Scor-data: dal 5 dicembre 1955

Montgomery Bus Boycott, 381 giorni per vincere

di Costanza Ciminelli (*)  

«L’efficacia della disobbedienza è proporzionale alla capacità che il gesto assume di essere condiviso da una pluralità estesa di persone e alla attitudine a suggestionare altri a comportarsi in modo simile». Elvio Fassone, «Meditazioni sulla non-violenza».

Per dire no a un sopruso, occorre sollevare il viso, tenerlo fermo mentre si piantano gli occhi su chi si aspettava da te una risposta diversa; puntare lo sguardo dell’altro comunque, anche se intanto quello lo ha distolto dal tuo.

Occorre non assecondare la rassegnazione, il che, per una parte di te, equivale a un sacrilegio.

Occorre dominare la paura, imbozzolata in un dolore antico, una combinazione ad alto tasso di emotività che può giocare brutti scherzi.

Occorre sorvegliare la rabbia che è tanta e vorrebbe fuoriuscire ma che rimane trattenuta in mille rivoli di atavica compostezza.

Occorre mostrare una calma forse non del tutto autentica, ma non per questo poco autorevole, e tacitare l’ansia che mette a dura prova il cuore.

Occorre disciplinare il coraggio che in quell’attimo diventa forza insostenibile, col rischio di travolgerci se muta in aggressività.

Per dire no a un sopruso, occorre molta, molta stanchezza, una stanchezza lunga secoli, che si è appiccicata a te in maniera indelebile, da non sentirla più… quasi più… perché poi, invece, emerge d’improvviso; allora bisogna lasciarla andare, come se non fosse possibile altrimenti (come è stato possibile finora?).

Stanchezza che ti fa ricordare te bambina, intenta a piantare cotone in primavera e a raccoglierlo in autunno, senza limiti d’orario. «Da quando puoi vederci a quando non puoi più», dicevano.

Stanchezza pensando a tutti i No che non sono stati detti, affermati, gridati, dalla tua gente, che sono rimasti inascoltati, impronunciati perché recisi con la morte per linciaggio, annegamento, tortura, stupro.

E allora lo dici.

Dici No. Senza scomporti. Con il garbo dei miti a cui ti hanno educata. Alzi appena un po’ la voce perché ti sorge il dubbio che l’altro non abbia sentito, infatti sta ripetendo la domanda a cui ti pare di aver già risposto.

«Allora, negra, ti alzi o no?».

«No».

È appena iniziato dicembre e il Montgomery Fair Department Store è in gran fermento: il lavoro, come sempre in questo periodo, è raddoppiato, e non hai smesso un attimo di fare e disfare orli, aggiustare maniche, allargare vite, rafforzare bottoni, restringere asole. Dopo nove ore, uscita dal seminterrato del magazzino più umido che mai, senti i piedi gonfi e le spalle indolenzite. Vuoi solo tornare a casa, sperando di trovare un sedile libero in autobus.

Sali a bordo dalla porta anteriore a fare il biglietto. Non puoi accomodarti subito nei posti delle ultime file – quelli assegnati alle persone di colore come te – o nei posti delle file intermedie – che, se non occupati completamente dai bianchi con diritto di precedenza, possono essere condivisi – ma devi scendere di nuovo e risalire dalla porta posteriore, ossia dall’ingresso riservato a te e alla tua gente. Riesci a trovare un posto solo nella parte centrale. Poco male, ti guardi intorno constatando con piacere che parecchi sedili delle prime file sono liberi; ci sono buone possibilità di stare seduti per il resto del tragitto. All’ultima fermata downtown salgono un bel po’ di bianchi, tutti i sedili vengono occupati e alcuni di loro restano in piedi. Sai che devi alzarti – altri come te lo stanno già facendo – però non ne hai voglia: il corpo è a riposo, la mente ha cominciato piacevolmente a divagare. Proprio non ti viene di farlo.

Non lo fai.

Non ti alzi non a causa della spossatezza – sei affaticata come lo si è normalmente dopo una giornata di lavoro, né si può dire tu sia propriamente vecchia, sei una donna di mezza età, con alle spalle 42 anni di abitudine alla sopportazione – ma, semplicemente, perché non vuoi più cedere al sopruso.

RosaLouiseMcCauley, coniugata Parks, professione cucitrice, va in carcere il 1° dicembre 1955 a Montgomery capitale dello Stato americano dell’Alabama e vecchia capitale della Confederazione sudista per aver violato il sistema «Jim Crow»(la discriminazione legalizzata dei neri dai bianchi nei quartieri, nei luoghi pubblici, sui mezzi di trasporto, negli ambienti di lavoro). L’accusa è di aver violato le norme municipali sull’utilizzo degli autobus: la signora Parks non si è seduta nella sezione dei bianchi, si è però rifiutata di lasciare il suo posto nel settore centrale, ossia quello riservato sia ai neri che ai bianchi ma con diritto di precedenza per questi ultimi. Rosa Parks è un’attivista dell’Associazione Nazionale per l’Avanzamento della Popolazione di Colore (Naacp) ed è solo perché l’associazione si fa carico della cauzione che resta in prigione poche ore.

