Morire di taser: non è la prima volta

ne scrivono Aurelio Tarquini, Vito Totire, Peppe Dell’Acqua (per il Forum Salute Mentale)

Il Taser può uccidere. La morte del 35nne a San Giovanni Teatino riapre il dibattito su quest’arma micidiale approvata con leggerezza – Aurelio Tarquini

È una morte da chiarire quella del 35enne Simone Di Gregorio, avvenuta domenica pomeriggio a San Giovanni Teatino dopo momenti di concitazione: sarà l’autopsia a chiarirne le cause. Il sostituto procuratore della Repubblica Marika Ponziani ha aperto un fascicolo per omicidio colposo nei confronti di ignoti anche se tutto fa propendere per una morte in conseguenza del Taser, la “pistola elettrica” purtroppo in uso alle forze dell’ordine, approvata con troppa leggerezza qualche anno fa dal Ministero dell’Interno allora retto da Salvini. Nel caso specifico il micidiale congegno è stato utilizzato, per due volte, sul giovane che dava in escandescenze dai carbinieri di una pattuglia accorsa su chiamata di passanti.

Di Gregorio era nudo in strada, correva, aveva fatto atti di autolesionismo. Poi è stato fermato col Taser, è stato sedato, si è accasciato a terra ed è morto. Il 35enne aveva problemi psichiatrici ed era seguito dal centro di salute mentale di Pescara, città dove viveva.

Il nome dell’arma è in realtà un acronimo che corrisponde a “Thomas A. Swifts Electronic Rifle‟, ovvero “Fucile elettronico di Thomas A. Swift‟ che emette una scarica elettrica proiettata, a corto raggio, da due dardi collegati all’arma tramite fili conduttori, il cui effetto è la momentanea inibizione motoria del soggetto attinto dai dardi. L’utilizzo operativo del Taser, arma solo teoricamente non letale, è stato avviato, con un cronoprogramma dopo un’articolata fase di sperimentazione ed un periodo di formazione ed addestramento degli operatori preposti al controllo del territorio che, valutato lo scenario operativo, potranno fare uso dell’A.I.E., secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità, per consentire il controllo fisico di un soggetto al fine di renderlo inoffensivo e/o immobilizzarlo, neutralizzandone la minaccia.

L’utilizzo dell’arma prevede una descalation, finalizzata a diminuire l’intensità della tensione e dell’aggressività di soggetti aggressivi/non collaborativi, lasciando l’impiego “vero e proprio” del dispositivo come extrema ratio per la risoluzione dell’articolato e complesso intervento. Il protocollo operativo prevede infatti prima estrazione dell’arma con avvisi verbali della presenza della medesima, qualora la condotta aggressiva persista, attivazione dell’arma ed utilizzazione del crepitio dell’arco voltaico -Warning Arc – e qualora il soggetto persista ulteriormente nella propria condotta, l’impiego completo dell’arma.

Purtroppo però l’impiego del Taser può rivelarsi mortale come nel caso di domenica a San Giovanni Teatino. “L’uso della pistola elettrica espone a rischi imprevedibili. L’effetto mortale che nessuno può aprioristicamente escludere “è quello contrario del defibrillatore semiautomatico che è un salvavita, mentre la scarica emessa dal Taser può determinare il decesso, in condizioni particolari”, dice senza mezzi termini Maurizio Santomauro, cardiologo del Policlinico della Federico II di Napoli e presidente del Giec (Gruppo intervento emergenze cardiologiche).

“ll defibrillatore classico – spiega Santomauro – eroga corrente elettrica attraverso due elettrodi applicati sul torace, e serve a ristabilire il ritmo in un soggetto il cui cuore si è improvvisamente fermato. La pistola elettrica Taser, invece, spara due freccette collegate tramite dei fili elettrici che, a loro volta, producono una scarica ad alta tensione (in genere 50mila volt), ma a basso amperaggio (tra i 6 e i 10 milliampère), rilasciata in brevissimi impulsi ravvicinati (di 4 o 5 microsecondi, con picchi fino a 6 ampère a un ritmo di circa 15 impulsi al secondo). Per ottenere l’effetto desiderato entrambe le freccette devono colpire il bersaglio. E sono proprio questi impulsi, i responsabili potenziali di un’aritmia cardiaca oltre che della contrazione dei muscoli periferici”. Dunque, con l’immobilizzazione dei muscoli, di fatto, si riesce a paralizzare temporaneamente (per cinque secondi) un sospetto malvivente ed evitare così il ricorso ad armi da fuoco. “Ciò non toglie che se il soggetto è cardiopatico o tossico dipendente – osserva Santomauro – il Taser potrebbe rivelarsi letale. Anche se chi lo utilizza non ha alcuna intenzione di uccidere”.

