Ecuador: quel Plan Cóndor rimosso dalla storia

di David Lifodi

La recente presentazione del film-documentario “La muerte de Jaime Roldós”, volto ad indagare sulle circostanze che determinarono la morte del presidente ecuadoriano alla guida del paese dall’agosto 1979 al 24 maggio 1981, ha scoperchiato anche un passato che in molti, in Ecuador, avevano rimosso: l’adesione del paese al Plan Cóndor (il piano di repressione continentale contro ogni forma di opposizione che permise lo scambio di dati e prigionieri tra le dittature del Cono Sud) a cavallo tra gli anni ’70 e ’80.

Presentato dai registi Manolo Sarmiento e Lisandra Rivera, il documentario racconta l’impegno di Jaime Roldós per i diritti umani e il ritorno alla democrazia in America Latina e smaschera il pacto del silencio a cui si era attenuta anche la magistratura: il presidente morì in un incidente aereo non casuale il 24 maggio 1981. Il velivolo scoppiò in volo in circostanze molto simili  a quelle in cui, appena due mesi più tardi, perì il presidente di Panama Omar Torrijos. La giornalista argentina Stella Calloni, autrice del volume Operación Cóndor, Pacto Criminal, ha svelato che i nomi di Roldós e Torrijos erano apparsi nel cosiddetto Documento de Santa Fe in qualità di presidentes adversos y molestos. Questo documento era stato elaborato dal Grupo de Santa Fe (la capitale dello stato americano del Nuevo México), un organismo del think thank conservatore Usa Heritage Foundation, che nei primi anni ’80 tracciava la linea della politica estera statunitense. L’avionazo dell’aereo su cui viaggiava Jaime Roldós avvenne nella provincia ecuadoriana di Loja: il velivolo della Fuerza Aérea Ecuadoriana si schiantò contro ilCerro Huayrapungo, come testimonia il documentario, realizzato grazie all’apporto del Consejo Nacional de Cinematografía dell’Ecuador e con il contributo dei Ministeri dell’Istruzione e della Cultura. La pellicola non è servita solo a rendere omaggio all’allora presidente ecuadoriano, che morì a 41 anni, ma anche  a risvegliare la magistratura, che ha disposto la riapertura delle indagini per far luce sulla morte di Jaime Roldós e della moglie Martha Bucaram. Di certo Roldós era inviso agli Stati Uniti e ai governi di ultradestra che allora spadroneggiavano nel continente: al Plan Cóndor, sorto ufficialmente nel 1975 e tenuto a battesimo a Buenos Aires dalle polizie politiche di Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, Paraguay e Bolivia, si aggiunse anche l’Ecuador nel 1978. “Se Roldós non fosse morto prematuramente”, ha commentato l’attuale presidente Rafael Correa, “la storia de nuestra América sarebbe stata differente”. Correa non ha torto: la coraggiosa politica di Roldós nel campo dei diritti umani, la sua vicinanza con il governo sandinista in Nicaragua e con l’opposizione salvadoregna del Frente Democrático al regime militare di El Salvador impensierirono non poco gli Stati Uniti. Per marcare la sua differenza dal guerrafondaio Ronald Reagan, che appoggiava i peggiori macellai dell’America Latina, e per evidenziare che sotto la sua presidenza l’Ecuador era tornato alla democrazia dopo la vergogna dell’adesione al Plan Cóndor voluta dai generali che l’avevano preceduto a Palacio de Carondelet (Alfredo Poveda, Luis Leoro Franco e Luis Arcentales), Jaime Roldós aveva rifiutato anche di partecipare alla cerimonia d’insediamento dello stesso Reagan. Era il gennaio 1981: pochi mesi dopo ci sarebbe stato l’avionazo che avrebbe portato via la speranza di cambiamento a cui agognava l’Ecuador. L’adesione di Quito al Plan Cóndor è emersa da un documento declassificato della Cia attualmente nelle mani di Martín Almada, autore del volume Archivos del Terror, pubblicato nel 1992 dall’attivista paraguayano premiato nel 2002 con il Nobel alternativo.  Almada, paraguayano, fu arrestato dalla polizia politica del dittatore Stroessner e rinchiuso per tre anni e mezzo in prigione, fin quando la campagna mediatica di Amnesty International costrinse la dittatura a liberarlo, salvandolo così da una morte sicura.  Un altro documento della Cia, in possesso del giudice Baltasar Garzón, sostiene che l’Ecuador avesse accettato l’offerta del regime di Augusto Pinochet in relazione a pratiche di addestramento alla contrainsurgencia dell’esercito ecuadoriano.  Tra le altre cose, il caso volle che proprio Pinochet, ben prima del colpo di stato dell’11 settembre 1973, fosse stato nominato addetto militare dell’ambasciata cilena a Quito nel periodo 1964-1970, sotto la presidenza di Eduardo Frei Montalva. L’allora comandante generale dell’esercito dell’Ecuador, José Gallardo Román,  ha sempre assicurato che il paese non ha mai partecipato al Plan Cóndor. Se è vero che in Ecuador non si sono verificati episodi di massiccia repressione come in Cile o Argentina, è altrettanto innegabile che il paese andino rappresentò una base d’appoggio sicura e affidabile. Il generale argentino Guillermo Suárez Mason più volte si recò in Ecuador per conto della Cia e in qualità di esponente della Liga Anticomunista Mundial. L’argentino Adolfo Pérez Esquivel, premio Nobel per la pace nel 1980, racconta che fu fatto prigioniero al termine di una riunione di vescovi nella città ecuadoriana di Riobamba. La polizia arrestò prelati e laici presenti alla riunione e tutti furono condotti in un carcere militare di Quito: questi erano gli effetti del Plan Cóndor. E ancora: l’ex agente Cia Philip Agee, nel suo libro Inside the Company: Cia Diary, racconta una serie di operazioni militari condotte contro i movimenti guerriglieri di sinistra e ambientate prevalentemente in Ecuador. Non solo: le confessioni di un altro ex agente della Cia, John Perkins, raccontano che negli anni ’70 più di una volta si recò in Ecuador per imporre progetti economici favorevoli alle multinazionali statunitensi. Durante una visita a Quito, nel 2007, lo stesso Perkins chiese pubblicamente scusa per l’incidente aereo che causò la morte di Jaime Roldós, della moglie, ma anche del ministro della Difesa Marco Subía: si trattava di una vera e propria di ammissione di colpa. Il coinvolgimento dell’Ecuador con il Plan Cóndor non finisce qui. Molto più recentemente, il 10 luglio 1997, il colonnello dell’esercito paraguayano Francisco Ramón Ledesma, in occasione della XII Conferencia de Ejércitos Americanos, comunicava al suo omologo ecuadoriano Jaime del Castillo Báez: “Le consegno la lista dei sovversivi paraguayani affinché possa elaborare l’elenco dei sovversivi latinoamericani per il primo semestre del 1997”. Una sorta di Plan Cóndor 2, spiega Martín Almada, in possesso del documento.

In definitiva, ci sono gli elementi sufficienti per dire che Jaime Róldos fu assassinato dal Plan Cóndor e che l’Ecuador non ebbe un ruolo così marginale all’interno del piano come in molti vogliono far credere: ora spetta alla magistratura ecuadoriana far luce sull’avionazo che condannò alla morte l’allora presidente del paese e riaprire il caso.

 

 

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