Segni di morte

Ritorna il calcio scommesse. O meglio ogni tanto in Italia si “scopre” che il calcio scommesse è truccato, dunque anche i campionati. E i mondiali? Leggete il racconto (o forse l’orazione funebre, la perizia del medico legale) di Maurizio Cometto.

 

New York, Giants Stadium, 18/06/1994: Italia – Irlanda 0-1

Jones è finito in mezzo agli irlandesi. Ironia della sorte. Sono molti più loro che i mangiaspaghetti.

Per fortuna non si gioca a mezzogiorno, ma alle quattro. Jones indossa solo una t-shirt e un paio di bermuda. Eppure è già coperto da uno strato di sudore.

I “don” si sono fatti già sentire. Tipico di quelli del primo livello. Non si fidano di niente e di nessuno, figuriamoci dell’organizzazione.

Eppure Jones sa che tutto andrà liscio. Succederà nel primo tempo. Poi gli “azzurri” attaccheranno, ma in maniera sterile, e le occasioni migliori le avranno gli irlandesi.

Ci sono state parecchie puntate, sparse per tutto il pianeta. Si dice che perfino mister B., il nuovo capo laggiù, abbia investito centinaia di milioni. Del resto mister B. non è solo un esponente del secondo livello, come tutti sanno, ma è uno del terzo.

E vuole cominciare bene il suo mandato presidenziale.

Quando segna Houghton Jones finisce quasi soffocato dall’esultanza degli irlandesi. Il sacchetto di popcorn gli cade per terra, svuotandosi del tutto. Manca poco che anche il bicchierone di birra gelata si rovesci.

Nonostante questo Jones sorride. Che attore, quel portiere, pensa. Sapeva di potersi fidare di lui.

Fino a qualche mese prima Jones era scettico. Puntare sui mangiaspaghetti gli sembrava una grossa cazzata. L’aveva ribadito più volte alle riunioni.

Non era certo uno che le mandava a dire.

In una di queste riunioni c’era perfino un’esponente del quarto livello, un certo Baba Shamalaya, un santone tibetano.

Non aveva avuto paura. “I loro giocatori sono troppo rammolliti”, aveva detto. “E poi non mi fido di questi nuovi arbitri.”

I “don” e un cardinale l’avevano guardato storto. Poteva rimanerci secco. Poteva darsi che lì fuori, prima di salire in macchina, qualcuno l’avrebbe fatto fuori.

Anche se aveva alle spalle l’organizzazione.

Invece già a un mese dall’inizio del Mondiale aveva capito che tutto sarebbe andato liscio. In fin dei conti là hanno il Vaticano, hanno i “don”, e da quest’anno hanno pure mister B. Gente di tutti i livelli, che ha soldi da investire, che sa muovere le leve.

Essere il coordinatore della squadra destinata alla vittoria, adesso, lo riempie di un orgoglio particolare.

Nel secondo tempo, come da copione, l’Italia attacca senza vere occasioni. L’Irlanda prende ancora una traversa con Sheridan. Peccato, un due a zero l’avrebbe reso più tranquillo.

Però qualcuno avrebbe perso milioni di dollari, e questo non sarebbe stato bene.

La partita finisce. Jones getta un occhio al settore dove stazionano i gruppetti provenienti da Little Italy. Hanno l’aria mesta.

Sorride dentro di sé. Non sapete cosa vi aspetta, cari mangiaspaghetti. Il Mondiale è ancora lungo, molto lungo.

New York, Giants Stadium, 23/06/1994: Italia – Norvegia 1-0

Questa volta sugli spalti vincono i mangiaspaghetti. Ma che partita ci può essere contro quelle pertiche fredde dei norvegesi? Anche i neutrali, i newyorchesi, tifano azzurro.

L’Italia deve vincere. E vincerà, pensa Jones sorridendo. Faticando un pochino, ma vincerà.

Oggi indossa una camicia a mezze maniche, e un paio di jeans sfrangiati al ginocchio. Si è messo in una tribuna laterale invece che in curva. Da qui si vede meglio.

La partita comincia. Al ventunesimo succede. Jones assiste al tutto con un ghigno soddisfatto stampato sulla faccia.

L’espulsione del portiere italiano. Che attore, che attore!, gongola Jones; uno dei migliori infiltrati mai avuti dall’organizzazione. La sostituzione del fuoriclasse azzurro, che scuote la testa e borbotta contrariato.

