Narrator in fabula? Sesta puntata

dove Vincent Spasaro intervista Sandro Pergameno (*)

Se qualcuno di voi non ha letto il suo nome da qualche parte – in libri polverosi sugli scaffali come nelle nuovissime edizioni ebook – vuol dire che è stato rapito dagli alieni per più di trent’anni e allora mi congratulo con lui perché quelle nuove ali meccaniche dietro la schiena e le branchie dietro le orecchie gli donano molto.

Sandro Pergameno è la fantascienza e il fantasy in Italia degli ultimi 30-40 anni insieme a pochi altri nomi (Curtoni, Montanari, Lippi) avendo curato, editato, tradotto e portato nella penisola praticamente tutti gli autori e le autrici che ci hanno fatto sognare. Non solo: Sandro è stato già, in tempi non sospetti, l’alfiere della commistione fra stili, e rappresenta uno sguardo privilegiato e prezioso sul futuro.

Se oggi tenete in mano un libro che squassa l’albero del fantastico esiste una grande probabilità che lo dobbiate a lui. Insomma, è la persona più adatta per parlare di quella che è stata la grande invasione di fantasy e science fiction in Italia come del futuro che ci aspetta.

Sei famoso come uno di più grandi esperti e curatori editoriali di letteratura fantastica in Italia. Come è nata questa passione?

«La mia passione per il fantastico risale alla fine degli anni cinquanta. A nove anni, per Natale, un mio zio mi regalò alcuni libri per ragazzi, fra cui un romanzo di fantascienza, “Il sole sotto il mare”, di Jean Gaston Vandel, che mi piacque enormemente e mi conquistò per il messaggio di libertà di cui era intriso. Si parlava di una dittatura oppressiva e di una ribellione alla schiavitù. Era una collana per ragazzi, credo che il nome fosse Fantascienza Saie. In seguito presi a leggere collane da edicola come Urania e Cosmo Ponzoni. Era l’epoca dei primi capolavori di Urania (che usciva settimanalmente, se ben ricordo) e tanti sono i libri che mi colpirono, ma una menzione particolare va a “Cristalli sognanti” del grande Theodore Sturgeon (sento il rumore della sedia dove è saltato e ricaduto db – Nota dell’intervistatore) e alla “Trilogia della Galassia Centrale” di Asimov».

Come hai vissuto in gioventù quel fervore culturale che all’epoca ci regalava autori oggi considerati classici della letteratura senza confini?

«La mia gioventù è stata profondamente segnata da eventi drammatici, la morte di mia madre in primis, e dalla passione per la fantascienza che era la mia valvola di sfogo rispetto a un mondo abbastanza triste e noioso. Jack Vance, in particolare, era uno degli autori che amavo di più, soprattutto per la sua capacità di farmi sognare mondi fantastici e di evadere quindi dalla realtà della vita quotidiana. Crescendo, ho partecipato, anche se non posso dire di essere stato in prima linea, al fervore del Sessantotto e dei movimenti che arrivavano dall’America di quei tempi (il flower power). In questo senso, la mia giovinezza è stata influenzata da autori che all’epoca raggiungevano il loro apice narrativo, come Robert Silverberg, Philip José Farmer e Philip K. Dick. Ricordo che ai tempi dell’università ci riunivamo con altri fan in uno scantinato in subaffitto per discutere della nostra passione e delle magnifiche uscite di quei tempi. Non dimentichiamo che si era agli inizi degli anni settanta e la fantascienza in Italia viveva un’età dell’oro, con la nascita di case editrici specializzate di grande impatto e livello come la Nord, la Fanucci e la Libra».

Si parla spesso della Milano di Urania, Nord eccetera, o dei Curtoni, Montanari e Lippi. Com’era a quei tempi la situazione romana? Rifletteva maggiormente schieramenti politici dell’epoca, era più provinciale, vicina alle suggestioni d’oltreoceano, o aveva una sua precisa caratterizzazione?

