Senza pace

 

articoli, video, musica di Alessandro Marescotti, Giorgio Agamben, Elena Basile, Fabio Mini, Alessandro Orsini, Barbara Spinelli, Piero Bevilacqua, Marinella Mondaini, John J. Mearsheimer, Lily Lynch, Clare Daly, Ariel Umpièrrez, Jeffrey Sachs, Economist, Francesco Masala, Daniel Balavoine, Caitlin Johnstone, Davide Malacaria, Jesús López Almejo, Gianandrea Gaiani, Paolo Selmi

Dieci idee per la pace – Alessandro Marescotti

Un programma in dieci punti per riportare la pace, la giustizia sociale e la tutela dei diritti umani al centro dell’azione politica, promuovendo lo sviluppo sostenibile come orizzonte primario per salvare il pianeta dal disastroso cambiamento climatico

Ecco un possibile programma pacifista articolato in dieci punti.

  1. Promuovere la diplomazia e il dialogo.La base di un programma pacifista è la risoluzione dei conflitti attraverso il dialogo aperto e costruttivo. Sostenere il coinvolgimento di mediatori neutrali per facilitare la comunicazione tra le parti in conflitto. Sostituire la guerra con referendum popolari sotto la supervisione dell’ONU, riconoscendo a tutti la possibilità di esprimersi e di partecipare al processo di pace e di autodeterminazione.
  2. Ridurre le spese militari.Ridurre progressivamente le spese militari e reinvestire tali risorse in settori come l’istruzione, la sanità, la ricerca scientifica e la lotta contro la povertà, al fine di migliorare la qualità della vita e promuovere lo sviluppo umano.
  3. Smantellare le basi nucleari in Europa.Lavorare per il disarmo nucleare globale attraverso l’attuazione dei trattati internazionali che richiedono la riduzione e l’eliminazione delle armi nucleari, contribuendo così a garantire la sicurezza a livello mondiale.
  4. Puntare sullo sviluppo sostenibile.Concentrarsi sullo sviluppo sostenibile e l’uso responsabile delle risorse, al fine di prevenire conflitti legati alla scarsità di risorse naturali e all’insicurezza alimentare. Spostare risorse dal settore militare alla transizione ecologica e alla decarbonizzazione dell’economia. No al nucleare civile. Attuare l’Agenda ONU 2030 per lo sviluppo sostenibile.
  5. Promuovere la giustizia sociale.Combattere le disuguaglianze sociali e promuovere l’accesso equo alle risorse, all’istruzione e all’occupazione, contribuendo a ridurre le tensioni sociali e i possibili conflitti. Promuovere i relativi obiettivi dell’Agenda 2030, da “zero fame” alla riduzione delle diseguaglianze.
  6. Sostenere la cooperazione internazionale.Dare forza alle organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e promuovere la cooperazione multilaterale per affrontare sfide globali come i cambiamenti climatici, la povertà e le epidemie.
  7. Educare alla pace.Incentivare scambi culturali fra nazioni e programmi educativi che promuovano la cultura della pace, la risoluzione non violenta dei conflitti e il rispetto delle differenze culturali e religiose. Promuovere l’Agenda 2030 anche qui.
  8. Non far mancare gli aiuti umanitari.Fornire assistenza umanitaria alle popolazioni colpite da conflitti, promuovendo il sostegno finanziario e logistico alle organizzazioni internazionali che si occupano di soccorso in situazioni di emergenza.
  9. Accogliere i migranti e tutelare i diritti umani.Lottare per il rispetto dei diritti umani in tutto il mondo, sostenendo il riconoscimento e la protezione dei diritti fondamentali di tutte le persone, indipendentemente dalla loro origine etnica, religione o orientamento politico. Sostenere in particolare i diritti umani dei migranti e soprattutto dei minori non accompagnati.
  10. Creare un clima di fiducia.Lavorare per costruire un clima internazionale di fiducia e collaborazione tra le nazioni attraverso scambi culturali, accordi commerciali equi e iniziative che promuovano la comprensione reciproca. In tale quadro va superata la contrapposizione fra blocchi e ridotta la presenza delle basi Nato.

Questi dieci punti rappresentano una visione generale di un programma pacifista che mira a ridurre i conflitti, promuovere la cooperazione e migliorare il benessere globale. In ognuno di essi si possono individuare alcune priorità entrando nel dettaglio.

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I media e la menzogna senza verità – Giorgio Agamben

Ci sono diverse specie di menzogna. La forma più comune è quella di chi, pur sapendo o credendo di sapere come stanno le cose, per qualche ragione dice consapevolmente il contrario o comunque nega anche solo parzialmente ciò che sa essere vero. È quanto avviene nella falsa testimonianza, che per questo è punita come un crimine, ma anche più innocentemente ogni volta che dobbiamo giustificarci di un comportamento che ci viene rimproverato.
La menzogna con cui abbiamo a che fare da quasi tre anni non ha questa forma. È, piuttosto, la menzogna di chi ha smarrito il discrimine fra le parole e le cose, fra le notizie e i fatti e quindi non può più sapere se sta mentendo, perché per lui è venuto meno ogni possibile criterio di verità. Quello che dicono i media non è vero perché corrisponde alla realtà, ma perché il loro discorso si è sostituito alla realtà. La corrispondenza fra il linguaggio e il mondo, su cui un tempo si fondava la verità, non è semplicemente più possibile, perché i due sono diventati uno, il linguaggio è il mondo, la notizia è la realtà. Solo questo può spiegare perché la menzogna non abbia bisogno di rendersi verosimile e non nasconde in alcun modo quello che a chi ancora aderisce all’antico regime di verità appare come evidente falsità. Così durante la pandemia i media e gli organi ufficiali non hanno mai negato che i dati sulla mortalità che dichiaravano si riferivano a chi fosse morto risultando positivo, indipendentemente dalla causa effettiva della morte. Malgrado questo, essi, pur essendo evidentemente falsi, sono stati accettati come veri. Allo stesso modo, oggi nessuno nega che la Russia abbia conquistato e annesso il venti per cento del territorio ucraino, senza il quale l’economia ucraina non è in grado di sopravvivere; e tuttavia le notizie non fanno che parlare della vittoria di Zelensky e della ormai immancabile sconfitta di Putin (nelle notizie, la guerra è fra due persone e non fra due eserciti).
Il problema è a questo punto quanto può durare una menzogna di questo tipo. È probabile che prima o poi la si lascerà semplicemente cadere, per sostituirla immediatamente con una nuova menzogna, e così via – ma non all’infinito, perché la realtà che non si è più voluto vedere si presenterà alla fine a esigere le sue ragioni, anche se al prezzo di catastrofi e sciagure non indifferenti, che sarà difficile se non impossibile evitare.

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Le sacre frontiere – Francesco Masala

Gli animali sono amici così simpatici: non fanno domande, non muovono critiche – George Eliot (chissà se pensava alla futura  Comunità Europea…)

Il mondo è pieno di creduloni che pensano che alla Comunità Internazionale (che parla soprattutto inglese e non capisce il linguaggio della diplomazia, ma il linguaggio del fottere, del rapinare, dell’uccidere) interessi l’intangibilità delle frontiere dell’Ucraina.

Eppure quella che si autodefinisce Comunità Internazionale (ma sono solo le bande della Nato e dei colonialisti) dimentica che il 52.2% delle frontiere del mondo sono state stabilite durante il 20° secolo (vedi qui ) e che nell’ultimo secolo sono stato creati Stati dal niente (penso a Israele, Kosovo, Sud Sudan, fra gli altri), e che diversi Stati siano occupati, come la Palestina (da Israele) e come la Siria (dagli Usa), fra gli altri.

 

 

Per la pace è strategica la sconfitta della Nato – PIERO BEVILACQUA

Perché ogni sincero democratico dovrebbe augurarsi che la guerra in Ucraina si concluda con un realistico e ragionevole compromesso, che ponga fine al massacro, e con la sconfitta della Nato? Questo auspicio parrà una contraddizione. Vincerebbe la Russia autocratica e gli altri Stati più o meno autoritari contro il fronte dei Paesi democratici. Una ricognizione non superficiale dello stato dell’arte mostra che il ragionamento è sbagliato. Oggi anche chi è disposto ad ammettere le responsabilità degli Usa, se non nella lunga preparazione della guerra, almeno nella sua ostinata continuazione, sostiene che non si può lasciare impunito chi ha violato il diritto internazionale invadendo un Paese sovrano. È la rivendicazione più imprudente e più impudente che gli atlantisti possono fare. La storia degli ultimi 30 anni è dominata da scelte sanguinarie di violazione del diritto internazionale da parte degli Usa e della Nato, che non hanno chiesto il permesso a nessuno per invadere l’Iraq, la Libia, l’Afghanistan, ecc. Con la protezione americana, Israele viola ogni giorno quel diritto, praticando un regime di apartheid contro il popolo palestinese, umiliato e ridotto alla disperazione nel silenzio dell’Europa e nell’indifferenza dei democratici. Oggi il diritto internazionale è ridotto a una finzione perché l’Onu è stata svuotata di ogni autorevolezza. Da oltre 70 anni gli Usa si oppongono alle risoluzioni di condanna di Israele. Una seconda contrarietà all’auspicio di una sconfitta della Nato viene da un comprensibile sentimento di simpatia nei confronti dell’America e di pregiudizio antirusso, sia per la sua configurazione autoritaria, per la figura di Putin, sia perché immaginata erroneamente una continuazione dell’Urss. Mi sono spesso sentito obiettare, anche da personaggi di primo piano della sinistra, alla mia avversione per la Nato, che “non possiamo andare contro l’America”. È una risposta opportunistica. La riduzione o lo scioglimento della Nato costituirebbe in realtà una svolta vantaggiosa per il popolo americano, a cui vengono sottratti 800 miliardi di dollari l’anno, impiegati in spese militari, per armamenti, guerre locali, centinaia di basi militari sparse per il mondo. Una ricchezza enorme che viene sottratta alla sanità, alla scuola, alle vaste sacche di povertà, soprattutto negli Stati della Rust belt, la “cintura della ruggine”, dove la deindustrializzazione degli ultimi decenni ha creato il deserto sociale. Si comprende ancora di più il vantaggio di una sconfitta della Nato se si ricorda – come ha documentato il generale Fabio Mini nella densa introduzione a un importante saggio di un generale cinese – che a dominare l’aggressiva politica estera Usa sono pochi, benché potenti gruppi e lobby (Q. Liang L’arco dell’impero, Leg edizioni 2021). Parlare genericamente di America si può fare al bar. Gli Usa per la loro ricchezza, pluralismo e potenza culturale, capacità d’innovazione tecnologica, potrebbero inaugurare una nuova pagina nella storia del mondo, governare la cooperazione internazionale, ispirare una politica globale di cura del pianeta. E invece, per la volontà di dominio di pochi gruppi, di potenti interessi economici, si ostinano a continuare la storia del ’900. Una replica impossibile. Come ha mostrato il vertice dei Brics a Johannesburg, come rivelano le rivolte di questi giorni in Africa, il corso delle società umane avanza in altra direzione. Dopo aver subito per tutti i secoli dell’età moderna il brutale calco del colonialismo occidentale, lo sfruttamento economico del ’900, i popoli del Sud stanno alzando le loro bandiere. E lo fanno dietro potenze orientali e non europee. Tutto va dunque in direzione di un ordine mondiale multipolare, l’unico che potrebbe consentire un avvenire di pace e di cooperazione, indispensabile per affrontare su scala globale le catastrofi ambientali che ci attendono. Ma se la Nato dovesse vincere non si aprirebbe un capitolo di pace, ma l’avvio di una nuova e più vasta e catastrofica guerra: contro la Cina, contro decine di grandi e piccoli Paesi, che cercano la loro strada, contro il corso stesso della storia mondiale. È questo che un sincero democratico deve augurarsi? Non è finita. La sconfitta della Nato non è solo una condizione perché cessi la guerra, ma perché l’Europa ritrovi la sua autonomia, si rammenti dell’ambizioso disegno di pace, di governo cooperativo dei rapporti internazionali per cui era nata. La partecipazione della Ue alla guerra non solo l’ha ridotta allo stato ancillare e servile in cui si trova. Ma sta producendo altri rischiosissimi arretramenti, il cui potenziale distruttore delle strutture dell’Ue viene ignorato dalla grande stampa atlantista. La Francia e la Germania, i due pilastri dell’Ue, per effetto della guerra, delle sanzioni suicide, stanno subendo danni economici pesantissimi, che infondono vigore alle destre più estreme. In Germania, ai primi di agosto, i sondaggi davano Alternative für Deutschland al 21%. Ogni sincero democratico dovrebbe temere per le sorti della democrazia in Europa e gli italiani per primi, che la destra neofascista ce l’hanno già al governo.

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La fake del mercato di Konstantinovka – Marinella Mondaini

  • Ogni volta che arrivano a Kiev i padroni a stelle e strisce, i loro allievi ucraini del regime nazista commettono un atto di straordinaria portata, un crimine che attrae l’attenzione e scuote tutto il mondo. Così è stato anche oggi, durante la visita di Blinken e delegazione statunitense.Qualcosa che riecheggia il terribile crimine che gli ucraini hanno commesso a Bucha, così oggi hanno bombardato con i missili il mercato di Konstantinovka, uccidendo 16 persone innocenti, tra cui un bambino, per poi dare la colpa alla Russia. La gente ha visto da dove sono arrivati i missili, la direzione lo dice, hanno sparato gli ucraini.

Zelenskij inizialmente aveva scritto che Konstantinovka era stata colpita dall’artiglieria russa, poi però ha cancellato il testo, quando è stato chiaro che nel video si sentiva il suono di un missile. Ma Internet ricorda tutto. Secondo i media, l’attacco è stato effettuato da un missile Storm Shadow.

Secondo il sito russo che sbugiarda i giornalieri fake dell’Ucraina, la verità è che una serie di fatti dice che il missile americano ad alta velocità e anti radar AGM-88 HARM, lanciato dall’esercito ucraino, è caduto sul mercato centrale.

I video ci permettono di individuare con una certa precisione l’epicentro dell’incidente. A giudicare dalla posizione della telecamera installata sopra il caffè Shaurma Damasco, il missile è volato lungo la strada di Ciolkovskij ed è esploso sopra la terra vicino alla gioiellieria Golden Age. Nel video si può notare che, un secondo prima dell’arrivo, i residenti locali guardano verso il cielo nella direzione della Druzhkovka controllata dall’esercito ucraino, da dove arriva l’oggetto. Successivamente, si è verificata un’esplosione in aria, tipica del missile aria-superficie anti radar. Inoltre, un secondo prima dell’esplosione, sul tetto di una Chevrolet grigia parcheggiata nella via Ciolkovskij, sono passati due missili, uno dei quali probabilmente ha colpito il mercato di Konstantinovka. Dalla forma dei missili riflessi, possiamo dire che probabilmente si tratta di un AGM-88 HARM. I piloti ucraini sparano alla cieca con questi missili per garantire la propria sicurezza, per evitare di cadere sotto il sistema missilistico antiaereo delle forze armate russe. Non si puo’ mirare con precisione in una situazione del genere.

