«Questione Rom a Roma»

Un breve resoconto dell’iniziativa, efficace ma sterile, al Macro Asilo di via Nizza

di Cittadinanza e Minoranze

Nonostante il traffico prenatalizio e la difficoltà, specialmente per i Rom che non frequentano quella zona, di raggiungere via Nizza, qualche minuto prima delle 16, nello spazio assegnatoci, c’erano disposte in semicerchio le 20 sedie prestateci dalla Comunità di San Paolo. Erano disposte di fronte all’impianto di amplificazione a mezzo del quale di lì a poco una giornalista  avrebbe effettuato le interviste. Alle spalle era esposta una piccola biblioteca sui Rom portata da Agim Saiti,  kossovaro, poeta, giornalista, già deputato al Parlamento Iugoslavo.

Fra i/le protagonisti/e dell’evento: il poeta Agim Saiti; Nicola Radu, violinista con il suo partner fisarmonicista; l’ingegnere elettronico Saska Jovanovic, serba, organizzatrice e mediatrice culturale e – come si definisce nel suo curriculum – «irremovibile combattente per i diritti umani»; Sevla Seijdic, bosniaca, artigiana, maestra di danze tradizionali, imprenditrice; suo figlio Carlos Hadzovic, italiano, interprete, tecnico di lavanderia, imprenditore; Maria Maruntel, sedicenne con la zia Maria, ambedue romene. I due fratelli Nae, romeni, sarebbero arrivati , dopo il lavoro, alle 18 in punto, come concordato.

Alle 16,10 – senza attendere il canonico quarto d’ora, perché Saska aveva la figlia piccola da prendere all’uscita di scuola – l’evento ha avuto inizio con la prima esecuzione musicale del duo di musicisti e la presentazione della iniziativa da parte di Roberta, la giornalista che ha fatto le interviste e coordinato l’evento.

Quindi la prima  intervista: quella a Saska, profuga in Italia per sfuggire alle guerre nei Balcani. E’ seguita quella ad Agim Saiti, profugo in Italia dalla guerra del Kossovo, che si è conclusa con la lettura prima in romanés e poi in italiano di una sua poesia.

Si sono susseguiti, in un’alternanza di brani musicali,  interviste e poesie, i racconti delle vite di Sevla, giunta anch’essa in Italia da bambina con i genitori sfuggiti alla guerra nei Balcani, di suo figlio Carlos, nato in Italia, come i suoi 8 tra fratelli e sorelle, della sedicenne Maria Maruntel e della sua omonima zia, venute in Italia a causa della devastante crisi economica che ha colpito il loro Paese, la quale ha portato in Italia pure la famiglia di Giuliano e Giorgio Nae. Con il racconto dell’incredibile e tragica sventura loro capitata a causa di un materiale errore dell’Ufficio Speciale Rom del Comune di Roma, si sono concluse le interviste. Fra di esse si era inserito l’intervento dal pubblico di Giancarlo Corcos, pittore, fortemente impegnato nel sociale, da quel che si è capito dalle sue parole, che ha riferito di esperienze da lui avute con famiglie Rom, laboriose, desiderose di integrarsi ma costrette a fare i conti  con la mancanza di attività istituzionali che ne sostengano gli sforzi facilitando l’accesso al lavoro.

Quelle raccontate sono state esperienze di coraggio e di tenacia, di delusioni e di speranze, di alcuni successi e di non poche sconfitte, di ingiustizie subite, di una tragedia e, sempre, di voglia di vivere con richieste di amicizia e di solidarietà che solo di rado hanno trovato risposte positive. Anche di inerzia e di incapacità delle Istituzioni entro le quali – come ha commentato Roberta – accade che prevalga il peso della burocrazia a scapito della umanità che pure dovrebbe ispirare l’azione degli operatori della Pubblica Amministrazione quando sono chiamati a operare per l’inclusione sociale di chi è senza diritti.

Fra una intervista e l’altra la giovane Maria Maruntel, sua zia Maria e Sevla, in costumi tradizionali hanno improvvisato, su iniziativa della più giovane, una delle loro danze, non resistendo al richiamo – per le donne e gli uomini Rom incontenibile – della musica tradizionale o non, di qualsiasi musica.

La piccola manifestazione si è conclusa con un canto per i Rom quasi sacro, intonato dalla splendida voce da contralto di Sevla, accompagnata dal violino di Nicola e dalla fisarmonica del suo partner. Un canto struggente, di una malinconia sottile e triste che parla di dolore per un amore rapito dalla morte. Fu concepito e cantato in uno dei campi di sterminio nazista nei quali anche i Rom furono rinchiusi e uccisi. L’hanno reso famoso  i sopravvissuti dai lager

Al termine del canto Roberta ha ringraziato i Rom per averci insegnato a sentire la musica anche quando non c’è, quella che fanno gli alberi e i fiori se soffia lieve il vento, a non rincorrere il tempo, ma rispettarne il ritmo, ad apprezzare la libertà anche quando è negata. Lo ha fatto leggendo una poesia molto bella di Antun Blazevic, Toni Zingaro in arte: rom, attore di gran classe, poeta, che per motivi di lavoro non era potuto intervenire di persona.

Abbiamo mostrato così, nella Sala Rome del Macro Asilo, una sola faccia della luna, quella virtuosa dei Rom, perché ci premeva mostrare la loro capacità di resistenza e di intraprendenza in opposizione alla illegalità delle Istituzioni.

Dai riscontri ricevuti si può dire che il messaggio è arrivato forte è chiaro, che l’evento è stato efficace. Ma di un’efficacia sterile, perché il pubblico è stato scarso malgrado un’intensa campagna promozionale.

Sappiamo che esiste anche un altro aspetto della “questione Rom a Roma” che va affrontato, su cui ha presa facile l’Antiziganismo, il pregiudizio che grava su questa che è la più derelitta delle minoranze  etniche: cioè il ricorso ai più svariati espedienti per poter sopravvivere, fra i quali, come accade in tutti i sottoproletariati, vi sono anche i piccoli furti e il borseggio, a volte la prostituzione.  Ma questo, come si dice, è un altro discorso. Che faremo presto.

Cittadinanza e Minoranze, associazione di promozione sociale

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