Nè centro, né compromessi: alle sinistre serve coraggio
di Mario Sommella (*)
Ogni volta che si riaccende il dibattito su un’ipotetica “unità delle opposizioni”, il discorso si arena su una sabbia mobile tossica: il ritorno di Renzi e Calenda nell’orbita di un presunto campo progressista. Come se bastasse allargare geometricamente una coalizione per costruire consenso, dimenticando che l’elettorato progressista non è un’equazione numerica, ma una questione di fiducia, coerenza e visione.
Eppure, per motivi che oscillano tra il masochismo, la miopia politica e la disonestà intellettuale, ancora oggi si propone di “fare accordi” con chi ha smantellato il lavoro, affossato la Costituzione, distrutto governi popolari e spalancato le porte alla destra.
Questo articolo vuole spiegare, una volta per tutte, perché Renzi e Calenda rappresentano un ostacolo strutturale alla costruzione di qualsiasi campo progressista, e perché l’unica via d’uscita è la costruzione di un fronte popolare autonomo, partecipato e radicale.
Renzi: il cavallo di Troia nel campo largo
- Non ha voti, ma toglie voti
Matteo Renzi non porta consenso, lo erode. Italia Viva galleggia stabilmente tra l’1,5% e il 2,5% nei sondaggi, con una base elettorale che si sovrappone a quella dei delusi del PD o dei moderati stanchi. Se si include Renzi in una coalizione con Conte, Fratoianni, Bonelli o Unione Popolare, il risultato è una fuga immediata dell’elettorato più giovane, più impegnato, più coerente.
Renzi non rafforza il campo: lo frantuma. E i numeri parlano chiaro. Ogni volta che appare sulla scena, si registra un calo della partecipazione progressista, un’impennata dell’astensione e un rafforzamento indiretto della destra.
- Non è di centrosinistra: è di centrodestra, mascherato
Il renzismo è stato l’egemonia liberale all’interno del campo progressista: ha smontato l’articolo 18, precarizzato il lavoro, aperto alla svendita dei beni comuni, lottizzato la Rai, imposto riforme costituzionali autoritarie, sostenuto regimi come quello di bin Salman.
Renzi è un Silvio Berlusconi che non ce l’ha fatta, ma con un’ambizione più cinica e una strategia più tossica. Non ha mai rappresentato il popolo, ma i salotti. Non ha mai sfidato i poteri, ma li ha serviti.
- È inaffidabile: distrugge tutto ciò che tocca
Chi si allea con Renzi finisce sistematicamente per essere pugnalato alle spalle. Lo ha fatto con Letta, con Bersani, con Conte, con il suo stesso partito. La sua strategia è da manuale di destabilizzazione: entra, divide, mina, e poi distrugge.
Pensare di includerlo in una coalizione “contro la Meloni” è come chiedere al piromane di spegnere l’incendio.
Calenda: l’illusionista neoliberale del centro vuoto
- Calenda odia la sinistra, non la destra
Calenda è il Macron italiano: apparato senza popolo, arroganza senza profondità, visibilità senza radicamento. L’unica cosa che ha sempre fatto coerentemente è attaccare la sinistra sociale: odia Conte, disprezza i sindacati, insulta i movimenti e bolla chiunque metta in discussione il liberismo come “populista”, “cialtrone”, “no vax”, “terrappiattista”.
Al suo congresso ha dichiarato che con i 5 Stelle non si può costruire nulla, che il campo largo è una “accozzaglia” e che il futuro è fatto di manager e tecnici. Come se la crisi climatica, economica e sociale potesse essere risolta da curriculum e PowerPoint.
- Il terzo polo non esiste
Azione e Italia Viva insieme non superano il 6-7%. Sono un progetto mediatico, non politico, tenuto in vita da editoriali, salotti TV e endorsement bancari. Nelle urne, sono un’eco sbiadita di Draghi, Monti e Forza Italia. Quando si presentano da soli, vengono ignorati. Quando si avvicinano a sinistra, la sinistra si svuota. È un vicolo cieco.
- Il centro è un miraggio tossico
Il centro non è più una posizione politica: è una strategia di delegittimazione del conflitto. È l’idea che non esistano più destra e sinistra, ma solo “competenze”. Ma chi ha governato con “le competenze” ha prodotto tagli, precarietà, diseguaglianza e guerra.
