivente della cautela esposta dai giornalisti ucraini.

McFaul ha basato gran parte della visione alterata sulla co-responsabilità del popolo russo nel conflitto con l’Ucraina sulla sua comprensione degli eventi degli anni ’90 e su come questi eventi abbiano plasmato l’ascesa di Vladimir Putin alla prominente scena politica.

Curiosamente, McFaul afferma che l’idea degli anni ’90 come un periodo di “caos” per la Russia è un mito. Ciò che rende particolarmente curiosa questa affermazione è che McFaul stesso è stato personalmente coinvolto nella Russia degli anni ’90 e dovrebbe saperlo meglio.

McFaul è arrivato a Mosca nel 1990 come studioso ospite presso l’Università Statale di Mosca. Successivamente ha assunto un incarico come consulente presso l’Istituto Nazionale per la Democrazia (NDI), autodefinita come “un’organizzazione non profit, non partigiana, non governativa che ha sostenuto istituzioni e pratiche democratiche in ogni regione del mondo”, sfumando la linea tra accademico e attivista.

Il NDI è stato fondato nel 1983 per promuovere operazioni di “diplomazia pubblica” a sostegno degli interessi di sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Come rappresentante del NDI a Mosca, McFaul ha sostenuto attivamente “Democratic Russia”, una coalizione di politici russi guidata da Eltsin, che McFaul ha successivamente definito il “catalizzatore della fine della Guerra Fredda”.

Nel suo libro del 2001, “La Rivoluzione Incompiuta della Russia: Cambiamento Politico da Gorbaciov a Putin”, McFaul sostenne apertamente il concetto di “democrazia” incarnato nella figura di Eltsin, anche se McFaul sapeva benissimo che Eltsin non era altro che il burattino scelto dagli Stati Uniti.

McFaul si è risentito per l’ascesa di Putin al potere, offrendo invece una realtà alternativa che avrebbe visto Eltsin, dimessosi dalla presidenza russa nella vigilia di Capodanno del 1999, nominare Boris Nemtsov (che McFaul descrive come l'”erede apparente”) al posto di Putin come suo successore.

McFaul non ha mai perdonato alla Russia il “peccato” della nomina di Putin: nel suo libro “La Rivoluzione Incompiuta della Russia”, dichiarò che l’ex ufficiale del KGB aveva “inflitto notevoli danni alle istituzioni democratiche” in Russia, un notevole esempio di pregiudizio personale, dato che Putin prese il potere nel 2000 e il libro di McFaul fu pubblicato nel 2001.

Inoltre, McFaul si è dedicato a una buona dose di revisionismo storico, considerato che non c’erano “istituzioni democratiche” in Russia sotto Eltsin: i carri armati russi che sparavano sul Parlamento russo nell’ottobre 1993 su ordine di Eltsin, uniti alla manipolazione aperta delle elezioni del 1996 con il sostegno degli Stati Uniti, erano una garanzia in tal senso.

McFaul ha avuto più che familiarità con questa storia: ha contribuito a plasmare le condizioni che l’hanno prodotta, rendendo sospetta la sua amnesia odierna.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

da qui

 

 

 

 

I sabotatori della pace in Ucraina e la verità su Bucha che emerge inesorabilmente – Clara Statello

“Dobbiamo fermarli e cacciarli. Chiedo ORA nuove devastanti sanzioni del G7”. Con queste parole pubblicate su Twitter, la mattina di sabato 3 aprile, il ministro degli Esteri di Kiev, Dmytro Kuleba, chiudeva definitivamente le trattative di pace con la Federazione Russa. Il fallimento dei negoziati venne ufficialmente attribuito al massacro di Bucha.

Alla luce delle rivelazioni di David Arakhamia, l’ultima parola che seppellì ogni possibilità di pace fu quella dell’ex premer britannico Boris Johnson. Il 29 marzo 2022 si era ad un passo dalla ratifica di un trattato in 18 punti per la neutralità dell’Ucraina, che sarebbe così rimasta fuori dalla NATO. In cambio la Federazione Russa avrebbe ritirato le sue truppe da tutto il territorio, esclusa la Crimea. Per il Donbass era prevista un’autonomia sul modello italiano dell’Alto Adige. Mancava solo la firma di Zelensky, ma una visita a sorpresa di Johnson a Kiev mandò tutto all’aria: disse che non c’era nulla da firmare, si doveva “combattere e basta”.

La guerra in nome delle vittime di Bucha

Le esigenze di sicurezza dell’UE non potevano bastare per spiegare all’opinione mondiale il fallimento di un accordo così conveniente per Kiev e Mosca (ma non per la NATO). Per Oleg Tsarev la strage di Bucha fu il pretesto per sabotare i negoziati. Tsarev è un volto iconico della Primavera Russa, uno dei primi leader delle rivolte anti-maidan, che presero piede in Ucraina nel 2014,  tra i pochi sopravvissuti alla guerra e agli attentati dell’SBU, i servizi di sicurezza interna ucraini. Da molti commentatori è stato ritenuto l’uomo designato da Mosca per prendere il posto di Zelensky a Bankova, in caso di colpo di mano.

Scampato ad un tentativo di omicidio lo scorso ottobre, in un’intervista rilasciata a fine novembre a Svoboda Press, Tsarev ha dichiarato che quella di Bucha è stata una messa in scena organizzata da Londra, attraverso l’MI6. L’intelligence britannica avrebbe affidato l’attuazione dell’ordine al capo del dipartimento di controspionaggio della SBU, Alexander Poklad. L’esecuzione fu assegnata a Sergej Korotkikh, neonazista ideologico, noto con il nome di battaglia “il Nostromo”.

Tsarev dunque non nega il ritrovamento dei corpi ma sostiene che le vittime erano dissidenti di Kiev, catturati nell’ondata di arresti, che seguì l’inizio del conflitto con la Russia, e uccisi nelle prigioni segrete dell’SBU, la cui esistenza è stata accertata nel report dell’ONU sulle detenzioni di civili in Russia e Ucraina.

“Decine di giornalisti, personalità pubbliche e difensori dei diritti umani sono stati arrestati e molti sono già stati uccisi. Oggi i loro cadaveri, così come quelli di decine di altre persone ammazzate nelle carceri dell’SBU, vengono trasportati a Irpin e Bucha. I giornalisti stranieri saranno portati lì nel prossimo futuro, in modo che i filmati delle “atrocità dell’esercito russo” facciano il giro dei media di tutto il mondo. I servizi speciali statunitensi capiscono perfettamente che per mantenere il clima di russofobia in Occidente è necessario mostrare video orribili e filmati di atrocità inscenate”, scriveva il 3 aprile il leader antimaidan sul suo canale Telegram.

Inoltre, il nostromo avrebbe dato istruzioni di sparare contro gli abitanti di Bucha e di lasciare i corpi lungo la strada per “creare l’immagine” di una carneficina. In particolare, sostiene Tsarev, erano prese di mira le persone che camminavano con una fascia bianca al braccio, segnale di riconoscimento per i civili.

Un testimone scomodo

Le autorità ucraine, infine, hanno provveduto a togliere di mezzo un eventuale testimone scomodo dei fatti, il direttore del cimitero di Bucha. Anatoly Miruta è stato arrestato il 6 maggio 2022 con accuse pretestuose. E’ stato incriminato per aver distribuito gli aiuti umanitari nella sua comunità, Sinyak.  “Ha organizzato gli aiuti per i suoi compaesani, compresi cibo e medicine, ha portato i malati all’ospedale del vicina città di Dymer, nella regione di Kiev” si legge nella sentenza. Inoltre “ha aiutato con le sepolture” nel distretto di Bucha. Miruta, dunque, potrebbe avere informazioni preziose per delle indagini indipendenti sulla strage Bucha, ma è stato condannato a 10 anni di carcere per collaborazionismo, pur soffrendo di una grave cardiopatia. Rischia di non uscire vivo di prigione.

Mille volte Bucha

L’orrore di Bucha ha messo la parola fine alle possibilità di una soluzione politica, soddisfacente per entrambe le parti. Eppure la decisione di far fallire i negoziati e continuare la guerra, era già stata presa.

“La NATO aveva già deciso in un vertice speciale del 24 marzo 2022 di non sostenere questi negoziati di pace (tra Ucraina e Russia)”, scrive Michael von der Schulenburg secondo quanto riporta il blog del progetto Brave New Europe.

Che la strage di Bucha sia stata compiuta dalle forze russe o sia una messa in scena, come ritiene Tsarev, difficilmente Kiev riuscirà ad ottenere un accordo con condizioni migliori di quelle offerte da Mosca nel marzo 2022.  A pensarla così è l’ex consigliere dell’Ufficio di Presidenza, Alexey Arestovich, che recentemente ha dichiarato che le proposte della Russia “non erano male”.

“Non so neanche io come sia successo che abbiamo deciso di interrompere i negoziati di Instanbul”, ha dichiarato, in base a quanto riportato da Strana.

“Ora 300mila persone sarebbero vive e metà dell’Ucraina non sarebbe stata distrutta e bombardata. Noi abbiamo fatto delle concessioni, ma loro cedevano di più”, ha aggiunto.

In breve, la scellerata decisione di continuare a far combattere gli ucraini ha causato mille volte le 300 vittime delle fosse comuni di Bucha, se i dati riferiti da Arestovich fossero attendibili. E realisticamente l’Ucraina sarà costretta ad accettare una pace a condizioni più svantaggiose.

da qui

 

 

 

Ucraina: le attuali criticità militari, sociali e geopolitiche – Alessandro Marescotti

Il conflitto militare presenta varie criticità che spaziano dal fronte militare a quello politico, sociale ed economico. Uno dei problemi principali è rappresentato dalla superiorità numerica delle forze armate russe. Ciò sta spingendo a un reclutamento di soldati che genera proteste nella società.
La complessità delle criticità nell’attuale conflitto militare

La guerra in corso tra l’Ucraina e la Russia presenta una serie di criticità che stanno mettendo a dura prova le risorse e la stabilità dell’Ucraina. Le difficoltà si manifestano su diversi fronti, dall’aspetto militare a quello politico ed economico, contribuendo a creare una situazione complessa e tesa.

Criticità militari: superiorità russa in soldati e armamenti

Uno dei problemi principali è rappresentato dalla netta superiorità numerica delle forze armate russe. Questa superiorità si traduce in una maggiore presenza su tutti i fronti, con un numero più elevato di soldati, pezzi di artiglieria e munizioni. La superiorità aerea e l’uso avanzato dei droni conferiscono alle forze russe un vantaggio strategico notevole.

La controffensiva ucraina ha registrato un esito sfavorevole, contribuendo ad approfondire le divisioni interne alla società ucraina.

Fratture interne: le divisioni politiche e sociali

Protesta delle donne ucraine che chiedono il ritorno dei loro cari alle famiglie

Internamente, l’Ucraina si trova a dover affrontare divisioni politiche e sociali profonde. La frattura tra il presidente Zelensky e il capo delle forze armate Zaluzhny, insieme alle tensioni tra le donne ucraine che reclamano il ritorno dei propri uomini e il Parlamento che intende estendere il regime coattivo militare, creano un contesto instabile.

La crescente estensione dei disertori e dei renitenti alla leva, unita alle pratiche di reclutamento coatto, genera ulteriori tensioni. Anche il fenomeno degli obiettori di coscienza guidati dal Movimento Pacifista Ucraino aggiunge una variabile complessa al quadro.

Fratture esterne: la paralisi della Casa Bianca, la crisi nella Nato e i disaccordi europei

A livello internazionale, la coesione della NATO si sta sgretolando. Gli Stati Uniti, principale fornitore di supporto militare, sono indeboliti dall’opposizione dei repubblicani e dall’ala democratica di sinistra guidata da Bernie Sanders. Questo indebolimento compromette il flusso di armi verso l’Ucraina. I veti hanno paralizzato la Casa Bianca.

