Scor-data: 22/23 gennaio 1744

Requiem per Vico

di Fabio Troncarelli (*)  

A settantacinque anni e sette mesi1, dopo una lunga e penosa malattia che lo aveva ridotto a una totale dipendenza dagli altri, nella notte fra il 22 e il 23 gennaio 1744 moriva Giovan Battista Vico. Questa fine, paradossale per un uomo che era stato sempre stizzosamente indipendente, è in sintonia con il carattere paradossale di un personaggio sempre fuori degli schemi Non a caso quest’individuo, geniale e irregolare, visse un’esistenza oscura da emarginato e da incompreso e, paradosso nel paradosso, fu compreso più tardi solo quando fu meno compreso: quando fu riscoperto e strumentalizzato dalla filosofia idealista che ne fece un suo precursore, deformando a proprio vantaggio la lezione vichiana.

Gli studi più aggiornati e moderni hanno parzialmente reso giustizia a Vico, analizzando le sue fonti – esplicite e implicite – e mettendo a confronto la sua esperienza con quella dell’irrequieta cultura napoletana fra Sei e Settecento. Il risultato, involontario, di questo giusto sforzo di contestualizzazione è la diffusione di una vulgata interpretativa che – l’ennesimo paradosso! – rovescia lo schema tradizionale del filosofo precursore e insiste piuttosto, al contrario, sul suo ruolo di attardato epigono di una tradizione ormai al tramonto. Vico sarebbe dunque un intellettuale che: «assistendo alla fine di un mondo famigliare, non sa scoprire i segni del sorgere di un nuovo»2. Cioè un innovatore suo malgrado: un filosofo conservatore che rimane indietro rispetto al suo tempo e proprio per questo – proprio perché è rimasto ostinatamente attaccato alla dimensione oscura del sentimento, della passione, dell’irrequietezza tipica della cultura barocca che l’Illuminismo trionfante ha rimosso – riesce a ritagliarsi de facto uno spazio autonomo da quello dei suoi contemporanei, ricordando ciò che tutti sapevano, ma che tutti avevano dimenticato. Questa opinione, per quanto suggestiva e in parte (ma solo in parte) corretta, non riesce però a spiegare una verità evidente: com’è possibile essere un innovatore scoprendo l’acqua calda? Come è possibile che un reazionario risulti automaticamente (e meccanicamente) originale solo perché resta attaccato al passato? Dov’è insomma la parte originale, creativa, nuova del pensiero di Vico? A mio parere per poterlo comprendere bisogna andare più a fondo di ciò che molti studiosi hanno fatto di recente e sforzarsi di comprendere le idee di Vico iuxta propria principia, per usare il lessico vichiano. Troppo spesso, infatti, questi studiosi sembrano condizionati dall’esigenza di scrollarsi da dosso la tradizione idealistica che ha idolatrato Vico senza capirlo. Troppo spesso, in sostanza, si ha l’impressione che prevalga l’intento di dire no a una tradizione contestabile, piuttosto che dire sì a un’interpretazione profonda: se nel passato si diceva “Vico è stato un precursore dell’idealismo e un innovatore” oggi bisogna dire “Vico non è stato un precursore dell’idealismo e neppure un autentico innovatore” buttando via alla fine il bambino con l’acqua sporca.