È importante notare che lo spazio aereo sopra Kramatorsk, Druzhkovka e Konstantinovka è il luogo di dislocazione delle forze aeree ucraine dall’estate del 2022. È da lì che gli aerei ucraini, che decollano dalla base aerea di Mirgorod, lanciano missili anti radar AGM-88 HARM in direzione di Doneck, dove i loro frammenti vengono trovati molto spesso.

Ci sono già stati precedenti simili. A settembre dello scorso anno, un missile anti-radar americano AGM-88 HARM, lanciato da un MiG-29 ucraino, colpì una scuola sempre a Konstantinovka.

E’ chiaro che la provocazione è stata fatta nel giorno dell’arrivo di Blinken, per ottenere con ancora maggiore facilità armi e soldi.

Subito dopo, il Pentagono oggi ha annunciato che gli Stati Uniti consegnano all’Ucraina proiettili di uranio impoverito per i carri armati Abrams e nuovi aiuti per un miliardo di dollari, di cui 665 milioni per scopi militari.

Intanto oggi è bruciato il primo carro armato britannico Challenger 2 . Gli altri subiranno la stessa sorte appena usciranno fuori.

Per la CIA e i criminali globalisti americani, la guerra deve continuare fino all’ultima goccia di sangue degli ucraini. I giornali-spazzatura italiani ovviamente scrivono che la colpa del crimine di Konstantinovka è dei russi. Vergogna. Lavorano diffondendo menzogne e quindi contro il popolo italiano.

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Ucraina. “Il 90% di noi morirà”. Le rivelazioni shock dei soldati ucraini a The Times (F.B.)

Dopo l’intervista del volontario polacco Slawomir Wysocki pubblicata il 30 agosto dal quotidiano polacco Witrualna Polska (Polak o tragicznej sytuacji w Ukrainie), giungono le rivelazioni (https://www.thetimes.co.uk/article/ukraine-counteroffensive-i-m-ready-to-die-90-of-the-guys-here-will-die-too-76jvs3kwj ) fatte da vari soldati ucraini al Quotidiano politico britannico, fondato a Londra nel 1785: The Times. Entrambe le testimonianze convergono su un orribile dato di fatto ormai impossibile da nascondere: l’offensiva ucraina è un disastro e la Russia sta massacrando l’esercito ucraino, sull’orlo del collasso.

I soldati ucraini intervistati dal The Times parlano della battaglia attorno al villaggio di Robotyne (la terza zona tritacarne dopo Marioupol e Bakhmut), descrivendo livelli impensabili di confuzione militare e perdite spaventose che l’esercito ucraino sta subendo. Anche le unità corazzate dotate dei migliori carri armati NATO su cui si erano riposte le speranze di vittoria, vengono facilmente decimate. I Leopard 1 e 2, i veicoli da combattimento Bradley e ora anche gli “invincibili” carriarmati britannici Challenger 2 vengono sistematicamente annientati con estrema facilità. La distruzione di decine e decine di questi “giocattoli tecnologici” NATO mette in serio pericolo la facoltà del Patto Atlantico di continuare il supporto militare al regime neonazista ucraino.

Un conflitto su larga scala necessita di armi capaci di garantire un immenso vulume di fuoco e poco costose in modo che l’equipaggiamento distrutto possa essere facilmente sostituito e che l’elevato consumo di proiettili sia finanziariamente sostenibile. Le armi NATO (che seguono l’insana logica americana della speculazione di mercato) sono costosissime. A titolo di esempio un Challenger 2 costa 4,9 milioni di euro. Un Leopard 2 costa 5 milioni di euro e la sua versione “lusso” 8 milioni di Euro. I migliori carri armati russi hanno un costo medio con non supera 1,5 milioni di euro.

Gli elevati costi sono dovuti dal fatto che il modello di difesa occidentale è ostaggio dei profitti delle industrie belliche private o semi-statali che hanno piazzato i loro “rappresentanti” nei vari Ministeri della Difesa dei Paesi membri UE. E’ un immenso giro di soldi nonostante il fatto che nessun esercito al mondo può sostenere un conflitto prolungato quando il costo di ogni singola arma è stratosferico.

I soldati ucraini rivelano al The Times che la condotta dell’offensiva è ora portata avanti dalla fanteria tramite attacchi di piccoli gruppi d’assalto facilmente contenibili dalle difese russe. Questi gruppi tentano di infiltrarsi attraverso i campi minati di notte e combattono disperati combattimenti ravvicinati venendo sistematicamente decimate. I carri armati NATO non possono avanzare causa i terreni minati e vengono distrutti dall’artiglieria russa.

Secondo alcuni ufficiali ucraini l’utilizzo di questi gruppi d’assalto potrebbe essere la chiave per sfondare le difese russe e sono combattimenti necessari affinchè l’Ucraina riesca a garantire anche una minima vittoria prima dell’autunno. Purtroppo questa tattica sembra non funzionare. I principali sforzi ucraini sono concentrati sul villaggio di Robotyne. Ieri un contrattacco russo russo ha costretto gli ucraini a ritirarsi da diverse posizioni dopo aver subito pesanti perdite. La sconfitta, confermata dal rapporto mattutino Min Difesa ucraino, è stata resa possibile da massiccio uso delle bombe FAB-500M-62.

La 47a brigata meccanizzata d’élite delle Forze armate ucraine, addestrata dai tedeschi, che guida l’offensiva in direzione sud, sta subendo perdite sul valore di migliaia di uomini. I combattimenti sono stati così duri che in alcuni casi le squadre di medici del 47° hanno visto la propria forza numerica ridotta al 50% a causa delle perdite subite durante le missioni di raccolta dei feriti sul fronte Robotyne, nonostante l’utilizzo di personale corazzato M-113 di fabbricazione statunitense. I soldati ucraini parlano anche dell’emergere di numerose malattie del sangue, del sistema nervoso centrale a progressione lenta e di disturbi mentali.

Ad esclusione di un gruppuscolo di giornalisti fanatici SlavaUcrainii ormai i media occidentali non sono più restii a parlare degli orribili insuccessi militari del regime neonazista di Kiev. “La controffensiva ucraina e’ un fallimento. I soldati ucraini sono valorosissimi, a loro va la mia vicinanza. La colpa non è degli ucraini, è un fallimento spaventoso delle politiche del blocco occidentale che hanno spinto un popolo debolissimo tra le braccia di un popolo potentissimo” afferma lo stimato Professore Alessandro Orsini.

Questi insuccessi stanno anche rafforzando il consenso popolare russo verso il Presidente Vladimir Putin che si sente molto sicuro al momento. “Non esiste alcuna controffensiva ucraina e le mappe dei territori riconquistati lo dimostrano. Esiste solo un gruppo di poveracci, armati alla buona, esaltati dalla propaganda occidentale e mandati a morire al fronte contro la Russia” ha affermato ieri Putin.

Ora il regime di Kiev sta cercando di raschiare il fondo del barile attuando arruolamenti forzati di uomini dai 16 ai 62 anni. Si parla anche di incoraggiare l’arruolamento “volontario” delle donne tra i 16 e il 30 anni. Il nuovo Ministero della Difesa ha emesso un ordine, secondo il quale coloro che sono “parzialmente idonei” al servizio militare verranno inviati al fronte anche se presentano “lievi” malattie croniche o “lievi”menomazioni fisiche/mentali.

Il Presidente Zelenky ha chiesto la collaborazione dei Paesi europei per rimpatriare gli ucraini maschi in età di leva presenti sui loro territori, ignorando i loro statuti di profughi. L’Ucraina non è il primo paese che manda tutti al fronte. L’Impero Austro-Ungarico fece lo stesso durante la prima guerra mondiale. Nella sua opera “Il buon soldato Švejk”, Jaroslav Hašek ridicolizzò questa tattica ricordando che non aiutò l’Impero Austro-Ungarico a vincere. Al contrario, finita la guerra quella Nazione cessò di esistere.

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Destinata a fallire – John J. Mearsheimer

Traduciamo questa lunga, accurata, equilibrata analisi John Mearsheimer, corredata da un ampio apparato di note. Come sempre, il grande studioso americano si sforza di essere obiettivo, e si esprime con garbo e moderazione. L’equilibrio e la moderazione di Mearsheimer, però, non possono (e non vogliono) nascondere la tragica, terribile realtà di quanto sta avvenendo in Ucraina, che è la conseguenza di colossali errori di valutazione strategica occidentali, e dell’ostinazione cinica con la quale i decisori statunitensi ed europei insistono a non prenderne atto. Nelle note al testo, in gran parte tratta dai media occidentali, la documentazione di questi errori e di questa cinica ostinazione.  Il costo umano di questi errori e di questa ostinazione è spaventoso, ed è ancora lontano il momento in cui si potrà tirare le somme delle perdite di uomini e materiali che ha provocato. Buona lettura. 

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È ormai chiaro che la tanto attesa controffensiva ucraina è stata un colossale fallimento. Dopo tre mesi, l’esercito ucraino ha fatto pochi progressi nel respingere i russi. In effetti, non ha ancora superato la cosiddetta “zona grigia”, la striscia di terra pesantemente contestata che si trova di fronte alla prima linea principale delle difese russe. Il New York Times riporta che “nelle prime due settimane della controffensiva, il 20% degli armamenti inviati dall’Ucraina sul campo di battaglia è stato danneggiato o distrutto, secondo i funzionari statunitensi ed europei. Il bilancio comprende alcune delle formidabili macchine da combattimento occidentali – carri armati e mezzi corazzati – su cui gli ucraini contavano per respingere i russi“. Secondo quasi tutti i resoconti dei combattimenti, le truppe ucraine hanno subito perdite enormi. Tutte le nove brigate che la NATO aveva armato e addestrato per la controffensiva sono state gravemente danneggiate sul campo di battaglia.

La controffensiva ucraina era destinata a fallire fin dall’inizio. Uno sguardo allo schieramento delle forze di entrambe le parti e a ciò che l’esercito ucraino stava cercando di fare, insieme a una comprensione della storia della guerra terrestre convenzionale, rendono chiaro che non c’era praticamente alcuna possibilità che le forze ucraine attaccanti potessero sconfiggere i difensori russi e raggiungere i loro obiettivi politici.

L’Ucraina e i suoi sostenitori occidentali speravano che l’esercito ucraino potesse eseguire una classica Blitzkrieg, per sfuggire alla guerra di logoramento che lo stava distruggendo. Il piano prevedeva di aprire un ampio varco nelle linee difensive russe per poi di penetrare in profondità nel territorio controllato dai russi, non solo catturando il territorio lungo la strada, ma sferrando un colpo di grazia all’esercito russo. Come la storia dimostra chiaramente, si tratta di un’operazione particolarmente difficile da portare a termine quando le forze d’attacco sono impegnate in un combattimento alla pari, che coinvolge due eserciti più o meno equivalenti. Gli ucraini non solo erano impegnati in un combattimento alla pari, ma erano anche mal preparati a eseguire una Blitzkrieg e si trovavano di fronte a un avversario ben posizionato per ostacolarla. In breve, le carte in tavola erano fin dall’inizio a sfavore della controffensiva ucraina.

Ciononostante, l’ottimismo sulle prospettive dell’Ucraina sul campo di battaglia era diffuso tra i politici occidentali, gli opinionisti e gli editoriali dei media tradizionali, i generali in pensione e altri esperti della politica estera americana ed europea. I commenti del generale in pensione David Petraeus alla vigilia della controffensiva hanno colto lo spirito prevalente: “Penso che questa controffensiva sarà molto impressionante“. Ha poi descritto efficacemente gli ucraini che eseguono una Blitzkrieg di successo contro le forze russe.

In realtà, i leader occidentali e i media mainstream hanno esercitato notevoli pressioni su Kyiv affinché lanciasse la controffensiva, nei mesi precedenti il suo inizio il 4 giugno. All’epoca, i leader ucraini la tiravano per le lunghe e mostravano scarso entusiasmo per l’avvio della prevista Blitzkrieg, probabilmente perché almeno alcuni di loro si rendevano conto di essere condotti al massacro. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha poi dichiarato il 21 luglio: “Avevamo in programma di iniziare in primavera, ma non l’abbiamo fatto perché, francamente, non avevamo abbastanza munizioni e armamenti e non avevamo abbastanza brigate adeguatamente addestrate“. Inoltre, dopo l’inizio della controffensiva, il generale Valerii Zaluzhnyi, comandante in capo delle forze armate ucraine, ha dichiarato con rabbia al Washington Post che riteneva che l’Occidente non avesse fornito all’Ucraina armi adeguate e che “senza un rifornimento completo, questi piani non sono affatto fattibili. Ma vengono portati avanti“.

Anche dopo l’impantanamento della controffensiva, verificatosi poco dopo il suo inizio, molti ottimisti hanno continuato a nutrire la speranza che alla fine essa avrebbe avuto successo, anche se il loro numero è diminuito nel tempo. Il generale statunitense in pensione Ben Hodges, uno dei più entusiasti sostenitori del lancio della Blitzkrieg, ha affermato il 15 giugno: “Penso che gli ucraini possano vincere questa battaglia e la vinceranno“ Dara Massicot, un’ importante esperta spesso citato dai media tradizionali, ha affermato il 19 luglio: “Per ora, le linee del fronte russo stanno tenendo, nonostante le decisioni disfunzionali del Cremlino. Tuttavia, la pressione cumulativa delle scelte sbagliate sta aumentando. Le linee del fronte russo potrebbero cedere nel modo in cui Hemingway scrisse una volta a proposito della bancarotta: ‘gradualmente, poi all’improvviso’. Michael Kofman, un altro esperto spesso citato dalla stampa tradizionale, ha affermato il 2 agosto che “la controffensiva in sé non è fallita“, mentre l’Economist ha pubblicato un articolo il 16 agosto che proclamava: “La controffensiva ucraina sta facendo progressi, lentamente: Dopo dieci settimane, l’esercito sta iniziando a capire cosa funziona“[9].

Una settimana dopo, il 22 agosto, quando era difficile negare che la controffensiva fosse in grave difficoltà e che non ci fosse quasi alcuna possibilità di correggere la situazione, Jake Sullivan, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, ha dichiarato: “Non riteniamo che il conflitto sia in una situazione di stallo. Stiamo vedendo l’Ucraina continuare a conquistare territori su base metodica e sistematica” .

Nonostante i commenti di Sullivan, molti in Occidente riconoscono che la controffensiva è fallita e che l’Ucraina è condannata a combattere una guerra di logoramento che è improbabile che vinca, soprattutto perché il conflitto si sta lentamente trasformando da una lotta tra pari in una lotta squilibrata. Ma avrebbe dovuto essere ovvio, per i sostenitori occidentali dell’Ucraina, che la Blitzkrieg che hanno sponsorizzato era destinata a fallire, e che aveva poco senso spingere l’Ucraina a lanciarla.

