Perché mi piace abitare a Grazie

di Giuseppe Callegari

Alcuni giorni fa una troupe della Rai – nell’ambito della trasmissione Kilimangiaro, dedicata ai borghi più significativi d’Italia – ha intervistato alcuni abitanti di Grazie (piccolo agglomerato alle porte di Mantova) ponendo la domanda: «Perché ti piace abitare qui?». Ero colpevolmente assente, ma intendo fornire il mio giudizio anche se fuori dal tempo televisivo.

Mi piace abitare a Grazie perché ha una struttura urbanistica omogenea. Nulla stona e tutto si motiva reciprocamente. A cominciare dalla piazza del Santuario nella quale alla Chiesa si contrappone un moderno bunker che si erge austero e imponente come esemplare dimostrazione che un buon rapporto con Santa Romana Chiesa apra le porte non solo del Paradiso e del muro che delimita il piazzale, ma anche quelle meno sante della Soprintendenza. Inoltre lo spazio in cui dipingono i Madonnari è delimitato da discreti paracarri che, insieme alla variegata cromaticità delle case davanti alle quali bivaccano autovetture disposte in ordine sparso, forniscono un tocco di eleganza al contesto.

E buona parte di uno dei borghi più belli d’Italia si adegua. Infatti le case si presentano personalizzate e abbellite dall’intervento umano che le ha modificate a proprio uso e consumo, naturalmente previo accordo con le compiacenti autorità competenti. Esiste anche la variante “fai da te” che consiste nel compiere un abuso confidando nell’omertà del vicino, che sarà ricompensato con un solidale futuro silenzio.

Per quanto riguarda poi le caratteristiche degli abitanti, tutto smentisce quanto scriveva il volontario toscano Ferdinando Agostini Della Seta durante la sua permanenza a Grazie prima della battaglia di Curtatone e Montanara: «L’idiotismo che vi regna fa piangere di compassione. Sono avari, attaccati al centesimo. Potranno una volta svegliarsi e pensare?».

Al contrario, conservano i valori fondanti dell’essere umano. Infatti per loro i documenti non valgono nulla e diventano carta straccia di fronte alla ferrea logica del “Qui si è sempre fatto così”. Con costoro il rapporto è schietto e semplice, non c’è spazio per gli azzeccagarbugli. Il tipico abitante di Grazie si confronta attraverso un pallottoliere alfabetico che permette un numero limitato di possibilità per interloquire e sviluppa una rassicurante e rigida struttura che prevede in ogni evenienza un inizio, una fase intermedia (dicasi una) e una fine. Non c’è spazio per altri passaggi e quando si trova spiazzato quel “tipico” non si scompone, colloca a caso uno dei tre momenti e non cede mai alla tentazione della riflessione.

La discrezione è prassi quotidiana. Infatti se il 5 agosto i Fedeli devono rendere omaggio alla Madonna della Neve, che è posta su di un muro davanti al cortile di blasfemi miscredenti, nonostante la totale disponibilità dai suddetti sempre dimostrata, non si calpesta tale spazio e ci si tiene a debita distanza. Però non si tratta assolutamente di una cattiveria, è solo un modo per non inquinare con la loro presenza.

Il pettegolezzo è un tabù. Sì è vero, s’inventano fasulli investimenti di un ragazzo nero, reiterati tentativi di pedofilia, accuse di alcolismo, ma tutto è riconducibile nel solco della prevenzione e della ricerca del bene.

La solidarietà regna sovrana. Se all’edicola il tuo ombrello rotto viene scambiato con uno funzionante, quando cerchi di restituire quest’ultimo al legittimo proprietario, ti viene risposto in un impeto di generosità: «Per Dio, questo è il mio ombrello, lo so perché è rotto».

Ci sono infine due marchi distintivi del tipico abitante di Grazie: la sincerità e la bontà.

Non si parla mai alle spalle e quando lo si fa diventare una pratica quotidiana l’obiettivo è da collegare alla sensibilità e al rispetto umano. Perché ferire una persona con verità scomode o addirittura inventate? Meglio informare preventivamente gli altri.

Ma il vero fiore all’occhiello di Grazie è la bontà. Infatti se organizzi il mercato contadino, la notte magica, il maggio fiorito, il museo dei vecchi mestieri non sei ringraziato, ma vieni accusato di voler comandare. Non bisogna però fermarsi alle apparenze perché l’obiettivo non è un invidioso disconoscimento, ma l’amorevole invito ad essere umile.

Se poi offri del cibo alla gatta della tua vicina di casa (che è assente) non aspettarti uno scontato ringraziamento, ma preparati a ricevere una gragnuola di insulti. Anche in questo caso l’apparenza inganna perché l’obiettivo del tuo interlocutore non è ferirti, ma un’empatica e fraterna esortazione a non preoccuparsi per tale incombenza in futuro.

La bontà di Grazie arriva addirittura a proporre il neocomunismo. Se vuoi difendere la tua proprietà da invasioni e abusi ti verrà rivelato che sei stato un insegnante che ha rovinato generazioni di allievi e sarai sepolto da lettere di avvocati che ti invitano ad impegnarti per costruire una società in cui la proprietà privata è un furto.

Mi si potrebbe chiedere conto del perché non abbia preventivamente interrotto la mia trentennale permanenza in questa oasi di civiltà. La risposta è molto semplice: amo il teatro e nel borgo della Madonna posso assistere in prima fila e gratuitamente alla farsa di un microcosmo del mondo rovesciato.

Grazie è sicuramente uno storico e ameno luogo, peccato che ci siano anche gli abitanti.

 

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Maria Morselli

    Non posso dire di conoscere molti abitanti del borgo ma nel corso degli anni frequentandolo ho percepito tutti gli anacronismi riportati nel precedente articolo. Io non ci abiterei mai perché sono una cittadina convinta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *