Operaio, attore per caso, eroe senza bici

Fabio Troncarelli ricorda Lamberto Maggiorani e poi s’arrabbia con i cattedratici del “Canone”

Il 28 agosto 1909 nacque a Roma Lamberto Maggiorani… Lamberto chi? Oggi molti non ricordano il suo nome eppure ebbe fama internazionale: è stato infatti il protagonista di «Ladri di biciclette» di Vittorio De Sica.

Lamberto Maggiorani era un operaio alla Breda di Roma. Entrò nel cinema per caso, senza sapere bene che fare e che dire. Chi ha visto il film non può dimenticare il suo volto. Ma a livello di “memoria pubblica” non è così. Strano vero? E non vi pare strano che pochi si ricordino di Carlo Battisti, il protagonista di «Umberto D.» dello stesso De Sica? O di Rinaldo Smordoni, il ragazzino smarrito di «Sciuscià» – che nel 1948 vinse l’Oscar per il miglior film straniero – sempre di De Sica? Sento già i commenti di saputelli abituati a sputare sentenze su Twitter: «Ma è ovvio. Erano tutti attori non professionisti, che dopo non hanno fatto più niente, mica erano Star che frequentavano il Jet Set». La scusa è proprio fiacca. Carlo Battisti era un rispettabile e stimatissimo professore universitario, che ha proseguito la sua brillante carriera accademica dopo «Umberto D.». E nessuno si ricorda di lui né come attore né come professore. Quanto alla qualifica di “attori non professionisti”, appioppata a icone della storia del cinema, non ci voleva molto a trasformare il “dilettante” in professionista, investendo con lungimiranza sul suo talento, visto il successo che ciascuno aveva avuto. Bastava mettersi a sua disposizione, mandarlo a scuola di recitazione, scrivere soggetti adatti a lui: come è stato fatto, con successo, per Franco Interlenghi che era il compagno di Smordoni in «Sciuscià». Allora perché a questi volti meravigliosi e talenti naturali non è toccato il destino toccato ad altri volti meravigliosi ma del tutto privi di talento, come Gina Lollobrigida e altre squinzie, il cui unico titolo di merito erano le grandi poppe? Prima di rispondere a questa domanda vale la pena porsene un’altra, strettamente pertinente. Come mai sono stati ampiamente dimenticati grandissimi talenti che hanno collaborato alla creazione dei capolavori di De Sica e di altri registi? Pensiamo a straordinari sceneggiatori come Sergio Amidei, Adolfo Franci, Gerardo Guerrieri… per non parlare di altri – come Rodolfo Sonego o Luciano Vincenzoni – a cui i più grandi registi italiani del dopoguerra sono debitori. Qualche personaggio mitico, come Age o come Scarpelli, è ancora giustamente ricordato: ma tanti altri invece sembrano essere conosciuti solo dagli studenti di “Storia del Cinema” che preparano l’esame. Quanto a chi studia “Letteratura moderna e contemporanea” non speriate che abbia presente con chiarezza le opere di certi sceneggiatori, che pure hanno scritto opere indipendenti dal cinema, di cui magari si ricorda il titolo senza averle lette: persone come Cesare Zavattini, Ennio Flaiano, Giuseppe Berto, Mario Soldati… Perché mai c’è questo disinteresse generalizzato, a malapena mascherato da un’equivoca e untuosa riverenza da catechismo? La saccenteria erudita classifica certi autori ed attori nel limbo di una storia del cinema imparata a memoria ma i loro fantasmi senza pace non si devono permettere di uscire per andare nel paradiso delle persone veramente importanti.

A dire tutta la verità un problema simile si pone anche nell’ambito della storia della letteratura. Lo si è visto bene nel corso di demenziali convegni dedicati al «Canone della letteratura», promossi da illustri cattedratici, le cui mostruose conclusioni sono state scrupolosamente compendiate e propagandate da uno stuolo di devotissimi e piissimi leccapiedi. In queste apoteosi del Canone della letteratura – stabilito non si sa bene da chi ma comunque ferreo e normativo – si ripete ossessivamente da più di vent’anni che il Canone è il Canone e tutto il resto peggio per lui. Ricordo ancora lo sgomento in sala in uno di questi convegni, dopo l’intervento di chi aveva belato che escludere dal Canone della letteratura italiana il Fantastico era assurdo. Come si permetteva di dire questa bestemmia? Eppure il belato si è trasformato presto in un ruggito e per fortuna alcuni professori universitari e critici letterari si sono dedicati negli ultimi anni alla riscoperta di autori come Capuana, Savinio o Buzzati. Il va sans dire che snobbare il Fantastico per ingrassare un tronfio “Canone” fatto di autori straclassici significa snobbare anche «Pinocchio»: che non fa parte per quanto ne so del Canone, ma gode della fama di essere il libro più tradotto al mondo dopo la Bibbia.

Torniamo a noi dopo tanta sconsolante e sconsolata demenza. Perché nessuno vuole ricordare gli attori presi dalla strada, gli scrittori che detestano il birignao del letterato di professione o le correnti culturali che non sono gradite al potere accademico e/o al potere vero e proprio? La risposta è semplice: è questa la fine di chi non compiace il mondo di piacioni e di conformisti che ci circonda, siano essi conformisti-moralisti tradizionali o conformisti-finto liberali moderni. Il paradosso è che nella cultura italiana, sia essa cinematografica o letteraria, gli “irregolari” sono molto più numerosi e più importanti dei “regolari” che il Canone benignamente accetta e protegge. Volete una prova? Che dice il Canone di anticonformisti provocatori come Pietro Aretino, Anton Francesco Doni, Giordano Bruno e Tommaso Campanella? O di scrittori multiformi come Lorenzo da Ponte, il geniale autore dei libretti di Mozart? Che dice di folletti imprevedibili come Sergio Tofano, come Achille Campanile, come Aldo Palazzeschi per tacere di Umberto Eco e Giorgio Manganelli? E di inventori di storie straordinarie e semplificatori di linguaggio come Emilio Salgari? A scuola si studiano? Gli studenti fanno i saggi brevi, i saggi lunghi e tutto il resto-che-il-diavolo-vi-si-porti-via sul Corsaro nero che piange? Però nella scuola si sputa sudore e sangue su Pascoli, Carducci, D’Annunzio e tutto-il-resto-che-il-diavolo-vi-si-porti-via-di-nuovo! Perché certi autori non sono nel Canone? Perché non li leggono i VIP (detto all’inglese, mi raccomando: “V. AI. PI”) e non li portano sottobraccio sul Jet set? Perché non si parla di loro alla Tv una sera sì e una no? Però ci fanno conoscere mondi stregati, pieni di colpi di scena, magari infernali, ma tanto più interessanti del perbenismo politically correct: il mondo di Ariele, lo Spirito della «Tempesta» di Shakespeare a cui obbediscono i venti; il mondo del «Don Giovanni» di Mozart che ci fa sprofondare in un abisso dopo averci portato all’estasi; il mondo di Sandokan che assalta i colonialisti e riscatta i destini di chi è abituato a perdere. Come Lamberto Maggiorani in Ladri di biciclette.

 

 

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