Sta facendo uno splendido lavoro. Dopo la partita con l’Irlanda i capi dell’organizzazione si sono complimentati con lui. Gli hanno riferito che perfino esponenti del quarto livello, gente proveniente da molto lontano, hanno espresso il loro apprezzamento.

L’Italia era data vincente. Tutti hanno avuto il loro guadagno, compreso mister B., laggiù, che nelle interviste ha fatto finta di essere dispiaciuto. E le quote dell’Italia stanno calando, come da copione.

Jones osserva l’allenatore degli azzurri che si agita ai bordi del campo. La testa pelata, lo sguardo allucinato. Jones scuote il capo.

Non ha avuto bisogno di contattarlo. L’allenatore è l’ultimo anello della catena. Arbitri e giocatori, solo su di loro – alcuni di loro, scelti attentamente – si concentra l’opera di arruolamento dell’organizzazione.

Finisce il primo tempo sullo zero a zero. L’Italia è in dieci ma sembra tenere bene. Del resto se perde è fuori dai mondiali.

Fuori dai Mondiali… che ridere.

Jones va al bar e fa un paio di telefonate. Viene a sapere, tra le altre cose, che quello del quinto livello ha dato dei segnali. L’informazione arriva direttamente dal Vaticano, e sembra confermata dai Mormoni.

Questa notizia mina un po’ il suo umore. Prende il solito sacchetto di popcorn e la birra gelata, senza sorridere alla commessa. Si sente le ascelle completamente inzuppate di sudore.

Torna nella tribuna laterale, in mezzo a coppiette e a gruppi di ragazzi, tutti di New York.

Quello del quinto livello lo preoccupa sempre. Non è mai riuscito a capire quale sia il suo ruolo nel grande gioco che portano avanti. Quale sia il suo guadagno, se si può parlare di guadagno.

Durante una delle ultime riunioni, uno del terzo livello, un italiano Gran Maestro della Massoneria, gli aveva detto che quello del quinto livello sapeva già tutti i risultati del prossimo Mondiale.

E perché, non li sappiamo anche noi?, aveva ribattuto lui.

Si erano guardati in faccia, ed erano scoppiati a ridere.

Nel secondo tempo succede. Il gol di testa dell’omonimo del campione sostituito. Lo stadio esplode in una bolgia di esultanza.

Jones sta tranquillo, ormai si sta abituando.

L’Italia finisce la partita in nove, ma resiste, e vince. Jones esce dallo stadio pregustando l’epilogo del girone. Dovrà sentirsi con gli altri coordinatori, perché nulla può essere lasciato al caso.

L’Italia arriverà agli ottavi, certo.

Ma nessuno sarà disposto a spendere un centesimo sulla sua vittoria finale.

Washington, RFK Stadium, 28/06/1994: Italia – Messico 1-1

Al terzo del secondo tempo il gol degli azzurri. Jones, in jeans lunghi e t-shirt di Enrico Coveri per l’occasione, si terge il sudore dalla fronte. Lo stadio è una fornace; accidenti alle partite giocate a mezzogiorno e mezzo solo per accontentare le TV europee.

Jones ha una radio. Si tiene informato sull’andamento dell’altra partita. Irlanda e Messico sono sempre sullo zero a zero.

Così come sono messe le cose, l’Italia passerebbe il turno come prima classificata.

Jones è nervoso. Sa che proprio questo è il giorno più difficile. La concatenazione dei risultati dovrà essere perfetta.

L’idea era venuta durante una riunione a uno del primo livello. Un capobastone calabrese. Era piaciuta a tutti, soprattutto agli esponenti del secondo livello, politici e banchieri in primo luogo, tutta gente che ama rischiare.

L’Italia dovrà passare il primo turno per il rotto della cuffia, esattamente come successo nell’’82. Chi avrebbe scommesso nell’82 che l’Italia vincesse con Argentina e Brasile? Nessuno.

Così le quote aumenteranno ancora di più.

Poi il suo capo aveva dato un ulteriore giro di vite. Il regolamento oggi è diverso, aveva detto. Passeranno agli ottavi anche le migliori terze classificate.

L’Italia dovrà passare il turno solo come ripescata.

All’inizio era sembrato un azzardo troppo forte. Va bene controllare una partita, ma controllare più partite…? E’ una sfida che vogliamo accettare, avevano detto i capi dell’organizzazione.

L’Italia passerà il turno solo come ripescata.