 

La teoria della vittoria dell’Ucraina

Le forze armate russe e ucraine sono state impegnate in un combattimento tra pari sin dall’inizio della guerra, nel febbraio 2022. La forza d’invasione russa, composta al massimo da 190.000 uomini, ha conquistato una quantità sostanziale di territorio ucraino, ma si è presto trovata sovraestesa. In altre parole, non aveva truppe sufficienti a difendere tutto il territorio ucraino che controllava. Di conseguenza, i russi ritirarono la maggior parte delle loro forze dall’oblast’ di Kharkiv, permettendo all’esercito ucraino di sopraffare i pochi rimasti. In seguito, l’esercito russo, troppo poco numeroso, fu costretto a ritirarsi dalla fetta dell’oblast’ di Kherson che si trova sulla sponda occidentale del fiume Dnieper, che l’esercito ucraino occupò senza combattere. Prima di ritirarsi, tuttavia, i russi hanno inflitto ingenti perdite alle forze ucraine che stavano cercando di scacciarli da Kherson. Il comandante di un battaglione riferì che le perdite erano così elevate che dovette “sostituire i membri della sua unità per tre volte“. Queste due sconfitte tattiche avvennero tra la fine dell’estate e l’autunno del 2022.

In risposta agli eventi di Kharkiv e Kherson, Putin mobilitò 300.000 uomini nel settembre 2022; essi avrebbero avuto bisogno di alcuni mesi di addestramento prima di essere pienamente pronte a combattere. I russi hanno anche intensificato i loro sforzi per catturare Bakhmut, nel novembre 2022. Gli ucraini hanno risposto alla sfida per Bakhmut e le due parti hanno ingaggiato una lunga e dura battaglia per il controllo della città, che si è infine conclusa con una vittoria russa alla fine di maggio 2023.

Bakhmut fu una grave sconfitta per l’Ucraina, in parte perché Zelensky aveva pubblicamente dichiarato che lui e i suoi generali erano determinati a tenere la città, e perché impegnò molte delle migliori unità ucraine nella battaglia. Ancor più importante, l’Ucraina ha subito enormi perdite, durante i mesi di battaglia. A peggiorare le cose, la guerra si sarebbe probabilmente trasformata in una lotta impari nei mesi a venire, perché i russi avevano ottenuto un vantaggio di circa 5:1 in termini di popolazione, sulla scia dei primi combattimenti, il che implicava che potevano mobilitare un esercito molto più grande di quello ucraino, un vantaggio che conta molto, nella guerra di logoramento. Inoltre, i russi godevano già di un vantaggio significativo nell’artiglieria, l’arma più importante in una guerra di logoramento come quella combattuta in Ucraina. Né Kiev né l’Occidente avevano la capacità di correggere questo squilibrio, che secondo le stime era compreso tra 5:1 e 10:1 a favore della Russia.

In effetti, c’era motivo di pensare che l’Occidente potesse non continuare l’impegno totale a fornire all’Ucraina gli armamenti di cui aveva disperatamente bisogno, che includevano altri tipi di armi, oltre all’artiglieria, come carri armati, veicoli da combattimento blindati, droni e aerei. L’Occidente era sempre più stanco della guerra e gli Stati Uniti dovevano affrontare la minaccia della Cina in Asia orientale, un pericolo maggiore, per gli interessi americani, rispetto alla minaccia russa. Per farla corta: l’Ucraina avrebbe probabilmente perso, in una prolungata guerra di logoramento, perché avrebbe combattuto una battaglia impari.

Sia l’Ucraina che l’Occidente avevano quindi un forte incentivo a trovare una strategia intelligente capace di produrre rapidamente una vittoria militare che avrebbe concluso la guerra in termini favorevoli per loro. Ciò significava che l’Ucraina avrebbe dovuto impiegare una strategia di Blitzkrieg, che è l’unico modo per evitare o sfuggire a una guerra di logoramento in una competizione tra due eserciti terrestri alla pari che si affrontano su un fronte continuo.

 

L’abc della blitzkrieg

La Blitzkrieg si basa sulla mobilità e sulla velocità di una forza d’assalto corazzata per sconfiggere l’avversario senza ingaggiare una serie di battaglie sanguinose e prolungate. Questa strategia si basa sul presupposto che l’esercito avversario sia una macchina grande e complessa, orientata a combattere lungo una linea difensiva ben stabilita. Nelle retrovie della macchina si trova una rete vulnerabile, che comprende numerose linee di comunicazione, lungo le quali si muovono informazioni e rifornimenti, nonché punti nodali chiave in cui le varie linee si intersecano. La distruzione di questo sistema nervoso centrale equivale alla distruzione dell’esercito sulla difensiva.

Una Blitzkrieg comporta due operazioni principali: vincere una battaglia di sfondamento ed eseguire una profonda penetrazione strategica. Per essere più precisi, l’attaccante mira a concentrare surrettiziamente le sue forze corazzate in una o due posizioni specifiche lungo la linea del fronte, dove il rapporto forza-spazio del difensore è basso e dove l’attaccante può ottenere la superiorità numerica sul difensore. Una difesa poco distribuita e in inferiorità numerica è relativamente facile da sfondare. Dopo aver aperto uno o due varchi nella prima linea del difensore, l’attaccante cerca di muoversi rapidamente nelle profondità della difesa prima che le forze dello Stato bersaglio possano muoversi per tagliare la penetrazione. Sebbene possa essere necessario impegnarsi in una battaglia campale per realizzare lo sfondamento iniziale, è importante evitare ulteriori battaglie di questo tipo. L’attaccante segue invece il percorso di minor resistenza fino alle retrovie del difensore.

Il carro armato, con la sua intrinseca flessibilità, è l’arma ideale per far funzionare una Blitzkrieg. L’artiglieria, tuttavia, non gioca un ruolo importante nella Blitzkrieg, in parte perché richiede un significativo supporto logistico, che interferisce con il rapido movimento delle forze di secondo livello nel saliente in espansione e, più in generale, è un freno alla mobilità. Inoltre, impegnarsi in scambi di artiglieria su larga scala farebbe perdere tempo prezioso e rallenterebbe l’avanzata delle forze corazzate. Il supporto aereo ravvicinato, invece, non presenta nessuno di questi problemi. Data la flessibilità intrinseca di aerei, droni ed elicotteri, questa artiglieria volante è un’eccellente controparte per le forze corazzate in rapido movimento.

Come dovrebbe essere ovvio, una Blitzkrieg richiede una struttura di comando flessibile, popolata da cima a fondo da soldati in grado di prendere l’iniziativa in situazioni di combattimento in cui la nebbia della guerra è talvolta fitta. Una Blitzkrieg non si basa su un piano rigido che i comandanti devono seguire accuratamente. Anzi, è vero il contrario. Prima di lanciare l’attacco, si stabilisce un obiettivo generale e si preparano piani dettagliati per la battaglia di sfondamento. Ma non ci sono linee guida rigide che i comandanti devono seguire mentre conducono la penetrazione strategica in profondità. L’assunto di base è che nessuno può prevedere con un certo grado di certezza come si svilupperà la battaglia. L’incertezza sarà molto frequente, e quindi si dovranno correre dei rischi. In sostanza, si dà molta importanza alla capacità del comandante di prendere decisioni rapide che consentano alle forze corazzate di mantenere un’elevata velocità di avanzamento dopo aver vinto la battaglia di sfondamento. L’audacia è essenziale, anche quando le informazioni sono incomplete, affinché l’esercito attaccante possa mantenere l’iniziativa.

Infine, è opportuno spendere qualche parola sugli obiettivi associati alla Blitzkrieg. L’obiettivo abituale è quello di sconfiggere in modo decisivo le forze militari del difensore. È possibile, tuttavia, impiegare una Blitzkrieg per ottenere una vittoria limitata, in cui le forze di difesa sono accerchiate e deteriorate ma non completamente sconfitte, e in cui l’attaccante cattura una quantità significativa del territorio del difensore. Il problema di non ottenere una vittoria decisiva, tuttavia, è che i combattimenti probabilmente continueranno, il che implica quasi certamente una guerra di logoramento. Le guerre moderne, va sottolineato, non solo tendono a intensificarsi, ma sono anche difficili da terminare. Pertanto, i leader hanno un forte incentivo a impiegare una Blitzkrieg per ottenere una vittoria decisiva sull’esercito in difesa, e non a perseguire una vittoria limitata.

 

Dal punto di vista del difensore

Finora ci siamo concentrati sul modo in cui l’attaccante esegue una Blitzkrieg. Ma per comprendere appieno il funzionamento di una Blitzkrieg e le sue probabilità di successo, è essenziale considerare le capacità del difensore e la sua strategia di contrasto a una Blitzkrieg.

La questione chiave, per quanto riguarda le capacità, è la correlazione delle forze tra il difensore e l’aggressore. C’è una sostanziale parità in termini di qualità e quantità delle truppe e degli armamenti? Se è così, si prospetta un combattimento alla pari. Se invece una delle due parti dispone di forze nettamente superiori in termini di qualità, quantità o di entrambe, si tratterà di un combattimento impari. La differenza tra un combattimento alla pari e uno impari è molto importante, per determinare le prospettive di successo di una Blitzkrieg.

Per cominciare, è molto più difficile far funzionare una Blitzkrieg in un combattimento alla pari, perché il difensore non è in inferiorità numerica fin dall’inizio. Si tratta di uno scontro tra due forze combattenti formidabili, non di un conflitto impari, il che rende difficile per l’attaccante essere sicuro del successo. Inoltre, le conseguenze del fallimento di una Blitzkrieg sono nettamente diverse, nei due tipi di combattimento. Se una Blitzkrieg fallisce in un combattimento alla pari, il risultato sarà probabilmente una lunga guerra di logoramento il cui esito è difficile prevedere. Dopo tutto, il conflitto è tra avversari di pari livello. Ma se una Blitzkrieg non ha successo in un combattimento impari, l’attaccante è quasi certo di vincere la guerra che ne consegue in modo facile e veloce, semplicemente perché gode di un netto vantaggio materiale sul difensore.

Anche la strategia del difensore per contrastare una Blitzkrieg ha una profonda influenza sul suo esito. Semplificando al massimo, lo Stato bersaglio può schierare le sue forze in tre modi diversi: difesa avanzata, difesa in profondità e difesa mobile.

Con la difesa avanzata, la maggior parte delle forze del difensore è posizionata sulla linea che separa gli eserciti avversari, per impedire all’attaccante di sfondare. Il difensore colloca anche un numero ragionevole di forze combattenti dietro la linea del fronte, come riserve mobili che possono muoversi rapidamente per bloccare un potenziale sfondamento. L’enfasi, tuttavia, è sulla difesa in forze lungo la linea di contatto iniziale. Questo non significa però che il difensore non possa essere tatticamente flessibile nel gestire le forze attaccanti lungo la linea del fronte. Ad esempio, potrebbe cercare di attirarle in zone controllate dove possono essere bombardate dall’artiglieria.

La difesa in profondità è costituita da una serie di linee ben difese, una dietro l’altra, che hanno lo scopo di logorare l’esercito attaccante mentre combatte attraverso ogni cintura difensiva. Non solo è difficile per le forze d’attacco sfondare la prima linea di difesa, ma anche se lo fanno, non c’è possibilità di superare le riserve del difensore e di eseguire una penetrazione strategica profonda. Al contrario, l’attaccante deve combattere una serie di battaglie a puntate nel tentativo di perforare le successive linee di difesa del difensore.

La difesa in profondità è ideale per contrastare una Blitzkrieg; è probabilmente la migliore delle tre strategie a questo scopo. Il suo principale svantaggio è che di solito richiede un numero particolarmente elevato di truppe. Inoltre, richiede che il difensore non massimizzi il numero di truppe e di ostacoli che colloca in prima linea, ma che si assicuri che ogni linea di difesa sia fittamente popolata di barriere e soldati. Naturalmente, le truppe in difesa lungo la linea di contatto possono ritirarsi verso le linee di difesa alle loro spalle. Molti comandanti, tuttavia, saranno propensi a difendere il margine anteriore dell’area di battaglia con il maggior numero possibile di truppe.

Infine, c’è la difesa mobile, che è la più audace delle tre strategie. Il difensore colloca una piccola parte delle sue truppe in posizioni avanzate, dove possono ostacolare in qualche modo le forze attaccanti, ma altrimenti permette loro di penetrare in profondità nella sua zona posteriore. Al momento opportuno, il difensore usa il suo colpo della domenica – un grande corpo di forze mobili – per colpire i fianchi della penetrazione e tagliare le forze d’attacco dalla loro base. In effetti, le forze di invasione vengono accerchiate e isolate, diventando un facile bersaglio per la distruzione. La difesa mobile è una strategia molto impegnativa e rischiosa, soprattutto se paragonata alle altre due strategie difensive, che mirano semplicemente a logorare le forze corazzate attaccanti costringendole a combattere attraverso posizioni difensive ben fortificate…

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Come la NATO ha sedotto la sinistra europea – Lily Lynch

Nel 2018 Angelina Jolie, e negli ultimi 12 mesi leader femminili telegeniche come la prima ministra finlandese Sanna Marin, la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock e la prima ministra estone Kaja Kallas si sono fatte portavoce rassicuranti del militarismo NATO in Europa

Fonte: https://www.anred.org/2023/05/24/como-la-otan-sedujo-a-la-izquierda-europea/

 

Il movimento contro la guerra si è fatto incantare da un circo progressista. Nel gennaio 2018, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha tenuto una conferenza stampa senza precedenti con Angelina Jolie. Mentre InStyle descriveva Jolie “era vestita con un abito a tubo nero con spalle nude, un mantello abbinato e tacchi classici (anche neri)”, c’era un motivo più profondo in questo incontro: la violenza sessuale in guerra. La coppia era co-autrice di un articolo per The Guardian intitolato “Perché la NATO deve difendere i diritti delle donne”. Il momento è stato significativo.

Al culmine del movimento #MeToo, l’alleanza militare più potente del mondo era diventata un alleato femminista. “Porre fine alla violenza di genere è una questione vitale di pace e sicurezza, così come di giustizia sociale”, hanno scritto. “La NATO può essere un leader in questo sforzo”. Questo è un volto nuovo e progressista per la NATO, lo stesso che da allora ha usato per sedurre gran parte della sinistra europea.

In passato, nei Paesi nordici, gli atlantisti hanno dovuto vendere la guerra e il militarismo a un pubblico per lo più pacifista. Ciò è stato ottenuto presentando la NATO non come un’alleanza militare rapace e pro-guerra, ma come un’alleanza di pace illuminata e progressista.

Come Timothy Garton Ash suggeriva dal The Guardian nel 2002, “la NATO è diventata un movimento pacifista europeo” dove è possibile vedere “John Lennon insieme a George Bush”. Oggi, dopo l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia, la Svezia e la Finlandia hanno abbandonato le loro tradizioni di neutralità di lunga data e hanno optato per l’adesione. La NATO si presenta come un’alleanza militare e l’Ucraina come una guerra che anche gli ex pacifisti possono sostenere. Tutti i suoi sostenitori sembrano cantare “Date una possibilità alla guerra“.