Il lunedì successivo, la donna viene condannata a pagare 10 dollari di ammenda, e quattro per le spese processuali, con in più la fedina penale macchiata.

Ma il suo «No» innesca una reazione a catena dagli effetti irreversibili: da «No» individuale diventa un grande, enorme, sconfinato «No» collettivo, non destinato a esaurirsi nella distruttività provocata dallo sconcerto iniziale – vengono danneggiati alcuni autobus e negozi.

È il 5 dicembre 1955 quando inizia quello che verrà ricordato come il più grande e popolare boicottaggio del Novecento.

Nei primi giorni della protesta, l’obiettivo dei neri non è quello di un sistema di trasporto integrato, bensì unicamente la modifica delle disposizioni che regolano il regime di segregazione sugli autobus: chi si siede prima nel proprio settore deve poter rimanere seduto. È solo quando questa modesta richiesta incontra una resistenza risentita e violenta da parte dei bianchi che i circa 50.000 afroamericani residenti a Montgomery alzano la posta e chiedono l’abolizione del sistema «Jim Crow» sui mezzi di trasporto pubblico.

Il contraccolpo sul modus vivendi della popolazione nera della città è immane, la mobilitazione generale. Si pone il problema di dar vita a un comitato permanente che si occupi di coordinare la protesta. Nasce così la Montgomery Improvement Association (Mia) alla cui guida viene scelto un pastore battista di 26 anni. Quel pastore si chiama Martin Luther King e la sua dottrina di riferimento è la disobbedienza civile e non-violenta del Mahatma Gandhi. Sin da subito King aspira a togliere ogni tono particolaristico al boicottaggio, arricchendolo, al contrario, di intonazioni universalistiche: «Questa non è semplicemente una lotta per i neri, è una lotta per la giustizia… Una delle grandi glorie della democrazia è il diritto di protestare per il proprio diritto». Se i neri si ribellano lo fanno per il bene dell’America tutta, perché onorano prima e più degli altri connazionali quella democrazia che è l’essenza e il fondamento del proprio Paese, democrazia che non trova riscontro, però, quando sono loro a essere coinvolti.

Chiese, associazioni professionali e femminili, sindacati, tutti danno il loro decisivo contributo al boicottaggio. Le compagnie di taxi controllate da neri iniziano a trasportare gli scioperanti alle stesse tariffe dei mezzi pubblici, prelevandoli da luoghi prestabiliti. La raccolta fondi a sostegno della protesta è continua: vengono acquistati furgoni e messi a disposizione pulmini, si fanno compere collettive evitando i negozi dei commercianti segregazionisti. L’azione di lotta comune attenua le differenze sociali: la minoranza dei neri benestanti ospita nelle proprie automobili donne di servizio e operai per consentire loro di recarsi a lavoro ma di proseguire, nel contempo, ad attuare il boicottaggio. Più di una signora bianca, inoltre, va a prendere in macchina la propria domestica di colore e poi la riporta a casa, a fine giornata; ciò a dispetto delle minacce dei bianchi razzisti e degli appelli dell’amministrazione comunale contro ogni forma d’appoggio alla protesta nera. A poco a poco il boicottaggio raggiunge le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, suscitando interesse e solidarietà: Montgomery è «la città che va a piedi» e sono tante le scarpe che arrivano da tutti gli Stati Uniti all’attenzione di Rosa Parks.

Dopo vari gradi di giudizio, la Corte Suprema si pronuncia a favore della incostituzionalità delle norme relative alla segregazione sui mezzi pubblici vigenti in Alabama. Ciò costituisce un precedente imprescindibile: tutti i neri americani possono farvi riferimento per abbattere il sistema «Jim Crow».

Il boicottaggio degli autobus di Montgomery si conclude il 21 dicembre 1956, dopo 381 giorni, ponendosi come spartiacque storico. Porterà, infatti, a un cambiamento cruciale nella qualità di vita dei neri del Sud degli Stati Uniti, a dimostrazione che una lotta determinata e rigorosamente pacifica può avere esiti insperati modificando le decisioni e la condotta delle autorità razziste.

La segregazione legalizzata è destinata a scomparire di lì a pochi anni nel resto degli Stati meridionali. La protesta pacifica di Montgomery segna una tappa decisiva per il movimento di emancipazione degli afroamericani e prepara alle grandi legislazioni a sostegno dell’uguaglianza fra bianchi e neri: il Civil Right Act del 1964 e il Voting Right Bill del 1965.

(*) UN ESORDIO, UN RITARDO, UN RI-ANNUNCIO E LA SOLITA NOTA

Intanto un «benvenuta» a Costanza, al suo esordio qui in blog. Poi le scuse per il lieve ritardo nel postare (colpa mia). Già che ci sono vi ri-annuncio che nel 2014 uscirà il (primo?) libro delle «scor-date»: in arrivo tutte le informazioni.

Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia, pochi minuti dopo – di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.

Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”. (db)

 

Redazione
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