Pillole di bancarotta n. 4
Le pillole di oggi di Alessandro Volpi ci parlano del doppio standard della BCE, che intima agli Stati europei di non tassare le banche ma lascia i loro debiti pubblici in balia dei grandi fondi internazionali. Ci offrono una panoramica su proprietà dei giornali, “pluralismo” e “libertà di stampa”, e sul legame tossico fra fondi pensioni e settore immobiliare.
Infine, ci illustrano le possibili conseguenze della paventata confisca delle riserve della Banca Centrale Russa, ennesima follia autolesionista dell’Unione europea pervicacemente impegnata nella ricerca del disastro.
Buona lettura!
A questo link le pillole precedenti. I testi delle pillole sono tratti da qui.
La follia della Bce
Due note sull’istituto presieduto da madame Lagarde. La prima è costituita dal richiamo che la Bce ha fatto ai governi degli Stati europei a non tassare le banche perché sarebbe estremamente pericoloso per la stabilità dei paesi.
Si tratta di un’affermazione davvero incredibile alla luce del fatto che solo le banche italiane hanno realizzato profitti in due anni per circa 100 miliardi di euro.
La seconda si riferisce agli interessi sul debito. Al di là dell’esultanza di Meloni e Giorgetti l’Italia paga nel 2025 106 miliardi di interessi sul debito pubblico contro gli 84 miliardi del 2024; una cifra folle dovuta in gran parte alla fine degli acquisti di debito da parte della Bce e dalla sua sostituzione con i grandi fondi internazionali che chiedono interessi più alti. Magari se la Bce svolgesse un ruolo diverso e non lasciasse i paesi nelle mani dei fondi non sarebbe male. Ma è certo che la Bce non è una banca centrale e, dunque, non si muove nell’interesse delle comunità.
A proposito di libertà di stampa, e di egemonia di sinistra
Può essere utile ricordare di chi sono i principali giornali italiani. Partirei dai casi più evidenti di conflitto di interessi e, certamente, espressione di una posizione decisamente filogovernativa. Si tratta dei giornali riconducibili a Gaetano Caltagirone, comprendenti tra gli altri Il Messaggero, il Mattino e il Gazzettino, e ad Antonio Angelucci, a cui appartengono il Giornale, Libero e Il Tempo. Caltagirone e Angellucci, come è noto, hanno un peso decisivo nel sistema bancario, in quello immobiliare e in quello della sanità privata. Angelucci è anche parlamentare della Lega.
Il Secolo XIX è diventato di proprietà dell’armatore Aponte, mentre il gruppo Monti-Riffeser controlla La Nazione, il Resto del Carlino e il Giorno. Il banchiere Enrico Marchi, presidente di Finint, ha acquistato da poco una filiera di giornali del Triveneto e ora punta alla Stampa che Gedi, di proprietà Exor vorrebbe cedere, in maniera separata da Repubblica, il cui compratore sarebbe l’armatore greco Kyriakou.
Il gruppo greco Antenna Group, che sta comprando La Repubblica e le radio GEDI, ha un socio molto ingombrante che dal 2022 è socio del PIF (Public Investment Fund), ovvero il fondo sovrano dell’Arabia Saudita controllato direttamente da Bin Salman.
Si aggiungono il Foglio di proprietà dell’immobiliarista Walter Mainetti, con una quota del banchiere Matteo Apre, Il Riformista e l’Unità dell’imprenditore napoletano Alfredo Romeo. Non mancano nell’elenco il quotidiano di Confindustria e quello del sempre imprendibile Carlo Benedetti. Confindustria Verona e Confindustria Vicenza hanno, a loro volta, giornali propri come L’Arena, Il giornale di Vicenza e Brescia oggi.
Naturalmente non deve essere trascurato il quotidiano di proprietà di Maurizio Belpietro, La Verità. Infine è obbligatorio menzionare il più venduto quotidiano italiano, Il Corriere della Sera, di Urbano Cairo. Ora, scoprendo questa breve, ma densa lista, mi sembra molto chiaro che una parte rilevante del giornalismo italiano sia attraversata da evidenti conflitti di interessa e da un chiaro posizionamento compreso fra la destra più dura e i liberi moderati, con una evidente predilezione per il centro destra.
Dove sia lo spauracchio dell’egemonia della sinistra mi risulta difficile da capire; ma gridarla consente al monopolio della narrazione filogovernativa di apparire decisamente meno illiberale.
Risparmio pensionistico e settore immobiliare
E’ davvero impressionante constatare quanto ormai il risparmio pensionistico sia determinante nel settore immobiliare. In Italia esiste una decina di grandi società di gestione del risparmio che si occupano di immobili: hanno a disposizione buona parte dei 140 miliardi di euro che si indirizzano verso i fondi immobiliari.
Ma c’è un dato nuovo e davvero inquietante. In passato le società di gestione immobiliare si rivolgevano alla clientela retail direttamente, proponendo i propri fondi. Dunque i compratori erano in genere piccoli risparmiatori che decidevano di comprare quei fondi.