La divisione in Europa è ulteriormente evidente con Polonia, Ungheria e Slovacchia che rifiutano di inviare armi a Kiev. La frattura tra Ucraina e Polonia, una volta grandi alleate, si è acuita a causa di tensioni economiche legate alle esportazioni di grano.

Crisi economica: la dipendenza ucraina dagli aiuti esterni

Dal punto di vista economico, l’Ucraina si trova in una situazione estrememente critica. La mancanza di risorse per pagare stipendi e pensioni, unita alla totale dipendenza dagli aiuti europei, crea un quadro di vulnerabilità economica. A ciò si associa la mancanza di fondi per la ricostruzione dato che gran parte del bilancio è impegnato nelle spese bellliche. L’Ucraina sembra essere sull’orlo di una crisi finanziaria, e la sua dipendenza economica si traduce in una fragilità significativa.

Resilienza russa e nuovi equilibri globali

Contrariamente alle aspettative, la Russia ha dimostrato una sorprendente resilienza economica. Le sanzioni imposte sembrano non aver sortito gli effetti sperati, e la Russia ha stretto nuove alleanze economiche con nazioni non soggette a embarghi, come Cina e India.

Il cambiamento degli equilibri globali vede la Russia emergere come un attore più robusto – supportato dal “Sud Globale” dei paesi BRICS che stanno spingendo per la “dedollarizzazione” degli scambi economici – mentre l’Ucraina lotta con le sue criticità interne ed esterne.

Conclusioni

In conclusione, il conflitto Ucraina-Russia presenta una serie di criticità che spaziano dal fronte militare a quello politico ed economico. La complessità della situazione richiederà un approccio diplomatico e strategico differente da quello che è stato impostato fino a ora. La stanchezza della società ucraina dopo dieci mesi di guerra è sempre più evidente e la diffusione dei canali Telegram per organizzare il ritorno dei soldati a casa è la punta di un iceberg sommerso che molti media occidentali sono riluttanti a esplorare. La caratteristica della protesta attuale è che non ha un taglio “pacifista” ma fortemente improntata all’orgoglio nazionale per gli eroi che hanno salvato l’Ucraina: eroi che ora devono tornare alle loro famiglie. La parola d’ordine è “smobilitazione”. Una smobilitazione volontaria dei soldati con oltre 18 mesi di guerra. Sempre più chiaro appare lo scollamento fra questa società stanca della guerra e Zelensky che la vorrebbe continuare fino alla vittoria, in ciò spalleggiato dalla Nato e dalla UE che mostrano ora forti difficoltà e grande imbarazzo nel comprendere il clima mutato nel sentiment popolare ucraino.

 

Ucraina e Palestina, storia del fallimento dell’Occidente – Piero Bevilacqua

Ricostruire i fatti del passato, di fronte ai due conflitti attuali, è fondamentale. Per i democratici radicali e per i pacifisti di tutto il mondo, si apre la possibilità di un nuovo racconto, che chiami in causa le responsabilità delle élites Usa ed europee, e le costringa a rispondere dei loro errori

Nel greco antico indagare si esprime con historein, fare storia. Questa coincidenza ha un significato simbolico fondativo per la cultura dell’Occidente. La disciplina che indaga il passato nasce, nella geniale lingua dei Greci, come equivalente di esplorare, conoscere Se si vogliono decifrare i fatti e inquadrarli in un ordine esplicativo, occorre ricostruirli storicamente. E in questo lemma si racchiude un nostro archetipo culturale: ogni volta che il presente ci pone di fronte a un fenomeno nuovo e complesso noi ci rivolgiamo al passato, tentiamo di scorgere da dove esso si è originato, per esaminarlo nel suo svolgersi nel tempo e comprenderlo. Perché la storia, come ricordava uno storico del ‘900, Edward P. Thompson «è la scienza del contesto», il sapere che connette i frammenti dispersi dei fatti e li rende intellegibili.

Dovrebbe dunque essere per noi indiscutibile che la guerra in Ucraina non si possa oggi comprendere senza fare storia. Ma su questo drammatico evento, che occupa da quasi due anni la scena del mondo, si fronteggiano due opposte interpretazioni. Una è quella che resta alla cronaca, schiacciata sugli episodi del presente: il 24 febbraio 2022 la Russia ha invaso l’Ucraina, un Paese sovrano, violando il diritto internazionale. Verità in sé ineccepibile e da condannare: la guerra è morte e distruzione. Ma questa interpretazione è manchevole di historein, di indagine, sulla catena di eventi disposti nel tempo con logiche di causalità che l’hanno provocata.
Tutto si spiega superficialmente e in maniera ingannevole con una motivazione che fa presa sull’immaginario collettivo: l’espansionismo della Russia comandata da un feroce dittatore. Le versioni più semplici sono il materiale privilegiato per la manipolazione totalitaria dell’opinione pubblica. Ma questa interpretazione, che si ferma alla cronaca, che non colloca gli eventi nella giusta disposizione temporale (quando comincia l’accerchiamento Nato e quando la Russia invade la Georgia e poi la Crimea, regione russa da sempre), che era dominante agli esordi, è cominciata a venir giù man mano che si è cominciato a fare storia, a gettare lo sguardo sul passato. Solo la ricerca storica, in questo caso, ad esempio, l’analisi di fonti archiviste americane desecretate, mostrano che nel 2001, tradendo gli impegni di non espansione nell’Europa orientale fatta ai sovietici, la Nato si era allargata di ben 1600 km verso i confini della Russia. Nel 2004 furono ammessi nell’Alleanza altri due stati, tra cui Romania e Estonia, quest’ultima confinante con la Russia. Ma nel 2008, con il “Memorandum di Bucarest” fu inclusa la seguente dichiarazione: «abbiamo concordato oggi che questi paesi /Ucraina e Georgia/ diventeranno membri della Nato» (B. Abelow, Come l’Occidente ha provocato la guerra in Ucraina, Fazi 2023, pp.17-18) Quindi i tanti orecchianti che vedono nelle annessioni di Mosca, fermi alle cronache manipolate dei giornali occidentali, la prova dell’espansionismo imperialistico russo, sbagliano clamorosamente e commettono un’ingiustizia di valutazione morale e politica. La Russia, ingannata da tante promesse americane tradite, intimorita dalla ritirata unilaterale degli Usa dai tanti trattati sui missili balistici atomici, hanno cercato di reagire a quel che era diventato un palese accerchiamento, una minaccia alla propria esistenza.

La storia più nota e più recente, ha poi mostrato come alla base dell’invasione russa ci fosse anche la guerra civile, la persecuzione e i massacri della popolazione nelle province russofone, da parte di Kiev. Si è dunque soprattutto scoperto che il supporto difensivo degli Usa all’esercito di Kiev era il camuffamento di una strategia di guerra predisposta da tempo.

Ora il copione si ripete con l’attacco di Hamas ad Israele, del 7 ottobre: un atto di guerra, ma insieme un pogrom contro la popolazione civile. Sulla condanna di quell’azione non è possibile alcuna discussione. Ma l’episodio sanguinoso, su cui naturalmente si concentra l’orrore e la condanna generale, finisce con l’esaurire l’intera storia dei rapporti tra Israele e la Palestina. Non soltanto vengono cancellati 75 anni di guerre, la dispersione del popolo palestinese dopo il 1948 e dopo il conflitto del 1967, ma soprattutto la creazione di un lager di nuovo conio, una novità clamorosa nella storia contemporanea: la detenzione di un intero popolo nell’angusta striscia di Gaza. Ebbene chi si azzarda a ricordare che cosa può spiegare, come si possa fare historein dell’attacco di Hamas, viene processato sul posto per connivenza col nemico. L’accusa di antisemitismo, diventato da anni un dispositivo retorico per impedire ogni ragionamento storico, rendere legittimo ogni sopruso che lo Stato d’Israele compie contro i Palestinesi, viene riusato per giustificare la Strage degli innocenti che si consuma a Gaza. In Italia è da tempo all’opera uno squadrismo giornalistico che tenta di far tacere chiunque vada oltre la condanna moralistica e le retoriche di contorno e si avventura nel compito di comprendere. Di fare storia. E in questo momento lo squadrismo è ancora più intollerabile, perché Israele con i bombardamenti su Gaza, sta trasformando l’asservimento silente degli ultimi 20 anni in un massacro definitivo.

Ora si dice che la storia la scrivono i vincitori. Verità indiscutibile. Ma non nel senso che tra i vinti non possa sorgere qualche storico che, sine ira ac studio, racconti come sono andate realmente le cose. In Iraq potrebbe esser nato uno storico che scriverà con quale proditorio arbitrio gli Usa hanno bombardato e invaso il suo Paese, provocando circa 150 mila morti, senza che dal suo popolo sia mai venuto alcun danno od offesa agli Americani. Ma resterebbe un libro senza eco. La storia degli sconfitti si scrive con il silenzio. Infatti, quell’aggressione è da tempo dimenticata, obliate sono le responsabilità degli Usa, non diversamente che per la Libia, e l’Afghanistan. Infatti non è tanto la storia scritta che conta, ma la memoria collettiva che alla fine s’impone.

Ora è evidente che un diverso andamento della guerra in Ucraina, con la vittoria della Nato, lo smembramento della Federazione russa coi suoi 26 stati e 160 gruppi etnici, destinati probabilmente a deflagrare, come in Jugoslavia, in una sanguinosa guerra civile, avrebbe dato all’Occidente la possibilità di un racconto del conflitto che già conosciamo. La vittoria della democrazia e dei valori occidentali su un’autocrazia asiatica, la sconfitta di un tiranno, la liberazione dei popoli. E’ almeno dalle crociate medievali che la storia, intesa come memoria dei popoli, l’Occidente la scrive così. Ma questa volta appare estremamente difficile ripetere il vecchio copione. La Russia non ha perso la guerra, non è crollata economicamente, Putin non solo appare saldo al potere, non solo non è riducibile a un tiranno pazzo, ma mostra di avere attorno un gruppo dirigente capace di visione strategica, di governare un Paese non diviso, in grado di grandi sacrifici, proprio perché ingiustamente minacciato. E non pretendo che i commentatori occidentali comprendano quanto dell’autoritarismo che governa la società russa di oggi sia anche frutto della permanente minaccia alla sua sicurezza, che inizia nel lontano 1918, con il tentativo dell’Armata Bianca, sostenuta da corpi di spedizione europei e americani, di soffocare la Rivoluzione d’Ottobre.

Anche il popolo palestinese, sconfitto nel 1948 e nel 1967, è stato privato della sua storia. L’umiliazione e la disperazione di milioni di persone sono scomparse per anni dalla coscienza del mondo. Ma oggi, con il massacro di Gaza, comunque si concluda il conflitto, si chiude una pagina di storia mondiale. La Russia non ha perso la guerra e la questione palestinese, dominata dall’appoggio Usa a Israele, è ancora tragicamente aperta. Le esortazioni alla moderazione del presidente Usa Biden, rivolte al governo di Israele in queste settimane, costituiscono un’espressione di suprema ipocrisia, una finzione crudele. Utili per mascherare responsabilità dirette, per non macchiare di altro sangue le mani dei governanti americani. Gli Usa hanno sostenuto per 75 anni tutte le scelte di quello Stato, anche le operazioni meno difendibili, delegittimando irrimediabilmente la potestà delle Nazioni Unite. E oggi supportano con armi ed equipaggiamento l’esercito d’Israele che devasta e uccide a Gaza. Hanno inviato due delle loro grandi portaerei nel Mediterraneo Orientale a far da guardia, perché nessuno osi disturbare Israele mentre compie i suoi quotidiani massacri.