La campagna della Jolie segna una svolta drammatica in quella che Katharine A.M. Wright e Annika Bergman Rosamond chiamano la “narrativa strategica della NATO”. In primo luogo, l’Alleanza ha abbracciato il potere delle celebrità, impregnando il suo marchio di glamour e bellezza d’élite. Il potere stellare della Jolie ha fatto sì che le immagini coinvolgenti dell’evento raggiungessero un pubblico politico con poca conoscenza della NATO. In secondo luogo, il partenariato sembrava inaugurare un’era in cui i diritti delle donne, la violenza di genere e il femminismo avrebbero assunto un ruolo più importante nella retorica della NATO. Da allora, e soprattutto negli ultimi 12 mesi, leader femminili telegeniche come il primo ministro finlandese Sanna Marin, il ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e il primo ministro estone Kaja Kallas sono state sempre più portavoce del militarismo illuminato in Europa. L’Alleanza ha anche intensificato il suo impegno con la cultura popolare, le nuove tecnologie…

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Global Women for Peace United Against NATO Dibattito al Parlamento Europeo – Discorso dell’eurodeputata Clare Daly

Non posso dirvi quanto sono felice che questo evento si stia svolgendo e che la dichiarazione Global Women for Peace United Against NATO sia stata prodotta e diffusa.

Non è mai stato più necessario.

Perché il femminismo è stato spietatamente cooptato dal complesso industriale militare. Una serie di donne politiche e personalità dei media giovani e patinate sono state spinte alla ribalta in tutta Europa per discutere a nome della NATO, per sostenere più guerra, più militarismo, più spesa per armi. La NATO si è avvalsa del potere dei social media e del peso emotivo della politica dell’identità, e sta sfruttando gli influencer online e la concezione più sottile che si possa immaginare dell’uguaglianza di genere per promuovere la sua agenda patriarcale e militarista. Ho partecipato a un forum consultivo sulla sicurezza internazionale ospitato dal governo irlandese la scorsa settimana, ed è stato sorprendente quante donne giovani e attraenti abbiano ottenuto posizioni di rilievo sulla piattaforma per argomentare contro la tradizionale politica di neutralità dell’Irlanda e a favore del militarismo. Questo è un progetto, non ci sono dubbi. Abbiamo tutti sentito parlare di greenwashing da parte delle aziende; è ora di iniziare a parlare del girl-washing da parte del complesso industriale militare. E la lotta contro di esso, che so essere perseguita da tutte le organizzazioni che partecipano a questi eventi nei prossimi giorni, ha bisogno del nostro pieno sostegno.

La guerra e il militarismo sono un anatema per il femminismo. Sono opposti, non possono essere riconciliati. Chiunque cerchi di riconciliarli, chiunque cerchi di abusare del linguaggio dell’uguaglianza di genere per giustificare la guerra e la violenza – quelle persone non stanno portando avanti la causa del femminismo, che è la causa dell’uguaglianza, della resistenza a tutte le forme di violenza, sfruttamento e discriminazione, la causa della cura per l’altro e per il pianeta che ci sostiene. Chiunque sostenga un “militarismo femminista” sta abusando del femminismo, sta sfruttando spietatamente gli anni di lavoro e impegno femminista, i decenni di attivismo femminista che hanno conquistato in una certa misura diritti delle donne; stanno cinicamente spremendo il sudore, il sangue e le lacrime delle centinaia di migliaia di donne in tutto il mondo che ne hanno fatto il lavoro della loro vita per sostenere un mondo migliore, più giusto e più sostenibile basato sui principi femministi; e stanno sfruttando la buona volontà generata da tutto ciò per i loro fini egoistici e avidi.

Dobbiamo alzare la voce nel dichiararlo. Dobbiamo essere chiarissime nella nostra posizione secondo cui il militarismo girl-washing è un atto di cinismo mozzafiato che non sopporteremo. Nessuna quantità di donne in ‘completo pantaloni beige alimentati al plutonio’, come disse una volta il mio grande amico, il defunto poeta Kevin Higgins, donne che si lasciano usare come lobbiste per la violenza, a queste donne non può essere permesso di suggerire così tanto o implicare che parlino a nome di qualcosa di diverso dal complesso industriale militare che le ha comprate e pagate, metaforicamente o in altro modo.

Uguaglianza, giustizia e pace sono i principi che stanno alla base della lotta delle donne per la libertà, come afferma in modo così eloquente la Dichiarazione. Non c’è spazio al suo interno per il militarismo – non c’è spazio al suo interno per l’uso della forza e della violenza per raggiungere i propri obiettivi, qualunque essi siano. Ai guerrafondai della NATO e degli stati nazione potrebbe piacere parlare di “attuazione dei principi femministi”, ma dobbiamo essere assolutamente incisive e ferme sul fatto che si tratta di un’assoluta e totale assurdità. Femminismo e militarismo non si mescolano, non esiste militarismo femminista. Puoi incollare un paio di pinne a un cane e chiamarlo pesce, ma è pur sempre un cane, anche se ha un aspetto piuttosto stupido. Allo stesso modo puoi incollare affermazioni sulla parità di genere e sul progressismo di genere alle strutture militariste, ma alla fine restano comunque istituzioni e strutture la cui intera esistenza è antitetica ai principi femministi.

Ciò non impedisce a quelle istituzioni e strutture di provarci, però ovunque guardiamo possiamo vederle mentre cercano di incollare le pinne a un cane e di convincerci tutti a chiamarlo Splashy.

Ormai da anni, la NATO si è impegnata in una strategia di comunicazione altamente strategica e con molta attenzione per cercare di posizionarsi come difensore cosmopolita della giustizia di genere e dei diritti umani. L’obiettivo, ovviamente, è quello di legittimare le sue azioni e la sua esistenza, e di aprire un nuovo mercato di sostegno al suo progetto. Riconoscendo che aveva un

problema di immagine, dal momento che era giustamente percepita come l’esecutore del militarismo muscoloso patriarcale occidentale in un momento in cui la messa in discussione della “mascolinità tossica” era sempre più popolare e mainstream, e consapevole del fatto che l’antimilitarismo femminista stava guadagnando terreno con i giovani e i progressisti, in seguito alle famigerate e disastrose invasioni americane dell’Afghanistan e dell’Iraq, la NATO sembra aver preso una decisione molto calcolata di commercializzarsi in modo diverso, e il linguaggio dell’uguaglianza di genere era proprio ciò di cui aveva bisogno.

Ci sono voluti otto anni perché la NATO capisse il potenziale potere commerciale della risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ma quando lo ha fatto, l’ha sfruttata con entusiasmo. Nel 2008 dichiaravano allegramente che la politica 1325 su Donne, Pace e Sicurezza doveva da quel momento in poi essere “parte integrante dell’identità di organizzazione della NATO, del modo in cui pianifica e conduce le sue attività quotidiane e organizza le sue strutture civili e militari”. Dovrebbe inoltre essere pienamente integrata in “tutti gli aspetti delle operazioni a guida NATO”. Nel 2010, il quartier generale della NATO ospitava una mostra multimediale sull’attuazione della risoluzione 1325 da parte della NATO. In essa, giovani donne in divisa militare coccolavano bambini sorridenti. Ha iniziato a ospitare eventi per la Giornata internazionale della donna. Sempre nel 2010, la NATO si è unita alle celebrazioni del decimo anniversario dell’approvazione della Risoluzione. Per celebrare l’occasione, il Segretario generale Anders Fogh Rasmussen ha tenuto un discorso alla Commissione europea su “Più potere alle donne su pace e sicurezza”. Ha parlato tristemente della “vittimizzazione in corso delle donne in situazioni di conflitto e dell’emarginazione delle donne in materia di costruzione della pace” come aventi un profondo impatto sulla sicurezza globale e come una delle “questioni chiave della sicurezza del nostro tempo”. Ovviamente non ha suggerito lo scioglimento della NATO come soluzione – invece intendeva che quegli altri barbari non nella NATO fossero responsabili di questi orribili crimini contro la giustizia, mentre la NATO stava facendo tutti gli sforzi per aprire la strada verso un mondo migliore.

A quel tempo, la dottoressa Stefanie Babst era l’Assistente Segretaria ad interim della NATO e veniva considerata una donna senior “ammiraglia” per la NATO. Ha parlato calorosamente dell’occupazione dell’Afghanistan come “consapevole del genere” da parte della NATO, lodando il fatto che la NATO abbia addestrato la prima donna paracadutista dell’Afghanistan. Ha scritto: “Chiunque sappia qualcosa sull’Afghanistan si rende conto di quale passo storico sia. È una vera indicazione del cambiamento in meglio che stiamo vedendo in Afghanistan”. Lo era davvero. Sono sicura che il 97% della popolazione afghana attualmente vive in povertà, le donne afgane vendono i propri organi per nutrire i propri figli, le madri afghane vendono le proprie figlie per sopravvivere, mentre gli Stati Uniti si occupano malignamente di 8,9 miliardi di dollari della Banca centrale afgana, sono proprio sicura che siano assolutamente soddisfatte che la NATO abbia addestrato alcune donne paracadutiste – questo è un vero cambiamento in cui possono credere.

Coerentemente e senza tregua negli ultimi anni, la NATO ha utilizzato la sua massiccia forza mediatica e finanziaria per alimentare nella sfera pubblica la comprensione dell’agenda delle donne, della pace e della sicurezza come mezzo per sostenere l’efficacia operativa militare e per vendere il suo ruolo di protettore maschilista che rafforza gli ideali e le norme egemoniche militaristiche e maschili come del tutto privi di problemi rispetto al progressismo di genere. Le radici antimilitariste di molte/i di coloro che hanno lavorato così duramente per ottenere l’approvazione della risoluzione 1325 sono accuratamente ignorate; invece veniamo intimiditi se crediamo che l’agenda per le donne, la pace e la sicurezza significhi solo “più militarismo, ma per tutti!”.

Nel 2018 la NATO ha ospitato Angelina Jolie presso il quartier generale della NATO qui a Bruxelles per parlare della violenza sessuale e di genere legata ai conflitti. Il quotidiano Guardian pubblicava un editoriale scritto da lei e dal Segretario generale della NATO. Con questa breve alleanza con Jolie, la NATO ha ottenuto tutto: glamour hollywoodiano, un luccichio di progressismo, persino di umanitarismo. Nella mente di un pubblico che forse conosceva o si preoccupava poco della NATO, poteva posizionarsi come una sorta di United Colors of Benetton, che cercava di insegnare al mondo intero a cantare in perfetta armonia. Poteva fare tutto qiò senza sentire nemmeno per un secondo vergogna o scrupolo morale – perché fondamentalmente, la NATO come organizzazione è priva di entrambi.

Nel 2021, il Consiglio Atlantico sosteneva che la NATO avrebbe dovuto adottare una “politica estera femminista”. La politica estera femminista, scrivono gli autori, “potrebbe conferire all’Alleanza un vantaggio strategico nelle sue grandi competizioni di potere con i regimi autoritari in Cina e Russia”. L’aggiunta dei principi del FFP ai valori democratici liberali esistenti può rendere le democrazie della NATO ancora   più   competitive   di   quanto   non   lo   siano   già   contro   i   regimi   autoritari.’ Il linguaggio della competizione e del vantaggio strategico, insieme ai principi femministi, toglie il fiato. Il femminismo riguarda la cooperazione, non la competizione. Il femminismo non sostiene il vantaggio strategico rispetto agli stati rivali, anzi spesso attribuisce grande importanza al concetto stesso di stato-nazione, poiché è il luogo di tanta storica oppressione delle donne. Usare il femminismo in questo modo significa svuotarlo completamente di ogni significato. Significa risucchiare tutta la gioia, tutta la cura, tutto il lavoro scrupoloso a livello umano e comunitario per costruire coalizioni, negoziare, scendere a compromessi e navigare nella differenza. È grottesco.

Chiave per l’evoluzione dell’auto-narrazione della NATO come difensore cosmopolita dei diritti delle donne stato il suo abbracciare nuove forme di comunicazione digitale, con la NATO che utilizza abilmente i social media in una svolta verso la diplomazia digitale nella politica globale. I social media sono stati usati per proiettare visivamente alcune selezionate donne anziane nella NATO, smentendo la realtà di genere di un’organizzazione dominata da uomini in posizioni decisionali. La NATO ha anche usato la sua forza istituzionale per impostare la narrazione sulla stampa mainstream, dove viene regolarmente e in modo affidabile inquadrata come un’organizzazione che si batte per i diritti umani e la giustizia, contro l’autoritarismo e l’incivile “Altro” là fuori in ciò che Josep Borrell ha chiamato “la giungla” fuori dal “giardino” dell’Occidente. Nel frattempo, quei tailleur pantalone alimentati al plutonio nella politica statunitense ed europea ostentano le loro credenziali di centrosinistra e si spingono avanti per vendere l’idea che la forza è giusta, e che questo è in qualche modo femminista.

Tutto questo è profondamente, profondamente distruttivo. È anche incredibilmente cinico, assolutamente osceno. Ma è quello che fanno i capitalisti. Prendono tutto ciò che è buono e lo riducono in polvere. Prendono la democrazia e cercano di farla rispettare con la canna di un fucile. Prendono il femminismo e lo trasformano in un’arma, una leva strategica e un esercizio di marketing. Quell’uso e abuso di qualcosa che potrebbe essere una potente forza per il bene, una forza per un cambiamento profondo ed essenziale, la distruggerà se lo permettiamo.

Quindi non possiamo essere timide su questo. In realtà non biasimo molte delle donne che lavorano all’agenda del WSP in organizzazioni come la NATO. Senza dubbio alcuni di loro sono persone buone e vogliono sinceramente fare del bene. Ma dobbiamo resistere all’idea che l’incrementalismo sia possibile o plausibile in questo caso. Non c’è via per la pace, l’uguaglianza e la giustizia attraverso le bombe e la violenza; non possiamo prenderci cura del mondo e delle nostre comunità se tutti vivono nella costante paura, se tutti si trovano in un costante stato di sfiducia. Non c’è alcuna possibilità di “cambiare” la NATO, non è possibile ammorbidirla o renderla più “rispondente ai bisogni di genere”. La NATO è uno strumento del dominio occidentale. È un’arma istituzionale, un missile accovacciato alla periferia di questa città e puntato contro tutti noi; tutti, in tutto il mondo.

La sua logica è quella del dominio, non dell’uguaglianza, della giustizia o della pace. Il femminismo rifiuta totalmente il dominio come principio. Non c’è quadratura di quel cerchio, i due sono implacabilmente opposti. Quindi non c’è incrementalismo, e noi dobbiamo dire loro, con fermezza, definitivamente: “No pasaran!” Continuiamo la nostra lotta, non prestiamo le nostre energie o il nostro tempo al loro. Perché la nostra lotta è contro di loro. L’unica NATO femminista è una NATO sciolta. Assicuriamoci che tutti lo sentano da noi e assicuriamoci che lo sentano forte e chiaro.

