Morti in carcere: 5 detenuti denunciano

L’esposto. A seguire la situazione a Tolmezzo e la morte di Emanuel Scalabrin (nella caserma dei carabinieri di Albenga) e un fumetto-inchiesta di Zerocalcare.

Qui sotto trovate l’esposto fatto da 5 detenuti di Ascoli alla Procura di Ancona. Sono i primi carcerati che denunciano pubblicamente le torture e le uccisioni nel carcere di Modena e Ascoli. Da venerdì scorso sono stati riportati a Modena, luogo in cui si trovano i loro massacratori. Hanno nominato alcuni avvocati di Bologna per tutelarli e per supportarli nel portare avanti la denuncia. Nonostante la diffidenza (legittima) sul ruolo dell’informazione in Italia, chiedono in questo caso di far girare il loro racconto ovunque sia possibile.

L’«Assemblea permanente contro il carcere e la repressione» – dai loro comunicati ricaviamo queste informazioni – ha organizzato in alcune città iniziative di informazione sia sotto le carceri che per le strade. E un’altra si terrà domattina a Tolmezzo.

E’ importante far capire a queste persone coraggiose – ma anche recapitare u messaggio ai carnefici e ai loro complici – che non sono sole.

Questo è l’indirizzo: carcere di Modena, strada Sant’Anna 370 – 41122 Modena (trovate i loro nomi qui sotto).

La denuncia di Claudio Cipriani, Ferruccio Bianco, Mattia Palloni, Francesco D’angelo e Belmonte Cavazza

Casa circondariale Ascoli – 20/11/2020
N°protocollo 18072
Alla procura generale della repubblica di Ancora

Oggetto: Richiesta e verifica su eventuali ipotesi di reato di cui all’articolo 28 della Costituzione della repubblica italiana; art. 3 convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo L. 4 agosto 1955 n°848; art. 608 c.p; art. 575 c.p ; 593 c.p ( tortura; abuso di autorità contro detenuti o arrestati; omicidio; omissione di soccorso). Perpetrati presso la casa circondariale di Modena e presso la casa circondariale di Ascoli Piceno; falso in atti.
In capo alla direzione della casa circondariale di Modena e della casa circondariale di Ascoli Piceno per “culpa in vigilando” e “culpa negligendo” ed al comandante ed al corpo della polizia penitenziaria della casa circondariale di Modena, Ascoli Piceno, Bologna, Reggio Emilia. Richiesta di essere ascoltati da codesta procura per rilasciare deposizioni collettive, individuali, specifiche e dettagliati sui fatti occorsi c/o la casa circondariale di Modena in data 08/03/2020 e c/o la casa circondariale di Ascoli Piceno in data 09/03/2020 e nei giorni successivi al nostro arrivo.
I richiedenti udienza come persone informate dei fatti:
1) Cipriani Claudio, nato a Palmanova (UD) il 22/07/1999, difeso dagli avvocati Monica Miserocchi del Foro di Ravenna e l’avvocato Domenico Pennacchio del Foro di Napoli.
Attualmente c/o la casa C.C di Ascoli Piceno.