Oggi dunque si chiude una pagina sanguinaria e per l’Occidente si pone un problema impossibile da aggirare: come raccontare la storia di un fallimento seriale. La guerra in Iraq non ha portato la democrazia, ma il terrorismo endemico, la Libia è stata ricacciata ai suoi originari conflitti tribali, l’Afghanistan è ritornato ai Talebani, l’Ucraina è semidistrutta, Gaza muore e Israele è oggi ancora più insicura. Il discredito sarà incancellabile e getterà la sua ombra sui decenni a venire. Questa volta la storia degli sconfitti non si potrà scrivere col silenzio. Centinaia di migliaia di ucraini sono morti per niente, per l’ennesimo calcolo sbagliato degli Usa e dei suoi alleati, per il delirio di onnipotenza del gruppo dirigente di un impero che tenta di frenare il suo declino con la violenza delle armi. L’insicurezza di Israele e le sue vittime, e migliaia di palestinesi uccisi, appaiono ormai solamente quale esito della strategia americana. Ora potrà apparire cinico dirlo, ma questo tragico scacco, questa disfatta senza appello delle politiche americane e Nato, è una condizione perché l’Ue ritrovi le ragioni ideali per cui era nata. E si apre per noi, per i democratici radicali e per i pacifisti di tutto il mondo, la possibilità di un nuovo racconto, che chiami in causa le responsabilità delle élites Usa ed europee, e le costringa a rispondere dei loro errori e delitti ai propri popoli e a quelli degli sconfitti.

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Strage di Bucha: il pretesto perfetto – Andrea Puccio

La recente intervista di Daniel Arajamia di cui abbiamo dato notizia un paio di giorni fa in cui affermava tra le altre cose che fu Boris Johnson a intimare al governo di Zelensky di non firmare alcun accordo di pace con la Russia riapre anche un altro fatto che in quei giorni monopolizzò la stampa internazionale ovvero la famosa strage di Bucha.

Come ricorderete all’inizio del mese di marzo del 2022 venne attribuita all’esercito russo l’uccisione di decine di ucraini nella città di Bucha, strage che dai primi giorni apparve molto strana soprattutto nei modi in cui venne realizzata. I corpi furono trovati tutti in fila lungo la strada della città ucraina, non vi era sangue per terra e soprattutto molti corpi avevano fori causati da armi da fuoco nella nuca.

Tutti i mezzi di informazione furono concordi nel sostenere la tesi ucraina ovvero che i russi prima di abbandonare la città avessero assassinato cittadini inermi. Fu questo il pretesto per congelare qualunque piano di pace tra Kiev e Mosca. Ora sappiamo da Daniel Arajamia che furono i britannici a impedire a Zelensky di sottoscrivere a poche settimane dall’invasione russa un piano di pace.

Chiaramente occorreva un pretesto per convincere il governo ucraino e l’opinione pubblica mondiale che con i russi, da sempre dipinti come macellai senza un briciolo di dignità, non si poteva trattare.

L’obiettivo era evidentemente di continuare a combattere fino all’ultimo ucraino. In un’intervista Oleg Tsarev, deputato del parlamento ucraino dal 2002 al 2014,  spiega come è avvenuta la messa in scena di Bucha, perché di messa in scena si tratta e dal primo momento io lo ho sostenuto assieme a tutti coloro che non hanno mai creduto alle veline di Kiev.

Oleg Tsarev sostiene che si tratta della solita messa in scena organizzata dall’occidente come avvenne in Siria con la storia delle armi chimiche dove vennero coinvolti i Caschi Bianchi.

“- Lo stesso. Solo che non era una produzione, ma veri omicidi di persone reali. E non è stato affatto l’esercito russo a ucciderli”, afferma Tsarev.

“Poco prima dell’inizio della messa in scena da parte delloSVO, ho ricevuto informazioni che in un certo numero di regioni dell’Ucraina erano stati compilati elenchi di persone “inaffidabili” – giornalisti, politici, blogger – che potevano parlare a sostegno della Federazione Russa. Ed era chiaro che in caso di aggravamento delle relazioni con la Russia, nessuno li avrebbe arrestati, sarebbero stati eliminati fisicamente”, continua.

“Ho poi scritto una lettera aperta nel mio canale Telegram, in cui ho chiesto a queste persone che in caso di conflitto militare di prendersi cura di se stesse il più possibile, in modo che capissero che non ci saranno tribunali. Ho chiamato di persona chi conoscevo  ma, purtroppo, non tutti mi hanno creduto allora”.

L’ex deputato ucraino sottolinea che nei giorni precedenti il ritrovamento dei cadaveri a Bucha fu avvisato da Kiev che “ si stava preparando una grande provocazione, erano i giorni in cui si tennero i negoziati a Istanbul, era la fine di marzo”.  “Decine di giornalisti, personaggi pubblici, difensori dei diritti umani furono arrestati e molti erano già stati uccisi. I loro cadaveri, così come decine di altri uccisi nelle stanze segrete della SBU, furono portati a Irpin e Bucha. I giornalisti stranieri saranno poi portati lì in modo che il filmato delle “atrocità dell’esercito russo” verrà passato da  tutti i media mondiali”.

“La squadra per “organizzare Bucha” è arrivata da Londra attraverso il Mi-6, l’organizzazione è stata affidata al capo del dipartimento di controspionaggio della SBU Alexander Poklad. Pokla ha reindirizzato la performance a Botsman”. I cadaveri furono poi portati a Bucha dove venne organizzata la messa in scena della strage.

Il 29 marzo 2022 si conclusero i colloqui di pace a Istambul che furono sottoscritti dall’Ucraina ma dal Regno Unito arrivò l’altolà di Boris Johnson che fece saltare tutto. Nei giorni 1 e 2 aprile 2022, secondo quanto afferma Oleg Tsarev, fu impedito a chiunque di entrare a Bucha e il giorno successivo, il 3 aprile 2022, vennero fatti entrare i giornalisti e i reporter per filmare la presunta strage.

“Bucha divenne l’argomento principale di Zelensky nel rifiutare gli accordi con la Russia. Altrimenti, gli ucraini non avrebbero capito e, soprattutto, l’Occidente non avrebbe avuto un motivo per sostenere il regime di Kiev e continuare la guerra.

“Non sono stati il GUR e la SBU a competere, sono stati gli Stati Uniti e la Gran Bretagna a discutere sul futuro dell’Ucraina. Purtroppo Londra ha vinto”, conclude l’ex deputato ucraino.

Quindi la messa in scena di Bucha è servita per convincere Zelensky e l’opinione pubblica mondiale che con i russi non si poteva trattare, occorreva sconfiggerli sul campo. A oltre un anno e mezzo da quell’evento la guerra continua, l’Ucraina è ben lontana dall’ottenere il tanto sognato successo sul campo, centinaia di migliaia di ucraini hanno perso la vita solamente per il gusto occidentale di vedere Mosca capitolare e l’economia europea, grazie alle sanzioni imposte alla Russia che hanno colpito solo noi e non i russi, è sull’orlo della recessione. Bravi sono stati alla Casa Bianca a organizzare tutto questo: hanno fatto macellare centinaia di ucraini per nulla ed hanno reso ancora più dipendente il vecchio continente da Washington. In fondo era quello che volevano e i nostri politici che stanno su quella sedia solamente per compiacere gli Stati Uniti e portare avanti i loro interessi non battono ciglio.

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Fratelli d’Italia immagina un mondo “post Russia”. Su un surreale convegno al Senato della Repubblica – Giulia Bertotto 

“Roulette Russa. Cosa succede nel mondo se la Russia va in pezzi”. Era il titolo di un saggio del 1999 scritto da Giulietto Chiesa, oggi la prefigurazione di un simile scenario, somiglia al titolo (augurale però!) di un convengo -che non si è tenuto in un teatro- ma in uno dei palazzi istituzionali più importanti, il Senato di Roma.

L’evento dell’11 dicembre ha radunato giornalisti, redattori, comitati, associazioni, e politici su iniziativa del senatore Giuliomaria Terzi di Sant’Agata, per poi proseguire ancora a Roma e poi Berlino nei giorni successivi. Nel discutere su “I vantaggi di un mondo post-Russia” -appare surreale già dal titolo- si ipotizza infatti non più una Russia federale ma spaccata in circa 25 piccoli stati autonomi.

L’incontro è organizzato in sinergia con il “Forum dei Popoli Liberi”, “una ONG polacca, registrata lo scorso anno, che non ha nulla a che fare con la Russia e i suoi popoli. Le attività della suddetta ONG sono state dichiarate illegali da parte del governo della Federazione Russa, proprio nel marzo del 2023” .

Leggiamo nel programma dal titolo “Dopo l’impero: nuovi stati indipendenti senza militarismo, colonie e ideologie misantropiche”: “Maggiori informazioni sulla piattaforma del Forum LNPR: fondato nella primavera del 2022 in Forum delle Libere Nazioni di Post-Russia è una comunità internazionale e una piattaforma pubblica che unisce i leader dei movimenti nazionali e delle regioni-prigioniere della cosiddetta “Federazione russa” (che non è una vera e propria federazione) tra cui ci sono francesi, lituani, italiani, britannici, giapponesi, polacchi, americani, cechi, finlandesi, ucraini, georgiani, austriaci, bielorussi, turchi, tedeschi, kazakhi, azeri e altri, con l’obiettivo di promuovere una decolonizzazione pacifica e non violenta della Russia. Ci impegniamo in una lotta di liberazione nazionale anticoloniale contro l’imperialismo di Mosca”.

Alcuni interventi dalla conferenza

Introduce i lavori il Senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, esponente di Fratelli d’Italia, ex ministro degli Affari esteri, ex ambasciatore d’Italia negli Stati Uniti, nelle Nazioni Unite e in Israele.

Il primo intervento è quello di Gianni Vernetti, ex sottosegretario degli Affari Esteri dell’Italia che esorta la platea ad essere aperta all’ipotesi di una dissoluzione dell’“impero russo”: “Gli USA hanno smesso di sostenere l’impegno militare in Ucraina ma bisogna continuare a combattere per la libertà. Bisogna essere più creativi e meno realisti e occorre una nuova dottrina sul futuro della Russia attraverso la sua democratizzazione e separazione dei poteri, per una maggiore libertà e indipendenza. Questo processo richiede un’azione dall’esterno. Per questo è necessario studiare e conoscere la storia e le caratteristiche sociali e politiche della Russia”. Vernetti spiega che tutti gli imperi coloniali degli ultimi secoli sono caduti, come l’Africa e l’Asia, l’unico impero esistente e in salute è quello russo e questa autocrazia andrebbe arginata. L’esistenza dell’“impero russo” così com’è, a suo avviso, sarebbe insomma una minaccia per l’armonia del mondo. “Promuovere la disgregazione della Federazione russa è un modo per arginare la catastrofe”.

Vale la pena soffermarsi sull’oratore che segue, Akhmed Zakaev, secondo la brochure Primo ministro della Repubblica Cecena di Ichkeria: “Giovani paesi come la Georgia, Croazia, Lituania, devono essere indipendenti e sovrani, bisogna sottolineare l’importanza di questa opportunità della loro autodeterminazione per il futuro. Questa scelta di civilizzazione non sarà facile e comporta il rischio di una guerra mondiale. l’Ucraina intanto resiste all’aggressione russa, non è solo un atto di coraggio per la libertà e la democrazia, ma è un dovere storico in un momento cruciale nella storia di tutti. Dobbiamo supportare l’Ucraina con azioni concrete e solidarietà internazionale”.

