Scor-data: 30 luglio 1768
Muore Giorgio Baffo, poeta erotico in dialetto veneziano
di Fabrizio Melodia (*)
Ero ragazzino, all’ultimo anno delle scuole elementari, quando la mia maestra mi indicò il palazzo vicino alla chiesa di S. Maurizio, a Venezia, dirimpetto a dove facevamo lezione, affermando che in quel luogo abitò Alvise Giorgio (“Zorzi”, in veneziano) poeta dalla lingua dirompente e dalla parlata schietta, inviso alla moda dell’epoca.
Da adulto, andavo ancora al liceo, mi capitò d’imbattermi per sbaglio, sempre alla leggendaria eppure reale libreria Toletta, in una copia consumata delle sue poesie complete, un corpus di 1200 liriche tutte in dialetto veneziano.
Incuriosito lessi la poesia introduttiva, comprendendo ben presto la natura delle sue opere e perchè all’epoca non mi venne specificato di cosa si trattasse. Becera mentalità, che impedisce di parlare schietto di questioni assolutamente non sconvenienti, se non al buon nome dello snobismo e perbenismo intellettuale della “cultura” dei salotti.
Il sonetto d’introduzione era pressapoco questo:
«Mi dedico ste mie composizion
Ai Omeni, e alle Donne morbinose,
A quelli veramente, che le cose
I varda per el verso, che xe bon.
Sotto le metto alla so protezion,
Acciò, che dalle Teste scrupolose,
Come persone tutte spiritose
le defenda colla so rason.
Che i diga, che quà drento no ghe xè
Nè critiche, nè offese alle persone,
Che de Dio no se parla, nè dei Rè,
Ma sol de cose belle, allegre, e bone,
Cose deliciosissime, cioè
De Bocche, Tette, Culi, Cazzi, e Mone”.
Ecco dunque il ribadire che si tratta di questioni belle e buone, che non si offendono re e altri potenti e tantomeno ci si riferisce a Dio, ma solo di tette, cazzi, culi e pube si parla.
Giorgio “Zorzi” Alvise Baffo nacque l’11 agosto 1694 a Venezia da Zan Andrea (Gian Andrea) e Chiara Querini: Zorzi Alvise apparteneva alla rilevante casata Baffo, ascritta al patriziato, della quale era l’ultimo erede maschio.
La residenza dei Baffo cambiò più volte nel corso della vita di Giorgio, tuttavia per quarant’anni la famiglia abitò in Campo Santo Stefano, finché, dopo la tarda morte di Zan Andrea nel 1759, Zorzi si spostò poco distante, a Palazzo Bellavite, che si affaccia su Campo San Maurizio: sulla facciata di quest’ultima Ca’ Baffo, dove il poeta visse gli ultimi nove anni di vita, è stata affissa nel XX secolo una targa che, con parole di Apollinaire, ricorda la presenza del poeta. «Questo celebre sifilitico, soprannominato l’osceno, lo potremmo considerare il più grande poeta priapeo mai esistito, ma, al contempo, uno dei massimi poeti lirici»: così lo ricorda Apollinaire, che tradusse in francese gran parte delle poesie di Baffo.
A vent’anni, Giorgio Baffo, in quanto patrizio di toga (avvocato), entrò a far parte del Maggior Consiglio, per poi diventare castellano a Peschiera del Garda. Nel 1720 ritornò nella sua Venezia, dove per lunghi anni fu uno dei magistrati urbani sotto Quaranta (cioè alle dipendenze della Quarantia). Nel 1732, con ritardo rispetto alla media, Baffo entrò a far parte delle Quarantie, con un incarico alla Quarantia Criminale: la sua carriera in quest’ambito durerà fino alla morte, seppure con poche soddisfazioni, dovute a risultati elettorali poco positivi e all’appartenenza della famiglia Baffo al patriziato medio-basso. Per questi motivi e per la vicinanza agli ambienti illuministi dell’abate Antonio Schinella Conti, attraverso l’abate Alvise Grimani, Baffo conobbe, negli anni 1730, la cultura filosofica d’oltralpe, che lo condusse alla scelta di una poesia licenziosa e filosoficamente aderente ai dettati epicurei. Una poesia di satira e protesta, dunque, mirata a sovvertire il potere religioso e a canzonare i reali ben poco illuminati, oltre al patriziato veneziano ormai politicamente incancrenito.
Nel 1737 sposò la clavicembalista Cecilia Sagredo, di 17 anni più giovane e non di nobile estrazione, atto che gli costò le dure critiche del padre Zan Andrea e gli anatemi della famiglia, mitigati solo dall’aspettativa dei genitori di lui per un erede a cui sarebbe andato tutto il patrimonio.
