Francesco Ferracin, Gianni Biondillo, Krzysztof Pomian con…

… con Scott Weidensaul, Karin Slaughter, Gracie Mae Bradley e Luke De Noronha

sei recensioni di Valerio Calzolaio

 

In volo sul mondo. Le straordinarie imprese degli uccelli migratori – Scott Weidensaul

Traduzione di Luca Cortese

Raffaello Cortina Milano – 20222 (orig. 2021, A world on the Wing. The Global Odyssey of Migratory Birds)

Pag. 458 euro 26

 

Ovunque in aria. Che spettacolo! Negli ultimi due decenni è esplosa la conoscenza scientifica del fenomeno migratorio, delle dinamiche che permettono a un uccello, solo e al suo primo viaggio, di individuare la propria rotta attraverso il globo affrontando venti traversi, tempeste e fatiche immani. Un fattore rilevante è la vista: sembra che gli uccelli riescano a visualizzare il campo magnetico terrestre grazie a una forma di entanglement quantistico (o correlazione quantistica), un fenomeno bizzarro almeno quanto il suo nome. Oggi gli scienziati credono che le lunghezze d’onda blu della luce che colpisce l’occhio di un uccello migratore eccitino degli elettroni correlati (entangled) in un composto chimico detto criptocromo. Microsecondo dopo microsecondo una gamma di segnali chimici differenti si diffonderebbe attraverso innumerevoli coppie di elettroni correlati, dando apparentemente origine nell’occhio di un uccello alla mappa dei campi geomagnetici che sta attraversando. I ricercatori hanno poi rilevato che prima dei lunghi voli gli uccelli migratori aumentano la propria massa muscolare senza bisogno di un effettivo esercizio: il fattore scatenante deve essere biochimico. Successivamente volano ininterrottamente per più giorni senza subire gli effetti della deprivazione del sonno: di notte “spengono” un emisfero cerebrale e l’occhio corrispondente per un secondo o due alla volta; di giorno effettuano migliaia di “microsonni” di pochi secondi. Vedete voi. Oltre alla biologia, finora la scienza aveva sottostimato la complessità e la connettività dell’ecologia migratoria: non è possibile compartimentare le vite di animali selvatici, studiamo insieme migrazioni e tutela ambientale. Salvare le foreste significa anche salvare gli uccelli.

Il bravo competente studioso e divulgatore americano Scott Weidensaul (Pennsylvania, 1959) è via via passato da birdwatcher adolescenziale a ornitologo amatoriale, infine a ufficiale ricercatore, arruolato nelle trincee della scienza delle migrazioni. Ciò che soprattutto appare cambiato è il suo coinvolgimento, lo dichiara subito. Un’infantile elettrizzante giornata sull’Hawk Mountain ha cristallizzato la passione per l’osservazione degli uccelli, i rapaci in particolare, presto divenuta sapiente interesse scientifico per le discipline naturalistiche. L’inanellamento da tempo e più recentemente la geolocalizzazione (con nuove tecnologie e miniaturizzazione) sono gli elementi essenziali nella ricerca e nello studio delle migrazioni aviarie. Il libro aggiorna lo stato dell’arte su gran parte della straordinaria miriade di fili della migrazione degli uccelli, sentinelle e importanti indicatori delle condizioni ambientali, da come e perché attraversano il pianeta a quali azioni umane siano indilazionabili affinché possano continuare a farlo. Il volume è strutturato in dieci capitoli, per argomenti: Spatole (dei becchi del gambecchio, per esempio); Il volo quantico; Credevamo di sapere; Big data, big problem; Mal di testa; Il calendario in frantumi; Aguiluchos; Oltre la piattaforma; Nascondersi da Dio; Eninum. Ogni giorno miliardi di uccelli, obbedendo ai loro arcaici ritmi, legano tra loro luoghi selvaggi sparsi in tutto il mondo e spesso minacciati, in un tutt’uno senza soluzione di continuità attraverso il semplice servizio del volo (da cui il titolo). Che possa rimanere così per sempre, spiega e sollecita l’autore. Attenta bibliografia e ottimo indice analitico.