 

 

scrive Paolo Selmi

PERCENTUALI DI AFFLUENZA ALLE ELEZIONI AMMINISTRATIVE NELLE NUOVE REGIONI RUSSE

DNR – 76%
LNR – 72%
Oblast’ di Zaporozh’e – 66,8%
Oblast’ di Cherson – 64,5%

A dispetto di quanto ne possa pensare un U-ccidente che dovrebbe preoccuparsi delle proprie, di percentuali di affluenza, in tempo di pace e senza problemi di aree occupate e teatro di scontri, il dato è indubbiamente notevole. E quel che dà più fastidio al regime di Kiev è che alla Crimea (2014) e alle quattro regioni summenzionate (2022) se ne possano aggiungere altre.

La regione di CHARKOV, dove l’Economist già a gennaio ammetteva con un eufemismo che “c’era chi aspettava il ritorno dei russi”,
https://www.economist.com/europe/2023/01/19/some-liberated-ukrainian-regions-have-mixed-loyalties
PER ESEMPIO, A KUPLJANSK DOVE A MARZO,
https://news.myseldon.com/ru/news/index/280490776
AD AGOSTO
https://aif.ru/politics/zhiteli_kupyanska_otkazyvayutsya_ot_evakuacii_na_fone_priblizheniya_vs_rf
E PERSINO ADESSO CHE I COMBATTIMENTI SI AVVICINANO
https://dzen.ru/a/ZPQomMK51jBVuUUV
gli abitanti RIFIUTANO DI EVACUARE E ASPETTANO IL RITORNO DEI RUSSI…

 

…Il “mercenario” britannico Jordan Chadwick, 31 anni, membro della cosiddetta “legione internazionale”, trovato morto, sparato alla schiena, e non per mano russa.
https://t.me/RVvoenkor/52824
Le indagini sulla sua morte inizieranno… A FEBBRAIO DELL’ANNO PROSSIMO. Ma non perché “i britannici se ne freghino dei loro mercenari” (Британскому правительству настолько плевать на жизни своих наемников), come afferma laconicamente l’autore del pezzo sul canale russo.
Il canale ucraino LEGITIMNYJ è da oltre un mese che ha denunciato la FUGA DEI SOLDATI STRANIERI da quell’inferno:
https://t.me/legitimniy/15983
Video come questo di colombiani “venuti ad aiutare” e picchiati da soldati incappucciati, dove la voce fuori campo conclude “gli ucraini son peggio dei russi” (los ucranianos son peores que los rusos),
https://t.me/ZE_kartel/7492
certo “non giovano alla causa”. Ed è proprio il canale Legitimnyj che riporta fonti riservate, spifferi di corridoio, da cui emergerebbero tutti i risvolti negativi di questa “fuga dei mercenari”:
https://t.me/legitimniy/16217
Risvolti molto probabilmente non estranei a questo omicidio, sicuramente non estranei al fatto che sia le autorità britanniche, che quelle ucraine, stiano INSABBIANDO il tutto…

 

… Oggi è quel che resta di quello un tempo poteva chiamarsi Ucraina, ridotto a fantoccio istituzionale (indegna scena di ieri alla Rada laconicamente a simboleggiarlo) a copertura di frodi, corruzione, saccheggi e soprusi di ogni genere (qui la storia dell’ennesimo ufficiale corrotto la cui bella – bella indubbiamente… niente da dire! – è riuscita a portare all’estero facendo avanti indietro sessantatre milioni di grivne – 1.592.493,04 EUR: https://t.me/ukraina_ru/168137).

Intanto, i poveri cristi vengono sbattuti nella camionetta. Qui due filmati recenti, di cui il primo con anche un esito à la George Floyd, ma qui nessuno fa l’inchino…
https://t.me/RVvoenkor/52749
No, qui si è ritornati allo “Ave Cesare, morituri te salutant”… decine e decine di migliaia di “morituri” per ingrassare ancora “fin quando fa male (ai capitalisti del nostro complesso militare industriale), fin quando ce n’è (ora sono arrivati alle donne da sbattere al fronte come “personale medico”… poi vediamo, ce n’è ancora da raschiare)”…

 

SONNO DELLA RAGIONE SULLA STRAGE NATO A KONSTANTINOVKA

Sonno della ragione TOTALE.

JULIAN ROEPKE, giornalista del BILD, acerrimo nemico di tutto ciò che sia oltrecortina, IERI AMMETTEVA che il missile proveniva da NORD-OVEST, ovvero UCRAINA, non RUSSIA.
https://t.me/notes_veterans/12026
A nord-ovest, precisa un altro canale con tanto di cartina, c’è KRAMATORSK:
https://t.me/ukraina_ru/168023?single

Apriti cielo. Tonnellate di “shit”, come le descrive, lo costringono STAMATTINA a tornare sull’argomento e a RIBADIRE LA VALIDITA’ di quanto dichiarato (ammesso) ieri (Fact-based findings):
https://t.me/RVvoenkor/52717

Posizione RIBADITA nella tarda mattinata di oggi dal CANALE UCRAINO LEGITIMNIY
https://t.me/legitimniy/16206
dicendo anche che a detta dei mormorii in Bankovaja si tratterebbe non di uno HARM ma di uno STORM SHADOW. E che dopo aver fatto opportunamente sparire rottami con numeri di serie e sagome compromettenti, appariranno come per magia le “prove” con qualche rottame sovietico portato lì per l’occasione. Nel silenzio generale di tutti…

 

… A RABOTINO, anche se fosse rimasto qualcosa in piedi su cui piantare anche una misera bandierina, manca la possibilità materiale di farlo, dal momento che la TERRA DI NESSUNO è veramente TERRA DI NESSUNO. Assaltatori ridotti a sbandati su pick-up scorrazzano fra le macerie, divenendo in poco tempo bersagli dell’artiglieria russa appostata sulle alture immediatamente sottostanti.

La RIPRODUZIONE AMPLIATA di questo ciclo di morte, e di cui abbiamo illustrato per sommi capi l’ingloriosa fine, inizia più a monte, precisamente nelle immediate retrovie. Mentre i primi gruppi di assaltatori si consumano, LETTERALMENTE, per guadagnare qualche metro, i lacchè dell’imperialismo u-ccidentale formano subito dietro un altro gruppo, e poi un altro ancora, a un RITMO INFERNALE. In ogni senso dell’aggettivo. Attacca 1, se ne preparan 2, attaccan 2, se ne preparan 4. Sfondare con la forza della massa, fornita gratuitamente dal regime. Il problema è che l’artiglieria russa sinora, da QUATTRO MESI a questa parte, si è dimostrata capace di tenere testa a questo ciclo di RIPRODUZIONE AMPLIATA con un altrettanto AMPLIATA DISTRUZIONE. All’artiglieria piazzata si aggiungono i SEMOVENTI a supporto dalle retrovie, più l’AVIAZIONE più, quando ormai della macchina da guerra di cui sopra son rimasti solo i rottami, un’ULTIMA PASSATA di REPARTI SPECIALI a RIPORTARE IL TUTTO PIÙ INDIETRO…

Un MECCANISMO PERVERSO QUANTO CRIMINALE, OLTRE CHE FALLIMENTARE CONIATO, VAGLIATO E PUBBLICAMENTE IGNORATO da un U-ccidente che, come suo costume, di fronte alla sconfitta comincia con improbabili scaribarile su aspetti del tutto SECONDARI. E anche oggi si replica. Come neanche nella loro cazzo di Broadway…

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L’Economist svela il programma di “omicidi mirati” del regime di Kiev (sul modello del Mossad)

In un articolo uscito su The Economist – che di seguito proponiamo ai nostri lettori tradotto in italiano – trovano conferma e vengono ammesse gravi responsabilità del regime di Kiev in operazioni di omicidi politici. Nel cuore di questa oscura narrazione si trova un servizio di sicurezza nazionale che, nel corso degli anni, è passato da un ruolo di sorveglianza a quello di attuazione di operazioni di eliminazione mirate sullo stile dell’israeliano Mossad. L’Ucraina ha condotto operazioni di “lavoro sporco”, incluse assassinii di comandanti avversari, attacchi missilistici e altre azioni nefaste. Le implicazioni di queste operazioni suscitano dubbi e preoccupazioni, sia in termini di strategia che di fiducia interna. 

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Dentro il programma di omicidi dell’Ucraina

The Economist , 5 settembre 2023

L’operazione era in preparazione da un mese. Yevhen Yunakov, il sindaco di Velykyi Burluk, nella regione di Kharkiv, era stato identificato come un collaboratore dei russi. Il compito fu affidato a “Caucaso”, un comandante delle forze speciali, e a un gruppo di ufficiali locali. I suoi uomini hanno osservato il loro obiettivo meticolosamente per giorni: quando faceva acquisti, quando e dove si muoveva, l’estensione della sua sicurezza. Una volta fatta esplodere la bomba, da lontano, sono scomparsi in case sicure all’interno del territorio occupato. Il gruppo sarebbe tornato nel territorio controllato dagli ucraini solo settimane più tardi, dopo la liberazione della città. Il corpo di Yunakov non è mai stato ritrovato.

In 18 mesi di guerra, decine di persone come Yunakov sono state prese di mira in operazioni cliniche nell’Ucraina occupata e nella stessa Russia. Sono stati fucilati, fatti saltare in aria, impiccati e persino, in qualche occasione, avvelenati con brandy alterato. L’Ucraina mantiene un riserbo sul suo coinvolgimento negli omicidi. Ma pochi dubitano della firma sempre più competente dei suoi servizi di sicurezza. Le stesse agenzie lanciano pesanti allusioni. “Chiunque tradisca l’Ucraina, spari agli ucraini o lanci missili contro gli ucraini deve capire che è osservato e sarà assicurato alla giustizia”, afferma Andriy Cherniak, ufficiale dell’HUR, l’agenzia di intelligence militare ucraina. In un’intervista rilasciata a luglio, il suo capo, il generale Kyrylo Budanov, si è spinto oltre: “Se state chiedendo di [creare una versione del] Mossad… Non ne abbiamo bisogno. Esiste già”.

La menzione dell’agenzia di spionaggio israeliana anima gli ucraini, desiderosi di giustizia. In realtà, le origini dell’assassinio politico sono un po’ più vicine a noi. Il Mossad ha imparato gran parte del suo mestiere dalla polizia segreta di epoca sovietica e dal suo fondatore, Pavel Sudoplatov, nato a Melitopol, nell’Ucraina meridionale ora occupata. Per una strana coincidenza storica, Sudoplatov trascorse gli anni ’30 infiltrandosi in gruppi nazionalisti ucraini e facendo personalmente saltare in aria uno dei loro leader con una bomba a forma di scatola di cioccolato. (Ha anche organizzato l’assassinio di Leon Trotsky nel 1940).

Nell’Ucraina moderna, gli omicidi risalgono almeno al 2015, quando il servizio di sicurezza nazionale (SBU) ha creato un nuovo organismo dopo che la Russia si era impadronita della Crimea e della regione orientale del Donbas. Il quinto direttorato d’élite del controspionaggio è nato come forza di sabotaggio in risposta all’invasione. In seguito si è concentrato su quello che viene eufemisticamente chiamato “lavoro sporco”.

Valentin Nalivaychenko, che all’epoca dirigeva l’SBU, afferma che il cambio avvenne quando i leader ucraini di allora decisero che la politica di imprigionamento dei collaborazionisti non era sufficiente. Le prigioni erano stracolme, ma pochi erano i detrattori. “Siamo arrivati a malincuore alla conclusione che dovevamo eliminare le persone”, dice. Un ex ufficiale del Direttorato descrive la situazione in termini simili. “Dovevamo portare la guerra a loro”. Nel 2015 e nel 2016 il direttorato è stato collegato all’assassinio di comandanti chiave sostenuti dai russi nel Donbass; Mikhail Tolstykh, alias “Givi”, ucciso in un attacco missilistico; Arsen Pavlov, alias “Motorola”, fatto saltare in aria in un ascensore; Alexander Zakharchenko, fatto saltare in aria in un ristorante.

Gli addetti ai lavori dell’intelligence affermano che il quinto direttorato dell’SBU sta svolgendo un ruolo centrale nelle operazioni di contrasto alla Russia. Le dimensioni relative dell’SBU e il suo budget – cinque volte superiore a quello dell’HUR – hanno permesso di portare a termine i lavori più sofisticati, come il bombardamento del ponte di Kerch, che collega la Russia alla Crimea, nell’ottobre 2022. Altri, invece, sottolineano il ruolo dell’HUR, con le sue reti sotterranee e la sua maggiore importanza in tempo di guerra. “Siamo soprattutto colletti bianchi”, insiste una fonte dell’SBU. Un altro attore sempre più importante nell’Ucraina occupata è rappresentato dalle Forze per le operazioni speciali (SSO). Si tratta di un gruppo relativamente nuovo che coordina il Rukh Opory (Movimento di Resistenza), i partigiani ucraini. L’operazione a Kharkiv, ad esempio, è stata condotta dalle SSO. Denys Yaroslavsky, un ufficiale dell’SSO, afferma che il servizio sta ora spingendo per ottenere maggiori poteri per condurre operazioni all’interno della Russia stessa. Questo non è universalmente accolto con favore in altre parti della comunità di intelligence ucraina.

Si ritiene che il Presidente dell’Ucraina autorizzi le operazioni più controverse, anche se altre decisioni sono delegate. Una fonte governativa di alto livello a conoscenza del modus operandi rifiuta di discutere i dettagli: “È importante non commentare e non pensare a queste operazioni”. Ma dice che Volodymyr Zelensky ha emesso un ordine chiaro per evitare danni collaterali tra i civili. “Il presidente comunica questa istruzione alle persone in modo formale e, a volte, gridando loro contro”. L’Ucraina ha dovuto scegliere con cura i suoi obiettivi, aggiunge la fonte, e forse “non sempre” lo ha fatto.

La leadership ucraina è stata sottoposta a particolare attenzione in ottobre, quando il New York Times ha riferito che il governo USA la stava incolpando per l’autobomba che ha ucciso Darya Dugina, figlia di Alexander Dugin, un filosofo nazionalista. Ciò ha acuito un dibattito interno all’intelligence ucraina già molto acceso. Non è chiaro se la signora Dugina fosse destinata a morire; alcuni rapporti suggeriscono che abbia scambiato l’auto con il padre…

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La guerra economica degli Stati Uniti contro la Cina – Jeffrey D. Sachs

L’economia cinese sta rallentando. Le previsioni attuali collocano la crescita del PIL cinese nel 2023 a meno del 5%, al di sotto delle previsioni formulate lo scorso anno e molto al di sotto degli elevati tassi di crescita di cui la Cina ha goduto fino alla fine degli anni 2010. La stampa occidentale è piena di presunti misfatti della Cina: una crisi finanziaria nel mercato immobiliare, un eccesso generale di debito e altri mali. Tuttavia, gran parte del rallentamento è il risultato delle misure statunitensi che mirano a rallentare la crescita della Cina. Tali politiche statunitensi violano le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e rappresentano un pericolo per la prosperità globale. Dovrebbero essere fermati.

Le politiche anti-cinesi derivano da un manuale familiare del processo decisionale statunitense. L’obiettivo è impedire la concorrenza economica e tecnologica di un grande rivale. La prima e più ovvia applicazione di questo manuale è stata il blocco tecnologico imposto dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda. L’Unione Sovietica era il nemico dichiarato dell’America e la politica statunitense mirava a bloccare l’accesso sovietico alle tecnologie avanzate.