da qui

 

 

PSICHIATRIA A MANO ARMATA – Vito Totire (*)

La tragica vicenda di S.Giovanni Teatino induce alcune riflessioni:

  • L’uso della pistola taser ha sempre dimostrato, complessivamente, un bilancio negativo tra “costi” e “benefici” ; quando poi viene usata in “psichiatria” lo squilibrio tra costi e benefici depone ancora più nettamente contro l’uso
  • Non riteniamo accettabile neanche l’uso dello spray al peperoncino, in psichiatria; cosa diversa è per chi deve difendersi da aggressioni fisiche/sessuali in condizioni di isolamento o di omertà ( sindrome “Ketty Genovese”)
  • Che sinergia esiste tra effetti del taser ed effetti collaterali di certi psicofarmaci ? anche questi ultimi vengono spesso usati senza una ponderata valutazione degli effetti collaterali e senza una approfondita considerazione delle interferenze e delle reazioni individuali ; a Bologna, qualche anno fa, abbiamo potuto constatare la somministrazione coatta di uno psicofarmaco ad una persona che aveva assunto considerevoli quantità di alcool, stante che quello psicofarmaco è “sconsigliato” dallo stesso produttore per chi appunto abbia assunto alcolici ; tuttavia il procedimento è stato archiviato a seguito di una valutazione del consulente del pm secondo il quale “forse” la causa di morte era un’altra (quindi non ascrivibile ad una sinergia negativa tra l’alcool e un farmaco che comunque non doveva essere usato); contattammo all’epoca l’ufficio che si occupa della registrazione degli effetti collaterali dei farmaci ma ci è stato detto che “non interessa” registrare gli effetti di sinergie ma solo gli effetti diretti e monofattoriali del farmaco…
  • Sulla morte di Simone di Gregorio una inchiesta è già aperta e questo è ovviamente doveroso ; proponiamo ai Sindaco , nella sua veste di autorità sanitaria locale di avanzare, a nome del Comune, istanza di costituzione di parte civile e noi stessi avanzeremo la stessa istanza anche a supporto di eventuali iniziative di familiari e amici di Simone
  • Per evitare morti e lutti di questo genere occorre archiviare e mettere al bando la “psichiatria a mano armata” ; occorre imparare a gestire il disagio mentale e comportamentale con vere capacità di ascolto e di presa in carico da parte della collettività ; la psichiatria italiana- dopo decenni di chiusura “formale” dei manicomi- è ancora zavorrata pesantemente da enormi catene coatte che sconfinano spesso nella violenza e a volte persino nella tortura; gli SPDC no restraint (quelli cioè nei quali le persone non vengono mai contenute fisicamente ) risultano essere solo il 10-15% degli SPDC a livello nazionale; ovviamente esiste anche il grave problema della contenzione chimica/psicofarmacologica ; altrettanto ovviamente la “cura della psiche” può esistere solo sul terreno della consensualità, del rispetto della persona e dei diritti umani
  • Esprimiamo il nostro rammarico e il nostro sentimento di lutto per quanto accaduto e contestualmente inviamo al Sindaco in qualità di autorità sanitaria locale e di rappresentante della collettività (non avendo peraltro purtroppo contatti diretti con i familiari) le nostre più vive condoglianze .

 

(*) Vito Totire, portavoce Centro per l’alternativa alla medicina e alla psichiatria F.Lorusso via Polese 30 40122 Bologna – 333.4147329

 

 

Forum Salute Mentale APS. Comunicato Stampa

La drammatica notizia del 35enne con problemi psichiatrici morto, in un centro in provincia di Chieti, dopo essere stato bloccato con un taser e quindi, secondo le notizie di cronaca che leggiamo, essere stato sedato.