Si tratterebbe di un personaggio quanto meno controverso. Irina Socolova, giornalista esperta di marketing e relazioni internazionali, segretaria dell’Associazione Toscana-Russia, già segretaria generale della Camera di Commercio italiana in Moldavia scrive su Il faro di Roma: “Secondo le informazioni di Wikipedia, è un generale di brigata dell’autoproclamato stato di Ichkeria, situato nel territorio della Cecenia nella Federazione Russa. In effetti, Zakaev e Doku Umarov erano terroristi che si opponevano all’integrità territoriale, ma non agivano pacificamente, come di solito si fa nei paesi liberi, ma attraverso omicidi e attacchi terroristici. Zakaev e la sua banda hanno dietro di sé migliaia di donne e bambini uccisi. Dal 2002 vive nel Regno Unito e le autorità russe lo hanno accusato di aver organizzato per 10 anni, dal 1991 al 2001, una banda composta da 1.500 terroristi. Tuttavia, la Gran Bretagna non ha estradato Zakayev su richiesta della Russia, definendo il suo caso politicamente motivato e affermando che avrebbe potuto essere sottoposto a tortura” .

Riportiamo sinteticamente anche l’intervento di Ragiana Dugar-DePonte, per il Comitato per l’Indipendenza Buryat, Lega delle Nazioni Libere, il quale si apre con la presentazione della stessa, appartenente ad una comunità minoritaria e indigena della Mongolia, Buryat. Riporta una lunga e meticolosa descrizione di quelli che sarebbero atti di imperialismo oppressivo della Russia, anche prima dell’URSS. Secondo DePonte la Russia avrebbe compiuto atrocità per sottomettere stati diversi per cultura e tradizione, e avrebbe riscritto la storia di questa unificazione violenta per presentarla al mondo come una fusione pacifica.

Il discorso di Deponte si chiude con un appello a tutti i leader ad afferrare l’opportunità di pace per il mondo che sta nella dissoluzione pacifica e controllata della Federazione Russa sulla base di principi ONU, legati alle identità culturali e linguistiche. “La dissoluzione russa è inevitabile, si tratta solo di capire quando avverrà”.

Qual è il vero obiettivo di una conferenza che auspica la rovina della Russia?

Perché il partito al Governo mette a rischio la diplomazia e forse anche la sicurezza del nostro paese invitando nel cuore dei suoi palazzi questo tipo di forze separatiste? Perché ospitare iniziative che sembrano andare contro gli interessi italiani per creare invece scivolose tensioni internazionali? Qual è il vero obiettivo di una conferenza come questa? Cui prodest?

Mentre Mosca, nonostante le massicce sanzioni imposte da UE e Occidente, riporta la sua vittoria sul fronte ucraino, la NATO e i suoi vassalli, vorrebbero ancora più ferocemente una Russia destabilizzata, balcanizzata, addirittura annientata, incapace di rappresentare un anello solido nella catena dei BRICS. La Russia può guidare il cambiamento del mondo verso un ordine multipolare, quindi è presto chiaro a chi può tornare utile una sua frammentazione.

La Russia è inoltre un orgoglioso e fiero paese sovrano, possiede un apparato militare e nucleare imponente, con essa condividiamo anche storia, cultura e letteratura, e intratteniamo preziosi rapporti commerciali, legati all’approvvigionamento di risorse energetiche.

Il quadro ipotetico auspicato dal convegno favorisce il vecchio ordine unipolare caro agli Usa, ma conviene all’Italia?

La risposta è un fragoroso no, come del resto molte delle scelte del nostro Governo, piegato alla volontà atlantista anche nelle più drammatiche decisioni che vediamo realizzate oggi in Medioriente.

Grazie a Come don Chisciotte.org per la segnalazione all’evento

da qui

 

 

 

 

L’Ucraina ha veramente attuato “il 90% delle riforme della Commissione UE”? – Clara Statello

Nel vertice di Bruxelles del 14 e 15 dicembre si discuterà il futuro dell’Ucraina nell’Unione Europea. L’8 novembre 2023, è arrivato il primo sì della Commissione Europea (CE) per avviare i negoziati di adesione. La presidente della Commissione europea (CE), Ursula von der Leyen, ha annunciato che Kiev ha implementato il 90% delle raccomandazioni della commissione sull’attuazione delle riforme necessarie per diventare un Paese membro. Ma è davvero così?

L’Ucraina dovrà superare il grosso scoglio dell’Ungheria, che intende porre il suo veto perché teme l’impatto economico dell’adesione e preferisce un partenariato strategico con Kiev. La questione, tuttavia, non riguarda solo il soddisfacimento dei requisiti economici per entrare nell’Unione, ma degli stessi principi fondamentali che caratterizzano i sistemi democratici, quei diritti di cui l’Unione Europea vuole farsi bandiera. Almeno a parole.

Nel rapporto della CE si legge che l’Ucraina ha “continuato a progredire sulle riforme democratiche e sullo stato di diritto”. Nel complesso “il quadro giuridico resta favorevole all’organizzazione di elezioni democratiche”, nonostante nel periodo in esame non si siano svolte elezioni. E non se ne svolgeranno, perché il presidente Zelensky le ha definitivamente sospese per tutta la durata della legge marziale. Le elezioni possono essere considerate democratiche se il Paese garantisce il rispetto di alcune libertà fondamentali: libertà di riunione, libertà di associazione e libertà di espressione. Queste libertà in Ucraina sono in serio rischio, se non proprio negate, da ben prima della guerra con la Russia.

Libertà di riunione pacifica

In Ucraina non esiste una legge speciale su riunioni e manifestazioni. Le restrizioni alla libertà di manifestare sono state poste in essere dalla legge marziale, in vigore in Ucraina dal 24 febbraio 2022.

Tuttavia, secondo quanto denuncia in forma anonima un attivista per i diritti umani sono consentite le riunioni di gruppi di estrema destra e manifestazioni organizzate da funzionari governativi. Basterà ricordare i “rituali vikinghi” del battaglione Azov per il “Sol Invictus” o le celebrazioni in onore di Stephan Bandera. Si potrà dire che si tratta di folklore, seppur dal sapore nazista. Ma non c’è solo questo.

In certe occasioni e in determinate circostanze, la sicurezza ha consentito proteste di carattere politico, ma solo se a favore del governo. Ad esempio nell’ottobre-novembre 2023 sono state svolte manifestazioni per chiedere di destinare tutti i fondi di bilancio agli armamenti e non all’edilizia. Come risultato la Verkhovna Rada ha trasferito le entrate dai bilanci locali al bilancio statale, cioè sotto il controllo del governo centrale.

Nelle ultime settimane i familiari dei militari in prima linea hanno chiesto una legge che limiti il periodo di mobilitazione a 18 mesi, probabilmente su spinta di alcuni settori dell’esercito.

Le manifestazioni contro la guerra, di sinistra o antifasciste sono vietate da ben prima del 24 febbraio 2022. L’attivista ricorda che, a partire dal 2014, è stato praticamente impossibile svolgere una protesta o un sit in, anche senza legge marziale. I manifestanti venivano sempre attaccati da estremisti di destra, con l’inerzia o il sostegno attivo della polizia.

Un esempio per tutti è quello dei fratelli Mikhail e Aleksandr Kononovich, arrestati per aver organizzato una manifestazione contro la guerra nel febbraio 2022. Nel corso degli anni hanno subito diversi attacchi da parte di attivisti nazisti a causa della loro attività politica. I comunisti non sono i soli obiettivi delle incursioni dei nazisti ucraini. La scorsa primavera i fedeli ortodossi sono stati più volte presi di mira dal gruppo nazista C14 ed esponenti di Pravy Sector, mentre pregavano fuori dalla Pecherska Lavra di Kiev, poiché considerati “agenti di Mosca”.

Pertanto, la libertà di riunione pacifica in Ucraina viene sistematicamente violata, nonostante un quadro giuridico favorevole.


Libertà di associazione

La legislazione ucraina consente alle autorità di mettere fuori legge qualsiasi partito di opposizione. Il 14 maggio 2022, il presidente Zelenskyj ha firmato un provvedimento per semplificare la procedura per vietare le associazioni politiche. Questa legge sarà sempre in vigore, non solo durante la legge marziale.

Di conseguenza già nell’estate del 2022, in Ucraina sono state vietate le attività di 14 partiti, tutti di sinistra e alcuni di opposizione. Da molto prima, nel 2015, il regime di Kiev ha adottato una legge che prevede una responsabilità penale fino a 5 anni di reclusione per l’uso di simboli comunisti e di “propaganda comunista”. La scorsa primavera, ad esempio, un cittadino del distretto di Nikopol è stato denunciato per una maglietta con l’immagine dell’Unione Sovietica e la falce e martello.

Il Partito Comunista Ucraino (KPU) è stato definitivamente messo al bando il 7 luglio 2022 con la confisca di proprietà e beni dell’organizzazione e dei dirigenti. Lo scorso agosto, il leader comunista Petro Simonenko è stato indagato in contumacia per aver partecipato a due manifestazioni politiche internazionali, il vertice dei partiti comunisti de l’Havana nel 2022 e il forum antifascista di Minsk nel 2023.

Spesso le persecuzioni politiche colpiscono i parlamentari della Verkhovna Rada. Un caso che ha fatto clamore è l’arresto di Nestor Shufrych,  esponente dell’opposizione e capo della commissione, una delle voci più critiche alle politiche di Zelensky. È stato accusato  di alto tradimento e di aver costituito una rete di spionaggio pro-Mosca dall’SBU, il servizio di sicurezza interna alle dipendenze del presidente ucraino.

La legislazione e la pratica politica, dunque, indicano una violazione totale della libertà di associazione in Ucraina.


Libertà di espressione, libertà di parola e di stampa

Dal 2014, in Ucraina sono state adottate diverse leggi che consentono al presidente di imporre “sanzioni” contro i media, sia stranieri che ucraini, tramite decreti. Queste sanzioni significano in realtà la liquidazione dei media.

Difatti sono state bloccate un gran numero di pagine Internet con milioni di utenti. Il 2 febbraio 2021 Zelensky ha firmato un decreto sulle “sanzioni” nei confronti dei canali televisivi che presentavano punti di vista alternativi alla visione di Kiev.

La legge “Sui media”, firmata da Zelensky il 29 dicembre 2022, ha suscitato la preoccupazione delle associazioni di giornalisti ucraini, europei e internazionali, perché metterebbe a rischio il pluralismo e la libertà di informazione, nonché l’incolumità dei giornalisti.


Persecuzioni dei giornalisti

Come i limiti alle libertà politiche hanno provocato le persecuzioni e gli arresti dell’opposizione, così la stretta all’informazione ha avuto ripercussioni sulla libertà e sicurezza dei giornalisti.

Il 16 aprile 2015, lo scrittore e giornalista dell’opposizione Oles Buzina è stato ucciso a Kiev, nei paraggi di casa sua, da membri della formazione neonazista C14. L’8 febbraio 2015, la SBU ha arrestato il giornalista Ruslan Kotsaba per “alto tradimento” e di “ostruzionismo alle forze armate ucraine”.

Il suo crimine è stato quello di aver diffuso un video in cui definiva “fratricida” la guerra in Donbass e invitava a rifiutare la leva nell’esercito. L’11 febbraio 2015 Amnesty International ha nominato Kotsaba prigioniero di coscienza.

Nel 2017 i due blogger Dmitry Vasilets e Yevgeny Timonin sono stati condannati a nove anni,con l’accusa di “favorire attività terroristiche”, per aver tentato di creare un canale YouTube.

Il 1° agosto 2017, la SBU ha arrestato Vasily Muravitsky, un giornalista di sinistra della città di Zhitomir, e lo ha accusato di “alto tradimento”. Oggetto dell’accusa è il contenuto dei suoi articoli. Il 20 dicembre 2017, Amnesty International e una serie di altre organizzazioni per i diritti umani hanno definito Muravitsky un prigioniero di coscienza. Il 17 maggio 2022 la Finlandia gli ha concesso lo status di rifugiato politico.

Il 5 maggio 2018, è stato arrestato e incarcerato senza processo il giornalista Kirill Vyshinsky. L’SBU lo ha accusato, come molti altri giornalisti ucraini, di “alto tradimento”. Oggetto dell’accusa è la “produzione di materiale informativo”, ovvero i suoi stessi articoli.