La seconda applicazione del playbook è meno ovvia e, di fatto, viene generalmente trascurata anche da osservatori esperti. Alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ’90, gli Stati Uniti cercarono deliberatamente di rallentare la crescita economica del Giappone. Ciò può sembrare sorprendente, dato che il Giappone era ed è un alleato degli Stati Uniti. Eppure il Giappone stava ottenendo “troppo successo”, poiché le aziende giapponesi superavano quelle statunitensi in settori chiave, tra cui semiconduttori, elettronica di consumo e automobili. Il successo del Giappone è stato ampiamente acclamato nei bestseller come Japan as Number One dal mio defunto, grande collega, il professore di Harvard Ezra Vogel.

Tra la metà e la fine degli anni ’80, i politici statunitensi limitarono i mercati statunitensi alle esportazioni del Giappone (tramite i cosiddetti limiti “volontari” concordati con il Giappone) e spinsero il Giappone a sopravvalutare la propria valuta. Lo yen giapponese si è apprezzato da circa 240 yen per dollaro nel 1985 a 128 yen per dollaro nel 1988 e 94 yen per dollaro nel 1995, prezzando le merci giapponesi fuori dal mercato statunitense. Il Giappone è entrato in crisi a causa del crollo della crescita delle esportazioni. Tra il 1980 e il 1985, le esportazioni del Giappone sono aumentate annualmente del 7,9%; tra il 1985 e il 1990 la crescita delle esportazioni è scesa al 3,5% annuo; e tra il 1990 e il 1995, al 3,3% annuo. Con il netto rallentamento della crescita, molte aziende giapponesi caddero in difficoltà finanziarie, provocando un fallimento finanziario all’inizio degli anni ’90.

A metà degli anni ’90 chiesi a uno dei funzionari governativi più potenti del Giappone perché il Giappone non svalutasse la valuta per ristabilire la crescita. La sua risposta fu che gli Stati Uniti non lo avrebbero permesso.

Ora gli Stati Uniti stanno prendendo di mira la Cina. A partire dal 2015, i politici statunitensi sono arrivati ​​a considerare la Cina come una minaccia piuttosto che come un partner commerciale. Questo cambiamento di visione è dovuto al successo economico della Cina. L’ascesa economica della Cina ha cominciato davvero ad allarmare gli strateghi statunitensi quando la Cina ha annunciato nel 2015 una politica “Made in China 2025” per promuovere l’avanzamento della Cina verso l’avanguardia nella robotica, nella tecnologia dell’informazione, nelle energie rinnovabili e in altre tecnologie avanzate. Più o meno nello stesso periodo, la Cina ha annunciato la sua Belt and Road Initiative per contribuire a costruire infrastrutture moderne in tutta l’Asia, l’Africa e altre regioni, utilizzando in gran parte la finanza, le aziende e le tecnologie cinesi.

Gli Stati Uniti hanno rispolverato il vecchio programma per rallentare la crescente crescita della Cina. Il presidente Barrack Obama ha inizialmente proposto di creare un nuovo gruppo commerciale con i paesi asiatici che escludesse la Cina, ma il candidato presidenziale Donald Trump è andato oltre, promettendo un totale protezionismo contro la Cina. Dopo aver vinto le elezioni del 2016 su una piattaforma anti-cinese, Trump ha imposto tariffe unilaterali alla Cina che violavano chiaramente le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Per garantire che l’OMC non si pronunciasse contro le misure statunitensi, gli Stati Uniti hanno disattivato la corte d’appello dell’OMC bloccando nuove nomine. L’amministrazione Trump ha anche bloccato i prodotti delle principali società tecnologiche cinesi come ZTE e Huawei e ha esortato gli alleati degli Stati Uniti a fare lo stesso.

Quando il presidente Joe Biden è entrato in carica, molti (me compreso) si aspettavano che Biden invertisse o allentasse le politiche anti-cinesi di Trump. È successo il contrario. Biden ha raddoppiato gli sforzi, non solo mantenendo le tariffe di Trump sulla Cina, ma anche firmando nuovi ordini esecutivi per limitare l’accesso della Cina alle tecnologie avanzate dei semiconduttori e agli investimenti statunitensi. Alle aziende americane è stato consigliato in modo informale di spostare le loro catene di approvvigionamento dalla Cina ad altri paesi, un processo denominato “friend-shoring” in contrapposizione all’offshoring. Nell’attuare queste misure, gli Stati Uniti hanno completamente ignorato i principi e le procedure dell’OMC.

Gli Stati Uniti negano fermamente di essere in guerra economica con la Cina, ma come dice il vecchio adagio, se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, probabilmente è un’anatra. Gli Stati Uniti stanno utilizzando un programma familiare, e i politici di Washington invocano la retorica marziale, definendo la Cina un nemico che deve essere contenuto o sconfitto.

Il risultato è un’inversione delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti. Nel mese in cui Trump è entrato in carica, gennaio 2017, la Cina rappresentava il 22% delle importazioni di merci statunitensi. Quando Biden è entrato in carica nel gennaio 2021, la quota cinese delle importazioni statunitensi era scesa al 19%. A giugno 2023, la quota cinese delle importazioni statunitensi era crollata al 13%. Tra giugno 2022 e giugno 2023, le importazioni statunitensi dalla Cina sono diminuite di ben il 29%.

Naturalmente, le dinamiche dell’economia cinese sono complesse e difficilmente guidate dal solo commercio sino-americano. Forse le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti registreranno una parziale ripresa. Eppure sembra improbabile che Biden allenti le barriere commerciali con la Cina in vista delle elezioni del 2024.

A differenza del Giappone degli anni ’90, che dipendeva dagli Stati Uniti per la sua sicurezza e quindi seguiva le richieste americane, la Cina ha più spazio di manovra di fronte al protezionismo statunitense. La cosa più importante, a mio avviso, è che la Cina può aumentare sostanzialmente le sue esportazioni verso il resto dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, attraverso politiche come l’espansione della Belt and Road Initiative. La mia valutazione è che il tentativo degli Stati Uniti di contenere la Cina non solo è sbagliato in linea di principio, ma è destinato a fallire nella pratica. La Cina troverà partner in tutta l’economia mondiale per sostenere la continua espansione del commercio e del progresso tecnologico.

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La guerra in Ucraina serve agli USA. E non ne fanno mistero – Caitlin Johnstone

Mentre alla massa viene ripetuto ossessivamente da 18 mesi lo slogan della “guerra non provocata”, analisti e opinionisti di regime sono concordi nel ritenere che la guerra in Ucraina sia un grande affare per gli Stati Uniti sotto ogni punto di vista. E lo dicono pure esplicitamente. Peccato che a leggerli siano in pochi

Uno dei buchi narrativi più evidenti nella narrativa ufficiale mainstream sull’Ucraina è il modo in cui i funzionari statunitensi continuano a vantarsi apertamente del fatto che questa guerra, apparentemente non provocata, che gli Stati Uniti stanno appoggiando solo per bontà di cuore, serva enormemente gli interessi degli Stati Uniti.

In un recente articolo per il Connecticut Post, il senatore Richard Blumenthal ha assicurato gli americani che “stiamo ottenendo il massimo profitto dai nostri investimenti in Ucraina”:

“Per meno del 3% del bilancio militare della nostra nazione, abbiamo consentito all’Ucraina di ridurre della metà la forza militare della Russia”, scrive Blumenthal.

“Abbiamo unito la NATO e costretto i cinesi a riconsiderare i loro piani di invasione di Taiwan. Abbiamo contribuito a ripristinare la fede e la fiducia nella leadership americana – morale e militare. Il tutto senza che una sola donna o un solo uomo di servizio americano sia rimasto ferito o sia andato perso e senza alcuna deviazione o appropriazione indebita degli aiuti americani”.

Come ha recentemente osservato Dave DeCamp di Antiwar, questo tipo di discorso sugli “investimenti” in Ucraina è diventato sempre più comune. Lo scorso fine settimana il senatore Mitt Romney ha definito la guerra “la migliore spesa per la difesa nazionale che penso abbiamo mai fatto”.

“Non stiamo perdendo vite umane in Ucraina e gli ucraini stanno combattendo eroicamente contro la Russia”, ha detto Romney. “Stiamo diminuendo e devastando l’esercito russo per una somma di denaro molto piccola… una Russia indebolita è una buona cosa”.

Il mese scorso il leader della minoranza al Senato Mitch McConnell ha affermato che gli americani dovrebbero sostenere la guerra per procura del governo americano in Ucraina perché “non abbiamo perso un solo americano in questa guerra”, aggiungendo che la spesa sta aiutando a impiegare americani nel complesso militare-industriale.

“La maggior parte del denaro che spendiamo per l’Ucraina viene effettivamente speso negli Stati Uniti, ricostituendo armi, armi più moderne”, ha detto McConnell. “Quindi, si tratta a tutti gli effetti di assumere persone qui e di migliorare le nostre forze armate per ciò che potrebbe accadere in futuro.”

McConnell parla già dallo scorso anno di quanto questa guerra avvantaggi gli Stati Uniti. In occasione di un discorso pronunciato lo scorso dicembre, il mostro malato della palude ha sostenuto che “le ragioni più basilari per continuare ad aiutare l’Ucraina a indebolire e sconfiggere gli invasori russi sono i freddi, duri e pratici interessi americani”.

“Aiutare i nostri amici nell’Europa orientale a vincere questa guerra è anche un investimento diretto nel ridurre le future capacità di Vladimir Putin di minacciare l’America, minacciare i nostri alleati e contestare i nostri interessi principali”, ha affermato McConnell.

Come abbiamo discusso in precedenza, i manager dell’impero statunitense hanno parlato di quanto questa guerra sia utile agli interessi degli Stati Uniti sin dal suo inizio.

Nel maggio dello scorso anno il membro del Congresso Dan Crenshaw ha dichiarato su Twitter che “investire nella distruzione delle forze armate del nostro avversario, senza perdere una sola truppa americana, mi sembra una buona idea”.

“È nell’interesse della sicurezza nazionale dell’America che la Russia di Putin venga sconfitta in Ucraina”, ha twittato il perennemente eccitato dalla guerra senatore Lindsey Graham.

Lo scorso novembre il Center for European Policy Analysis, il think tank finanziato dalla macchina da guerra imperiale, ha pubblicato un articolo intitolato It’s Costing Peanuts for the US to Defeat Russia (Sconfiggere la Russia ci sta costando noccioline), con sottotitolo “L’analisi costi-benefici del sostegno statunitense all’Ucraina è incontrovertibile. Sta producendo vittorie a quasi tutti i livelli”.

“Spendere il 5,6% del budget della difesa statunitense per distruggere quasi la metà delle capacità militari convenzionali della Russia sembra un investimento assolutamente incredibile”, ha affermato Timothy Ash, autore dell’articolo. “Se ripartissimo il bilancio della difesa statunitense in base alle minacce che deve affrontare, la Russia avrebbe forse una spesa per minaccia dell’ordine di 100-150 miliardi di dollari. Quindi, spendere solo 40 miliardi di dollari all’anno erode un valore di minaccia di 100-150 miliardi di dollari, con un rendimento di due o tre volte. In realtà, è probabile che il rendimento sia multiplo di questo valore, dato che la spesa per la difesa e la minaccia sono eventi annuali ricorrenti”.

Ovviamente, i mass media sono tutti saliti a bordo riproponendo lo stesso messaggio. Qualche settimana fa David Ignatius del Washington Post ha scritto un articolo in cui spiegava perché gli occidentali non dovrebbero “sentirsi tristi” su come stanno andando le cose in Ucraina, dal momento che la guerra sta solo portando vantaggi agli interessi degli Stati Uniti all’estero:

“Nel frattempo, per gli Stati Uniti e i suoi alleati della NATO, questi 18 mesi di guerra sono stati una manna strategica, a un costo relativamente basso (tranne che per gli ucraini). L’antagonista più spericolato dell’Occidente è stato colpito. La NATO è diventata molto più forte con l’adesione di Svezia e Finlandia. La Germania si è liberata dalla dipendenza dall’energia russa e, in molti modi, ha riscoperto il proprio senso dei valori. I litigi all’interno della NATO fanno notizia, ma nel complesso questa è stata un’estate trionfale per l’alleanza”.

Sospetto che ricorderò periodicamente ai miei lettori quel paragrafo, incluso l’inciso di Ignatius “tranne che per gli ucraini”, per il resto della mia carriera di scrittrice.

Quindi, mentre da un lato la classe politica e mediatica occidentale ci ripete ossessivamente da mesi che l’invasione dell’Ucraina “non è stata provocata” e che gli Stati Uniti e i loro alleati non hanno svolto alcun ruolo nel facilitare questo conflitto, dall’altra tutti i manager dell’impero sono entusiasti di come questa guerra avvantaggi gli interessi degli Stati Uniti.

Queste due narrazioni sembrano un po’ contraddittorie, non è vero?

Un pensatore critico può conciliare questa contraddizione in due modi. Il primo, può credere che il governo più potente e distruttivo del mondo sia solo un testimone passivo e innocente della violenza in Ucraina e tragga enormi vantaggi dalla guerra solo per pura coincidenza. Il secondo, può credere che gli Stati Uniti abbiano intenzionalmente provocato questa guerra con la consapevolezza che ne avrebbero tratto beneficio.

Da dove sono seduta, non è difficile decidere quale di queste due possibilità sia la più probabile.

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Hermann Göring, l’Ucraina e la logica della guerra imminente – Davide Malacaria

“La gente non vuole la guerra […]. Ma sono i leader delle nazioni che determinano la politica ed è semplice trascinare le masse, sia che si tratti di una democrazia che una dittatura fascista, un parlamento o una dittatura comunista. Abbia o meno la possibilità di esprimersi. il popolo può sempre essere assoggettato agli ordini dei leader. È facile. Tutto quello che bisogna fare è dir loro che sono stati aggrediti e denunciare i pacifisti per mancanza di patriottismo, cosa che espone il Paese a un pericolo maggiore”. Così il Maresciallo del Reich Hermann Göring al processo di Norimberga.

La logica della guerra imminente

Parole di stretta attualità per quanto riguarda il conflitto ucraino. L’aggressione all’Ucraina minaccia il mondo è il refrain che riecheggia dall’inizio della guerra, concetto ribadito da Blinken nella sua recente visita a Kiev: “La sicurezza dell’Ucraina è parte integrante della sicurezza dell’intera comunità euro-atlantica e anzi è parte integrante della sicurezza di tutto il mondo”. Inutile ribadire come siano ostracizzati, se non peggio, quanti – pochi in realtà – invocano pace e negoziati, additati come disfattisti e filo-putiniani.