«A Roma eravamo più neutrali, politicamente parlando. Nel nostro club di fantascienza non si parlava molto di politica, anche se molti di noi osservavano con simpatia i movimenti di cui parlavo prima. L’amicizia con De Turris e Fusco, che vennero a trovarci nel buio scantinato dove ci incontravamo il giovedì sera, ci costrinse a una posizione di neutralità. Personalmente sono sempre stato un moderato, il che non vuol dire che non abbia le mie opinioni politiche. Ricordo vivaci discussioni con i due curatori della Fanucci e soprattutto con Sebastiano, che frequentavo regolarmente e di cui ero molto amico. Per inciso, una persona davvero squisita, colta e dotata di un eccezionale senso dell’umorismo».

Come sei giunto alla cura delle collane Nord?

«Per arrivare alla mia cura come direttore editoriale della Nord bisogna passare prima da alcune esperienze semiprofessionali precedenti. I due curatori della Fanucci chiesero ad alcuni di noi se volevamo tradurre qualche libro: io e Maurizio Nati accettammo l’incarico. Ricordo varie traduzioni interessanti e di un certo rilievo, ad esempio antologie di Philip Dick e James Blish, un romanzo di Poul Anderson e uno di Phil Farmer. Contemporaneamente cominciai a scrivere anche alcuni articoli su varie fanzine e anche per Fanucci. Andai a varie Convention, a Trieste e poi a Ferrara, dove ebbi modo di conoscere molti personaggi influenti dell’epoca, fra cui Lippi, Riccardo Valla, Ernesto Vegetti e lo stesso Gianfranco Viviani, l’editore della Nord. La mia esperienza di curatore della Nord nasce sostanzialmente da questo pregresso e dalla esperienza come curatore di una rivista degli anni settanta (1976, per l’esattezza), “Fantascienza Ciscato”, di cui uscirono soli tre numeri ma che fu comunque molto apprezzata dagli appassionati dell’epoca e in particolare da Gianfranco Viviani, editore appunto della Nord. Quando Viviani, nel 1978, si ritrovò a dover scegliere un nuovo curatore delle sue collane, mi telefonò e mi chiese se ero interessato a fare l’editor della Nord. Naturalmente accettai con entusiasmo. Questa esperienza, che durò fino al 1987, fu estremamente divertente anche se a suo modo impegnativa. Scrivere le introduzioni a quasi tutti i volumi delle collane Nord è stata un’esperienza molto interessante ma anche piuttosto intensa. Ho dedicato molto tempo alla Nord e Viviani (ahimè scomparso di recente) rimane una delle persone più gradevoli e competenti con cui abbia collaborato. Devo dire inoltre che mi ha sempre lasciato estrema libertà di scelta, a parte alcuni casi eccezionali. Nel bene e nel male mi sento responsabile di gran parte delle uscite dell’epoca. Ricordiamo che a quei tempi si poteva ancora scegliere il meglio della produzione inedita di autori come Robert Silverberg, Philip José Farmer, Jack Vance, Ursula LeGuin e dello stesso Philip Dick».

Puoi raccontarci di qualcuno dei tanti autori che hai scoperto?

«Penso di aver lanciato qualche autore importante, anche se poi qualcuno è già passato di moda. Penso a Joan Vinge, Marion Zimmer Bradley, C. J. Cherryh, Charles Sheffield, Gene Wolfe. Credo di aver pubblicato anche il meglio di Fred Pohl, Poul Anderson, Gordon Dickson e degli stessi Farmer e Vance. Anche molto Dick è passato per le mie mani quando ero alla Nord».

Qualche aneddoto relativo alla tua esperienza editoriale?

«Ho molti ricordi belli della mia esperienza come curatore della Nord. Fra i più belli rimane una memorabile Convention a Stresa nel 1980 in cui mi ritrovai fianco a fianco di autori come Alfred Bester e Ben Bova. Bester mi colpì in maniera particolare come l’incontro con Theodore Strugeon a Ferrara nel 1976. Alla mia proposta di pubblicare i suoi racconti inediti degli anni quaranta (i suoi inizi, non di grande qualità, a dire il vero) mi lanciò uno sguardo colmo di feroce ironia e dichiarò che non avrebbe mai dato il suo assenso. L’amicizia più importante, ancora viva, è quella con Robert Silverberg, che rispondeva alle mie lettere con qualche irripetibile frase in uno stentato italiano (sempre meglio del mio inglese, per carità). Conservo ancora le sue lettere, come quelle di Jack Vance, di Poul Anderson e Gordon Dickson».