Durante gli anni 1750 ebbe numerose cariche politiche mediocri, che non gli diedero grande prestigio e soddisfazione.
Fu la vita licenziosa, al di fuori delle istituzioni, a interessarlo. In compagnia degli amici del patriziato, tutti appartenenti allo stesso suo ceto sociale, Baffo diffuse le sue poesie, solo orali. Più volte il poeta si oppose alle proposte di editori inglesi, che gli offrivano interessanti somme di denaro per la pubblicazione a stampa dei componimenti (che saranno editi postumi, proprio a Londra).
Nel 1754 Baffo scrisse un sonetto in cui aderiva alla proposta di limitazione dei poteri della Chiesa nella Repubblica di Venezia (Roma no ga più azion de reclamar); è anche l’anno in cui ha luogo una diatriba di carattere letterario che avrà fine solo nel 1756, nella quale il Baffo si scaglia contro Goldoni.
Nel 1756, con lo scoppio della Guerra dei Sette anni, videro la luce numerosi componimenti a tema storico, mentre due anni dopo, all’elezione di papa Clemente XIII, della famiglia veneziana Rezzonico, scrisse sonetti d’invettiva contro il pontefice e il casato di appartenenza.
Gli anni intorno al 1760 si aprono con la carica di Quaranta nella Quarantia Civil Nuova. Nel 1761 si scaglia con molti sonetti contro i gesuiti e contro gli inquisitori di Stato, che hanno messo agli arresti l’amico Angelo Querini, che Baffo sarà pronto a celebrare nel 1763 con «Come se dopo una gran longa piova» per la scarcerazione.
Purtroppo si ammalò di sifilide, malattia che gli impedì di comporre altre opere, oltre a partecipare alla vita politica della repubblica Serenissima, in cui continuò a scagliarsi contro gli ecclesiastici e il potere religioso.
Morì per l’appunto il 30 luglio 1768, a 74 anni.
Ancora una volta la “cultura” ufficiale fece bella mostra di sé, liquidando Baffo con considerazioni mirate a mettere in evidenza la licenziosità, ipocritamente tralasciando l’opera nella sua interezza e le poco note questioni biografiche. Tanto per non far nomi, Guido Almansi, nei suoi studi sul poeta arrivò a definirlo «meraviglioso cantore della mona» escludendo ogni implicazione storico politica. Esiste però, nella seconda metà del XX secolo, anche un’apertura a una lettura completa e problematica dell’autore dove si distingue Ludovico Zorzi, che per la prima volta si operò per un’analisi storico-sociale degli scritti di Baffo, con attenzione alla ricerca biografica.
«Co me vien un pensier fazzo un Sonetto,
E ’l fazzo in Venezian, come son nato,
Siben, che sò, che ghe xe più d’un mato,
Che me condanna, perchè parlo schietto;
Ma in tempo d’innocenza el più perfetto,
Che xe quando, che l’Omo xe stà fato,
L’Omo, e la Donna giera nui de fato,
E questo giera d’innocenza effetto.
Xe vegnù la malizia in campo averto,
E con ella el rossor, e quei gramazzi
Tanto i s’hà vergognà, che i s’hà coverto.
Donca imparè i me cari visdecazzi,
Ch’anca mi scrivo in tel mio stil scoverto,
Come, che hà stampà Dio le Mone, e i Cazzi».
Basterebbe anche solo questo sonetto per comprendere la reale portata satirica ed eversiva del poeta avvocato veneziano, cantore della corruzione e fiero propositore di una ragione laica e illuminata, in grado di limitare lo straripante potere religioso e di affermare i princìpi di onestà e sincerità tipici della cultura anglosassone che tanta parte ebbero nel formare gli illuministi francesi.
Ecco come la capacità dell’umorismo e del parlare chiaro sono viste in chiave assolutamente pericolosa, quindi confinate nella sfera della sconvenienza e della licenziosità. L’umorismo in effetti è la chiave di volta che permette di abbattere i potenti e i tiranni, spesso ammantati d’aura sacrale, lontani da ogni velleità di vuota demagogia a solo uso personale.
Zorzi Baffo insegna che il sesso e l’allegria possono davvero cambiare le cose, o perlomeno essere una spina nel fianco per coloro che mirano solo al proprio potere e prestigio.
Cosi lo ricorda l’amico e discepolo Giacomo Casanova: «Genio sublime, poeta nel più lubrico dei generi, ma grande e unico».