La citazione di Goering l’abbiamo ripresa da un articolo di James George Jatras pubblicato sul sito del Ron Paul Institute dedicato all’incipiente corsa verso la Terza guerra mondiale. Nella sua nota, però, un cenno ancora più incisivo sui rischi incombenti: “Gilbert Doctorow, grande conoscitore della Russia, paragona la situazione attuale a quella della campagna di Russia di Napoleone del 1812 descritta da Leone Tolstoj in  Guerra e pace. Oggi come allora, ciò che accadrà dopo non sarà dovuto tanto a questo o quel decisore politico che prenderà questa o quella decisione sbagliata. Piuttosto, ‘la precondizione per la guerra è l’accettazione quasi universale della logica della guerra imminente’”.

Ancora Doctorow: “Nessuno vuole la guerra, né Washington né Mosca. Tuttavia, lo smantellamento graduale dei canali di comunicazione, dei programmi simbolici di cooperazione in un’ampia gamma di settori e lo smantellamento di tutti gli accordi sulla limitazione delle armi, ratificati dopo decenni di negoziati, oltre alle nuove armi in arrivo, sistemi che lasciano a entrambe le parti meno di 10 minuti per decidere come rispondere agli allarmi dei missili in arrivo: tutto ciò prepara la strada a un incidente che porrà fine a tutti gli incidenti. Falsi allarmi si sono verificati anche durante la Guerra Fredda, ma una certa misura di fiducia reciproca ha portato moderazione. Adesso tutto ciò è finito e se qualcosa va storto siamo tutti papere morte”.

I dilemmi d’Oriente e d’Occidente

Nella nota, un altro passaggio interessante: “Con il fallimento dell’offensiva ucraina, Mosca si trova di fronte a un dilemma. Si devono muovere con decisione per imporre una soluzione militare che ponga fine alla guerra o devono continuare a mostrare moderazione nella speranza che qualcuno, da qualche parte – Kiev, Washington, Londra, Bruxelles – decida che è ora di cercare la pace? Non volendo fare un passo affrettato, che possa portare ad uno scontro diretto tra le forze NATO e quelle russe, finora [i russi] hanno scelto la seconda opzione – ripeto: finora”.

“L’Occidente si trova di fronte al proprio dilemma. I nostri governanti ammettono la sconfitta, il che di fatto significa la fine dell’Impero Globale Americano (GAE)? Oppure trascinano le cose il più a lungo possibile, sperando che Mosca cada in un altro cessate il fuoco tipo Minsk, con il Cremlino che interpreta la parte di Charlie Brown che fa un altro tentativo di calciare il pallone, essendogli stato promesso che questa volta manterremo la parola?”

“Oppure, scambiando la moderazione russa per debolezza, supereranno i limiti e invieranno nell’Ucraina occidentale una ‘coalizione di volenterosi’, oppure sfideranno le forze navali russe nel Mar Nero o sosterranno ed equipaggeranno gli ucraini perché intensifichino gli attacchi contro Mosca e altre città russe? Oppure metteranno in scena una qualche false flag analoghe a quelle che si sono rivelate tanto efficaci in altri conflitti [vedi baia del Tonchino]? In altre parole, rilanciamo? A tutto questo va aggiunta l’apertura di altri teatri di conflitto asimmetrici: nei Balcani, in Siria, in Iran, nello Stretto di Taiwan e altrove”.

La sconsiderata escalation graduale

“Reputando erroneamente che i loro avversari abbiano una mentalità razionale, i russi sembrano essere profondamente consapevoli della legittima preoccupazione che un’azione militare decisiva sul terreno possa gettare nel panico la NATO e innescare un’escalation incontrollata”.

“Sembrano, però, ignari della preoccupazione opposta, cioè che, trattenendosi e aspettando un dialogo ragionevole che non avrà mai luogo, stanno in realtà incoraggiando il loro avversario a inscenare una provocazione sconsiderata dopo l’altra – nella convinzione che qualche deus ex machina possa strappare la vittoria dalle fauci della sconfitta – con quella conseguente escalation incontrollata che Mosca sta cercando di evitare”.

“Queste considerazioni presuppongono che i miserabili esemplari di umanità che dettano legge nelle capitali occidentali siano disposti solo a correre il rischio di un conflitto diretto, ma non lo sceglierebbero mai deliberatamente. Ma questa ipotesi è corretta? Come osserva Doctorow, i vecchi vincoli della Guerra Fredda sono collassati. Forse una dimostrazione di forze tramite una minuscola bomba atomica a basso rendimento è proprio la cosa giusta da fare per mostrare a quel non umano di Vladolf Putler che il GAE è una cosa seria!”.

Toni forti, quelli usati da Jatras, ma il rischio che sta correndo l’umanità è alto, anzi altissimo, come mai prima d’ora. Da cui certa esasperazione.

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La logica aristotelica abrogata dai bellicisti – Elena Basile

Non so quanti come me rimpiangano la logica aristotelica, il principio di non contraddizione barbaramente ucciso dal dibattito politico odierno. È difficile comunicare se gli elementi essenziali al discorso, fondati nel IV secolo a. C., non sono più parte integrante della cultura odierna. Gli esempi sono infiniti. Le 22 domande che posi con lo pseudonimo “Ipazia” su questo giornale sono rimaste senza risposta. Oggi ne pongo altre a cui a mio avviso l’onestà intellettuale suggerirebbe riscontri evidenti.

Il generale Mark Milley, capo delle Forze armate statunitensi, ha dichiarato che la controffensiva ucraina non raggiungerà l’obiettivo chiave di Melitopol per il controllo delle autostrade che collegano Donbass e Crimea. Il Washington Post calcola che le vittime e i feriti sono già 500 mila. L’ucraina ha perso la metà della sua popolazione, è uno Stato fallito tenuto in vita dai sussidi occidentali. Chiediamo quindi: contro questa immane distruzione non sarebbe stato più saggio e lungimirante esaminare le cause della guerra e pervenire a una mediazione che ancora nel marzo del 2022 era possibile?

La rimozione delle ragioni economiche, energetiche, geopolitiche e inter-etniche del conflitto trasformato in una crociata etica contro la dittatura non ha impedito l’azione diplomatica e la ricomposizione degli interessi contrapposti? Possibile che ancora oggi ex diplomatici e intellettuali cerchino di accreditare la tesi che l’aggressione russa sia dovuta alla pazzia di un solo individuo, paragonato ora a Hitler ora al diavolo ora a un malato terminale che ha perso le capacità di intendere? Non sentono il dovere, i sostenitori di una campagna armata senza via di sbocco contro una potenza nucleare, di cadere in ginocchio di fronte alle madri ucraine che hanno perso i loro figli? La responsabilità principale non mi sembrerebbe essere solo dello Zar, che tuttavia dopo un mese di guerra (ma anche prima a partire dal 2007, bisogna essere onesti) aveva offerto concrete possibilità di compromesso rimandate al mittente dagli occidentali (non da Zelensky).

L’assioma che l’ucraina democratica sta combattendo contro la dittatura russa quale fondamento ha? Possono i creatori di una tale demenziale propaganda darci alcuni elementi che proverebbero l’esistenza di uno Stato di diritto, con divisione dei poteri, rispetto dei diritti civili e delle minoranze a Kiev?

Oggi la musica a poco a poco cambia. Politici e diplomatici, pennivendoli diversi, captano i segnali provenienti da Washington. L’amministrazione democratica appare contraddittoria. Fornisce tramite gli alleati danesi e olandesi gli F16 e le bombe a grappolo all’ucraina per aumentare morte e distruzione anche senza più scommettere sulla controffensiva. Voci differenti, subito rinnegate, da Sarkòzy al capo-gabinetto danese di Stoltenberg, introducono la prospettiva di un arresto del conflitto. Si lavora a un armistizio. Al riconoscimento dell’occupazione russa sui territori ucraini corrisponderà la fine delle ostilità e un’ucraina dimezzata nella Nato. Qualche brillante diplomatico precisa che l’armistizio non implica riconoscimento dell’occupazione russa che resta illegittima. Nuova domanda che pretenderebbe una risposta rispettosa del principio di non contraddizione e della logica: come si può pensare di stabilizzare una regione d’Europa in guerra se non si rimuovono le cause del conflitto, si lasciano le questioni irrisolte e si sposta la Nato al confine con la Russia? La prospettiva più atroce è infatti che l’armistizio, il muro coreano nel cuore dell’Europa, abbia finalità elettorali negli Usa e serva all’occidente per risolvere gli attuali problemi di produzione delle munizioni. Il conflitto – che, non dimentichiamolo, serve interessi geopolitici statunitensi chiari – potrà riprendere in futuro secondo le contingenze politiche di Washington. Quali sono invece gli interessi europei? La nostra presidente del Consiglio potrebbe menzionare un solo beneficio che le ostilità Nato-Russia hanno portato all’Europa, al netto della retorica sulla “difesa della libertà” che ha scarsi fondamenti? Se germi di democrazia esistevano in Ucraina, la mediazione e la pace li avrebbero salvaguardati. Se un’opposizione democratica esisteva a Mosca, la pace e la mediazione l’avrebbero rafforzata. Se penso ai diciottenni ucraini massacrati, al dolore di un popolo, ho voglia anche io di fare appello al moralismo. Vorrei gridare “Vergogna!” ai governanti europei. Dove mai avranno venduto l’anima? Qualcuno li ha chiamati “turisti” della Storia, che in effetti cammina senza il loro inutile fardello. Il mondo multipolare avanza, i Brics ottengono l’adesione di 40 nuovi Paesi, le alternative all’egemonia del dollaro appaiono lentamente all’orizzonte. La pax americana è contestata dal Sud globale. Ne riparleremo presto.

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Funzionario intelligence USA intervistato da Seymour Hersh: i media mentono sul successo della controffensiva ucraina

Il portale Antiwar.com presenta un’intervista con un funzionario dei servizi segreti degli Stati Uniti condotta dal rinomato giornalista Seymour Hersh. Nel corso dell’intervista, l’ufficiale esprime critiche nei confronti dei media per la loro disinformazione sulle fallimenti dell’Ucraina durante la tanto sbandierata controffensiva e condivide le sue opinioni sulla situazione in corso, sottolineando la differenza di percezione tra l’intelligence militare e la CIA. Inoltre, l’ufficiale discute della morte del capo della Wagner, Yevgeny Prigozhin, e delle presunte motivazioni dietro quello che difinisce come assassinio. L’articolo fornisce inoltre uno sguardo approfondito sulla situazione in Ucraina e sulle dinamiche geopolitiche in corso in quel contesto depurato dalla propaganda occidentale.

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In un’intervista con il rinomato giornalista Seymour Hersh, un funzionario dei servizi segreti degli Stati Uniti ha rimproverato i media per aver fuorviato il pubblico statunitense riguardo ai fallimenti sul campo di battaglia dell’Ucraina durante la controffensiva di primavera. L’ufficiale non identificato ha inoltre detto a Hersh di credere che il presidente russo Vladimir Putin abbia ordinato l’assassinio del capo della PMC Wagner, Yevgeny Prigozhin, per abbassare le tensioni con la NATO.

In risposta alle segnalazioni delle ultime settimane secondo cui le forze ucraine stavano guadagnando slancio e riconquistando territorio, l’ufficiale ha commentato: “Dove prendono queste informazioni i giornalisti?”, ha chiesto. “Ci sono storie che parlano di comandanti russi ubriachi mentre gli ucraini penetrano le tre linee di difesa russe e saranno in grado di tornare a Mariupol”.

Ha continuato dicendo: “L’obiettivo della prima linea di difesa della Russia non era di fermare l’offensiva ucraina, ma di rallentarla, in modo che se ci fosse stato un avanzamento ucraino, i comandanti russi potessero portare riserve per fortificare la linea”. L’ufficiale ha aggiunto: “Non ci sono prove che le forze ucraine siano riuscite a superare la prima linea. La stampa USA sta facendo tutto tranne che un reportage onesto sui fallimenti finora dell’offensiva”.

Il segretario di Stato Antony Blinken ha consegnato un messaggio altrettanto ottimistico durante la sua visita a Kiev mercoledì. “Nella controffensiva in corso, il progresso si è accelerato nelle ultime settimane. Questo nuovo aiuto contribuirà a sostenerlo e a generare ulteriore slancio”, ha dichiarato in una conferenza stampa.

Il funzionario afferma che questo messaggio viene trasmesso dai servizi segreti militari alla Casa Bianca, mentre la CIA ha tratto altre conclusioni. “Questo tipo di reportage dai servizi segreti militari sta arrivando alla Casa Bianca. Ci sono altre opinioni”, ha detto, riferendosi alla CIA. L’ufficiale ha spiegato che queste opinioni non raggiungono il presidente Joe Biden.

Per oltre tre mesi, Kiev ha ordinato alle sue forze di avanzare sulle linee difensive russe nel sud dell’Ucraina. I campi minati russi hanno causato la perdita di una parte significativa dei soldati addestrati all’occidentale dell’Ucraina e dell’equipaggiamento nelle prime settimane dell’offensiva. Il massiccio attacco dell’Ucraina ha portato a guadagni territoriali quasi nulli.

Tuttavia, Washington ha spinto Kiev a continuare la controffensiva. La Casa Bianca riconosce che per l’Ucraina ci sarà bisogno di accettare un alto numero di vittime per avere una possibilità di successo.

Il funzionario ha detto a Hersh che, indipendentemente dall’impegno dell’Ucraina nello sforzo bellico, gli obiettivi del presidente Zelensky sono irraggiungibili. “Zelensky non riavrà mai la sua terra”, ha detto.

Il funzionario dei servizi segreti USA ha anche parlato dell’assassinio di Prigozhin il mese scorso. Crede che Putin abbia ordinato l’omicidio perché il capo dei mercenari aveva iniziato a provocare i membri della NATO. “All’inizio di agosto, c’erano segnalazioni di tensioni ai confini mentre i resti del Gruppo Wagner facevano una serie di intrusioni nello spazio aereo della Polonia e minacce problematiche ai confini di Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia”, scrive Hersh. “Per Putin, suscitare lamentele dai paesi della NATO era una violazione imperdonabile. ‘È stato questo’, mi ha detto un informato funzionario dei servizi segreti statunitensi”.

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Povero uranio, dopo tante maldicenze diventa un toccasana se usato contro i russi – Gianandrea Gaiani

Il dibattito sulla fornitura di proiettili all’uranio impoverito (DU) Charm 1 e forse Charm 3 in dotazione al British Army che Londra intende cedere agli ucraini per l’impiego nei cannoni da 120 mm dei carri armati Challenger 2, rappresenta l’ennesimo esempio di come la manipolazione propagandistica di guerra possa scivolare nel grottesco.

Molti in Occidente e in Italia si sono affrettati correttamente a precisare che non si tratta né di armi nucleari né radiologiche ma solo di proiettili “induriti” dall’impiego dell’uranio impoverito per aumentarne la capacità di penetrazione delle corazze dei carri armati russi.

Una tecnologia del resto non nuova poiché riscontri circa l’impiego di questi proiettili sono stati registrati nell’intervento USA/NATO nella ex Jugoslavia (Bosnia 1995 e Kosovo 1999), nell’invasione anglo-americana dell’Iraq nel 2003 e in misura minore in Somalia e Afghanistan.