Oggi il 95% del “mercato” immobiliare è costituito dalla già citata decina di Società di risparmio gestito che trattano non più con i singoli risparmiatori ma con le grandi Casse di previdenza pensionistica, da quella degli architetti a quella dei medici a quella dei geometri a cui propongono o da cui ricevono proposte di natura immobiliare.
Il processo avviene, spesso, in questo modo: gli iscritti alla Cassa di previdenza versano i loro risparmi e la Cassa si rivolge alla società di gestione del risparmio per collocare quei risparmi collettivi in un fondo destinato a finanziare una grande operazione immobiliare. Naturalmente la Società di gestione in questione sceglierà progetti altamente remunerativi, in genere a Milano e nelle principali città italiane, dove il “mercato” immobiliare subisce, per effetto di ciò, un costante rialzo dei prezzi destinati a remunerare gli iscritti alla Cassa di previdenza.
E’ altrettanto naturale che la società di gestione costruisca il proprio fondo puntando ad aree da acquisire a prezzi bassi, con pochi oneri di urbanizzazione, con poche regole urbanistiche – o meglio con molte deroghe alle regole, o con particolari invenzioni “semantiche” – e con tempi di realizzazione molto stretti, magari con appalti, subappalti e cantieri non troppo sicuri.
In estrema sintesi l’affermazione di un binomio fra Società di gestione del risparmio, Casse di previdenza complementare e distorsione costante del settore immobiliare costituisce un elemento centrale del nuovo capitalismo finanziario sempre più basato sulle pensioni private. Un’ultima considerazione. Di chi è questa decina di Società di gestione? Di pochi ricchissimi italiani – Caltagirone, Pignataro, Catella, Nattino – dei grandi gestori Usa – Blackstone, Apollo, Cerberus, e di qualche fondo sovrano arabo.
La confisca delle risorse della Banca centrale russa
La vicenda dell’ipotesi di confisca delle risorse della Banca centrale russa da parte dell’Unione europea è davvero incredibile per varie ragioni che provo a mettere in fila.
1) Il totale degli asset della Banca centrale russa detenuti in Europa risulta molto vicino ai 300 miliardi di euro, dunque i 190 detenuti da Euroclear, domiciliata in Belgio, sono solo una parte di questa cifra, ma la Commissione europea sembra volersi concentrare solo su quelli, forse perché gli altri sono nelle mani di importanti e influenti società finanziarie e bancarie. Bundesbank e Banque de France gestiscono asset sovrani russi per circa 30 miliardi di euro. Le banche svizzere una decina. Clearsteram, una società di proprietà di Deutsche Borse, con sede in Lussemburgo ne detiene un’altra decina di miliardi. Per non parlare del Regno Unito che, attraverso Bank of England ed altre banche private, controlla circa 30 miliardi di euro in asset russi. Appare evidente alla luce di ciò che la confisca solo di quelli detenuti in Belgio è un modo per evitare la confisca da parte degli altri paesi europei dei propri asset sovrani russi.
2) La confisca a titolo di future riparazioni di guerra che la Russia, sconfitta, dovrà pagare implica che il conflitto debba durare fino alla resa definitiva della Russia perché altrimenti i prestiti emessi con questi asset non sarebbero più coperti.
3) Tale confisca è illegale perché si tratta dell’esproprio di beni conservati da una società privata, Euroclear appunto, ad opera di un soggetto istituzionale come l’Unione europea. Peraltro non sarebbe legittimo neppure l’utilizzo per finalità belliche degli interessi maturati da tali asset durante la loro gestione ad opera di Euroclear e degli altri soggetti europei che li detengono.
4) Come ha rilevato persino la Bce tali asset sono in euro e sono detenuti da società e da istituzioni bancarie dell’Eurozona, che detengono gli asset di molti altri paesi. La loro confisca dunque sarebbe un segnale di inaffidabilità dell’euro e dei paesi dell’Eurozona con conseguenze pesanti per la svalutazione dell’euro e dei titoli emessi in euro costretti, per trovare compratori, a pagare interessi più alti.
5) Euroclear, che ha sede in Belgio, non è però di proprietà belga ma ha come soci circa 100 istituti finanziari fra cui spiccano JP Morgan (quindi BlackRock, Vanguard e State Street), Bnp Paribas e Société Genérale che sono interessati al mantenimento degli asset russi, oltre che per evitare cause, anche perché la loro gestione fornisce utili iscritti nel bilancio di Euroclear.
6) Un’eventuale confisca degli asset russi produrrebbe l’immediata, parallela, confisca degli asset europei in Russia il cui valore complessivo è superiore ai 300 miliardi di euro
7) E’ davvero interessante notare che l’operazione di confisca condotta dagli europei non coinvolgerebbe gli Stati Uniti dove la Banca centrale russa non ha praticamente mai depositato i propri asset. Mettere in sequenza questi elementi consente di comprendere l’ennesima follia autolesionista dell’Unione europea pervicacemente impegnata nella ricerca del disastro.
**
**