 

 

Feroce – Francesco Ferracin

Linea Edizioni Padova 2023

Pag. 369 euro 17

Valerio Calzolaio

Veneto. Da venerdì a domenica, il fine settimana di un gennaio del decennio di inizio millennio. Trascorso ormai poco più di un anno dalla tragica rapina in una villetta della provincia di Varese, l’ucraino Sergej Fedorenko si ritrova a Mestre, in attesa di quello che metterà fine alla sua fuga precipitosa, probabilmente una pallottola, sparata o dal sicario inviato dal suo vecchio capo serbo Bodgan Vasilievich o da qualcuno della polizia finalmente capace di rintracciarlo. Quella sera era andato tutto male. Lui aveva sempre tenuto il passamontagna di lana, predicando prudenza ai due complici strafatti. Il crudele Pavel (fratello del capo) e l’ex pugile rumeno Roman, invece, avevano smaramaldeggiato come bestie feroci, pugnalato infine i due proprietari marito e moglie, stuprato la 35enne figlia Mariagrazia sopraggiunta sulla porta di casa, tentato di spararle insieme al piccolo nipote Gianluca apparso all’improvviso. Era intervenuto solo a quel punto, li aveva bloccati ed era fuggito, narrato poi dalle cronache come un bandito romantico e redento, sentendosi comunque ormai spacciato. Senza tornare a Milano, si era rifugiato per alcuni mesi nelle campagne bresciane, poi si era rivolto all’unico amico rimasto, gestore di lapdance e altri affare nell’area di Venezia. Ora fa l’operaio in un cantiere a cavare l’amianto dalle lastre; alto un metro e ottanta, spalle larghe da fotomodello, vive appartato, beve molta vodka ma si mantiene tonico e attraente, avendo in passato girato a lungo (dopo un po’ di università) fra incontri clandestini di lotta, con successo. Dopo un altro anno, il suo affettuoso collega, altissimo e nero, muore sul lavoro e tutto srotola in una catena di incidenti e misfatti che coinvolgono il corrotto imprenditore (attivo pure nel giro dei filmini porno), varie famiglie collegate e, soprattutto, i tre giovani studenti, Toni Giovanni Marina, alle prese con le identità sessuali, e un loro professore attento. La situazione precipita definitivamente quando Bogdan manda il killer.

Il bravo scrittore e sceneggiatore seminomade Francesco Ferracin (Venezia, 1973) ha di nuovo scritto un bel noir. In esergo, dopo il prologo che racconta la rapina, vi è subito la definizione del titolo, come da vocabolario: chi gode nel fare male fisicamente o anche spiritualmente ad altri (ma poeticamente in antico anche “fiero, valoroso, animoso”). I feroci sono molteplici personaggi, in certi momenti o costantemente, non solo sapiens immaturi. La narrazione è in terza parecchio varia, al passato e con piani temporali talora sovrapposti; perlopiù ruota intorno a Sergej (quello che ha meno turbe sessuali), pur se solo nell’intreccio imperscrutabile delle vicende parallele tutti i fili lentamente drammaticamente s’incastrano. La corruzione e i crimini, omicidi e morti, violenze e cecità familiari sono dietro l’angolo, ovviamente il buono stenta a emergere rispetto all’efferato. Il contesto prevalente è la pioggia battente, l’umidità e gli ombrelli, i fiumi ingrossati e l’acqua alta della laguna, il diluvio finale. La scansione è quella dei tre fatidici giorni, con vari personaggi differenti e tante scene distanti a condirla, pure rapide o sincopate. Segnalo che il protagonista aveva fatto vita militare e ogni tanto appaiono le dinamiche delle relazioni Russia-Ucraina prima della recente aggressione (per esempio a pagina 274). Innumerevoli superalcolici e qualche buon vino veneto, sia rossi che bianchi o bollicine. I ragazzi amano il metal, soprattutto i MUCC; gli altri musica leggera, non solo straniera (Dalla e Bennato).

