Sestu, quel pullman razzista

di Daniela Pia

Il mio paese Sestu è collegato con il capoluogo Cagliari da un sistema di trasporti gestito dall’Arst trasporti che in questi giorni – ma è un’annosa questione – è oggetto di una denuncia da parte di alcune madri di studenti/esse pendolari i quali viaggiano, quando ci riescono, stipati all’inverosimile come in un vagone merci.

Molte sono le “macchie” che caratterizzano il tragitto dunque.

L’ultima – che è sicuramente frutto di una responsabilità personale –  ha interessato un dipendente di questa azienda: nella mattinata del 25 settembre pare che un controllore presente nel pullman  durante le prime fermate della tratta Sestu Cagliari non abbia fatto le  verifiche dei biglietti sino alla prima fermata della via Cagliari quando sono saliti due studenti di colore.  La sua solerzia allora si é ammantata di qualcosa di più: da uomo si è fatto “caporale”.

Ricordate? «L’umanità, io l’ho divisa in due categorie di persone: uomini e caporali. La categoria degli uomini è la maggioranza, quella dei caporali, per fortuna, è la minoranza. Gli uomini sono quegli esseri costretti a lavorare per tutta la vita, come bestie, senza vedere mai un raggio di sole, senza mai la minima soddisfazione, sempre nell’ombra grigia di un’esistenza grama. I caporali sono appunto coloro che sfruttano, che tiranneggiano, che maltrattano, che umiliano. Questi esseri invasati dalla loro bramosia di guadagno li troviamo sempre a galla, sempre al posto di comando, spesso senza averne l’autorità, l’abilità o l’intelligenza ma con la sola bravura delle loro facce toste, della loro prepotenza, pronti a vessare il povero uomo qualunque. Dunque dottore ha capito? Caporale si nasce, non si diventa! A qualunque ceto essi appartengano, di qualunque nazione essi siano, ci faccia caso, hanno tutti la stessa faccia, le stesse espressioni, gli stessi modi. Pensano tutti alla stessa maniera»: così Totò.

Torniamo sul pullman. Al primo dei due  giovani immigrati il nostro caporale ha controllato il possesso del biglietto e glielo ha fatto obliterare, al secondo che viaggiava con l’abbonamento già timbrato ha ordinato di timbrare una seconda volta. Quando il  ragazzo gli ha fatto notare che era superfluo il “caporale” ha iniziato a urlare frasi poco cortesi e razziste: «in pullman decido io cosa fare», «questi profughi pensano di essere a casa loro» e altre di questo tenore.

Me lo immagino, tronfio nella sua divisa, pavoneggiarsi in cerca dell’applauso degli astanti, i quali invece pare siano rimasti allibiti e sorpresi. Naturalmente i due ragazzi di colore provati e umiliati hanno preferito tacere. 

«Quousque tandem abutere, “caporale”, patientia nostra?» questo l’urlo silenzioso che mi sale alla gola.

Lavorando ogni giorno in aula anche con studenti migranti, posso testimoniare che  essi sono una ricchezza per le nostre classi. Sono giovani spinti da una grande voglia di riscatto, che parlano due e anche tre lingue, motivati, corretti e rispettosi: anche al “caporale” in delirio di onnipotenza avrebbero molto da insegnare questi ragazzi che costruiscono assieme ai loro compagni sardi un paesaggio umano migliore. 

Faccio fatica a trovare giustificazioni per atti così brutali e gratuiti, credo che tutti dovremo pretendere dall’Arst un impegno preciso affinché si stigmatizzino simili abusi e siano presi provvedimenti.

Questo razzismo diffuso, subdolo, sporco mi fa orrore.

Ricordate? «Se voi però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri miei stranieri»: così don Milani.

Perchè “casa è dove ci si trova a vivere, per scelta o per destino, casa è dove non si affrontano da soli i dolori e i piaceri dell’esistenza, i giorni della stanchezza ma anche i giorni della festa» scrive Goffredo Fofi nella prefazione a «La mia casa è dove sono» di Igiaba Scego.

Lo sappia il caporale di turno, riprenda a leggere un poco della nostra storia.

Grazia Deledda l’aveva sintetizzata con pochi inequivocabili versi (*):

«Siamo spagnoli, africani, fenici, cartaginesi, 

romani, arabi, pisani, bizantini, piemontesi.
Siamo le ginestre d’oro giallo che spiovono sui sentieri rocciosi
come grandi lampade accese.
Siamo la solitudine selvaggia, il silenzio
immenso e profondo […]».

Noi siamo sardi. Non serve certo il test del DNA per scoprire quanta Africa alberga nel nostro corredo genetico.

(*) vedi «Siamo sardi, spagnoli, africani…»: il Cagliari-calcio distribuisce…

LA VIGNETTA  – scelta dalla “bottega” – è di Mauro Biani.

 

Daniela Pia
Sarda sono, fatta di pagine e di penna. Insegno e imparo. Cammino all' alba, in campagna, in compagnia di cani randagi. Ho superato le cinquanta primavere. Veglio e ora, come diceva Pavese :"In sostanza chiedo un letargo, un anestetico, la certezza di essere ben nascosto. Non chiedo la pace nel mondo, chiedo la mia".

Un commento

  • Quanto scrivi, Daniela, ti rappresenta benissimo, animata come sei da una forte tensione morale. Condivido perché mi sento un po’ sarda anch’io. Vera

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