2) Bianco Ferruccio, nato a Napoli (NA) il 07/01/1988, difeso dall’avvocato di fiducia Domenico Pennacchio del Foro di Napoli. Attualmente c/o la C.C di Ascoli Piceno.
3) Palloni Mattia, nato a Firenze (FI) il 13/09/1995, difeso dall’avvocato di fiducia Donata Malmusi del Foro di Bologna. Attualmente c/o la C.C di Ascoli Piceno.
4) D’Angelo Francesco, nato a Durazzano (BN) il 04/03/1967, difeso dall’avvocato di fiducia Alberico Villani del Foro di Avellino. Attualmente c/o la C.C di Ascoli Piceno.
5) Belmonte Cavazza, nato a Pergine Valsugana (TN) il 22/02/1960, difeso dall’avvocato di fiducia Giovanni Biagi del Foro di Lucca. Attualmente c/o la C.C di Ascoli Piceno.
PREMESSO:
a) che Cipriani Claudio, Bianco Ferrucci, Palloni Mattia, D’Angelo Francesco, Belmonte Cavazza in data 09/03/2020 venivano tradotti c/o la C.C di Ascoli Piceno a seguito della rivolta scoppiata c/o la C.C di Modena
b) che tutti gli scriventi dichiarano di essersi trovati coinvolti seppure in maniera passiva nella rivolta scoppiata in data 08/03/2020 c/o l’Istituto Penitenziario di Modena.
A tale proposito gli scriventi dichiarano di aver assistito ai metodi coercitivi e ad intervento messo in atto da parte degli agenti della polizia penitenziaria di Modena e successivamente di Bologna e Reggio Emilia intervenuti come supporto.
Ossia l’aver sparato ripetutamente con le armi in dotazione anche ad altezza uomo.
L’aver caricato,detenuti in palese stato di alterazione psicofisica dovuta ad un presumibile abuso di farmaci, a colpi di manganellate al volto e al corpo, morti successivamente a causa delle lesioni e dei traumi subiti, ma le cui morti sono state attribuite dai mezzi di informazione all’abuso di metadone.
Noi stessi siamo stati picchiati selvaggiamente e ripetutamente dopo esserci consegnati spontaneamente agli agenti, dopo essere stati ammanettati e private delle scarpe, senza e sottolineiamo senza, aver posto resistenza alcuna.
Siamo stati oggetto di minacce, sputi, insulti e manganellate, un vero pestaggio di massa
c) che, dopo esserci consegnati, esserci fatti ammanettare, essere stati privati delle scarpe ed essere stati picchiati, fummo fatti salire, contrariamente a quanto scritto in seguito dagli agenti, senza aver posto resistenza sui mezzi della polizia penitenziaria usando i manganelli.
Picchiati durante il viaggio fummo condotti c/o alla C.C di Ascoli Piceno. Al nostro arrivo molti di noi furono spostati dai mezzi provenienti da Modena nei mezzi parcheggiati in uso alla penitenziaria di Ascoli Piceno.
Uno alla volta e quasi tutti senza scarpe fummo accompagnati prima in una stanza ove venimmo perquisiti e successivamente alla classica visita medica ,dove a molti di noi non fu neanche chiesto di togliersi gli indumenti per constatare se avessimo lesioni corporee.
Alcuni di noi furono picchiati dagli agenti di Bologna anche all’interno dell’Istituto di Ascoli Piceno, nello specifico nei furgoni della polizia penitenziaria alla presenza degli agenti locali.
d) Che, la mattina seguente al nostro arrivo e nei giorni seguenti molti di noi furono picchiati con calci, pugni e manganellate, all’interno delle celle all’opera di un vero e proprio commando di agenti della penitenziaria. Ricordiamo a codesta Ecc.ma Procura che l’art 28 della costituzione della repubblica italiana cita: “ I funzionari e i dipendenti dello stato […] sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali […] degli atti compiuti in violazione dei diritti […]. L’art 3 della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo sancisce che il “divieto della tortura” ove “nessuno” può essere sottoposto a torture né a pene o trattamenti inumani o degradanti, si veda anche l’art. 608 C.P. sull’abuso di autorità contro arrestati o detenuti oltre a voler dipanare i fatti occorsi a Modena, poiché molti, noi compresi, siamo stati oggetto di sanzioni disciplinari infondate e immotivate, ove non è stata fornita prova alcuna né a mezzo di supporti di videosorveglianza, filmati, nè in altro modo volevamo per una questione di giusta giustizia in rispetto ai morti della rivolta far luce sulle dinamiche a nostro dire onubilate. Nello specifico vorremmo essere ascoltati per la morte del detenuto Piscitelli Cuono Salvatore deceduto in data 09-03-2020 verso le 10:30 ℅ la C.C. di Ascoli Piceno come espletato al capo sub e).

e) Che il detenuto Piscitelli Salvatore, già brutalmente picchiato presso la C.C di Modena e durante la traduzione, arrivò al C.C di Ascoli Piceno in evidente stato di alterazione da farmaci tanto da non riuscire a camminare e da dover essere sorretto da altri detenuti. Una volta giunto alla sezione posta al 2° piano lato sx gli fu fatto il letto dal detenuto D’angelo Francesco poichè era visibile a chiunque la sua condizione di overdose da farmaci. Appoggiato sul letto della cella n°52 gli fu messo come cellante il detenuto Mattia Palloni. Tutti ci chiedemmo come mai il dirigente sanitario o il medico che ci aveva visitato all’ingresso non ne avesse disposto l’immediato ricovero in ospedale. Tutt facemmo presente al commissario in sezione e agli agenti che il ragazzo non stava bene e necessitava di cure immediate. Non vi fu risposta alcuna. La mattina seguente in data 09-03-2020 fu fatto nuovamente presente sia da parte di Cipriani Claudio che Piscitelli non stava bene, emetteva dei versi lancinanti e doveva essere visitato nuovamente ma nulla fu fatto. Verso le 09:00 del mattino furono nuovamente sollecitati gli agenti affinché chiamassero un medico, qualcuno sentì un agente dire “ fatelo morire “, verso le 10:00 – 10:20 dopo molteplici solleciti furono avvisati gli agenti che Piscitelli Salvatore era nel letto freddo, Piscitelli era morto. Il suo cellante fu fatto uscire dalla cella e ubicato nella cella n°49 insieme al D’angelo. Piscitelli fu sdraiato sul pavimento, giunta l’infermiera la stessa voleva provare a fare un’iniezione al Piscitelli ma fu fermata dal commissario che gli fece notare che il ragazzo era ormai morto. Messo in un lenzuolo fu successivamente portato via. Successivamente abbiamo notato che molti agenti, il garante stesso dei detenuti asserivano che il Piscittelli fosse morto in ospedale, se questo dovesse essere vero confermerebbe, cosa assai grave, la presenza di atti e dichiarazioni mendaci costituenti falsi. In merito a quanto citato nel capo sub e), chiediamo di verificare l’eventuale ipotesi degli articoli citati in oggetto. Altri rapporti disciplinari sono stati fatti rilasciando deposizioni mendaci come il rapporto ai danni del detenuto Bianco accusato di essersi rivolto ad un’infermiera usando termini non consoni. A nulla sono servite le sue spiegazioni volte a dimostrarne il contrario.