Nel marzo 2022 è stata condotta una vera e propria caccia alle streghe nei confronti di intellettuali, scrittori e giornalisti. Il giornalista ucraino Oleg Yasinsky, in un suo articolo pubblicato da Pressenza, ricorda alcune delle vittime dell’ondata di arresti, tra cui Yuri Tkachev e il poeta settantenne Yan Taksiur, gravemente malato di cancro. Taksiur è stato rilasciato dopo oltre un anno, in uno scambio di prigionieri con Mosca: militari ucraini in cambio di civili ucraini, invisi a Kiev.

Non solo i giornalisti, ma anche i normali cittadini vengono arrestati per l’opinione che esprimono sui social. Il caso di una pensionata arrestata per uno status sul social network russo Odnoklasniky è stato documentato dalla BBC ucraina.

In conclusione, né il quadro giuridico per l’attuazione della libertà di associazione e di espressione, né le violazioni delle libertà civili fondamentali – riunione pacifica, associazione e parola – rendono possibile lo svolgimento di elezioni libere e democratiche in Ucraina anche in tempo di pace. Quale sarà l’impatto dell’ingresso in UE di un Paese che sospende le elezioni, perseguita gli oppositori politici, i giornalisti indipendenti e chiunque manifesti un pensiero critico, come l’Ucraina maidanista?

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Il processo ucraino dimostra che il massacro di Maidan del 2014 era una ‘false flag’ – Kit Klarenberg

Un massacro di manifestanti durante il colpo di Stato di Maidan nel 2014 ha preparato il terreno per la destituzione del presidente eletto dell’Ucraina, Viktor Yanukovych. Ora, un processo esplosivo a Kiev ha prodotto prove che gli omicidi erano un’operazione sotto falsa bandiera progettata per innescare un cambio di regime.

Due agenti di polizia accusati della sparatoria di massa contro i manifestanti dell’opposizione nella piazza di Maidan a Kiev nel 2014 sono stati rilasciati dopo che un tribunale ucraino ha stabilito che gli spari fatali nell’infame massacro provenivano da un edificio controllato dall’opposizione.

Il 18 ottobre 2023, il Tribunale del distretto di Sviatoshyn dell’Ucraina ha stabilito che, dei cinque agenti sotto processo, uno deve essere assolto senza condizioni, mentre un altro condannato per “abuso di potere”.

I restanti tre, che non vivono più in Ucraina, sono stati condannati in contumacia per 31 capi di omicidio e 44 tentativi di omicidio. Ciò, in base a un parere della Corte suprema che stabilisce che i sospettati possono essere ritenuti collettivamente responsabili per le azioni di un gruppo ritenuto criminale.

La sentenza significa che nessuno sarà condannato a pene detentive o sarà in alcun modo punito per il presunto ruolo nell’infame massacro di Maidan, che ha visto più di 100 manifestanti uccisi, ha scatenato una valanga di condanne internazionali e ha portato direttamente alla caduta del presidente Viktor Yanukovych, fuggito dal paese pochi giorni dopo.

Il processo è iniziato a Kiev nel 2016, ma il caso è rimasto in sospeso per anni. Le cose si sono complicare ulteriormente nel 2019, quando il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha scambiato tutti e cinque gli imputati con prigionieri detenuti dai separatisti del Donbass. Due sono successivamente rientrati volontariamente per affrontare il processo.

Non sorprendentemente, la sentenza ha prodotto indignazione tra le famiglie delle vittime, e i legali dell’accusa hanno dichiarato di avere l’intenzione di appellarsi. Al contrario, i media mainstream sono finora rimasti stranamente indifferenti. In un apparente tentativo di distorcere l’esito del processo, diversi organi di stampa, tra cui Reuters, si sono limitati a riferire nei titoli che il tribunale “condannava” gli agenti. Il Kyiv Post è addirittura arrivato a sostenere falsamente che tutti e cinque erano stati trovati “colpevoli” di “crimini di Maidan”.

Ma c’è molto di più nella storia di quanto rivelato da questi media. Come ha riconosciuto persino il Kyiv Independent finanziato dall’Occidente, “un ex investigatore di alto livello” precedentemente incaricato di indagare sul massacro ha affermato che la sentenza è il risultato di anni di sabotaggio deliberato da parte delle autorità ucraine, che “si sono impegnate al massimo per assicurarsi che non ci siano risultati reali”.

La questione del perché a Kiev avrebbero cercato di sabotare l’indagine è stata in gran parte ignorata dai media tradizionali. Ma la sentenza offre alcune indizi molto rivelatori.

‘Persone sconosciute’ dietro all’omicidio

Sparsi in tutto il documento di un milione di parole ci sono passaggi che dimostrano in modo conclusivo che i colpi di fucile partirono dagli edifici controllati dall’opposizione a Yanukovych. Collettivamente, questi estratti suggeriscono fortemente che il massacro di Maidan sia stato un’operazione sotto falsa bandiera compiuta da elementi nazionalisti che miravano a garantire la destituzione del presidente.

Le prove erano “abbastanza sufficienti per concludere categoricamente che la mattina del 20 febbraio 2014 persone armate, da cui partivano gli spari, si trovavano nei locali dell’Hotel Ukraina”, ha stabilito il tribunale.

Un’altra sezione rivela che l'”Hotel Ukraina” era “territorio… non controllato dalle forze dell’ordine in quel momento”. Numerose registrazioni video mostrano che prima, durante e dopo il massacro, l’edificio era preso d’assalto dal partito di estrema destra Svoboda, i cui leader utilizzavano i locali per coordinare le loro attività anti-Yanukovych nelle strade sottostanti.

In almeno 28 delle 128 sparatorie considerate durante il processo, il tribunale ha stabilito che, a causa della “mancanza di informazioni, dell’incompletezza o della natura contraddittoria dei dati presentati”, “non è stata provata l’implicazione degli agenti di polizia” e che “non si possono escludere altre persone sconosciute”.

Inoltre, la sentenza ha effettivamente escluso qualsiasi coinvolgimento dei servizi di sicurezza e intelligence russi nel massacro, una teoria del complotto fortemente promossa da elementi pro-Maidan.

“La ‘traccia russa’ non è stata confermata dopo l’esame dei documenti pertinenti”, ha stabilito il tribunale. Ha concluso che le persone sospettate di avere legami con l’intelligence russa, e che erano “costantemente monitorate”, non hanno avuto “alcuna partecipazione agli eventi in strada”.

Per il dottor Ivan Katchanovski, professore di scienze politiche presso l’Università di Ottawa che ha trascorso anni documentando prove schiaccianti della responsabilità dell’opposizione per il massacro, tali conclusioni sono una lungamente attesa giustificazione della sua ricerca. In commenti a The Grayzone, ha spiegato che la condanna di tre agenti di polizia in contumacia per l’omicidio di 28 manifestanti di Maidan e il tentato omicidio di 36 si basava su una singola falsa perizia balistica.

La difettosa “perizia balistica invertì i risultati di altre 40 perizie balistiche” effettuate in precedenza, ognuna delle quali, nota Katchanovski, “mostrava che i proiettili dei Kalashnikov della polizia Berkut non corrispondevano a quelli recuperati dai corpi dei manifestanti uccisi a Maidan”.

Alla fine, “il processo ha prodotto un volume straordinario di prove che dimostrano che i manifestanti sono stati sparati da vari edifici controllati da elementi pro-Maidan”, afferma, indicando gli “oltre 100 testimoni, tra cui 51 attivisti anti-governativi feriti durante gli spari, [che] hanno testimoniato di essere stati colpiti da quelle aree o di aver visto cecchini lì posizionati”.

Come spiega Katchanovski, “si tratta di una frode e disinformazione deliberata”.

“I modelli fasulli della SITU hanno consentito al New York Times e a molti altri di negare l’esistenza dei cecchini di Maidan e di bollare come ‘teoria del complotto’ qualsiasi suggerimento che il massacro fosse una ‘false flag’”, dice.

Ma se gli ufficiali della Berkhut non furono responsabili delle decine di morti di quel giorno, la domanda rimane: chi lo fu?

Gli assassini di Maidan si trasferiscono a Odessa

Nell’agosto del 2023, il New York Times ha rivelato che il trafficante d’armi ucraino Serhiy Pashinksy, una volta apertamente condannato da Zelensky stesso come un “criminale”, era diventato il principale fornitore privato di armi per l’Ucraina. Pashinsky procurava granate, proiettili d’artiglieria e razzi “attraverso una rete trans-europea di intermediari”, quindi vendeva, comprava e rivendeva le armi “fino a quando l’acquirente finale, l’esercito ucraino, non pagava il massimo”. Questa attività lo ha arricchito per centinaia di milioni di dollari.

Pashinsky, ex parlamentare ucraino, è stato una figura centrale nel colpo di Stato di Maidan. Come successivamente ha rivelato The Grayzone, è stato accusato da tre mercenari georgiani di orchestrare personalmente il massacro di febbraio 2014, fornendo le armi utilizzate e scegliendo personalmente i bersagli da colpire. Quando giornalisti israeliani hanno affrontato Pashinsky su queste accuse, ha minacciato di farli rintracciare dai suoi collaboratori e di “sbranarli” a casa loro.

Durante il processo di Maidan, gli avvocati della difesa hanno fatto menzione prominente di quegli stessi cecchini mercenari georgiani. Insieme ai leader di Maidan e al gruppo paramilitare fascista Settore Destro (Pravyj Sektor) sostenuto dall’Occidente, i cecchini sono stati implicati anche nel massacro di Odessa nel maggio 2014, un brutale incidente in cui decine di manifestanti anti-Maidan di lingua russa sono stati forzatamente radunati nella Casa dei Sindacati della città, che è stata poi data alle fiamme. In totale, 46 persone sono morte a causa di ustioni, avvelenamento da monossido di carbonio e tentativi di sfuggire all’orrore gettandosi dalle finestre. I feriti non fatali sono stati stimati intorno ai 200.

Katchanovski sostiene che, come per Maidan, le prove indicano il ruolo di un complotto estremamente ben organizzato per portare a termine gli omicidi di Odessa:

“Un cecchino georgiano che ha confessato il loro ruolo nel massacro di Maidan in un documentario israeliano ha anche rivelato che uno degli organizzatori del massacro li ha inviati a Odessa poco prima dell’attacco ai separatisti”.

Dopo il colpo di Stato, copertura su copertura

Fin dall’inizio del processo di Maidan, testimoni e pubblici ministeri sono stati soggetti a una campagna di intimidazione da parte di figure di estrema destra ucraine. Durante le udienze, attivisti neonazisti di C14 e Azov hanno fatto irruzione in aula, attaccato gli imputati e posto pneumatici fuori dal tribunale minacciando di incendiare l’edificio. Il giudice presidente è stato addirittura picchiato da un attivista di Maidan.

“La pressione occulta dall’amministrazione di Zelensky e dalla destra estrema è probabilmente molto più grande di quanto abbiamo visto pubblicamente”, ha commentato Katchanovski a The Grayzone. “La magistratura dell’Ucraina non è indipendente. L’amministrazione di Zelensky interferisce abitualmente e apertamente nelle procedure, e ha addirittura sciolto l’intera Corte costituzionale. È una situazione molto difficile per giudici e giuria. C’erano minacce dirette dalla destra estrema per condannare gli imputati”.

Di conseguenza, alcuni manifestanti feriti che inizialmente avevano testimoniato sulla presenza di cecchini negli edifici controllati da Maidan hanno successivamente ritirato le loro testimonianze. Hanno successivamente ammesso che l’accusa si era incontrata privatamente con loro per discutere di quanto avevano detto in aula. Per Katchanovski, “questa è la prova che la copertura arriva fino alla cima del governo ucraino”.