A mio parere bisogna procedere in un altro modo: la giusta esigenza di riconnettere Vico al suo tempo, non deve farci cadere nella miopia intellettuale di chi lo riconnette solo al cortile di casa sua. Non basta sottolineare il pur importante rapporto fra Vico e la Napoli di quel periodo, ricordando l’irrequietezza dei suoi circoli intellettuali, marginali nella cultura europea, ma animati da significative tendenze anticartesiane e da interessi gassendiani. Bisogna avere il coraggio di connettere Vico all’Europa, rendendosi conto che la Ragione moderna, esaltata dall’Illuminismo, poteva assumere vari volti e varie fisionomie negli stessi anni. Non possiamo certamente approfondire quest’impostazione in uno spazio ristretto e rimandiamo il discorso in merito a un’altra occasione. Tuttavia vorremmo limitarci a ricordare sommariamente una sola considerazione: l’importanza dell’Empiria, che non può essere solo intesa nel senso attribuitole da John Locke e dalla tradizione anglosassone. Come è stato sottolineato da molti e recentemente anche dal filosofo Isaiah Berlin, l’assunto vichiano secondo il quale il verum coincide con il factum e si può veramente conoscere solo ciò che è stato prodotto da noi comporta la conseguenza modernissima che l’uomo possa conoscere veramente i simboli che egli stesso ha creato (e non solo i fatti che egli ha compiuto). Ciò significa che l’epistemologia vichiana è la chiave non solo per capire la storia ma anche e soprattutto la pluralità delle civiltà nella storia, caratterizzate ciascuna dal proprio nucleo di idee e convinzioni. In tale prospettiva assume ben altro carattere ciò che si suole chiamare “Storicismo”. Questa parola, soprattutto in Italia può indurre in equivoco, ma ha un significato più ampio e complesso di quello comune e designa ciò che potremo definire “senso storico”. Si tratta di una dimensione psichica e culturale entro la quale i fenomeni vengono concepiti, che anche l’antropologia culturale moderna ci ha insegnato a concepire non di una riedizione impoverita della filosofia idealistica. Come ha scritto Erich Auerbach: «lo Storicismo… rappresenta la scoperta copernicana delle scienze dello spirito… Il giudizio dogmatico assoluto secondo uno schema fisso, che prevaleva anche nel neoclassicismo… era radicalmente distrutto. L’orizzonte era grandiosamente allargato e lo studio delle civiltà primitive e straniere, quale è praticato fin dagli inizi del XIX secolo, riposa sulla concezione storica. Nelle questioni estetiche il nostro storicismo ci è diventato tanto ovvio che quasi non ne abbiamo più coscienza. Noi gustiamo l’arte, la poesia, la musica dei popoli e dei tempi più diversi con la stessa disposizione a comprenderla… La diversità dei popoli e dei tempi non ci spaventa più… È vero che la comprensione prospettivistica cessa non appena entra in gioco la politica; ma nel campo estetico noi applichiamo la nostra capacità di adattarci a forme culturali o epoche diverse nel corso di una sola visita a un museo, di un solo concerto, talvolta anche al cinema, nello sfogliare una rivista illustrata o anche osservando le scritte pubblicitarie di un’agenzia di viaggi. Questo è storicismo, precisamente come nel Bourgeois Gentilhomme di Molière il linguaggio quotidiano di Monsieur Jourdain, con una grande sorpresa, è prosa»3.

In sostanza, la caratteristica prima dello “Storicismo’” è il relativismo: nel migliore spirito di Vico il bersaglio di chi ha coscienza è la “boria dei dotti”, la presunzione di voler ridurre in schemi prefissati le multiformi manifestazioni della storia umana.

In tale prospettiva lo storicismo è l’esatto contrario del trionfo del reale-razionale di Croce: il senso della storia non dà certezze ma solo una maggior possibilità di comprensione. L’uomo moderno che ha visto crollare tutti i miti e che ha imparato a capire le forme più diverse della realtà, cerca di trovare il filo di una matassa imbrogliata, senza pretendere di dare norme al caos. Non a caso i più avvertiti esponenti del neo-storicismo hanno elevato il procedere a tentoni al rango di vero e proprio metodo: solo accettando la frammentarietà del reale, infatti, è possibile muoversi al suo interno. Erich Auerbach ha affermato a questo riguardo: «… non è giusto dire che il relativismo storico conduca a un’ eclettica incapacità di giudizio e che per giudicare occorrano unità di misura extrastoriche. Chi intende ecletticamente lo storicismo non lo ha capito. La particolarità di ogni epoca e di ogni opera, nonché la qualità delle relazioni fra di esse, si conquistano attraverso l’applicazione e l’approfondimento; è un compito infinito che ciascuno deve cercare di risolvere per sé, dalla sua posizione… Il campo nel quale ci si muove in questa attività è il mondo degli uomini, al quale anche l’osservatore appartiene. Ciò gli fa apparire risolvibile il suo compito (giacché tutte le forme dell’umano devono essere ritrovate “dentro le modificazioni della medesima nostra mente umana”). Ma in pari tempo il compito lo costringe a penetrare così saldamente nella comune umanità, in possibilità di essa che forse egli non avrebbe mai notato, non avrebbe mai attualizzato in se stesso, che non si può parlare di una scelta a piacere, secondo un capriccio, senza responsabilità, che è ciò che si è solito chiamare eclettismo.

