«Quando nascesti tu, stella lucente»

Giulia Abbate sul romanzo di Nadia Tarantini

«Quando nascesti tu, stella lucente» (L’Iguana Editrice 2017) è un romanzo che ci porta in un futuro complesso e nelle vicende di moltə personaggə, in un modo che definirei avvolgente.

Lo stile e le storie sono stretti in un intreccio esemplare, dove il contenuto genera la propria forma e la forma si incide nel contenuto. Il romanzo è “letterario” nel senso più alto della parola: una bella sfida, in un momento dove la “letterarietà” è un valore un po’ al ribasso.

La vicenda si svolge nel mondo della Calotta, l’ambiente artificiale nel quale vive l’umanità scampata al Grande Disastro, catastrofe climatica occorsa nel 2127 e ancora misteriosa (la sua vera natura sarà svelata nel corso della storia). Siamo nel 2346: l’anno della Scelta, ovvero del momento in cui un preciso gruppo di persone dovrà prendere una decisione che potrebbe condizionare lo sviluppo futuro dell’intera razza umana. I Trentenni della Prima Generazione hanno già passato diciassette cicli di ibernazione, quindi in pratica 17 vite: sono loro a dover decidere se vivere l’ultimo ciclo possibile, il diciottesimo (tant’è che il romanzo doveva intitolarsi «La diciottesima vita») oppure se lasciare i loro corpi e le loro memorie raggiungendo il Cubo, una struttura che permetterebbe la connessione più totale della loro sostanza animica e l’immortalità. Il Cubo è la decisione fortemente raccomandata da un sistema che lo ha predisposto già da tempo e che spera in questo modo di portare l’umanità a un nuovo livello di esistenza, liberandola dalla morte, dal dolore e dalle complicazioni individuali.

Questo tema ricorrente della “migrazione” dell’anima umana in una sorta di cloud è ormai un tòpos della fantascienza. Ricordo un racconto molto bello di Elena Di Fazio, Ho toccato il cielo in «Lezioni Sul Domani»: lì l’esito era inevitabile e struggente. In Tarantini la Scelta è una domanda sinistra, una “calamita” verso la quale i personaggi sono spinti loro malgrado, con un misto di attrazione, sogno, sollievo, paura, repulsione.

La protagonista Marcela, una Trentenne, non è convinta della bontà della Scelta: la sua storia personale è diversa da quella dei compagni, Marcela è legata a misteri profondi che riguardano i fondatori della Calotta, e dunque alla verità sulle origini della sua società e sul Grande Disastro. In una società opprimente, dove i luoghi sono angusti, le persone condizionate, il controllo pervasivo e la verità sfuggente, Marcela intraprende un percorso di scoperta tanto personale che collettiva, che si dipana lungo l’intero romanzo. (Non a caso, la sua professione è quella di… Ricercatrice).

Il “grilletto” che porta Marcela a iniziare il suo percorso è la comparsa di Mateus, un giovane che arriva da un mondo proibito e interdetto, sotto il controllo della Calotta ma accuratamente separato: quello dei Devianti, legato anch’esso ai segreti sui quali si regge la Calotta. Mateus ha forse un progetto, crea da subito scompiglio e la sua sola presenza diventa ben presto centro di una serie di pericolosi giochi di potere, che mettono l’uno contro l’altro i reggenti di questo piccolo e triste mondo.

Sì, perché nella Calotta le emozioni sono state bandite: la popolazione è praticamente anestetizzata, domina la “razionalità”. E la memoria di sentimenti e sensazioni forti sta da un’altra parte, nell’ultimo dei “regni” nei quali l’umanità immaginata da Tarantini è tripartita: il mondo dei Sepolti, che rifiuta la gioventù eterna dell’ibernazione (comprensiva di lavaggi della mente…), conserva la sapienza mistica, la memoria delle emozioni e delle generazioni precedenti, i legami, i riti e il senso del maternale; cose che la Calotta ha rinnegato, in favore piuttoso di uno stato di minorità nei confronti del Padre, o del concetto che da esso scaturisce: l’autorità di un governo oligarchico.

In questa complessa costruzione, degna del migliore worldbuilding fantascientifico, Marcela non è e non può essere l’unica personaggia. Ci troviamo a seguirne molti di più: Igor, il compagno di Marcela, che si allontana da lei in favore di una propria ricerca, e il suo amico Marcus, con tristi segreti risalenti all’infanzia; Magdalena, archetipo della scienziata drogata di potere, e il suo compagno Faustinus, drogato di potere e basta; l’anzianissimo Karol, uno dei fondatori e ora capo del mondo dei Sepolti, la sua compagna Amina e le persone che li circondano; Mateus, il transfugo dal mondo dei Devianti, e Franciscus che da lì arriva per trattare un complicato accordo, confrontandosi con i reggenti della Calotta: Sirius, Pablo, Jorge, praticamente una vasca di squali che non vedono l’ora di azzannarsi a vicenda e di spolpare chiunque li ostacoli. E altri ancora: in un ambiente piccolo ognuno conta e impatta, ognuno ha una sua funzione sociale quasi insostituibile, e Tarantini non esita a tenerne conto nella sua costruzione narrativa, complessa ma anche stranamente ipnotica.