Jones segue l’andamento della partita mentre non perde notizie dalla radio. Avrebbe voglia di chiamare Smith e Brown, gli altri due coordinatori coinvolti. Ma non è possibile.

Regola non scritta: i coordinatori durante le partite non si devono chiamare. Troppe cimici in giro. Troppo pericoloso.

Eccolo… eccolo! Sono passati appena dieci minuti. Il diagonale di Bernal s’infila in rete; il Messico pareggia.

Jones tira un sospiro di sollievo.

L’altra partita è ancora zero a zero. Perfetto. Nulla dovrà più cambiare.

L’Italia ha altre occasioni. Quello spilungone lento, soprattutto. Per fortuna è uno di quelli con cui ha parlato più a lungo.

Jones ha già bevuto due bicchieri di birra gelata. Continua a sudare freddo. I chicanos cercano di controllare il gioco, sanno che se le cose finiscono così la qualificazione è assicurata.

Finisce la partita. E’ finita anche l’altra; Jones spegne la radio. Osserva le facce meste e tirate dei mangiaspaghetti.

Quattro squadre a quattro punti nello stesso girone. S’era mai vista una cosa del genere? Passano il turno Messico e Irlanda. L’Italia è solo terza. Dovrà aspettare il risultato di Russia – Camerun, che si giocherà tra qualche ora a San Francisco.

Solo se la Russia vince, l’Italia passerà agli ottavi.

Jones esce dallo stadio e s’infila in un centro commerciale, con l’aria condizionata a manetta. Telefona al suo capo. Viene a sapere di altri movimenti di quello del quinto livello.

Questa volta a confermarlo ci sono alcuni rappresentanti dei Talebani.

Mangia un cheeseburger e s’infila in un bar, nervoso, per guardare la partita della Russia.

Quello del quinto livello è sempre un’incognita. Perché non lo lasciano fuori? Perché non lo tengono all’oscuro di tutto?

E’ impossibile tenerlo all’oscuro, si rende conto Jones.

Russia – Camerun comincia. Dopo il primo tempo Jones è già più tranquillo. Alla fine finisce sei a uno per la Russia.

Jones se ne va di nuovo un po’ scosso. Sei a uno è un punteggio esagerato; c’era bisogno di far segnare cinque gol a quel Salenko? Ora qualcuno sospetterà la combine.

Lui l’aveva detto che quel Brown era troppo inesperto per il ruolo da coordinatore.

Ma perché si preoccupa tanto? L’Italia è agli ottavi. Ripescata per il rotto della cuffia: proprio come avevano deciso.

I sospetti se li gestiscano quelli del secondo livello, a partire da quel mister B., laggiù.

Lo aspetta una notte di festeggiamenti.

Boston, Foxboro Stadium, 05/07/1994: Italia – Nigeria 2-1

Jones sta sudando. Il Foxboro stadium è un altoforno. Ma i motivi sono altri.

Quel maledetto arbitro. Non è riuscito neanche a parlargli. Non voleva vedere nessuno.

Ora le incognite aumentano. Per fortuna i nigeriani sono stati malleabili. Segnate, e poi lasciate fare a loro, gli ha detto.

Le quote dell’Italia sono scese sotto zero, dopo la qualificazione risicata. I mangiaspaghetti hanno tirato in ballo la fortuna di quell’allenatore dagli occhi spiritati. E mister B., laggiù, ha chiamato il suo capo, lamentandosi del punteggio “tennistico” di Russia – Camerun.

Anche quelli del terzo livello, i massoni, si sono lamentati.

Solo i “don” sono stati contenti.

Ma ora Jones suda. Indossa pantaloni eleganti di lino, una camicia a righe bianco azzurre di Armani, e un Panama bianco per ripararsi dal sole. Segue la partita seduto in tribuna, un po’ defilato.

Poco dopo il gol della Nigeria, la tensione di Jones aumenta. La Nigeria è arretrata, l’Italia attacca, ma senza pungere. Devono segnare, maledizione, devono segnare!

Durante l’intervallo Jones fila dritto al bar. L’aria condizionata gli gela il sudore. Fa qualche telefonata, ma non al suo capo, per paura che gli chieda dell’arbitro.

Se l’Italia non passa, i “don” chiederanno la sua testa. E non solo i “don”. Anche i Cardinali, e mister B., laggiù, e tutta la massoneria.

Senza contare quelli del quarto livello.

L’Italia deve vincere i Mondiali. Dopo che han fatto saltare in aria quei due magistrati, laggiù, dopo tutto quello che è successo ai loro politici. Gli italiani hanno bisogno di essere distratti.

Tutti sono stati d’accordo, anche quello del quinto livello, almeno così dicono i capi.

Secondo tempo. L’Italia non segna. E se fosse venuto il momento del piano di emergenza?

Non è mai stato usato. Mancano venti minuti alla fine e gli azzurri non hanno ancora pareggiato. Jones sta friggendo.

Finché non interviene l’arbitro. E’ il settantacinquesimo. L’arbitro espelle il fantasista appena entrato, il piccoletto sardo, per un fallo di reazione che non c’era assolutamente.

L’Italia è in dieci, a un quarto d’ora dalla fine.

Le viscere di Jones stanno traballando. Si alza dalla sedia, mentre i suoi vicini protestano contro l’arbitro. Si avvicina alla scalinata centrale, da dove raggiungerà il bar e la cabina telefonica.

Chiedere l’intervento di quello del quinto livello…

La sua testa cadrà di sicuro, ma deve salvare il salvabile.

Entra dentro il bar. Nella cabina. Comincia a fare il numero.

Un boato da fuori; lo stadio sembra scosso da un terremoto.

Jones guarda l’orologio. Mancano due minuti alla fine della partita. Esce in fretta a guardare, chiede spiegazioni.

L’Italia ha pareggiato. Un gol incredibile del suo numero dieci, il grande fantasista, che finalmente si è sbloccato. Una cosa mai vista.

Scade il novantesimo; si va ai supplementari.

Jones torna a sedersi. Per fortuna non aveva ancora chiamato. Per fortuna.

L’Italia è in dieci, ma i nigeriani si tengono indietro. Bravi ragazzi. Fate il vostro dovere.

E finalmente anche l’arbitro fa il proprio dovere. Calcio di rigore per l’Italia, verso la fine del primo tempo supplementare. Altro terremoto dello stadio.

Segna di nuovo il tanto atteso fantasista, che realizza così una doppietta.

L’Italia rimane in nove, la Nigeria non gioca, la partita finisce. L’Italia è agli ottavi, contro la Nigeria, contro l’arbitro, contro se stessa. L’Italia è agli ottavi, grazie soprattutto al suo grande fantasista, il numero dieci.

Jones abbandona lo stadio e fila dritto a casa. Sotto la doccia. Deve aver perso, durante la partita, almeno cinque chili.

Nella testa gli gira un espressione che ha sentito dire dai mangiaspaghetti. Riguarda l’allenatore. Riguarda il destino della squadra, che continua a andare avanti per il rotto della cuffia.

Il culo di Sacchi”.

Boston, Foxboro Stadium, 09/07/1994: Italia – Spagna 2-1

Le quote dell’Italia sono sempre molto basse. Eppure qualcuno dovrebbe arrivarci. Del resto la corporazione degli astrologi, una delle lobby del quarto livello, è quella che più di tutte ha appoggiato il piano.

L’hanno spiegato in una conferenza, circa due anni prima, destinata ai quadri dell’organizzazione. I Mondiali si svolgono sempre con Giove in un segno d’acqua, o in procinto di entrare in un segno d’acqua, hanno rilevato. Sempre Giove in questi segni, durante i Mondiali, o subito dopo i Mondiali. Cancro, Scorpione e Pesci.

Hanno spiegato da cosa dipende, ma si trattava di roba matematica, e Jones non ricorda.

Però ricorda il seguito.

1934, Giove sta per entrare in Scorpione: l’Italia vince il suo primo Mondiale.

1970, Giove sta per entrare in Scorpione: l’Italia è seconda, ma contro quel Brasile, il Brasile di Pelé, perfino Giove può poco.

1982, Giove in Scorpione: l’Italia vince di nuovo il Mondiale.

C’è bisogno di dire che tra Giove in Scorpione e il destino dell’Italia c’è un legame?

Nel 2006 ci sarà Giove in Scorpione, e l’Italia probabilmente vincerà i Mondiali.

Ma anche quest’anno c’è Giove in Scorpione.

Dunque non è solo per mister B, o per i massoni, o per le scommesse.

Non è neanche solo per quello del quinto livello.

E’ che c’è Giove in Scorpione, e allora l’Italia deve vincere.

Jones non sa cosa ne pensino i suoi capi di quelle teorie, ma a lui personalmente non gliene frega niente. A lui interessa solo il suo lavoro. E’ stato stabilito che l’Italia vincerà, Giove o non Giove.

E lui è stato scelto come coordinatore dell’Italia, un incarico prestigioso.

Solo questo importa.

Oggi per fortuna è meno caldo. Solo ventitre gradi. Jones indossa un completo di lino, pantaloni e giacca bianchi su camicia bordeaux, ma senza cravatta.

E’ seduto in tribuna numerata, poco distante dalla tribuna vip.

Questa partita sarà più facile. C’è il Brasile nel ruolo di grande favorita. I giochi si stanno concludendo, e ci si può permettere di scoprire un po’ la mano.

L’Italia gioca bene. E segna quasi subito. Lo spilungone omonimo del grande fantasista, con una sventola da fuori area.

Lo stadio esplode, anche se ci sono parecchi spagnoli.

Jones si rilassa sulla poltroncina. Pensa a quanti soldi ha già guadagnato grazie alle scommesse. Ha puntato prima a Dublino, poi a Bergen e a Stoccolma, poi a Mexico City, l’ultima volta a Lagos.

Ora ovviamente i suoi soldi sono stati trasferiti da un conto di Barcellona.

Nell’intervallo Jones chiama il capo. Altre notizie di spostamenti di quello del quinto livello. Sembra che la segnalazione sia arrivata addirittura da un monastero benedettino sotto il Cristo Redentore di Rio de Janeiro.

Jones torna in tribuna, si siede e addenta il cheeseburger. Rio de Janeiro. Non gli piace proprio.

Non può essere un caso.

La Spagna pareggia. Un gol completamente casuale. Un difensore devia un innocuo tiro spagnolo, spiazzando il portiere-grande attore.

Jones sente il cheeseburger rivoltarsi nello stomaco.

Un evento così casuale potrebbe dipendere… Ma no, non è possibile. Lui è con loro.

I capi l’hanno detto. Quelli del quarto livello, gli unici che parlano direttamente con lui, sono stati molto chiari. E’ l’anno dell’Italia.

Il culo di Sacchi” è un’altra conferma.

Jones rimane immobile sulla poltroncina, mentre scorrono i minuti. La Spagna ha altre occasioni. Per fortuna ha coinvolto qualcuno di loro.

Anche l’arbitro è nel gioco, ovviamente.

A tre minuti dalla fine lo stadio esplode in una bolgia. Come l’altra volta. Di nuovo il fantasista, completamente resuscitato.

Un altro dei suoi gol incredibili.

Jones salta dalla poltroncina con le mani alzate, urla a squarciagola. Come un mangiaspaghetti. Come quei tizi in curva, vestiti con le bandiere tricolori, pitturati d’azzurro.

Non è ancora finita. C’è un rigore netto per la Spagna. L’arbitro non lo concede per la norma del vantaggio.

Vantaggio che la Spagna non sfrutta.

Jones gongola dentro di sé. Bravi i miei ragazzi, bravi i miei ragazzi. Ha fatto un lavoro dannatamente buono.

La partita finisce. L’Italia è in semifinale. L’allenatore testa pelata non si scompone, abbraccia i giocatori uno a uno, con le palle degli occhi che sembrano in punto di saltare fuori e rotolare sull’erba.

Davvero quell’uomo è fortunato, pensa Jones sorridendo.

Ha degli angeli custodi che vegliano su lui e la sua squadra.

New York, Giants Stadium, 13/07/1994: Italia – Bulgaria 2-1

Di nuovo a New York. Questa volta Jones si è prenotato un posto in tribuna Vip. Un poco defilato rispetto alle autorità.

E’ vestito con un completo giacca e pantaloni blu scuro, cravatta a righine rossoverdi, camicia bianca.

Non è abituato a vestire così elegante, il sole picchia forte, suda e si sente un po’ impacciato.

In compenso la partita scorre liscia. Le quote dell’Italia sono aumentate, ma sono ancora inferiori a quelle del Brasile. Anche se vincesse largo, le cose non cambierebbero più.

L’Italia attacca e segna subito. In cinque minuti, tra il ventesimo e il venticinquesimo, il numero dieci azzurro stende la Bulgaria con due gol dei suoi. Lo stadio è in tripudio.