Calenda non può essere un alleato. È il problema, non la soluzione.
Una coalizione con Renzi e Calenda? La fine della sinistra
L’aporia dell’unità numerica
Una coalizione con dentro Renzi e Calenda dura sei minuti, dice qualcuno. Forse anche meno. Non per colpa di personalismi, ma perché è politicamente impossibile conciliare chi vuole abolire il reddito di cittadinanza con chi vuole rafforzarlo, chi privatizza la sanità con chi la difende, chi sogna bin Salman con chi sogna l’articolo 3 della Costituzione.
Non è possibile costruire una credibile alternativa democratica includendo i sabotatori della democrazia sociale.
L’effetto boomerang sugli astenuti
Il grande problema italiano non è solo la destra: è l’astensione. Milioni di persone non votano più perché non credono che esista un’alternativa. Pensano che siano tutti uguali, tutti venduti, tutti complici. Inserire Renzi e Calenda in un progetto di rinascita politica rafforza questa percezione, e non fa tornare nessuno alle urne. Anzi, allontana anche chi ci credeva.
L’unica strada: costruire un fronte popolare autonomo
Non un “campo largo”, ma un fronte costituente
Il cosiddetto “campo largo” è morto il giorno in cui si è pensato di costruirlo senza identità e senza popolo. Non serve un’alleanza di leader in TV, ma una convergenza di lotte reali. Un fronte autonomo, radicale, partecipato, che parta dal basso e si costruisca fuori dagli schemi tossici dei partiti centristi.
Questo fronte può e deve nascere attorno a:
• Lavoro dignitoso, fine della precarietà e salario minimo.
• Scuola e sanità pubblica universali.
• Transizione ecologica giusta.
• Fiscalità redistributiva e patrimoniale.
• Difesa dei beni comuni e partecipazione democratica.
• Riconversione dell’apparato bellico in investimenti sociali.
• Politica estera autonoma, multipolare e di pace.
Con chi costruirlo?
Con chi resiste e combatte già oggi: lavoratori, studenti, sindacati di base, attivisti climatici, associazioni territoriali, movimenti femministi e transfemministi, reti per la pace, comitati per la casa, collettivi culturali, spazi autogestiti, cooperative, comunità solidali.
Non serve inventare nulla. Serve dare rappresentanza politica a ciò che già esiste, e che oggi non trova voce nei partiti.
Conclusione: né centro, né compromessi, ma visione e coraggio
Il tempo dei giochi di palazzo è finito. La destra governa perché la sinistra ha smesso di essere tale. Ha abdicato all’autonomia culturale, alla visione, alla radicalità. Ha inseguito il “centro” e ha perso se stessa. Ora è il tempo di una nuova fase costituente.
Chi pensa che Renzi e Calenda possano far parte della soluzione, è parte del problema. Chi vuole cambiare davvero, deve avere il coraggio di rompere. Di dire no. Di partire da zero, ma con dignità.
Perché meglio soli e coerenti, che insieme e sconfitti ancora una volta.
FONTI E RIFERIMENTI
• Dati sondaggi EMG, SWG, Ipsos (2023–2025).
• Interventi pubblici di Calenda e Renzi (congressi, social media, dichiarazioni stampa).
• Analisi ASTENSIONISMO (Demos, ISTAT, Openpolis).
• Riflessioni da post pubblici di Andrea Scanzi e attivisti sui social.
• Articoli di Revelli, Urbinati, Ginsborg, Rodotà sul declino della rappresentanza.
• Esperienze di base: Fridays for Future, Rete dei Numeri Pari, Medicina Democratica, Potere al Popolo, Comitati acqua pubblica, Rete Nazionale per il Reddito,.
(*) ripreso da «Un blog di Rivoluzionari Ottimisti. Quando l’ingiustizia si fa legge, ribellarsi diventa un dovere»: mariosommella.wordpress.com
Tutte le vignette sono scelte dalla redazione della “bottega”: tre sono riprese da «Il fatto quotidiano» mentre una l’abbiamo rubata a Ellekappa.