 

 

Contro i confini – Gracie Mae Bradley e Luke De Noronha

Traduzione di Mario Capello e Matilde Veglia

Geopolitica

Add Torino

2023 (orig. 2022, Against Borders. The case for abolition)

Pag. 206 euro 18

Valerio Calzolaio

 

Terra. D’ora in avanti. Nell’interpretazione convenzionale, i confini stabiliscono dove finisce un Paese e dove ne inizia un altro. Sono stabili linee su una carta terrestre, rigide e, in apparenza, razionali. Servono così anche a fare da filtro agli spostamenti in entrata e in uscita di persone e di beni, dando per scontato e immutabile il sistema degli Stati-nazione, come se i Paesi fossero uguali e sovrani e le ineguaglianze, fra di loro e al loro interno, andassero considerate “naturali” e permanenti. Una tale presunzione richiede un’amnesia storica per quel che riguarda il colonialismo, e una volontà precisa di non tener conto delle attuali relazioni di dominio economico. Le cittadinanze non sono tutte eguali, sia come opportunità di una vita migliore che come effettiva libertà di movimento. Anzi, il controllo dell’immigrazione rafforza distinzioni di spazi e diritti tra popolazioni nazionali, estremamente grottescamente ineguali. Inoltre, i confini non sono efficienti nell’ottenimento dei loro presunti scopi: privano spesso le persone di percorsi sicuri e diretti, vengono comunque attraversati anche senza valida autorizzazione e, comunque, favoriscono viaggi attraverso strade diverse, costose e pericolose. La cittadinanza (selettiva) e i confini (chiusi) non proteggono la democrazia e i diritti, riproducono forme di ineguaglianza (razziale e coloniale, soprattutto), ingiustizie e sofferenze, forse andrebbero aboliti. Il movimento per l’abolizione delle frontiere mira a smantellare i confini gestiti con la forza, ma anche a coltivare nuove modalità di cura degli altri, forme di collettività arricchenti più dirette al progresso dell’umanità. Discutiamo meglio se è plausibile e se è possibile.

Due giovani freschi colti militanti inglesi, la giornalista e scrittrice Gracie Mae Bradley e il professore universitario e scrittore Luke De Noronha dichiarano fin dal principio il loro sogno (“un futuro senza frontiere”) e lo narrano attraverso un’appassionata lettura comparata del significato storico dei confini e delle connessioni tra controllo dell’immigrazione e altre forme di violenza e sorveglianza statuali. Bradley ha trascorso oltre sette anni a lavorare nel settore delle ONG, Noronha è un docente di mobilità, confini e razzismo. Il loro “abolizionismo” ha a che fare tanto con il porsi le giuste domande, quanto con il costruire le giuste risposte. La questione preliminare è che i confini attuali sono fragili e recenti, non antichi e strutturali: gli Stati-nazione contemporanei sono figli di una lunga storia (non dimenticabile) di imperi, colonialismo e schiavitù; prima del XIX secolo le politiche di controllo della mobilità tendevano a concentrare l’attenzione sull’impedire l’emigrazione o sul restringere i movimenti interni allo spazio nazionale. Dopo l’introduzione, gli autori sviscerano l’argomento attraverso sette capitoli (razza, genere, capitalismo, ordine pubblico, la guerra al terrore, database, algoritmi), un primo interludio sui futuri possibili, il capitolo proprio sull’abolizionismo, il secondo finale interludio sulle prospettive. Il filo di ragionamento è coerente: costruire e nutrire identità, relazioni e pratiche che rifiutano la logica del confine e lottare per ridurne la portata nella quotidianità. Offrono spunti, lanciano idee, riconoscono ostacoli, descrivono esempi, insomma decostruiscono e iniziano a ricostruire. Non sempre curando i dettagli, ovviamente. Non sempre risultando convincenti, ovviamente. Restano molti utili stimoli.