Molti ucraini, specialmente nell’Est, hanno nutrito lo stesso sospetto fin dalla legge di amnistia adottata dal governo nazionalista post-Maidan nel 2014. Tale legislazione concedeva agli attivisti di Maidan l’immunità totale da perseguimento per ogni crimine grave immaginabile, compresi omicidio, terrorismo e presa del potere. La legge proibiva anche l’indagine ufficiale su qualsiasi agitatore anti-governativo per questi crimini e ordinava la distruzione di tutte le prove rilevanti precedentemente raccolte.

Un alto funzionario all’interno dell’Ufficio del Procuratore Generale dell’Ucraina ha successivamente ammesso che i pubblici ministeri che si occupavano dell’indagine e del processo sul massacro di Maidan erano stati segretamente selezionati e nominati nientemeno che da Pashinsky. Gli sforzi per creare una commissione parlamentare per indagare sugli omicidi sono stati ostacolati da Petro Poroshenko, il presidente dell’Ucraina apertamente anti-russo succeduto a Yanukovych destituito nel 2014.

La manipolazione ufficiale era comprensibile, sostiene Katchanovski, dato quanto sia fondamentale la narrazione di Kiev sul massacro di Maidan per la legittimità del governo ucraino. Il massacro con falsa bandiera ha portato direttamente a Yanukovych, giustificando il ritiro delle forze governative dal centro di Kiev, la presa di edifici governativi da parte degli attivisti di Maidan e la rimozione incostituzionale del presidente da parte del legislatore ucraino.

Tutti questi sviluppi hanno aperto la strada alla guerra civile di otto anni nel Donbass, che ha causato la morte di oltre 14.000 persone e ha precipitato l’invasione russa nel febbraio 2022. Per Katchanovski, il legame tra il massacro con falsa bandiera e la guerra in corso in Ucraina è ovvio. La sentenza, afferma, rende ciò ancora più chiaro.

Come rappresaglia per le sue indagini fondamentali sul massacro di Maidan, nel 2014 la casa e la proprietà di Katchanovski sono state illegalmente sequestrate dai tribunali locali “con il coinvolgimento di alti funzionari”. Tuttavia, il professore resta più determinato che mai a giungere alla verità della vicenda.

“Un giorno, la verità di ciò che è accaduto sarà ufficialmente riconosciuta – l’unica domanda è quando”, ha affermato. “Il riconoscimento ritardato e la mancanza di giustizia in questo caso hanno già causato danni molto gravi all’Ucraina. Ci sono molti conflitti, inclusa la guerra in corso, che sono scaturiti dal massacro di Maidan. Inutilmente molte persone hanno sofferto a causa di ciò. È da tempo che è necessario un momento di verità e riconciliazione”.

(Traduzione de l’AntiDiplomatico)

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L’inutile strage e le menzogne di Stoltenberg – Domenico Gallo

La controffensiva Ucraina è fallita in un mare di sangue. Prima o poi le madri, i padri, i fratelli, le spose chiederanno conto a Zelensky e ai leaders occidentali della vita dei loro cari, sacrificata sull’altare della protervia degli USA e della NATO.

L’Ucraina ha perso la guerra, come ha osservato da ultimo Alessandro Orsini (il Fatto quotidiano del 19 dicembre) perché ha combattuto e sta combattendo per obiettivi impossibili da raggiungere, vale a dire recuperare manu militari i confini del 1991 (inclusa la Crimea nel frattempo diventata una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa). Oggi è un dato di fatto che la tanto auspicata controffensiva è fallita, annegata in un mare di sangue. Nel 1971 il Washington Post pubblicò un insieme di documenti segreti del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che dimostravano che l’Amministrazione aveva ingannato gli americani fornendo all’opinione pubblica informazioni “ottimistiche” e false sulle cause e sull’andamento della guerra del Vietnam. I “Pentagon papers” suscitarono uno scandalo rivelando il cinismo delle autorità politiche e militari che avevano inutilmente sacrificato la vita di decine di migliaia di giovani americani pur essendo consapevoli  che la guerra, iniziata sulla base di una menzogna (il falso incidente nel golfo del Tonchino), non poteva essere vinta.

Oggi una approfondita inchiesta del Washington Post, tradotta in due lunghi articoli pubblicati il 4 dicembre, fa emergere i retroscena della programmazione e preparazione della controffensiva di primavera, rivelando quanto è stato dolosamente taciuto all’opinione pubblica occidentale e agli stessi ucraini. Il fatto che i Media italiani abbiano sorvolato sulla rivelazioni del Washington Post, è solo un ulteriore conferma del divorzio dalla verità della narrazione pubblica mainstream.

L’inchiesta dimostra che la controffensiva è stata pianificata in sede NATO dai vertici militari americani con la collaborazione di ufficiali britannici. Le truppe ucraine da impiegare nella controffensiva sono state addestrate in una base dell’esercito degli Stati Uniti a Wiesbaden in Germania. Ufficiali militari ucraini, statunitensi e britannici hanno organizzato otto simulazioni di guerra a tavolino per costruire un piano di campagna. Sono state prese in considerazioni le difese della Russia e studiato un piano d’attacco che avrebbe dovuto portare le truppe ucraine a raggiungere il Mar D’Azov nell’arco di 60/90 giorni. I pianificatori hanno calcolato che la controffensiva avrebbe avuto uno sbarramento di fuoco russo e un tappeto di mine tale che le perdite ucraine sarebbero state fra il 30 e il 40%. In questo contesto le probabilità di successo, secondo i calcoli del software NATO, non superavano il 50%.

Ora sappiamo che la NATO, non solo ha armato l’esercito ucraino, ma ne ha addestrato le truppe e ha spinto irresponsabilmente l’Ucraina a scatenare una controffensiva che non aveva alcuna probabilità ragionevole di successo, pur sapendo che avrebbe richiesto un pesante bilancio di perdite; 40% vuol dire centomila morti. Peccato che, per ottenere il consenso dell’opinione pubblica, è stato taciuto che si pianificava il sacrificio della “meglio gioventù” ucraina per raggiungere un obiettivo impossibile. Addirittura, alcuni leaders europei come la Von der Layen e la Metsola hanno avuto l’impudenza di rivendicare la fornitura di armi all’Ucraina come una risorsa per “salvare vite”. Appena lanciata, la controffensiva si è subito impantanata e sono sorte le divergenze fra gli ufficiali ucraini e i loro mandanti della NATO, che hanno rimproverato alla parte ucraina di essere “casualty adverse”, cioè di voler morire poco, meno di quanto sarebbe stato necessario per vincere la guerra. Il 7 settembre Stoltenberg, dinanzi alla Commissione esteri del Parlamento europeo, ha continuato a mentire sulle sorti della controffensiva, dichiarando che gli ucraini vittoriosi avanzavano di cento metri al giorno. Ancora il 29 novembre Stoltenberg ha dichiarato che l’Ucraina ha prevalso ed ha riportato una grande vittoria, salvo smentirsi quattro giorni dopo, il 3 dicembre, dichiarando: “dobbiamo prepararci alle cattive notizie”.  In un articolo del 16 dicembre il New York Times, ha analizzato una presunta vittoria della controffensiva ucraina, l’attraversamento del fiume Dnipro nella regione meridionale di Kherson. Il giornale ha raccolto alcune testimonianze scioccanti dei marines ucraini sopravvissuti che hanno descritto l’offensiva come una missione suicida, con ondate di soldati falciate sulle sponde del fiume o nell’acqua, prima ancora di raggiungere l’altra sponda. Prima o poi le madri, i padri, i fratelli, le spose chiederanno conto a Zelensky e ai leaders occidentali della vita dei loro cari, sacrificata sull’altare della protervia degli USA e della NATO. Siamo sicuri che prima o poi Stoltenberg sarà perseguitato da un incubo: vedrà comparire in sogno un esercito di morti  che si rialzeranno dal fango delle trincee, con le bende sulle ferite e le divise ancora insanguinate e gli chiederanno con la voce flebile dei fantasmi: restituiteci la vita di cui ci avete derubato. Allora Stoltenberg impallidirà come Macbeth alla vista del fantasma di Banquo.

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Elena Basile: “Viviamo come in un film hollywoodiano demenziale nell’indifferenza di un’opinione pubblica addomesticata”

“In politica estera le classi dirigenti hanno le mani che grondano sangue”. Inizia così il suo discorso l’Ambasciatrice Elena Basile nella conferenza “La nuova scacchiera” alla Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale in Piazza Montecitorio a Roma, organizzata dalla Casa Del Sole TV.

“Viviamo come in un film hollywoodiano demenziale dove assistiamo alla costante decontestualizzazione del fenomeno, le cause storiche e politiche spariscono, non ci sono più gli elementi culturali per analizzare il conflitto. Lo scontro diventa etico, religioso – bene contro il male – il nemico demonizzato nell’indifferenza di un’opinione pubblica addomesticata”, sottolinea. Una costante è l’Hilterizzazione del nemico. “Putin è il male assoluto. Hamas non è più un’organizzazione di liberazione della Palestina che pratica la lotta armata ma è il diavolo in terra”, prosegue l’Ambasciatrice secondo la quale laddove si annulla lo scontro politico e questo diventa etico, religioso, la mediazione semplicemente non esiste. “La pace è la vittoria totale sulla Russia. Fino all’ultimo ucraino”. “Sconfiggere Hamas fino all’ultimo palestinese”.

Con una mirabile capacità di sintesi, nel proseguo del suo intervento, Basile riesce a far emergere tutte le responsabilità occidentali nei conflitti in corso in Ucraina e a Gaza.

Ci concentriamo sul conflitto in Ucraina. L’Ambasciatrice ricorda il noto libro di Brzezinski “La grande scacchiera” che evidenziava in modo chiaro che per indebolire la Russia bisognava passare per il ventre molle dell’Ucraina. E nel 2014, inoltre, Kissinger aveva già previsto come si sarebbe arrivati allo scontro contro Mosca. “Era deciso, pianificato”.

Da questo punto di vista, Basile ricorda come negli anni ’90 ci fossero due anime in Europa che si sono contrapposte. Una, conciliante con la Russia, identificabile con l’Osce che ha cercato una soluzione di sicurezza collettiva in Europa. L’altra, identificabile con la Nato – “organizzazione che avrebbe dovuto scomparire con la fine del Patto di Varsavia” – puntava all’espansionismo dell’Alleanza atlantica. Cardine di questa ultima visione, prosegue Basile, era spezzare i legami tra la Russia e l’Europa (in particolare la Germania). Con gli attentati al Nord Stream l’obiettivo è stato raggiunto.

Un’altra grande responsabilità, prosegue Basile, riguarda gli accordi di Minsk. “Non c’è bisogno di essere complottisti. Merkel e Hollande pubblicamente lo dicono: era soltanto un diversivo per armare e addestrare esercito ucraino dagli anglosassoni”.  Quindi uno strumento fondamentale per la pace, gli accordi di Minsk, “non viene applicato per una chiara e precisa volontà politica dell’occidente”, chiosa Basile.

Per le altre responsabilità dell’occidente, Basile rimanda al libro di Abelov, “un gioiellino”, che dimostra come gli Usa siano usciti unilateralmente dal disarmo e di come dal 2019 ci sia la penetrazione militare, addestramento dell’esercito ucraino perché potesse essere compatibile con la Nato. Poi dal 2021 l’escalation voluta è divenuta evidente con provocazioni fatte da esercitazioni alle frontiere, l’irrigidimento della leadership ucraina che non poteva essere non voluta dall’occidente. “Del resto, Zelensky era andato al potere con un programma di pace del Donbass e inizia a fare spedizioni punitive contro le popolazioni del Donbass. È chiaro che l’occidente volesse questa guerra”, prosegue Basile. Recentemente l’ex consigliere di Zelensky, Arestovich ha  ammesso che nel 2019 e dopo lo studio della Rand c’era un filone di pensiero in Ucraina e negli Usa che tendeva a smembrare la Russia nelle varie etnie e permettere “questo lo aggiungo io” alle oligarchie finanziarie di accedere alle grandi risorse del paese”. Le responsabilità dell’occidente sono tante ma tutto il dibattito si riduce al “lupo cattivo viola il diritto internazionale e che ha invaso. La violazione delle frontiere ha portato lutti non sta a me giustificare, ma si può capire utilizzando le dinamiche della politica internazionale per comprendere quali possibilità avesse la Russia”, sottolinea l’Ambasciatrice.

Ricordando come nel celebre discorso del 2007 alla conferenza di Monaco Putin avesse ribadito le sue linee rosse e di come Mosca fino al dicembre del 2021 avesse cercato la via della mediazione, Basile rimarca come stia emergendo chiaramente come l’occidente anglosassone abbia sabotato una pace che era stata raggiunta sulla base della neutralità dell’Ucraina nel marzo del 2022. “Il viaggio di Johnson in Ucraina ha posto fine all’accordo raggiunto ad Istanbul”. Se tutto questo è vero si deve parlare come fa lo storico Cardini, di un “aggressore tattico e di un aggressore strategico che è l’occidente”.

Bisogna ritornare all’Osce, all’architettura di sicurezza europea, con un’Ucraina neutrale e la convivenza con la Russia nel quadro di una sicurezza collettiva in cui vengano riconosciute le legittime richieste di Mosca. “Malgrado i nostri politici continuino a vantare le vittorie ucraine come Stoltenberg recentemente: il sostegno a Kiev e questo fino alle elezioni Usa, ma i militari stiano concretamente negoziando e ci sarà un muro, una divisione contro la Russia. Mosca ha detto si all’Ucraina occidentale nella Nato non rivendica più la neutralità, ma i territori occupati ad Est E questo non credo sia una bella cosa per l’Europa”, ha concluso Basile.

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Zelensky ad un vicolo cieco: le rivelazioni di Hersh e la vera ragione dello scontro con Zaluzhny – Clara Statello

Zelensky infine ha ammesso il fallimento della controffensiva. In una lunga intervista pubblicata venerdì da Associated Press ha dichiarato: “Purtroppo, non abbiamo ottenuto i risultati sperati. E questo è un dato di fatto”.

Per Kiev adesso la situazione è più complicata di un anno fa. La certezza della Vittoria inciampa davanti alla difficoltà dei propri sponsor nel fornire altri sistemi d’armi e munizioni. Inoltre esercito ucraino soffre una “fame di uomini”, a causa dell’inferiore capacità di reclutamento rispetto alla Federazione Russa, che proprio venerdì invece ha annunciato senza troppe difficoltà un aumento di 170.000 effettivi nell’esercito, che raggiungerebbe dunque il numero di 2.209.130 unità tra cui 1.320.000 militari.

Senza armi, munizioni e uomini, l’obiettivo di cacciare le forze di Mosca dal Donbass e dalla Crimea appare del tutto velleitario. Tuttavia Zelensky garantisce che non ci sarà nessun ritiro.

“Non siamo abbastanza potenti per ottenere i risultati desiderati più velocemente. Ma questo non significa che dobbiamo arrenderci”, afferma. “Siamo fiduciosi nelle nostre azioni. Combattiamo per ciò che è nostro”.

Le incertezze della NATO

Il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg continua a proclamare il suo sostegno incondizionato.

“L’Ucraina continua a combattere coraggiosamente, dobbiamo sostenerla”, ha dichiarato nei giorni scorsi, assicurando che gli alleati concordano sull’ingresso nella NATO.

In molti però ritengono che il fallimento militare e l’arrivo di un difficile inverno, potrebbero portare ai negoziati.

“La stanchezza bellica […] porterà ad una maggiore pressione affinché il conflitto finisca con un qualche accordo”, ha detto a fine novembre il presidente ceco Petr Pavel ad una riunione con i militari. Un cessate il fuoco, fa notare, sarebbe ovviamente basato sulla situazione reale sul campo di battaglia, quindi Kiev sarebbe costretta a concessioni dolorose.

Ciò non impedirebbe all’Ucraina un’adesione parziale alla NATO, senza i territori controllati da Mosca. E’ già successo, dopo la divisione della Germania.


Negoziati già in corso

Kiev starebbe già considerando la rinuncia ai territori che non sono più sotto il suo controllo. Secondo quanto rivelato dal giornalista statunitense Seymour Hersh, Russia e Ucraina hanno avviato negoziati segreti di pace. I colloqui sarebbero condotti esclusivamente tra i vertici militari, il generale Valery Zaluzhny e la sua controparte, Valery Gerasimov.

In un articolo pubblicato sul suo sito, citando una funzionari statunitensi in condizione di anonimato, il premio Pulitzer spiega che le trattative tengono conto della situazione al fronte. I confini si fisserebbero sulla cosiddetta linea Surovikin. Kiev cederebbe definitivamente a Crimea, repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk e parte delle regioni di Kherson e Zaporozhye, riconoscendone la giurisdizione russa. In cambio Mosca rinuncerebbe all’obiettivo militare della neutralità dell’Ucraina, che potrebbe dunque aderire alla NATO con la condizione che l’alleanza non costruisca basi e schieri le sue truppe nel Paese.

Zaluzhny avrebbe il sostegno degli Stati Uniti nello svolgimento dei colloqui. Zelensky, invece sarebbe stato estromesso, in quanto contrario ad un accordo.

Il funzionario americano ha detto che a Zelensky è stato fatto capire che non è lui, ma “i militari che risolveranno questo problema, e i negoziati continueranno con o senza di te”, ha scritto Hersh.


La formula Kissinger

Sia Mosca che Kiev negano che ci siano trattative in corso. E’ del tutto comprensibile, data la natura di segretezza dei colloqui, rivelati dal giornalista statunitense.

Un settore della coalizione pro-ucraina si è già espresso verso questa soluzione. L’ex segretario NATO, Anders Rasmussen, in un’intervista al Guardian, aveva proposto l’adesione immediata dell’Ucraina nell’alleanza, privandola però dei territori sotto controllo russo.  A Kiev, Alexei Arestovich, ex consigliere dell’ufficio del Presidente, adesso passato all’opposizione, in uno dei punti del suo programma politico aveva inserito questa opzione, nota come “formula Kissinger”. E’ stato proprio l’ex segretario di Stato statunitense, recentemente deceduto, a proporre una modalità parziale di adesione alla NATO per Kiev, sul modello della Germania dell’Ovest. E’ questo, in qualche modo, il suo lascito politico all’Ucraina.


Il conflitto Zelensky-Zaluzhny

Alla luce delle rivelazioni di Hersh, emerge la vera ragione del durissimo scontro tra il presidente Zelensky e il capo dell’esercito ucraino, Valery Zaluzhny. Il generale starebbe conducendo, per conto degli Stati Uniti, delle trattative a cui il governo di Kiev si oppone strenuamente. Non solo questo, ma l’appoggio di Washington e il suo protagonismo nella svolta bellica, potrebbero portare Zaluzhny a Bankova.

Il principale problema di Zelensky non sono dunque i dissidi con l’esercito, ma la rottura del rapporto di fiducia con il partner statunitense. Secondo quanto scritto su Asian Tims da Stephen Bryen, ex vicesegretario della difesa americana, la CIA e l’MI6 starebbero già preparando il terreno per sostituirlo o con le buone, costringendolo ad andare al voto, o se resisterà con le cattive, con “uno sconvolgimento in stile Maidan”.

Zelensky ha chiaramente detto ad AP di non riuscire neanche a pensare di lasciare il proprio incarico. Le elezioni presidenziali, che si sarebbero dovute tenere a marzo 2024 sono state definitivamente sospese, con il pretesto della legge militare, man mano che le tensioni aumentavano tra vertici militari e politici e che la popolarità di Zaluzhny aumentava.

La ragione per cui il governo di Zelensky si oppone alle trattative è presto detta. A fine marzo 2022, Ucraina e Russia erano vicinissime ad un accordo. Mosca era pronta a cedere tutti i territori sotto il suo controllo, ad eccezione della Crimea, in cambio della neutralità dell’Ucraina. Kiev avrebbe ripristinato quasi tutti i suoi confini, pur essendo in svantaggio militare. Doveva soltanto garantire la non adesione alla NATO.

La guerra sarebbe finita subito, il sangue di centinaia di migliaia di ucraini sarebbe stato risparmiato e il Paese non sarebbe stato bombardato. Purtroppo l’accordo conveniva solo a Russia e Ucraina, ma configgeva con l’obiettivo strategico della NATO, cioè espandere ad EST i propri confini.

Pertanto, come ha rivelato David Arakhamia, l’ex premier britannico arrivò a sorpresa a Kiev e mandò all’aria tutto: “Non firmiamo nulla, combattiamo e basta”.

E’ comprensibilissimo dunque che il governo ucraino adesso non voglia accettare un accordo con condizioni peggiori di quelle offerte da Putin (ma certamente più vantaggioso per l’Occidente). Zelensky ha finalmente fiutato la truffa, ma ormai è troppo tardi.

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Qualcosa matura sul fronte orientale, per l’anno nuovo – Francesco Dall’Aglio

1 – Forse mi sbaglio, ma non mi pare che il discorso di Putin del 19 dicembre sia stato molto considerato dalle nostre parti. Effettivamente per i nostri media era una location un po’ esoterica (un incontro esteso del Consiglio di Sicurezza della Federazione Russa) e di discorsi ce n’erano stati altri, e ben più lunghi e pubblicizzati, nei giorni precedenti.

Ma questo mi ha lasciato, devo ammettere, una leggera inquietudine.

Dunque, dopo essersi fatto mostrare da Shoigu e Gerasimov (che ha fatto una pancia notevole) tutta una serie di nuovi dispositivi bellici (allego foto), il nostro si è lanciato in una serie di considerazioni a braccio. Ne traduco una parte, quella più interessante (e inquietante, appunto).

L’unica garante della sovranità e dell’integrità territoriale dell’Ucraina era la Russia. La Russia, quando ha creato l’Unione Sovietica, ha trasferito in cambio di nulla enormi territori storici russi, con un enorme potenziale, investendo grandi risorse in quel territorio.

E i territori occidentali dell’Ucraina, sappiamo tutti come l’Ucraina li ha avuti. Glieli ha dati Stalin dopo la seconda guerra mondiale. Ha dato una parte delle terre polacche, Lvov e così via, parecchie grandi regioni, dove vivevano 10 milioni di persone, e per non amareggiare i polacchi li ha compensati a spese della Germania, gli ha dato le terre tedesche orientali, il corridoio di Danzica; una parte è stata presa dalla Romania, una parte dall’Ungheria, e ha dato tutto all’Ucraina.

Le persone che vivono lì, e lo so per certo, al 100%, vogliono ritornare alla loro madrepatria storica, e i paesi da cui questi territori sono stati presi, soprattutto la Polonia, li rivogliono.

In questo senso, solo la Russia poteva essere il garante dell’integrità territoriale ucraina. Se non lo vogliono, va bene. La Storia rimetterà tutto a posto. Noi non faremo niente, ma non daremo indietro ciò che è nostro, e questo deve essere compreso da tutti, sia in Ucraina da coloro che sono aggressivi nei confronti della Russia, che in Europa e negli Stati Uniti.

Parlano di un accordo, che parlino pure, ma solo in base… noi lo faremo solo in base ai nostri interessi“.

C’è parecchio da digerire in queste parole (alcune delle quali diciamo rivedibili, tipo la parte in cui è la Russia ad aver creato l’URSS). Non è chiarissimo se il riferimento agli “enormi territori storici russi” includa anche Odessa: io a questo punto sono portato a credere di sì.