Si è parlato molto della rivolta di Modena ma nessuno si è interrogato su cosa fosse realmente accaduto. È inopinabile che vi siano stati dei disordini ma nessuno di noi è stato interrogato o sentito come persona informata sui fatti, partecipe o altro, tutto si è basato sulle sole dichiarazioni delle direzioni che nulla hanno fatto per fare vera chiarezza. Le nostre dichiarazioni non sono state raccolte sminuendo di fatto la nostra persona. Il sistema carcere è in evidente stato di crisi vivendo condizioni di sovraffollamento e degrado in maniera tacita e accondiscendente tende a sminuire e tollerare atteggiamenti violenti e repressivi ad opera di chi indossando una divisa dovrebbe rappresentare lo stato. È chiaro che si tratta di una minoranza, non vi sarà mai una riformabilità efficace. Le direzioni a nostro parere sono responsabili dell’accaduto non potendo non sapere.

Chiediamo a codesta Ecc.ma Procura di verificare in maniera alacre quanto citato ai capi sub a), b), c), d), e). Eventualmente di avallare le nostre richieste di trasferimento e di ascoltarci in modo collettivo o individuale.

I nostri avvocati, elencati, sono al corrente di quanto esposto e ne hanno copia, disponibili ad eventuali confronti.

Porgiamo deferenti ossequi

Ascoli Piceno 20-11-2020

Cipriani Claudio

Bianco Ferruccio

Mattia Palloni

D’angelo Francesco

Belmonte Cavazza

COSA ACCADE A TOLMEZZO

Cronaca di un contagio annunciato
La sanità dentro il carcere sta diventando qualcosa di impercepibile: nessun intervento di prevenzione è stato messo in atto all’inizio della seconda ondata di contagio, con un fatalismo esemplare. Mentre qui fuori stiamo assistendo all’inevitabile fallimento dello Stato e dei suoi tentacoli locali nel garantire la salute anche della popolazione più esposta e vulnerabile (con
l’ecatombe nelle strutture per anziani), parallelamente da dentro le carceri di questo Paese stanno filtrando le notizie di un consapevole menefreghismo da parte degli apparati nell’interessarsi alla gestione del contagio.
Le condizioni igienico-sanitarie delle carceri italiane le conosciamo bene e sono quelle di discariche, dove il materiale da smaltire sono le persone detenute. In questo quadro era impossibile impedire un contenimento del Covid.
Per quanto riguarda il carcere di Tolmezzo, venerdì scorso è spirato un detenuto di 71 anni, condannato al 41 bis, il carcere-tomba, altri 2 detenuti tolmezzini risultano ricoverati a Verona e 3 ancora ricoverati all’ospedale di Tolmezzo. Il picco è stato di 155 positivi su 200 detenuti.
I detenuti usano le stesse docce, dormono in cella spesso sovraffollate e mantenere le distanze diventa impossibile. I colloqui sono sospesi da marzo, come tutte le attività: il virus entra in prigione attraverso i secondini, che non si fanno scrupoli a lavorare senza rispetto delle norme igieniche fondamentali della tutela propria e altrui. Una volta scoppiato il contagio, nessuna delle istituzioni implicate (direttrice del carcere, dirigenti del DAP, magistratura, distretto e azienda sanitaria, mass media…) si cura di svolgere il proprio compito, ma al contrario ognuna si occupa di assecondare il muro di omertà a tutela del mantenimento proprio e dei propri privilegi. In altre parole la verità del contagio non filtra fuori dal carcere ma rimane isolata, murata dentro la galera. Se la verità non si racconta, muore: ma la verità vive se viene detta, ed emerge con tutta la sua forza.
Per questo SABATO 19 DICEMBRE alle 14 saremo a Tolmezzo davanti al carcere in via Paluzza.