L’Italia spreca altre occasioni. Alla fine del primo tempo il portiere-grande attore stende un attaccante bulgaro in area. Il capitano bulgaro realizza il rigore.

Il primo tempo finisce due a uno per l’Italia.

Nell’intervallo Jones va nel bar della tribuna Vip. Molte facce note lo circondano. Alcuni lo guardano e sorridono, riconoscendolo, ma fanno finta che sia un estraneo.

Sono soprattutto gente del secondo e del terzo livello. C’è perfino qualcuno del primo livello: un capobastone calabrese e un noto sicario dei “don”. Ovviamente non c’è nessuno del quarto livello.

Jones telefona al suo capo e l’assicura. Ha parlato all’arbitro. Non succederà più nulla.

Però quel rigore era meglio evitarlo, non si sa mai cosa potrebbe succedere, ribatte il suo capo.

Non succederà più nulla, dice ancora Jones. Riattacca. E’ tranquillo.

Forse dipende dal luogo in cui si trova, dal vestito che indossa, dalla consapevolezza che il difficile è ormai alle spalle.

Il suo capo non gli ha dato più notizie di quello del quinto livello. Forse si è tranquillizzato. Forse la sua apparizione a Rio de Janeiro è stata casuale.

Jones si risiede sulla comoda poltrona per il secondo tempo. Al bar ha preso degli stuzzichini con caviale e un bicchiere di prosecco, e se li è portati dietro. Pilucca gli stuzzichini e sorseggia il prosecco mentre segue il secondo tempo.

Non succede niente o quasi. C’è un fallo di mano in area azzurra, ma l’arbitro non concede il rigore. Jones sogghigna.

Il culo di Sacchi”…

La partita finisce. In campo i Bulgari si accasciano a terra, mentre gli italiani si abbracciano e festeggiano. Lo stadio è una bolgia di cori in italiano, di bandiere tricolori, di gente pitturata d’azzurro che urla ebbra di gioia.

Jones lascia tranquillo la tribuna. Sa che in Italia si festeggerà tutta la notte. Sa che mister B. laggiù è contento; il suo mandato presidenziale non poteva cominciare meglio.

L’organizzazione sta realizzando il suo capolavoro, e Jones ne è il principale artefice.

L’Italia è in finale. Giocherà contro il Brasile. E vincerà.

Los Angeles, Rose Bowl, 17/07/1994: Italia – Brasile

Non è mai successo che una finale Mondiale finisse zero a zero dopo i tempi regolamentari. Non è mai successo che una finale Mondiale si decidesse ai rigori. L’organizzazione può questo, l’organizzazione può tutto.

Il soldi scorreranno a fiumi nelle casse di tutti i livelli, e anche nelle tasche di Jones.

E’ in tribuna vip. In mezzo alle autorità. Ormai anche lui è un’autorità.

Durante la partita qualcuno lo guarda e gli fa cenno col pollice alzato. Lui fa finta di niente. Ma dentro di sé gongola.

Lui ha tutto in mano. L’organizzazione sta sopra di loro. Almeno in quel momento, l’organizzazione è Dio.

L’unico impaccio è il vestito. Giacca e pantaloni in tessuto nero, camicia immacolata con polsini d’oro, cravatta a bandierine italiane su sfondo azzurro. Los Angeles è una fornace, soprattutto poco dopo mezzogiorno.

I tempi regolamentari filano via lisci. Pochissime occasioni, tutte sprecate. Gioca anche il numero dieci italiano, nonostante l’infortunio.

Ieri sera li ha visti uno a uno, in un motel fuori mano. Sette italiani, sette brasiliani, e ovviamente l’arbitro. Tutto è stato programmato nei minimi dettagli.

Perfino la sequenza dei rigori.

C’era anche il numero dieci. Bravo ragazzo, un po’ silenzioso. Sarà lui come al solito a risollevare l’Italia.

Questa volta sarà molto più facile.

E anche la “torcida” brasiliana, che ha invaso quasi tutto lo stadio, dovrà riporre gli strumenti nel fodero.

Iniziano i supplementari. Jones comincia a essere un po’ teso, ma è normale, in vista dell’epilogo. Ancora pochi minuti, poi la vacanza l’aspetta.

Prima raccoglierà tutti i soldi. Poi andrà in Australia. Un posto lontano, dove non hanno mai sentito parlare di calcio.

Jones ha un sussulto. Lo stadio esplode, poi s’azzittisce. Sembrava gol fatto del Brasile, invece il centravanti ha sbagliato.