La notizia della fornitura di questi proiettili alle truppe di Kiev che impiegheranno i Challenger 2 britannici ha determinato due diverse reazioni da parte di Mosca. Quella di tipo militare, tesa a dimostrare che le munizioni Charm1 e Charm 3 britanniche, in grado di penetrare 600 e 720 mm di corazza, risulteranno molto efficaci se colpiranno l’area frontale dei carri armati russi T-72B/B3M e T-80BV mentre lo saranno molto meno nei confronti di tank più moderni e protetti come i T-80BVM, i T-90A e T-90M..

Sul piano mediatico Mosca ha invece speculato sul termine “uranio” evocando rischi di contaminazione radiologica puntando il dito sulle minacce per l’ambiente e la salute della popolazione ucraina derivati dall’impiego di tali munizioni al cui impatto liberano polveri considerate tossiche da molti osservatori anche se su questo tema non vi sono certezze.

Il ministero della Difesa britannico ha accusato Mosca di “disinformare deliberatamente” poiché l’esercito britannico ha utilizzato l’uranio impoverito nei suoi proiettili “per decenni”.  Si tratta di “un componente standard e non ha nulla a che fare con armi o capacità nucleari” recita la nota. “La Russia lo sa, ma sta deliberatamente cercando di disinformare”. I proiettili sono “altamente efficaci” per sconfiggere i moderni carri armati e veicoli blindati, ha aggiunto il ministero, affermando che la ricerca scientifica mostra che qualsiasi impatto sulla salute personale e sull’ambiente derivante dall’uso di munizioni all’uranio impoverito è “probabilmente basso”.

Il problema però sta tutto in quel “probabilmente”.  Le munizioni perforanti contenenti uranio impoverito – utilizzate dai carri armati ma anche dai cannoni da 30 mm degli aerei statunitensi A-10 – sono in dotazione a diversi eserciti malgrado le polemiche sui danni provocati dal loro utilizzo in ex Jugoslavia e in Iraq da parte delle forze statunitensi e britanniche.

Oltre a Stati Uniti e Gran Bretagna anche Francia, Pakistan e Russia dispongono di tali munizioni che sarebbero però state utilizzate solo dagli anglo-americani anche se fonti ucraine valutano che i russi le abbiano già impiegate nel conflitto in corso.

Proprio nel Regno Unito i rischi per la salute sono stati evidenziati da un recente rapporto pubblicato sul sito dell’International Coalition to Ban Uranium Weapons (ICBUW), un’organizzazione non governativa che si batte per il loro divieto e per la rinuncia britannica all’impiego delle munizioni Charm 1 e Charm 3 sviluppate rispettivamente all’inizio e alla fine degli anni ’90.

Del resto l’anno scorso l’ennesima Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU (la numero 77/49 del 7 dicembre scorso) ha stabilito la necessità della massima cooperazione internazionale per comprendere il reale impatto di queste munizioni e delle polveri di uranio che sprigionano sull’ambiente e sulla salute.

Centinaia di articoli e reportage televisivi ci hanno raccontato negli ultimi 25 anni di un impatto devastante causato dall’impiego delle munizioni a uranio impoverito sulla salute delle popolazioni del Kosovo e dell’Iraq ma anche sui militari dei paesi aderenti alla NATO schierati in aree dove tali munizioni erano state impiegate.

Tumori e leucemie che hanno colpito militari alleati, anche italiani, sono state attribuite all’uranio impoverito anche se non sono mai emerse prove scientifiche che lo dimostrassero al di là di ogni dubbio. Non a caso i militari che operavano intorno alle carcasse dei carri armati colpiti da proiettili all’uranio impoverito indossavano speciali tute protettive.

Il dibattito sull’esposizione dei nostri militari in Kosovo e i danni subiti da alcuni di loro (7.500 militari italiani, di cui più di 372 sono deceduti secondo i dati citati da Il Giornale dell’Ambiente”) non si è mai sopito.

Come ricorda la pubblicazione “la NATO ha confermato che nella guerra dei Balcani sono state adoperate molte munizioni trattate con uranio impoverito. Furono sparati più di 31mila colpi di munizioni, pari a più di 13 tonnellate di materiale radioattivo, solo nella guerra in Kosovo. I siti bombardati furono 112, di cui 85 durante la guerra in Kosovo, 10 nella guerra in Serbia, 1 a Montenegro. In particolare, l’area posta sotto protezione del contingente italiano fu quella più bombardata e con la maggiore presenza di proiettili ad uranio impoverito. Sono stati 50 i siti, per un totale di 17.237 proiettili uranio impoverito. Su questa porzione di territorio è presente il 44,64% dei siti e il 56,47% dei proiettili usati in Kosovo uranio impoverito”.

Anche in Bosnia non sono mancati i problemi attribuiti all’uranio impoverito. “La NATO ha reso noto l’elenco dei siti bombardati con proiettili al DU in Bosnia Erzegovina nel 1995. In totale furono ben 6.780 i proiettili di uranio impoverito utilizzati. I bombardamenti si concentrarono nei territori di Han Pijesak, con 2.400 proiettili, cioè più di 7 quintali di DU, e di Hadžići con 3.400 proiettili, equivalenti a circa una tonnellata di DU.

Proprio a Hadžići, vicino a Sarajevo, uno dei siti bosniaci maggiormente bombardati nel 1995, ci fu un allarmante numero di morti per tumore tra i cittadini”.

L’ Archivio disarmo ha ricordato con un comunicato diffuso il 23 marzo che dopo la guerra del 2003 “un incremento dell’incidenza di cancro si è verificata in tutta la popolazione dell’Iraq. Secondo il registro dei tumori iracheni, l’incidenza è aumentata significativamente dopo la prima e la seconda Guerra del Golfo. Nel 1991, l’incidenza si attestava intorno a 31.05 casi ogni 100.000 casi. Nel 2003 questo valore ha raggiunto i 61.63 casi ogni 100.000 persone (Alaa Salah Jumaah, 2019).

Anche il Pentagono, dopo l’appello di 80.000 soldati, ha deciso nel 2002 di svolgere una propria inchiesta attraverso la Government Reform and Oversight Committee per indagare sugli effetti della Guerra del Golfo.

Il risultato dell’inchiesta è stato l’ammissione dell’esposizione all’uranio di 20.000 soldati, di cui però si afferma solo 60 furono esposti a livelli pericolosi. Inoltre, ulteriori ricerche del governo statunitense sono giunte alla conclusione che l’aumento di casi di leucemia, dovuti alla contaminazione da DU, è compreso tra il 180 e il 350%. Anche gli allevamenti iracheni sembrano risentire di questa contaminazione con migliaia di animali tra cui mucche, agnelli e polli morti a causa di gravi infezioni.”

Le preoccupazioni espresse dai russi sono senza dubbio strumentali e legate alla guerra in cui l’Occidente fornisce consistenti aiuti militari a Kiev ma sono le stesse espresse da oltre venti anni in Occidente da Ong e istituti di ricerca oltre che dalle Nazioni Unite.

Quindi i casi sono due: o da due decenni si continua a dibattere in Occidente di un problema inesistente al solo scopo di colpevolizzare strumentalmente gli anglo-americani, oppure il problema è (almeno potenzialmente) reale e dopo l’Iraq e la ex Jugoslavia emergerà con le sue drammatiche conseguenze anche in Ucraina.

A meno che, dopo aver sdoganato i reggimenti ucraini di chiara ispirazione nazista divenuti eroici freedom fighters solo perché combattono i russi, ora anche l’uranio impoverito risulti potenzialmente meno tossico e cancerogeno se sparato contro le truppe di Mosca.

A farne eventualmente le spese saranno comunque anche gli ucraini, poiché tali sono anche quelli che combattono al fianco dei russi o vivono nelle aree sotto il controllo di Mosca.

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La crisi cinese è un errore Usa – Jeffrey Sachs

L’economia cinese sta rallentando. Secondo le previsioni, la crescita del Pil cinese nel 2023 sarà inferiore al 5%, al di sotto delle stime dello scorso anno e molto al di sotto dei tassi di crescita di cui Pechino ha goduto fino alla fine degli anni 10.

La stampa occidentale pubblica costantemente notizie di presunti misfatti cinesi, dalla crisi finanziaria del mercato immobiliare al debito eccessivo e via dicendo, ma la verità è che gran parte di questa frenata è il risultato di misure economiche adottate dagli Stati Uniti proprio con l’obiettivo di rallentare la crescita del Dragone. Queste misure economiche violano le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e sono un pericolo per la prosperità globale. Dovrebbero essere fermate.

Le odierne politiche anti-cinesi di Washington sono la riproposizione di un modus operandi tipico degli Usa. L’obiettivo è sempre impedire la concorrenza economica e tecnologica di un grande rivale. La prima e più potente applicazione di questo manuale di guerra economica è stato il blocco tecnologico imposto dagli Stati Uniti all’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda: l’Unione Sovietica era il nemico dichiarato dell’America e quindi bisognava impedire che Mosca accedesse a tecnologie avanzate.

La seconda volta, questa strategia è stata applicata in modo meno palese, tanto che ancora oggi anche gli osservatori più esperti trascurano il fenomeno. Tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, Washington ha deliberatamente cercato di rallentare la crescita economica del Giappone. Può sembrare sorprendente, dato che il Giappone era ed è un alleato degli Stati Uniti, ma il fatto è che stava diventando “troppo vincente”: le imprese giapponesi superavano quelle statunitensi in settori chiave come i semiconduttori, l’elettronica di consumo e le automobili. Un successo che è stato ampiamente celebrato nel best-seller Japan as Number One: Lessons for America scritto dal mio grande e compianto collega Ezra Vogel, sociologo di Harvard.

Verso la metà degli anni 80, i politici statunitensi iniziarono a chiudere i mercati americani alle esportazioni nipponiche, attraverso i cosiddetti limiti “volontari” concordati con il governo di Tokyo. Così facendo spinsero il Giappone a una rivalutazione della sua moneta. Il tasso di cambio con lo yen giapponese passò da un valore di circa 240 yen per 1 dollaro nel 1985 a 128 yen per dollaro nel 1988, fino a 94 yen per dollaro nel 1995. Questo ha determinato l’esclusione dei prodotti giapponesi dal mercato statunitense, e il crollo dell’export verso gli Usa ha mandato in crisi il Giappone. Tra il 1980 e il 1985 l’export di Tokyo era aumentato del 7,9% annuo di media, tra il 1985 e il 1990 l’incremento scese al 3,5% annuo e poi al 3,3% tra il 1990 e il 1995. Questo netto rallentamento mandò in difficoltà molte aziende nipponiche andarono, ponendo la basi per il crac finanziario dell’inizio degli anni 90. A metà di quello stesso decennio chiesi a uno dei più potenti funzionari governativi di Tokyo perché il Giappone non svalutasse la moneta per far ripartire la crescita. Mi rispose che Washington non lo avrebbe permesso.

Adesso gli Stati Uniti hanno spostato il mirino sulla Cina, percepita ormai come una minaccia e non più come un partner commerciale. Questo cambiamento di visione è dovuto al successo economico di Pechino, che ha iniziato ad allarmare gli strateghi statunitensi a partire dal 2015, quando è stato annunciato il piano Made in China 2025 per promuovere il primato del Paese nel campo della robotica, dell’informatica, delle energie rinnovabili e altre tecnologie avanzate e, contemporaneamente, Pechino ha lanciato la Belt and Road Initiative, per contribuire alla costruzione di infrastrutture moderne in Asia, Africa e non solo, utilizzando in gran parte finanziamenti, aziende e tecnologie cinesi.

A quel punto la Casa Bianca ha rispolverato il vecchio manuale di guerra economica con l’obiettivo di rallentare la crescita vertiginosa della Cina. Per primo è intervenuto Barack Obama, con la proposta di creare un nuovo gruppo commerciale tra Usa e Paesi asiatici che escludesse la Cina.

Il suo successore Donald Trump è andato oltre, adottando vere e proprie politiche protezioniste. Dopo aver vinto le elezioni del 2016 con un programma anti-cinese, Trump ha imposto dazi unilaterali alla Cina che violavano chiaramente le regole dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Poi, per garantire che l’OMC non si pronunciasse contro le sue misure, Washington ha neutralizzato la Corte d’appello dell’Organizzazione bloccando le nuove nomine. L’Amministrazione Trump ha messo anche al bando i prodotti delle principali aziende tecnologiche cinesi come ZTE e Huawei, e ha esortato gli alleati statunitensi a fare lo stesso.

Con l’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, molti (me compreso) si aspettavano un dietrofront o almeno un ammorbidimento delle politiche anticinesi americane. Invece è successo il contrario: Biden ha rafforzato la stretta mantenendo i dazi imposti da Trump e firmando anche nuovi ordini esecutivi per limitare l’accesso della Cina alle tecnologie avanzate dei semiconduttori e agli investimenti statunitensi. Alle imprese americane è stato consigliato in modo informale di spostare le loro catene di fornitura in altri Paesi, processo definito friend-shoring in contrapposizione all’offshoring. Nell’attuare queste misure, gli Usa hanno completamente ignorato i principi e le procedure dell’OMC.

Oggi Washington nega fermamente di essere in guerra economica con la Cina, ma a questo punto vale il vecchio test dell’anatra: “Se sembra un’anatra, nuota come un’anatra e starnazza come un’anatra, allora probabilmente è un’anatra”. Gli Stati Uniti stanno usando una strategia codificata, che i politici stanno rispettando e riverberando a pieno dipingendo la Cina come di un nemico da contenere o sconfiggere. Il risultato di questa offensiva è stata l’inversione di tendenza delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti. Quando Trump è entrato in carica, a gennaio 2017, la Cina rappresentava il 22% delle importazioni di merci statunitensi. A gennaio 2021, mese dell’insediamento di Biden, la quota cinese delle importazioni statunitensi era scesa al 19%. A giugno 2023 la quota cinese delle importazioni statunitensi era scesa al 13%. Tra il giugno 2022 e il giugno 2023, le importazioni statunitensi dalla Cina sono diminuite di ben il 29%.

Naturalmente, le dinamiche dell’economia cinese sono complesse e non sono guidate soltanto dal commercio con gli Stati Uniti. Va detto che l’export verso gli Usa potrebbe parzialmente riprendersi nei prossimi tempi, ma è improbabile che Biden allenti le barriere commerciali contro la Cina prima delle elezioni del 2024.

A differenza del Giappone degli anni 90, che dipendeva dagli Stati Uniti per la sua sicurezza e quindi seguiva docilmente le richieste americane, la Cina ha un maggiore margine di manovra di fronte al protezionismo statunitense. Soprattutto, credo che la Cina possa aumentare in modo sostanziale le sue esportazioni verso il resto dell’Asia, l’Africa e l’America Latina attraverso politiche come la Belt and Road Initiative. La mia valutazione è che il tentativo americano di contenere Pechino non solo è sbagliato in linea di principio, ma è anche destinato a
fallire in pratica. La Cina troverà partner in tutta l’economia mondiale per sostenere una continua espansione del commercio e del progresso tecnologico.

Traduzione di Riccardo Antoniucci * Originariamente uscito sul Korea Herald e altre pubblicazioni

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