Verità per Emanuel

Nella notte fra il 4 e il 5 dicembre, o forse al mattino del 5 dicembre, è deceduto un ragazzo di 33 anni, Emanuel Scalabrin, in una cella di sicurezza della Caserma dei CC di Albenga.
Forse, perché in questa terribile vicenda non si è neppure in grado di conoscere il momento in cui è avvenuta la sua morte.
Le circostanze del suo arresto, avvenuto in casa, alla presenza della sua compagna, del trasferimento in cella di sicurezza e della sua morte sono attualmente oggetto di indagine da parte della Procura di Savona.
Giovedì 10 dicembre è stato nominato l’anatomo patologo dell’Università di Genova che ha provveduto all’autopsia sul cadavere e si è in attesa di conoscere l’esito e soprattutto le cause di questa morte improvvisa.
Emanuel aveva problemi di dipendenza, storie di sofferenza e carcere che troppo spesso condannano le esistenze delle persone, portano a morti sommerse, in circostanze dove l’abuso della forza, la solitudine e il disagio prevalgono su ogni più elementare diritto.
Molti i particolari della vicenda che lasciano dubbi ai suoi familiari e aggiungono un carico di dolore ancora maggiore.
Secondo il racconto dei parenti il 4 dicembre Emanuel verso le 12.30 si trova nella sua casa di Ceriale insieme alla compagna Giulia, mentre il loro figlio minore di 9 anni si trova presso una famiglia di amici.
Ad un certo punto mentre si apprestano a pranzare viene a mancare la corrente elettrica ed Emanuel esce dalla porta di casa per verificare se si tratta di un’interruzione o altro.

Improvvisamente viene spintonato all’interno dell’alloggio da alcuni agenti in borghese che erano lì appostati per l’irruzione, lui viene trascinato all’interno della casa fino alla camera da letto e qui gettato sul materasso dove viene colpito in ogni parte del corpo torace, addome, schiena, viso ed estremità.
Emanuel urla e chiede aiuto, dice che non riesce a respirare mentre Giulia la sua compagna implora i carabinieri del nucleo di Albenga di fermarsi.
Emanuel sarà successivamente tradotto nella cella di sicurezza della caserma dei carabinieri di Albenga, dove verso sera sarà chiamata la guardia medica perché Emanuel non stava bene e presentava sintomi morbosi.
Dopo una visita di un’ora, la Guardia Medica chiede ai CC che egli venga trasferito al Pronto Soccorso di Pietra Ligure per accertamenti sulle condizioni cliniche, avendo verificato che aveva la pressione alta e tachicardia.
Qui la visita, se così si può dire, dura …… 5 minuti, compreso il tempo di compilare la cartella clinica del paziente!!
Rientrato in Caserma viene nuovamente ristretto in cella e solamente alle 11 del mattino successivo i CC si accorgono della sua morte.
Molti sono i segni sul cadavere, che dovranno trovare una spiegazione: macchie ipostatiche? In varie parti del corpo? Sia sul viso che sul corpo? Sia nella parte anteriore sia nella parte posteriore del corpo?
Incredibilmente poi, si è saputo che non è stato possibile stabilire il momento della morte, in quanto il sistema DVR delle telecamere era non funzionante, e quindi impossibile monitorare lo stato di salute dei detenuti.
I familiari di Emanuel non si danno pace e per avere maggior tutela hanno conferito l’incarico a un avvocato dello
Studio Legale Branca STA di Genova e Savona e ad un consulente medico legale.
Le circostanze della morte di Emanuel devono essere chiarite e non può lasciar cadere il silenzio su questo susseguirsi di violazioni di diritti e incongruenze…
Per questo motivo abbiamo chiesto che venga sottoposta un’interrogazione parlamentare al ministro dell’Interno Luciana Lamorgese.

COMUNITA’ SAN BENEDETTO AL PORTO

ZEROCALCARE: «INDAGINE SULLE RIVOLTE IN CARCERE»

In tutte le edicole potete trovare (130 pagine per 7 euri) «Scoop» – supplemento al settimanale «Internazionale» – ovvero «reportage e inchieste a fumetti da tutto il mondo». E’ davvero un giornalismo prezioso quello di Baudoin, Barbara Yelin e altre/i ma per quel che ci riguarda oggi è fondametale leggere – e far circolare – il lavoro d’inchiesta portato avanti da Zerocalcare. A suo modo: con l’ironia e con il dolore. Sono 30 pagine piene di quelle informazioni che i grandi media (quasi tutti) nascondono e di riflessioni sul degrado nelle carceri italiane; riflessioni che chiunque creda davvero in una democrazia appena decente dovrebbe fare sue. E far circolare. [db]

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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