Per approfondimenti:
Testimonianze contemporanee sono in C. Goldoni, «Opere», a cura di G. Ortolani, I, Milano 1935, p. 1008; V, ibid. 1941, pp. 263-64, 933, 1358, 136o, 1401; IX, ibid. 195o, p. 1333; XIII, ibid. 1955, pp. 201-13, 969; XIV, ibid. 1956, p. 788;
G. Baretti, «La frusta letteraria», a cura di L. Piccioni, II, Bari 1932, p. 279 (numero del 1° aprile 1765);
«Agenti segreti veneziani nel ‘700», a cura di G. Comisso, Milano 1945, pp. 98-100; J. Casanova, «Histoire de ma vie» (éd. intégrale) t. I, Wiesbaden-Paris 1960, passim, e in particolare p. 9, dove lo ricordava con affetto per i benefici ricevuti ancor fanciullo e lo diceva appunto «sublime génie, poète dans le plus lubrique de tous les genres, mais grand et unique».
Accanto a qualche scarno cenno biografico, come in G. Moschini, «Della letteratura veneziana del sec. XVIII», II, Venezia 18o6, pp. 152-53, o nella voce, dovuta al Ginguené, della «Biographie universelle», III, Paris 1811, p. 209, troviamo la ristampa di qualche poesia e il riconoscimento delle qualità di poeta dialettale nella «Raccolta di poesie in dialetto veneziano d’ogni secolo»,Venezia 1845, pp. 89-93, 507, e ogni tanto l’impennata critica, positiva o negativa, quale fu quella di G. Ferrari, «Saggio sulla poesia popolare in Italia», in «Opuscoli politici e letterari», Capolago 1852, pp. 494-96 (l’articolo era uscito in origine in francese nel 1839-40 nella «Revue des deux mondes»).
Cfr. inoltre «Nouvelle biographie universelle», IV, Paris 1853, col. 148; G. Dandolo, «La caduta della repubblica di Venezia e i suoi ultimi cinquant’anni», Venezia 1855, pp. 90 s.; C. v. Wurzbach, «Biographisches lexicon…», I, Wien 1856, p. 122; E. Castelnuovo, «Della poesia vernacola veneziana», in «Nuova antologia»,16 aprile 1883, p. 613; V. Malamani, «I costumi di Venezia nel sec. XVIII studiati nei poeti satirici», in «Riv. stor. Ital.», II (1885), pp. 45, 66; R. Barbiera, «Poesie veneziane scelte ed illustrate», Firenze 1886, pp. XXIV s. XL, 21-29; V. Malamani, «Il Settecento a Venezia», I,«La satira del costume», Torino 1891, passim; A. C. Dall’Acqua, «Venezia e i suoi poeti dialettali del Settecento», Mantova 1910, passim.
Nello stesso anno Apollinaire, nel volume che si è detto, riprendeva in chiave compiaciuta la definizione del B. come «poeta di orgie» data dal Ferrari giudicandolo «le plus grand poète priapique qui ait jamais existé et en même temps l’un des poètes le plus lyriques du XVIIIe siècle» e assimilandolo alla sua torbida definizione di Venezia come «ville amphibie, cité humide, sexe femelle de l’Europe»; A. Pilot, «Antologia della lirica veneziana dal ‘500 ai nostri giorni», Venezia 1913, pp. 19, 151-6o, 92s; C. Musatti, «G.B. e la “Sposa persiana», in «Riv. teatrale ital.», XIII (1914), pp. 328 ss.; L. Pagano, «Poeti dialettali veneti del Settecento»,Venezia 1915, pp. 44-52, passim; F. Nani Mocenigo, «Della letteratura veneziana del sec. XIX», Venezia 1916, p. 436; «Venezia nel canto de‘ suoi poeti», scelti e illustrati da R. Barbiera, Milano 1925, pp. XIII, XVII, 22-28; P. Molmenti, «La storia di Venezia nella vita privata», III, Bergamo 1926, pp. 86, 168, 279, 389; A. Pilot, «G.B.», in «Encicl. Ital.», V, Milano-Roma 1930, p. 842; V. Lee, «Il settecento in Italia», Napoli 1932, p. 31; G. Baretti, «Epistolario», a cura di L. Piccioni, II, Bari 1936 p. 162; G. Natali, «Il Settecento», Milano 1944: pp. 613, 641; M. Dazzi, «Il fiore della lirica veneziana», II, Venezia 1956, pp. 213-41, cui dobbiamo la più convincente sistemazione critica del B. e anche una scelta un po’ più coraggiosa dei suoi componimenti; «Diz. letterario Bompiani, Autori», I, Milano 1956, p. 153; Opere,V, Milano 1948, p. 609 (a cura di C. Cordiè); G. Damerini, «Casanova a Venezia dopo il primo esilio», Torino 1957, p. 291; B. Gamba, «Serie degli scritti impressi in dialetto veneziano», 2 ediz., a cura di N. Vianello, Venezia-Roma 1959, passim.
(*) Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili.Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)