Come dicevo in apertura, infatti, a una storia che si articola come una pianta, con rami e rizomi che originano da un organismo principale e ci crescono intorno, fa eco uno stile letterario che pure non si tira indietro e si diparte in diverse modalità: c’è la voce narrante che assume il punto di vista del personaggio; c’è il pensiero del personaggio in presa diretta; c’è il discorso diretto tra personaggi e quello telepatico tra alcuni di loro; tutto mescolato in un racconto che sembra quasi volersi fare ascoltare, più che leggere.

Se ci fermiamo alla pagina, se ci ostiniamo a voler “categorizzare” le frasi o a voler decifrare sempre tutto immediatamente, ci perdiamo; se invece permettiamo al testo di trasportarci come fosse una corrente d’acqua, e lasciamo l’occhio scorrerci sopra, e la voce interiore andare avanti indisturbata… ecco che ci troviamo presto a intonare un canto silenzioso dove tutto torna, dove il pensiero e il dialogo e il punto di vista sono sempre chiari, in un reticolo dove i rivoli tornano a un fiume, e non possiamo perderci.

Come pellegrini, veniamo introdottə sin dall’inizio in un contesto che non possiamo subito capire, ma che impariamo a distinguere, man mano che prendiamo confidenza con i personaggi e con la loro “lingua”, con la quale l’autrice è incredibilmente abile a tirarci dentro gli intrecci, le lacerazioni interiori, i ragionamenti. Si compone così un mosaico corale, dove il leitmotiv sta, mi pare, nella deprivazione, e nella conseguente ricerca di qualcosa – di qualsiasi cosa possa rendere la vita degna di essere vissuta.

È questo che, dei tanti interrogativi del romanzo, mi è rimasto davvero dentro dopo la lettura: perché vivere?

Perché prolungare la propria esistenza di ibernazione in ibernazione, e la sopravvivenza umana di disastro in disastro, lasciandoci via via alle spalle pezzi di noi, un sacrificio generazionale dopo l’altro… per quale motivo? Cosa giustifica tanto sforzo, cosa resta a farne valere la pena? Vivere significa cambiare, ma cosa vogliamo davvero diventare, e in cambio di quale tipo di esistenza?

A sinistro memento, come un cane a mordere le calcagna in una corsa cieca in avanti, il Grande Disastro è sempre sullo sfondo, ben presente a tuttə. Il mondo inospitale e tossico si intravede oltre la copertura colorata e psichedelica della Calotta, quel mondo che, per citare il capitano Francis Crozier di The Terror, «è un mondo che ci vuole morti». Non cito The Terror a caso: la Calotta si trova nell’etremo settentrione europeo, era una base scientifica protetta che in virtù di questo è stato l’unico luogo sicuro per gli esseri umani durante il Disastro. Come in The Terror, la percezione di stare tuttə su una stessa barca, e terribilmentre strettə, è forte. 

Nel romanzo ci sono anche scene di massa grandiose, già dall’apertura: con le ondate di sopravvissutə feritə che si accalcano alle pareti della Calotta supplicando di essere salvatə, mentre gli scienziati all’interno tentennano terrorizzati… che dire? Che dire, davvero.

«Quando nascesti tu, stella lucente» è una lettura intensa, totalizzante, che va abitata e che è impossibile sfogliare distrattamente. È come se la telepatia sviluppata dai personaggi tirasse dentro anche noi, proiettandoci nel flusso di avvenimenti, parole, pensieri; insegnandoci un nuovo tipo di comunicazione, in modo spontaneo.

Il romanzo è una prova letteraria memorabile, un’ottima storia di fantascienza, uno sguardo ammonitore sul futuro e sull’importanza della memoria; con un messaggio che però non è affatto reazionario, bensì costruttivo, e in fin dei conti quasi catartico, rigenerante: possiamo salvarci, ma dobbiamo farlo insieme, superando i giochi di potere e le divisioni personali, smettendola di voler controllare il mondo sezionandolo e compartimentandolo; e soprattutto, dobbiamo farlo per qualcosa di più grande: tenendo bene a mente come, per cosa e per chi vale davvero la pena di vivere.

 

Giulia

3 commenti

  • Nadia Tarantini

    Una recensione bellissima ricca e che incuriosisce per le scoperte che adombra perfino me…che sono l’autrice! Grazie a Giulia Abbate, grazie alla Bottega dei Barbieri

  • Raffaele Mantegazza

    Libro non facile ma bellissimo, esige molto dal lettore ma restituisce il doppio. Ebbravo dibbì, sempre sul pezzo. Ho letto Vox e La classe…interessanti le due idee ma la scrittura è decisamente molto molto povera. Ho invece scoperto un capolavoro, il libro di Lily Brooks Dalton “La distanza tra le stelle” (in originale Good morning midnight”…capisco che era difficile tradurre un titolo così e che “Buongiorno notte” era già stato usato, ma si poteva fare anche meglio)

  • Pingback: Esce “La diciottesima vita” di Nadia Tarantini / Da non perdere! – Giulia Abbate

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *