L’undici settembre delle donne – di Mark Adin

Tre donne. La più giovane muore durante una esperienza erotica. L’altra si toglie la vita perché non sopporta l’assenza del padre. Quella più avanti con gli anni onora la memoria di chi le ha inflitto sofferenza profonda. C’è un legame che unisce i tre fatti? C’è un valore simbolico che unisce queste tre donne?

L’undici settembre, dieci anni dopo, non è facile leggere i quotidiani senza urtare contro le ovvietà  anniversarie, tenute in freezer e poi servite come fossero fresche. La retorica, puzzolente di conformismo, avvolge il pacco contenente sangue secco, polvere, macerie. Nella ridondanza di questo quadro, appare la cronaca, come scintillio che può non essere colto subito, a causa del chiasso mediatico di altre, cosiddette, notizie. Poi uno ci pensa.

Tre donne. Lo sciupio di vite e la pietà non sono tutto. Si scorgono nascoste simbologie, un unico segreto messaggio. Posto che l’intuibile è difficilmente accertabile, provo ad avere il coraggio di dire.

Una donna giovane, una ventina d’anni, accetta un gioco nel quale è difficile non vedere il segno di un totale affidamento all’uomo-sacerdote, arbitro e depositario della sua vita. Il quale fiduciario regola il flusso dell’aria che respira, dopo averla iscritta in una trama di corde, restituendo probabili sensazioni di masochistico piacere. Ne muore, per incidente.

Una figlia cerca inutilmente il padre, che è mancato da tempo. Non se ne fa una ragione, lo cerca ancora, lo chiama, lo supplica di tornare al mondo. Il padre non può proprio farlo. La figlia non supera il suo folle e amorevole desiderio. Bacia tre volte la foto porcellanata del genitore (il segno – come è perfetta questa parola – delle labbra vi resterà impresso), si cosparge di liquido infiammabile e si dà il fuoco. Arsa di amore filiale, si spegne.

Una donna, già sottoposta a sequestro di persona, atto di privazione feroce, posta nella assoluta soggezione fisica, segregata in una minuscola tenda da campeggio tra i rovi, incappucciata, incatenata per mesi, marchiata come una bestia dal ricordo indelebile di una tale violenza, anni e anni dopo – tempo attraverso il quale ogni possibile forma di sindrome di Stoccolma verrebbe neutralizzata – sembra dare di matto. Si espone in un pubblico, affettuoso, necrologio per la morte del suo aguzzino, esprimendo pietà, perdono, vicinanza, affetto.

Tre donne: e se fossero Una? Se le considerassimo, in modalità del tutto surreale, come “trinità misterica”? Ovvero: se provassimo a pensare i tre fatti, così diversi tra loro, originati da comune impulso? Quale?

In mezzo alla tragica mattanza di donne uccise dai loro mezzi-uomini per ingiustificabile, barbarica gelosia – che mette a nudo una pericolosa fragilità di maschi “venuti male”, malati, difettosi, classificabili con un termine che contiene il germe del loro errore: impotenti – in questo fiume di sangue versato da uomini assaliti e dominati dal terrore, tre donne, simbolicamente, attuano una sorta di rivolta.

Ci vogliono dire qualcosa.

Scandalosamente.

Mettendosi deliberatamente, incondizionatamente nelle mani dell’Altro.

Riunendosi, fino alla scelta più estrema, con la propria radice.

Onorando con affetto il proprio custode, nella accezione iperbolica.

Dichiarando la propria “appartenenza”, dedizione, fedeltà, che potrebbero sembrare riferirsi, ma solo a una lettura superficiale, al rapporto tra  donna e uomo. C’è un significato più profondo? Penso che questi tre episodi ci parlino molto, ci indichino più cose attraverso la capacità, di sempre, della donna, di intercettare il significato sotterraneo e vero delle cose, di afferrare ciò che all’altra metà sfugge per naturale e atavica rozzezza. E spesso ci indicano strade.

Una di queste ci riporta a prenderci carico della “mancanza del padre” intesa come riferimento autorevole al quale tutti richiamarsi, dove la differenza di genere c’entra poco.

Lo sbandamento, per mancanza o per rimozione di principi-guida, è sotto gli occhi di ciascuno in tutta la sua allarmante pericolosità, insito nelle nostre insicurezze, concausa di infelicità.

Il desiderio, estremo come queste tre storie, di conoscere, per ciascuna persona, la direzione da prendere, il bisogno di avere un riferimento autorevole, sicuro, al quale affidarsi, può forse proporre una inedita chiave di lettura. Senza pretesa di “interpretazione autentica”.

Queste tre, diversissime, protagoniste dell’undici settembre delle donne possono regalarci, col loro gesto, un inaspettato spunto di riflessione profonda sul ground zero della nostra desolante, collettiva, disperante perdita di Senso.

 

Mark Adin

 

 

 

 

Redazione
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3 commenti

  • Caro Mark,
    grazie per il coraggio con il quale ti esponi. Il tuo pezzo mi ha fatto star male e mi costringerà a molto interrogarmi.
    La mia prima impressione è di non essere del tutto d’accordo con te ma ho bisogno di TEMPO per pensarci.
    Avanzo poi un dubbio da giornalista (ex giornalista forse): tu ti basi su quello che i media raccontano e ne trai conclusioni intelligenti e non conformiste ma esiste il fortissimo rischio che su una – o due o tre – di queste storie i media abbiano mentito sin dall’inizio.
    Proprio oggi ho scritto per “Il dirigibile” una delle mie “scor-date”: 5 anni fa un gruppo di uomini provava a interrogarsi pubblicamente sulla violenza maschile contro le donne. Ovviamente non è un caso se queste notizie scompaiono prima dalla realtà (solo “il manifesto” e “Liberazione” pubblicarono quella lettera aperta), poi dal dibattito e di conseguenza dalla memoria.
    E’ una ragione di più per non stare zitti. Insisto: una ragione in più per non star zitti. (db)

  • Non ho capito bene. E quando non capisco, chiedo spiegazioni.
    Incomincio dalla cosa meno centrale. Nel mio ragionamento “mi appoggio” a tre fatti di cronaca.
    Sostiene Barbieri: “tu ti basi su quello che i media raccontano e ne trai conclusioni intelligenti e non conformiste ma esiste il fortissimo rischio che su una – o due o tre – di queste storie i media abbiano mentito sin dall’inizio.”
    Detta così, non vorrei apparire credulone e superficiale. Se il suo fiuto di giornalista usma disinformazione, aggiunga il tassello mancante, per il bene comune, dica chiaro che cosa mi sono “bevuto”e qual è la versione autentica da accreditare dei tre fatti di cronaca. Siamo qui per imparare. Non dico insinuare, ma alludere, instillare il dubbio senza entrare nel merito non è nello stile del mio fratellino. Spieghi, grazie.
    Sostiene Barbieri: “5 anni fa un gruppo di uomini provava a interrogarsi pubblicamente sulla violenza maschile contro le donne”. Se questo viene posto in qualche relazione con il post, Daniele non mi pare abbia colto lo spirito di quanto da me asserito.
    Vorrei perciò precisare che il mio riferimento alla violenza sulle donne, anche se accennato, nel caso era solo “cornice”: non certo fulcro del mio ragionare. Nel post raccontavo, è lì da vedere, di tre donne che vanno incontro all’Altro, ci si affidano totalmente, come metafora estrema, scandalosa, della ricerca, anche paradossale, di irrinunciabile “senso”. La violenza è da loro accettata, e persino attivata. Non sono o non si sentono “vittime”.
    Non è stato colto? La responsabilità ricada unicamente sull’estensore. Ma se si vuole leggere con più attenzione, sono convinto che la cosa risulti.

    Mark Adin

    • Provo subito a spiegarmi (anche se ho poco tempo).
      1 – sulla storia “sarda” ho ascoltato in radio almeno tre versioni diverse; non avendo il tempo di verificare “alla fonte” almeno un fortissimo dubbio mi assale.
      2- quanto alle altre due vicende che hanno ispirato il ragionamento di Mark anche io ho letto (o ascoltato) i titoli; altro non so. Ma ormai (intendo rispetto a 30 anni fa) so che su questi temi – ma anche sui NO TAV, sulla crisi, sugli immigrati, sulle tasse eccetera – si scrive, si commenta, si litiga a prescindere dalla (o persino in assenza delle) notizie. Anni fa Marco Travaglio scrisse un libro intitolato “La scomparsa dei fatti”: proprio così. E’ sempre accaduto che i potenti o gli opinion leader piegassero le notizie al proprio tornaconto, talvolta persino che inventassero notizie, ma con la continuità e sfacciataggine dell’Italia di oggi… credo mai, almeno dopo il 1945. Da questo punto di vista “Repubblica” , che pure ha qualche merito rispetto all’informazione su Berlusconi, è pessima, il più “ballista” fra i grandi quotidiani.
      3- mi spiace se nella fretta sono stato poco chiaro
      4 – in particolare mi spiace se Mark ha inteso il mio riferimento al documento di Maschile Plurale come una critica al suo intervento. No, il suo testo era molto chiaro. Io intendevo ricordare (e dunque sono io ad essermi espresso male) questo: le rare volte nelle quali si cerca di ragionare seriamente su amore, sesso, violenza nelle relazioni, patriarcato, femminicidio, malintesa virilità eccetera il bavaglio dei media è pressochè totale. Comre ho scritto in quella scor-data anche il nostro immaginario è stato colonizzato, come mai in passato. E dunque a maggior ragione viva chi, come Mark, prova a “cantare” fuori dal coro. Io sono molto felice che su questo blog ci siano spesso Monica Lanfranco e Maria G. Di Rienzo (e meno spesso altre/i) a narrarci un altro mondo… che i nostri media non vogliono raccontare. Ogni tanto – di rado ma capita – non sono d’accordo con un commento di Monica o di Maria però il punto importante è che si possa discutere fuori dal pensiero imposto, dalle catene che Repubblica non meno del Vaticano vuole imporci.
      5 – resta il succo del discorso: sono rimasto molto turbato dal ragionare di Mark e, appena mi chiarisco le idee, vorrei intervenire tentando un discorso generale (e dunque anche prescindendo dalle tre storie)
      Finisco con una storia buffa ma che, a distanza di molti anni, a me continua a sembrare significativa… quanto meno della difficoltà a intendersi davvero.
      Arriva in Italia il film giapponese “L’impero dei sensi” (dunque il 1977 o 1978). Io vado a vederlo con il mio amore (F) e con un’altra coppia (lui M e lei G). Il film è sconvolgente, specie nel finale. Usciamo in silenzio. Dopo un po’ è M a parlare: “In ogni caso mi piacerebbe morire facendo l’amore”. In contemporanea F risponde “anche a me” mentre io e G diciamo “a me no”. Ricordo le nostre quattro facce sorprese nel notare quanto era aliena la persona amata. Un episodio minimo … solo per dire quanto poco ci conosciamo e quanto bene ci farebbe (ci fa) parlare senza paraocchi.
      Devo smettere qui. Per ora. (db)

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