Recensione a “Heroes. Suicidio e omicidi di massa”

di Giuliano Spagnul

“Perché ho scritto un libro così orribile?” si è chiesto nell’ultimo capitolo del suo libro Franco Berardi. Nel capitolo conclusivo che pone già nel titolo la domanda imbarazzante: “Che dovremmo fare quando non c’è più niente da fare?”. Heroes. Suicidio e omicidi di massa (Baldini e Castoldi 2015, 16 euro 244 pagine) è veramente un libro terribile; per 10 capitoli su 11 ci accompagna per mano, ma che gelida manina, tra i più nefandi massacri degli ultimi trent’anni. Massacri insensati (ammesso che ce ne siano di sensati). Bifo si è avventurato in questa folla di morti, tra le stragi nei college americani, nell’Airbus Lufthansa schiantato contro le Alpi, nel cinema diventato set dell’orrore puro e così orrendamente di seguito, cercando di non perdere la sua di ragione, (scrittore impazzito fa strage dei suoi potenziali ma incerti lettori alla presentazione del suo libro prima che questi se ne possano andare senza averlo comprato!) E’ un’incertezza e un timore evidente che lo spingono a citare l’Holderlin della salvezza che si trova là dove c’è il pericolo; quasi un citare scaramantico. Quello che sembra percorrere la gran parte di questo testo è una sorta di scissione tra una coraggiosa presa di coscienza della realtà, un’opzione verso quel principio disperazione che Gunther Anders contrapponeva al principio speranza dell’amico filosofo Ernst Bloch, e un’ambigua rivalutazione di un mondo passato, di un capitalismo cattivo sì ma ancora umano e in quanto tale emendabile, correggibile. Insomma se abbiamo di fronte qualcosa che è una deviazione dal passato, qualcosa che in questi ultimi trent’anni ha ingoiato e distrutto “il prodotto di duecento anni di industriosità e di intelligenza collettiva” allora per quanto la situazione sia tragica e la via d’uscita difficile da immaginare abbiamo comunque un retroterra, un prima che era comunque sostanzialmente sano. Certo Bifo si guarda bene dal far balenare un possibile ritorno all’indietro. Ma l’idea che il male, il cancro sia circoscritto dentro un corpo per il resto sano è comunque un conforto, qualcosa che ci rassicura, che ci permette di pensare che se la salute c’era, la salute può tornare. Questa idea che il capitalismo finanziario sia affatto diverso da quello precedente poggia su una distinzione filosofica, che il primo sia caratterizzato da un “nichilismo annichilente”, che produca cioè il nulla, distrugge valore, mentre il secondo si serve al contrario di un “nichilismo ermeneutico costruttivo”. Entrambi si fondano sull’”assenza di una verità metafisica, e la conseguente mancanza di valori morali fondativi, conferisce la responsabilità della conoscenza e della scelta morale all’atto di interpretare e all’atto di volontà.” Ma “mentre il nichilismo ermeneutico parte dalla comprensione del fatto che il mondo non è un luogo in cui si incarna un’essenza ontologica o si rivela una verità morale di qualche tipo, ma il luogo in cui il significato viene costantemente creato dall’attività conscia degli esseri umani, il nichilismo annichilente distrugge attivamente i valori condivisi (morali ed economici) che sono stati prodotti nel passato dalla produzione e dalla regolazione politica, allo scopo di affermare il primato della forza astratta del denaro. Il nichilismo annichilente è generato dalla forma peculiare del capitalismo finanziario. Nella sfera del capitalismo finanziario, infatti, distruggere ricchezza esistente è il modo più facile per accumulare valore astratto.” Date queste premesse, percorsi tutti i dieci capitoli grondanti di sangue ci si sarebbe aspettati un capitolo undicesimo ben diverso da quello che ci siamo trovati a leggere. Cioè se veramente pensiamo che esista qualcosa come la libertà, la libertà che scaturisce necessariamente dal nulla ontologico (una libertà che così espressa non può che diventare essa stessa fondamento ontologico); allora sì, per quanto difficile, servendoci di essa, noi possiamo ancora sperare, rifondare, ripensare  un nuovo progetto. Ma di tutto questo nell’ultimo capitolo non c’è traccia. Di quella libertà che nella radura della vita, in cui ci troviamo gettati, dovrebbe permetterci di muoverci “liberamente verso la creazione del mondo esistente e del suo significato” Bifo sembra essersi dimenticato; infine ci dice che il suo “è un libro sulla soggettivazione nel secolo appena cominciato. Soggettivazione è la continua trasformazione degli aspetti sensibili e coscienti dell’evoluzione umana. Essa è composta di materia pensante come la tecnologia, la produzione, e l’ambiente fisico della Terra, ma è anche composta di materia leggera come la mente, la sensibilità e il linguaggio. L’inconscio, il desiderio, le attese e le paure collettive sono l’aspetto soggettivo dell’evoluzione umana. Questa materia è in continuo mutamento, perché risulta dalla trasformazione ininterrotta della composizione psico-culturale del cervello collettivo.” In tutto questo la libertà non può che essere un momento, un attimo; un qualcosa che si insinua nei varchi, nelle distanze che si possono creare tra noi e il mondo. Nei momenti bui come quello in cui ci troviamo ora, questi varchi tendono a restringersi e la libertà a sparire. Giustamente Bifo non ci pone di fronte a una possibile via d’uscita ragionevole, ci parla piuttosto di caoidi, “il caoide è un elaboratore ironico del caos”, cioè ci dice che abbiamo bisogno di strumenti per tenere aperti i varchi in cui la libertà è ancora possibile. Una libertà non fondata, non garantita, ma che si può costruire, come l’Ubik del romanzo omonimo di Philip K. Dick. E’ alla fine allora, ma solo alla fine che possiamo sentirci d’accordo con Franco Berardi detto Bifo, quando ci dice che lo spettro del possibile è molto più ampio di quanto sia il raggio della probabilità. Abbiamo bisogno di correggere la distopia con l’ironia, perché l’ironia (lungi dall’essere alleata cinica del potere) è l’eccesso di linguaggio che apre la porta all’infinità del possibile.”

E allora senza illusorie consolazioni, coscienti che nulla ci è dato, prendiamoci il possibile. Come sempre nulla è cambiato, tutto è cambiato. Non ci resta che cercare insieme nuove storie che non siano sterili ripetizioni dell’identico.

Redazione
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