 

 

Sentieri metropolitani. Narrare il territorio con la psicogeografia – Gianni Biondillo

Bollati Boringhieri Milano 2022

Pag. 190 euro 15

 

Percorsi sociali. Da sempre, almeno noi sapiens. Camminare è un’esperienza conoscitiva che mette in gioco i sensi, li amplifica, agendo anche sulle pressioni selettive. L’urbanistica si fa a piedi, il villaggio e la città si disegnano nello spazio aperto e reale, non seduti in uno spazio chiuso. Uscire dalla savana, uscire dall’Africa e colonizzare il mondo, implicava per Homo sapiens riuscire a leggere lo spazio, decrittarlo, interpretarlo, comunicarlo. La crosta terrestre, i fiumi, le montagne, i boschi, i mari, le altre specie, in una definizione “il paesaggio” hanno influenzato la nostra evoluzione, il nostro cervello, la nostra cultura. Non siamo stati sempre agricoltori, lo siamo stati nell’ultima e più breve parte della nostra presenza sul pianeta. L’intera storia dell’uomo è storia di una specie animale errante, non stanziale. Le altre specie si radicano in una determinata zona, in un preciso habitat, noi sapiens da centinaia e decine di migliaia di anni siamo evoluti camminando e abitando ovunque. Da qualche secolo c’è un divario crescente tra la realtà dei nostri territori urbani e le rappresentazioni che ne facciamo: intere porzioni delle nostre città sono scarsamente rappresentate, e la maggior parte delle narrazioni metropolitane di cui disponiamo appartengono al marketing. L’urbanistica e l’ecologia sono insegnate poco e male nelle scuole, i cittadini non sono attrezzati per prendere parte alle conversazioni vitali contemporanee. Nel XXI secolo siamo alla soglia di una fondamentale rinegoziazione del rapporto degli umani con la Terra. La reintegrazione delle nostre città nella biosfera implica una modifica radicale del tessuto urbano e la messa in campo di saperi e di pratiche adeguate. Proviamoci.

L’architetto scrittore psicogeografo Gianni Biondillo (Milano, 1966) dichiara subito di essere “debitore del cammino” e, a ben vedere, i belli tanti libri che ha pubblicato, all’apparenza di genere differenti (fiabe, gialli, romanzi storici, racconti, saggi) “appartengono tutti a un unico macro-genere: la narrazione del territorio”. Scegliere di attraversare il territorio a piedi significa fare un’esperienza fisica, emotiva ed estetica, che permette di giungere a una nuova consapevolezza del paesaggio quotidiano, superando il pregiudizio nei confronti di spazi considerati scontati, e che può essere poi narrata in varie forme e in successivi tempi. L’autore ci riesce alla grande da decenni. Se capitate al recente bellissimo Museo delle civiltà dell’Europa e del Mediterraneo (Mucem) di Marsiglia, nella grande sala delle esposizioni permanenti (che partono dai porti migratori del Cinquecento e Seicento e arrivano ai nostri giorni), proprio Biondillo è segnalato e valorizzato come ottimo narratore e promotore dei sentieri metropolitani contemporanei. L’autore tiene dal 2013 un corso all’Accademia di Architettura di Mendrisio e il volume mette ordine agli appunti, alle lezioni e alle esperienze sul campo di quasi un decennio. Significativi i titoli degli undici capitoli: L’intelligenza dei piedi; Il paesaggio si muove; Pensare con i piedi; Polis; Paesaggi?; Arte in cammino; Narrare i territori; La città è lenta; Sentieri_Metropolitani; Lasciare una traccia; Come raccontare la metropoli. Utili finali note e bibliografia minima.

 

 

 

Il Museo. Una storia mondiale – Krzysztof Pomian

Traduzione di Luca Bianco e Raffaela Valiani

Einaudi Torino 2021 (orig. fran. 2020)

Pag. 484+391, euro 85+85 (Due volumi: I. Dal tesoro al museo; II. L’affermazione europea 1789-1850; formato grande, molte illustrazioni)

 

Europa e mondo. Il museo è un luogo ben strano, inutile e indispensabile insieme; tuttavia, noi la sua stranezza non la percepiamo più. Per noi, infatti, nati nella società moderna, la presenza dei musei risulta un dato acquisito. Dimentichiamo però che una frazione importante della popolazione mondiale ne ignora perfino l’esistenza, e che anche qui il museo è relativamente recente: lo dimentichiamo al punto da non renderci conto, fatta eccezione per gli storici, della difficolta di accettare i principî che stanno alle fondamenta stesse del museo, e della portata dei rivolgimenti delle categorie mentali, delle strutture sociali, delle istituzioni politiche e dei mezzi tecnologici che dovettero verificarsi affinché il museo potesse imporsi. L’istituzione museale esiste da poco più di cinque secoli. Per le statistiche un museo vale l’altro, e ognuno vale uno; per la storia dei musei ognuno è diverso dall’altro, risultato di un concorso di circostanze singolari e dell’apporto di persone non intercambiabili. Si può comunque tentare di suddividere la varietà apparentemente illimitata in un numero limitato di tipologie, secondo il loro contenuto, ovvero rispetto agli oggetti che ciascuno raccoglie ed espone e che determinano in parte lo stesso profilo del pubblico interessato o interessabile. Ecco le principali tipologie prodotte dalla storia: raccolte sull’antichità (dal 1470); su arte, storia naturale, curiosità, rarità, meraviglie (dal 1550); su storia, medicina, tecnica, esercito (dal 1790); sulle arti decorative (dal 1850); su etnografia, esposizioni all’aperto, industria, scienza (dal 1870); su vita quotidiana, lavoro, tempo libero (dal 1960), comprese le migrazioni (dal decennio successivo).

Il grande filosofo storico multidisciplinare Krzysztof Pomian (Varsavia, 1934) compie l’ennesima straordinaria impresa scientifica e racconta splendidamente teoria e pratiche, geografia ed esperienze delle raccolte museali. L’autore considera il museo come un caso particolare del fenomeno chiamato “collezione”, un insieme di oggetti naturali o artificiali sottratti al circuito delle attività utilitarie, sottoposti a speciali misure di protezione e messi in mostra in un luogo chiuso destinato proprio a quello scopo. Il museo colleziona ed è universale, coestensivo alla cultura stessa, presente in tutte le società umane dei sapiens, perché tutte queste società instaurano un rapporto di scambio tra il visibile e l’invisibile di cui il museo “collezione” risulta insieme il rivelatore, lo strumento e il prodotto. Comparso in un contesto istituzionale e sociale che aveva familiarità con le collezioni “private”, e inconcepibile senza quel precedente, il museo si definisce proprio in contrasto ad esse: il museo è una collezione pubblica (non appartiene a un singolo individuo o gruppo, è posto sotto la responsabilità di una persona giuridica riconosciuta, risulta accessibile ai visitatori in maniera regolare) e profana (dipende dalle credenze collettive di quella società, ma non partecipa di alcun culto religioso), orientata verso un futuro indefinitamente lontano. La congiunzione tra l’orientamento verso il futuro e l’apertura sul presente costituisce la specificità del museo, l’unica istituzione che permette di stabilire un contatto visivo con ciò che, per diversi aspetti, è lontano, attraverso la mediazione degli oggetti che di là provengono. Cinque accurate dettagliate parti per i due volumi, con un grande ruolo per il contributo dato da coloro che vivevano nell’attuale Italia. Ricchissimi apparati. Il costo dell’acquisto dei due volumi appare certo molto alto per una libreria privata individuale, ma chi può permetterselo si dota di un bene prezioso e chi non può solleciti i musei e le biblioteche della propria città e della propria università, affinché lo mettano nelle loro collezioni.

 

 

 

Dopo quella notte. Un nuovo caso per Will Trent – Karin Slaughter

Traduzione di Adria Tissoni

HarperCollins Milano  2023 (orig. 2023)

Pag. 462 euro 19,50

 

Atlanta. Tre anni fa. L’esperta bravissima pediatra mancina Sara Linton, bella con i capelli ramati, è di turno al pronto soccorso del Grady Memorial Hospital (unica struttura pubblica della metropoli e uno dei centri traumatologici di I livello più affollati del paese), segue il tirocinio di neolaureati e parla al telefono con l’amata sorella Tessa, sposata da sei mesi e già indignata. Quella sera il reparto sembra tranquillo, prende l’ascensore e, uscendo, si ritrova davanti Wilbur Will Trent, impeccabile taciturno agente speciale del Georgia Bureau of Investigation, alto e magro (1,95 x 84), spalle larghe e fisico da runner, capelli biondo scuro bagnati dalla pioggia, antiche cicatrici sul labbro superiore, sul collo e in altre parti del corpo, accompagnato dalla fida collega Faith Mitchell, amica di entrambi. Sara e Will sono sorpresi e contenti, si erano visti un paio di mesi prima, intuiscono che si piacciono, reciprocamente, lei ora distratta single, lui male sposato con una ex poliziotta stronza. Si salutano impacciati. Poi Sara è travolta da un’emergenza: la 19enne Dani Cooper era già malridotta quando è finita in Mercedes contro l’ambulanza proprio lì fuori. Rantola ma la dottoressa prende in mano la situazione, prova in tutti i modi a salvarla. Le condizioni sono disperate e, prima di spirare, la ragazza le sussurra di aver cercato di fuggire dopo essere stata drogata, stuprata, malmenata. Nessuno le sente ma ne porta tracce addosso, Sara giura che farà di tutto per fermare l’uomo che l’ha violentata. Tre anni dopo, alla vigilia del matrimonio con Will, Sara testimonia al processo civile contro il viziato predatore Thomas Michael McAllister IV, coetaneo di Dani, protetto dai ricchi genitori, coi quali Sara aveva studiato a inizio carriera e che forse c’entrano qualcosa con lo stupro che lei stessa aveva subito quindici anni prima al Grady, “quella notte” che poi lei aveva sempre cercato di dimenticare.

Un altro gran bel romanzo thriller noir per l’ottima scrittrice americana Karin Slaughter (Covington, Georgia, 1971), che ha iniziato nel 2001 con la serie “geografica” di Grant County, principale protagonista proprio la dottoressa Sara Linton (sei avventure fino al 2007), ha proseguito con la conosciutissima e televisiva serie del mitico agente Will Trent (tredici romanzi 2006 – 2020), infanzia in orfanatrofio (madre prostituta) e sfighe ulteriori, e con altre storie varie (una quindicina di notevoli narrazioni). Sceglie ora di far definitivamente incontrare e infine sposare i suoi due azzeccati affiatati protagonisti Sara e Will (nel sottotitolo c’è il poliziotto). Dopo quella notte della violenza di quindici anni prima, la vita di lei era cambiata (da cui il titolo): “la persona che ero è scomparsa. Mi sono ritrovata davanti a un bivio. Scomparire con lei o lottare per recuperarne le parti più importanti”. La ferocia delle dinamiche predatorie maschili e il dramma profondamente duraturo degli abusi subiti costituiscono il filo narrativo, Sara e Dani non erano state le uniche, un’altra donna viene terrorizzata anche nei giorni del processo (prima con messaggi e pedinamenti, poi col rapimento e lo stupro), i due promessi sposi devono fare i conti con momenti terribili e figure cattive del proprio passato, indagano anche su sé stessi e sul proprio nuovo bel rapporto d’amore. La narrazione è in efficace terza varia su vittime e investigatori, con salti temporali ben orchestrati. Le rispettive vite professionali e affettive (compresi gli animali) sono descritte con accuratezza, sappiamo qualcosa in più della concreta scienza medica e dell’acume procedurale poliziesco. Forse più di Springsteen, Frank Sinistra può venir comodo per la canzone di nozze (con chiunque poi la si balli): Fly Me to the Moon? In fondo un’utile conversazione della casa editrice con l’autrice e il riservato profilo di Trent.

 

Redazione
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