Hai maggiore inclinazione per la science fiction o per il fantasy, avendo percorso in lungo e in largo entrambi i generi con scorribande anche nell’horror?

«Sf, fantasy, horror… Sono sempre stato un lettore abbastanza onnivoro, e anche adesso spesso sento la necessità di alternare i generi, non disdegnando nemmeno qualche importante excursus nel mainstream. E poi, a quei tempi, il fantasy (noi dicevamo la fantasy…) non era ancora esploso e molte delle opere di fantasy erano scritte da autori importanti della sf, come Fritz Leiber, Poul Anderson, C. L. Moore, Sprague De Camp. Non c’era ancora una contrapposizione violenta e netta di generi e autori (e anche di lettori) come avviene oggi. Non ho mai amato molto l’horror invece, anche se ho letto Lovecraft e i classici dell’ottocento e dei primi del novecento, e mi piace Stephen King (almeno nelle sue opere più mature)».

Poi l’esperienza con la Nord si è conclusa e sei tornato a Fanucci che nel frattempo si era rinnovata. Anche lì ti sei dato molto da fare inserendo autori ancora sconosciuti in Italia. Ci vuoi parlare del tuo ultimo ventennio, che oggi si ripropone con la cura di una collana per l’editore on line Delos Digital?

«Ho lasciato la Nord perché il mio lavoro vero, quello di informatico, non mi lasciava più tempo libero a sufficienza per occuparmi seriamente delle numerose collane della casa editrice. Per circa cinque anni non ho più nemmeno letto fantascienza. Evidentemente la mia mente aveva necessità di ricaricare le batterie. Nel 1992 però Sergio Fanucci, subentrato alla morte del padre Renato, mi chiamò per aiutarlo nella gestione della casa editrice, dato che aveva avuto problemi a rapportarsi con il precedente direttore (divergenze di opinioni, diciamo). Fui ben felice di riprendere a lavorare nel settore. Anche se i tempi stavano cambiando, in peggio purtroppo per l’editoria di fantascienza, ho avuto modo di collaborare alla nascita di numerose collane e di lanciare anche molti autori nuovi, soprattutto su Solaria, un’iniziativa molto bella ma forse troppo ambiziosa per i tempi. Ricordo in particolare Alexander Jablokov, Walter Jon Williams, Nancy Kress, Patricia Anthony, Maureen McHugh, Robert Charles Wilson. Molti meriterebbero un ripescaggio e una nuova chance presso il grosso pubblico. Il mio nuovo sodalizio con Silvio Sosio e con Delos Digital va proprio in questa direzione: lanciare o ripescare nuovi autori del mondo anglosassone».

Vedi nuovi autori interessanti che dovrebbero essere tradotti o che sono sottovalutati?

«Tra i nuovi apprezzo molto il multiforme Robert Reed, Kristine Kathryn Rusch, con la sua space opera umana e assai personale, l’americana di origine viet Aliette de Bodard, Paolo Bacigalupi e il grande Alastair Reynolds, un autore che riesce a combinare trame avvincenti e grandiose, idee tecnologiche all’avanguardia e avventura classica in una maniera davvero perfetta. Peccato che le sue opere siano sempre molto lunghe (600-700 pagine) e che ciò pregiudichi, assieme al costo dei diritti e delle traduzioni, la loro pubblicazione in Italia. Un altro, che invece è già noto nel nostro Paese, e che mi sembra eccezionale nel suo eclettismo, è Ian M. Banks, autore del Ciclo della Cultura. Infine citerei anche China Mieville, autore stilisticamente assai dotato, di cui ricordo originalissime opere come “Perdido Street Station”, “La città delle navi” e “La città e la città”, tutti usciti per Fanucci».

Cosa pensi delle rivoluzioni che interessano l’editoria? Tu, che hai attraversato l’Italia del fantastico vedi una via d’uscita alla crisi che anno dopo anno sembra divenire strutturale in campo editoriale?

«Sono piuttosto pessimista sull’editoria fantascientifica in Italia e sull’editoria in genere. L’arrivo del digitale ha permesso a molti lettori di avvicinarsi a opere non più ristampate ma ha finito per dare il colpo mortale all’editoria tradizionale. Al contempo molti lettori italiani continuano a prediligere il cartaceo andando alla ricerca dei vecchi titoli sulle bancarelle. I nuovi prediligono in genere il digitale ma le vendite di questo tipo sono ancora troppo poche perché gli editori possano ripagarsi dei costi delle traduzioni e dei diritti. Tutto ciò innesca una spirale negativa che sta portando alla scomparsa della fantascienza dalle librerie italiane. In edicola ormai è rimasta solo Urania, che, pur nelle sue varie forme, predilige ristampe alle novità. Naturalmente l’editoria specializzata e la stessa fantascienza, come genere, hanno le loro responsabilità in questo lento declino».

Cosa pensi delle evoluzioni del genere? Quel che un tempo era eccitante e innovativo oggi è divenuto una scatola in gran parte vuota? Il genere si è modificato, imbastardito e allontanato dai canoni che noi appassionati (attempati) veneriamo senza un ricambio generazionale?

«Il mondo dell’editoria è cambiato in maniera sostanziale in questi trent’anni. La fantascienza è andata perdendo sempre più pubblico e popolarità a favore del fantasy e di altri generi collaterali come l’urban fantasy. Ciò è dovuto, a mio modesto parere, a una serie di fattori. In primis, gli autori di fantascienza hanno denunciato sempre più una carenza di nuove idee, proprio mentre la realtà andava oltrepassando la fantasia e le predizioni dei vecchi autori. Al contempo si è sviluppata enormemente il fantasy, sull’onda dei successi di saghe grandiose e avvincenti, come “Il Signore degli Anelli” o “La ruota del tempo” di Robert Jordan. Il fantasy ha un grosso vantaggio rispetto alla fantascienza: può essere apprezzato più facilmente perché richiede meno sforzi intellettuali e si rifà a canoni unanimemente riconosciuti nella letteratura mondiale e nella tradizione epico-favolistica (la lotta fra il bene e il male, le saghe nordiche, l’eroe che si batte per conquistare l’amore della principessa). Il cinema ha inoltre aiutato molto il successo del fantasy: mi riferisco non solo alla trilogia del “Signore degli Anelli” ma anche alla saga di Harry Potter, che ha portato una ventata nuova anche nella letteratura per ragazzi e ha avvicinato nuove generazioni a questo genere letterario. In sostanza oggi la fantascienza è diventata un genere secondario rispetto al fantasy ed è apprezzato soprattutto da vecchi appassionati come me. Poi non dimentichiamo che oggi si legge sempre di meno, in Italia come nel mondo. Internet, i social, la stessa vita relazionale hanno cambiato il mondo. Ci sono insomma tanti altri interessi che privilegiamo a scapito della lettura.

Spero di non apparire troppo disfattista perché in realtà io sono sempre entusiasta e pronto a qualsiasi nuova iniziativa. D’altro canto la logica dei fatti impone di essere realisti e accettare quelli che sono dati di fatto incontestabili. Ai miei tempi alla Nord avevamo una base di diecimila lettori, e Urania ne aveva circa 50.000. Oggi se si vende un decimo è già tanto».

Le ultime parole di Sandro fanno riflettere e pongono ulteriori interrogativi. Ma quel che più rimane di questa bella chiacchierata è la sensazione di aver percorso alla velocità della luce uno spaccato temporale vasto e multiforme guardando, attraverso gli occhi di uno dei protagonisti, l’evoluzione di un intero mondo dai suoi albori ormai mitologici alla realtà contemporanea.

(*) Quota 6. Vincent Spasaro intervista per il blog autori-autrici, editor, traduttori, editori del fantastico, della fantascienza, dell’orrore e di tutto quel che è fantasia, alla ricerca dei misteri del loro mondo interiore. Prima di Pergameno il blog ha ospitato le chiacchierate con Danilo Arona, Clelia Farris, Fabio Lastrucci, Claudio Vergnani e Massimo Soumaré. E prossimamente? Nella sfera di cristallo che tengo sotto il tallone per ogni evenienza sento «Cometto»… Però siccom sono un po’ sordo e il tallone è lontano (dall’orecchio) vedremo fra 7 giorni se ho inteso bene. (db)

 

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