In questa attività… si… disimpara… a giudicare secondo categorie extrastoriche e assolute… Si impara a poco a poco a trovare nelle stesse forme storiche le categorie di ordinamento, elastiche e sempre provvisorie, di cui si ha bisogno»4.

Ci si può chiedere, a questo punto, in che modo si possa effettivamente procedere nell’analisi dei singoli fenomeni, nel quadro variegato e ricco di sfaccettature della realtà. E come sia possibile conciliare le infinite esplorazioni, i percorsi innumerevoli entro tale orizzonte, con la necessità di giungere a conclusioni generali. «Se è impossibile raccogliere in una sintesi ogni singolo fatto, è forse possibile arrivare alla sintesi spiegando il singolo fatto caratteristico. Questo metodo consiste nel trovare spunti o problemi chiave sui quali valga la pena di specializzarsi: giacché da essi una via conduce alla conoscenza di nessi, tanto che la luce da essi irradiata illumina quasi tutto un paesaggio storico»5.

La lezione di Vico e dello storicismo è dunque l’opposto della monolitica conclusione dell’idealismo secondo cui “il reale è razionale”. Chi vuole davvero cercare di cogliere il reale deve osservarlo con la curiosità e lo stupore con cui osserverebbe il mare iridescente. E deve saper catturare qualcosa della sua essenza attraverso un dettaglio apparentemente insignificante. In sostanza conoscere significa saper analizzare tessere di un mosaico che si ricompongono in unità per poi dissolversi di nuovo nel gran mare dell’essere, come nuvole che mutano forma e dimensioni senza fine.

1 Camillo Miniero Riccio, Documenti inediti riguardanti l’anno preciso della nascita e della morte di Giovanni Battista di Vico, in Cenni storici sulla distrutta città di Cuma ed altri opuscoli, Napoli, Stabil. Tip. Di Vincenzo Priggiobba, 1846. Cfr. Giambattista Vico, La scienza nuova seconda, a cura di F. Niccolini, Bari, Laterza, 1942, p. 362.

2 Giovan Battista Vico, La scienza nuova, a cura di Paolo Rossi, Milano, Rizzoli, 2008, Introduzione, p. 13.

3 Erich Auerbach, Lingua letteraria e pubblico nella tarda antichità latina e nel Medioevo, Milano, Feltrinelli, 1960, Introduzione, p. 18.

4 Introduzione, cit., pp. 19-20.

5 Introduzione, cit., p. 24.

(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili ma sinora sempre evitati) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”. Talvolta il tema è più leggero che ogni tanto sorridere non fa male, anzi.

Molti i temi possibili. A esempio, nel mio babelico archivio, sul 22 gennaiofra l’altro avevo ipotizzato:1858: nasce Beatrice Webb; 1905: una domenica di sangue a Pietroburgo; 1944: sbarco di Anzio; 1946: il breve sogno di una repubblica curdaa Mahabad; 1947: lettera Einstein su responsabilità degli scienziati; 1948: inchiesta sui dischi volanti (meravigliosamente analizzata da Tommaso Pincio); 1956: funerali “di popolo” per il brigante Musolino; 1957: nuovi massacri in Tunisia; 1959: caso Giuffrè; 1965: muore Martin Buber; 1980: muore Teresa Noce; 2003: una strana storia alla Banca Popolare di Lodi; 2006: i sindaci No-tav marciano con il movimento «no ponte». E chissà a ben cercare quante altre «scordate» salterebbero fuori.

Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.

Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su www.radiazione.info.

Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… vi aggiorneremo. (db)

Redazione
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