Sarà l’inchiesta aperta con l’ipotesi di omicidio colposo a chiarire i molti dubbi sulla dinamica del tragico episodio. Ma intanto alcune cose riteniamo vadano dette per invitare a un serio momento di riflessione che riteniamo vada fatto.

Della necessità del taser, “arma che non uccide”, ci si affrettò a parlare alcuni anni fa dopo l’uccisione di un ragazzo di vent’anni, di origine ecuadoregna, Jefferson Tomalà, ucciso a Genova con cinque colpi di pistola, nel corso di un presunto TSO. Enfatizzando, come ultimamente troppo spesso si fa, l’aspetto della sicurezza piuttosto che favorire il ragionamento su come meglio aiutare, gestire, controllare anche, una persona in un momento di confusa, disperata agitazione.

Ricordiamo che sulla presunta “non pericolosità” del taser, introdotto come strumento di prevenzione del crimine, serie obiezioni sono state a suo tempo avanzate innanzitutto in campo medico, mentre da tempo Amnesty international denuncia le decine e decine di morti collegate all’uso del taser nei paesi, fra cui gli Stati Uniti, dove è in uso da tempo.

Un’arma “meno che letale”, si insiste, contro i malviventi… ma da subito ci siamo chiesti quante altre persone, agitate, magari sconvolte o persone esasperate (e quante ne incontriamo di questi tempi per strada) con scarsa capacità di autocontrollo, persone che magari con gesti inconsulti temiamo attentino alla nostra tranquillità, corrono il rischio di essere inchiodati allo spasmo di una sorta di elettrochoc. E la vicenda di questi giorni purtroppo conferma questi timori…

Questo strumento non fa altro che confermare una sorta di distanza, come una voragine, che si va creando sempre più fra noi e le persone che vivono un’esperienza di disturbo mentale, per cui qualsiasi strumento diventa lecito dal momento in cui quella persona finisce di essere tale. Tornando indietro di decenni, la persona affetta da disturbo mentale diventa oggetto. Qui si parla di una persona nuda per strada, ma cosa sia successo a lui prima, il suo percorso, il suo dolore, nessuno se lo chiede. Come il suo sconvolgente malstare era stato preso in carico dai servizi di salute mentale che pure ben conoscevano questo giovane uomo.

Noi continuiamo a pensare che questa supremazia della pericolosità e della sicurezza non fanno altro che indurre a cancellare una visione della cura che è quanto di più necessario mettere in campo se si vogliono davvero affrontare il disagio che ci interroga sempre più drammaticamente.

Al primo posto è la persona col suo dolore, e a partire da qui bisogna agire. Noi ci domandiamo quale cultura avessero quegli inconsapevoli agenti di polizia che hanno usato questo strumento di “distanziamento” che è il taser. Come hanno potuto vedere in un uomo che corre nudo e disarmato una minaccia grave per la l’incolumità degli altri. Siamo molto colpiti dal silenzio (ma forse potevamo attendercelo) delle psichiatrie che sempre più tendono a ridurre uomini e donne a oggetto. Psichiatrie che non sono più in grado di scandalizzarsi né di fronte a queste morti, né di fronte alle morti per contenzione o per abbandono, né alla morte per riduzione all’invisibilità del “cronico”, proprio da queste psichiatrie dominanti prodotte.

Noi pensiamo che ripartire con molto rigore da una riflessione intorno alla cura può rappresentare un concreto punto di partenza. La cura, intesa come miglior modo per riconnettere la frammentazione che c’è stata e che porta a episodi come questo da cui parte la nostra riflessione. La cura che, come ha insegnato Basaglia, è quanto di meglio possiamo mettere in campo. Per praticarla abbiamo strumenti efficaci: da una vasta cultura su come affrontare la presenza dolente degli altri, alle tante esperienze fatte che da cinquant’anni a questa pare indicano la strada da seguire.

Condividendo quanto detto da Mauro Palma, garante dei diritti delle persone private della libertà, che “non è accettabile che l’operazione per ricondurre alla calma una persona in evidente stato di agitazione e, quindi, di difficoltà soggettiva, si concluda con la sua morte”,

Peppe Dell’Acqua

Forum Salute Mentale

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