Naturale che ha sbagliato.

Finiscono anche i supplementari. Calci di rigore, per la prima volta nella storia. Quante prime volte a questi Mondiali.

Jones s’allenta la cravatta. Nell’intervallo non è andato al bar. Non ci va’ neanche adesso.

Resiste nella calura. Guarda passare tutti quei presidenti, quei banchieri, quei mafiosi. Fa finta di niente ai loro cenni d’intesa.

Ripensa a quello del quinto livello. Alla sua ultima apparizione a Rio de Janeiro. Che avrà voluto dire?

Ma anche lui è d’accordo. Anche lui è nel gioco. Ormai la luce in fondo al tunnel è visibile.

Iniziano i rigori. Jones si stringe nuovamente la cravatta. Il suo portafortuna.

Che ridere. La fortuna non c’entra niente. Programmazione, metodo, gestione delle risorse umane.

I primi due rigori vengono falliti. L’italiano tira sul palo, mentre il brasiliano viene parato dal portiere-grande attore.

I successivi quattro rigori fanno centro. Il centravanti brasiliano colpisce il palo interno, la palla carambola dentro. Jones ha un mezzo colpo, poi tira un sospiro di sollievo.

Quarto rigore italiano. Come previsto: tiro debole, il portiere respinge. Il brasiliano invece segna.

Eccoci al momento clou. Il numero dieci italiano posa la palla sul dischetto: tocca a lui. Il salvatore della patria.

Se segna, l’Italia può ancora sperare. Se sbaglia, il Brasile è campione. Se segna, se sbaglia… non ci sono se, con l’organizzazione.

Ovviamente segnerà. Basta che centri lo specchio della porta. Anche il portiere brasiliano è un grande attore.

Il numero dieci italiano che salva l’Italia nonostante l’infortunio.

E poi succederà che l’Italia farà centro, e il Brasile cilecca. Italia Campione del Mondo. Il trionfo degli azzurri, il trionfo dell’organizzazione, il trionfo di Jones.

Il culo di Sacchi”.

Il numero dieci sta per calciare. Jones incrocia le braccia, mentre tutto il mondo trattiene il respiro. Il numero dieci finalmente parte.

Tira.

Jones non capisce. Strizza gli occhi due, tre volte. Lo stadio d’improvviso è esploso.

Jones chiude gli occhi. Li riapre. Gli azzurri seduti sul prato con la faccia mesta, le maglie gialle riunite in ammassi esultanti.

La “torcida” brasiliana impazzita.

Jones richiude gli occhi. Replay. Il numero dieci prende la rincorsa.

Tira.

La palla che sale. Sale. Sale.

La palla che finisce sopra la traversa.

Il Brasile Campione del Mondo.

Non l’Italia, come programmato dall’organizzazione. Il Brasile. Il Brasile Campione del Mondo.

Jones è rimasto inchiodato alla poltrona. Tutti gli altri sono in piedi. Applaudono, ma ogni tanto si girano a guardarlo, e fanno segni strani, segni in codice.

Segni di morte.

Poco dopo Jones si alza. Non assisterà alla premiazione. Fuori dallo stadio, prima che sia troppo tardi.

Ha dei sospetti. Quello del quinto livello. Il numero dieci italiano, il traditore.

Com’è che lo chiamano, laggiù?

Il divin codino”.

E poi gira voce che sia un buddista praticante.

Non può essere un caso. “Il divin codino”. Buddista praticante.

Quello del quinto livello gli ha parlato, e l’ha convinto a calciare fuori.

Erano d’accordo fin dall’inizio. L’hanno fregato. L’hanno fregato!

E magari l’organizzazione sapeva pure tutto.

Ora non gli resta che fuggire. Nascondersi. La sua testa non vale più nulla.

Soprattutto ha paura dei “don”; se lo beccano la sua morte sarà lunga e dolorosa.

Lo stadio all’esterno è quasi deserto. Qualcosa d’improvviso piove addosso a Jones. Jones si blocca, sorpreso.

La cacca di un piccione si è spalmata sulla sua spalla sinistra.

Il vestito è rovinato.

Ma cosa importa del vestito? Jones si toglie la giacca e la butta via. Poi si sfila la cravatta, caccia l’impulso di stracciarla a morsi, e la lascia sull’asfalto.

Corre via, mentre nello stadio il capitano brasiliano alza la coppa.


Redazione
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