Ancora più interessante, ovviamente, l’accenno ai territori occidentali dell’Ucraina e la strizzata d’occhio ai nazionalismi locali. Una proposta di accordo? Noi ci prendiamo Odessa e arriviamo alla Transnistria, voi vi prendete quello che era vostro fino al 1944-45 e lasciamo in mezzo una specie di Bantustan a dividerci, con un governo “liberamente eletto” a Kiev erede del debito pubblico ucraino?

Chissà. Forse era solo una risposta alle carte che si vedono circolare e che ipotizzano la divisione della Russia in una trentina di stati (e che nei giorni scorsi aveva citato, ora non mi ricordo in quale discorso), come a dire che è un gioco a cui si può giocare in tanti, o un modo per seminare zizzania tra l’anima “orientale” e quella “occidentale” della NATO/UE. Chissà.

2 – Sempre a proposito di discorsi inquietanti, quello dell’altro ieri di Blinken non è stato da meno, per altri motivi. Ovviamente ha ripetuto quella che ormai è diventata la nuova versione ufficiale della storia – “Putin ha già fallito il suo obiettivo principale in Ucraina, cancellarla dalla mappa, assorbirla all’interno della Russia“, quindi in fin dei conti non ci si può lamentare, ha vinto l’Ucraina, cioè noi.

Non è questa la cosa inquietante (per l’Ucraina, ovvio), ma quello che ha detto dopo: “Abbiamo già fatto molto e abbiamo già messo l’Ucraina in posizione non solo di sopravvivere, ma di prosperare. C’è un piano definito per rimettere l’Ucraina in piedi militarmente, economicamente e democraticamente, così che questi livelli di sostegno e assistenza non siano più necessari in futuro“.

Quindi qualcosa arriverà, ma non ai livelli di prima, ed era ovvio che sarebbe stato così; ma che lo dica pubblicamente Blinken è interessante. E qual è questo “piano definito“?

3 – E’ da qualche giorno che si moltiplicano le voci che vorrebbero gli USA e l’UE pronti a sequestrare i fondi russi bloccati all’estero, stimati in circa 3000 miliardi di dollari, e utilizzarli per finanziare l’Ucraina. Ovviamente sarebbe una decisione che avrebbe conseguenze, legali e politiche, pesantissime per tutti, e causerebbe molto probabilmente una fuga generale dei capitali cinesi, arabi eccetera dalle banche occidentali, ma a mali estremi, stanno evidentemente dicendosi i nostri banchieri, estremi rimedi.

Per la Russia, che ovviamente spera di recuperare il tutto, e con gli interessi, a guerra finita, sarebbe una mazzata non da poco: e infatti poche ore fa il viceministro degli esteri, Sergei Ryabkov, ha dichiarato che se la cosa va in porto la Russia romperà le relazioni diplomatiche con gli USA…

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LA FINE DELL’OCCIDENTE – Julian McFarlane

L’Ucraina è solo la punta dell’iceberg

Chiamatela come volete ma è annessione…

Quando la Crimea aveva votato per entrare nella Federazione Russa, l’Occidente l’aveva chiamata “annessione“, come aveva fatto anche in seguito, quando Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhia avevano democraticamente votato per ritornare alla Madre Russia.

Ma la Russia non ha alcuna intenzione di incorporare l’Ucraina nella Federazione Russa o addirittura nell’Unione Russa come, ad esempio, l’Ucraina aveva fatto con la Repubblica di Crimea negli anni ’90 – con la forza – senza consultare la popolazione. Non è una cosa da Russia. Per una cosa del genere occorrerebbe il voto degli ucraini. I russi non vogliono nella Federazione Russa persone che non vogliono starci.

Tuttavia, è chiaro che, mentre la Russia entra nella fase finale della smilitarizzazione [dell’Ucraina], ad essa dovrà seguire la denazificazione, e questo creerà condizioni che, probabilmente, porteranno la maggior parte dell’Ucraina ad optare per uno status di membro indipendente dell’Unione Russa, come la Bielorussia, o come membro della Federazione Russa, come ha già fatto l’Ucraina meridionale.

Recentemente, i due Alex – Christoforous e Mercouris – hanno avuto una discussione online intitolata “Le dure condizioni della Russia possono scioccare l’Occidente” di cui questa era anche la loro conclusione finale.

Finché manterranno una base di potere in Ucraina, l’Occidente e i neonazisti non permetteranno mai un referendum democratico, i cui risultati non potrebbero controllare.

Quindi, dopo che i russi avranno sconfitto l’Ucraina occidentale sul campo di battaglia, dovranno occuparla e denatificare il Paese. La cosa migliore sarebbe che gli ucraini occidentali epurassero da soli i neonazisti e tornassero ad una forma di autentica democrazia. Un colpo di Stato militare è possibile, ma probabilmente servirebbe solo a sostituire un gruppo di nazisti con un altro.

La situazione è molto simile a quella del Giappone nel 1945. Dovrà esserci un’occupazione benevola – finalizzata a ristabilire un governo democratico – ma anche tribunali e processi per crimini di guerra.

Lo spettacolo horror americano

Un’Ucraina indipendente non è quello che vogliono gli Stati Uniti e l’Europa.

I neonazisti sono saliti al potere grazie ai finanziamenti degli Stati Uniti e dell’Europa. Hanno influenzato l’opinione pubblica con promesse: l’ultima che il sogno americano che vedevano in TV sarebbe diventato il sogno ucraino. Si trattava di un pacchetto mediatico ben confezionato, avvolto da slogan abilmente confezionati e con un sottofondo di nazionalismo.

Zelensky e la sua banda – che ovviamente include Zaluzhny – hanno giocato su questo, educando i giovani a odiare i russi, la cultura e la religione russa, costringendoli a parlare solo ucraino, anche se Zelensky stesso non lo parla.

Quindi, i russi avranno il loro bel da fare per ripristinare le vestigia della consapevolezza politica e del pensiero razionale. Dovranno preoccuparsi dei bambini razzisti e anche dei genitori, a cui è stato fatto il lavaggio del cervello.

Fortunatamente, il sogno neo-nazista è diventato un incubo.

La popolazione dell’Ucraina è ormai meno della metà. È diventata un Paese di pensionati e di donne anziane, con gli abili al servizio militare che fuggono per non finire nei cimiteri, che si stanno riempiendo ovunque.

Nessuno sa quanti siano i morti, ma di certo sono molti di più di quelli che i nazisti ammettono. Un segreto di Stato. Ciò di cui il Paese ha più bisogno è la verità e quando questa verrà fuori la gente si arrabbierà…

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Quelli che… senza guerra siamo rovinati! – Toni Muzzioli

Mano a mano che si fa più chiaro che gli Stati Uniti hanno intenzione di ridimensionare il proprio impegno nella guerra russo-ucraina, scatenata dalla Russia ma provocata dal comportamento dell’Occidente allargato (ovvero da Washington), cresce a vista d’occhio, almeno qui in Italia, la schiera delle vedove inconsolabili, almeno nel variopinto mondo di quello che un tempo chiamavamo giornalismo e oggi sarebbe forse meglio chiamare ufficio stampa dell’Impero. Non si contano ormai gli articoli, di fondo e non, che levano urla di dolore all’indirizzo della Casa Bianca: non abbandonate l’Ucraina, non abbandonate i valori dell’Occidente alla ferocia dello zar Putin! In verità danno la colpa (preventiva) all’eventuale futuro presidente repubblicano, ovvero a Trump, dal momento che questi ha più volte sostenuto di voler risolvere la guerra «in due o tre giorni». Ma non v’è chi non capisca che la preoccupazione è per l’oggi, o se vogliamo anche per l’eventuale Biden-bis: anche tra i democratici, infatti, al di là della retorica, si sta facendo strada molto velocemente la voglia di sfilarsi dal conflitto. I democratici (e i nostri giornaloni con loro) attribuiscono tale propensione ai soli Repubblicani, i quali in effetti stanno bloccando l’ultima tranche di aiuti (61 mld. di dollari) per l’Ucraina; ma è anche vero che l’Amministrazione si sta raffreddando a vista d’occhio verso Zelensky, complici i sondaggi (tra meno di un anno si vota) che ormai danno il 55% degli statunitensi contrari a aulteriori aiuti. Una situazione di “disaffezione” che si risente subito a Kiev, dove il regime di Zelensky è alla disperazione, mentre le voci dissonanti ormai si moltiplicano: dalle dichiarazioni-bomba del generale Zaluzhny all’“Economist” [1] fino al riemergere, nella scena politica di una figura come Arestovich, che osa porre il tema del compromesso con la Russia [2].

In ogni caso i toni sono altamente drammatici. Angelo Panebianco, dalla prima pagina del “Corriere” del 9 dicembre strilla che il «nostro mondo» è minacciato da due eventi-fine-del-mondo: «Donald Trump vincitore delle elezioni presidenziali del 2024 e Vladimir Putin vincitore nella guerra in Ucraina» [3]. E ora tenetevi forte:

«Se questi due eventi si verificassero, l’Occidente come lo abbiamo conosciuto non esisterebbe più. Nel resto del mondo subirebbe una accelerazione la corsa, già in atto da tempo, di tanti paesi a stringere legami con le potenze autoritarie, Cina e Russia. (…) Ne deriverebbe (…) un forte aumento del disordine mondiale. Con conseguenti rischi di guerra tra le grandi potenze [come se la guerra tra grandi potenze non fosse già in atto, e proprio come effetto della volontà degli Usa di non scendere a patti in alcun modo con la Russia! – NdR]».

Per l’Europa, in particolare, sarebbe un disastro. Non essendosi minimamente preoccupato che questa guerra russo-ucraina senza se e senza ma sta comportando la distruzione dell’economia europea, di cui il sabotaggio del NordStream 2 nel settembre 2022 è stata la rappresentazione plastica, ora Panebianco sembra però terrorizzato dalle conseguenze di un disimpegno americano: «La Nato perderebbe forza e credibilità. Agli europei verrebbe di colpo meno la protezione americana. Il successo di Putin renderebbe politicamente più forti e influenti le forze filo-russe presenti in Europa occidentale. Esse chiederebbero a gran voce un accordo tra Europa e Russia», ciò che per Panebianco rappresenta il peggiore incubo. Poi – continua Panebianco – farebbero una pessima figura anche le classi dirigenti dell’Ue (e qui vorremmo segnalargli che la stanno già facendo da tempo a prescindere…), dal momento che «avevano puntato tutto sulla Nato e sulla sconfitta di Putin in Ucraina» [e gliel’ho detto io di fare così?! – NdR]. A quel punto, poi, la Russia dilagherebbe verso Occidente senza più freni. Tanto che il nostro editorialista liberale ormai disperato non si trattiene dall’invocare una stretta autoritaria nella “governance” dell’Ue, così descritta:

«Chissà? Forse posti di fronte a una situazione di emergenza e a opinioni pubbliche spaventate e nelle quali crescerebbe la domanda di sicurezza, le élites europee (di alcuni Paesi europei) potrebbero decidersi a realizzare ciò che hanno sempre fin qui evitato di fare: spostare definitivamente il comando politico (i giuristi direbbero: la sovranità) dal livello nazionale a un livello sovranazionale, europeo. Per inciso, ciò non potrebbe certo avvenire, come vorrebbero le nostre tradizioni e le nostre propensioni legalitarie, seguendo un’impeccabile procedura, con la “revisione” dei trattati europei. Avverrebbe, come sempre accade nelle situazioni di emergenza, per via extra-giuridica, con un accordo politico fra alcuni Paesi europei, aggirando la vigente regola dell’unanimità che è in grado di bloccare tutto».

Non resta indietro il “Sole 24 Ore”, che strilla in prima pagina che Un mondo senza America è una manna per i dittatori: analoghi gli argomenti dell’autore, il solito Sergio Fabbrini, predicatore domenicale del Verbo turbo-capitalistico e atlantista sulle pagine del quotidiano economico. Solo, non si capisce perché un eventuale riorientamento degli Stati Uniti dovrebbe coincidere addirittura con… un mondo senza America [4]…

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