Siamo diventati ammuccalapuni?

     Bufale, dicerie, ignoranze e altro, a partire dal libro di Nando Pagnoncelli: «Dare i numeri. Le percezioni sbagliate sulla realtà sociale»

di Domenico Stimolo

Domenico-DareNUMERI

«Ammuccalapuni» nel gergo siciliano è l’allegorica raffigurazione di colui che dorme rilassato all’aperto, beato nei suoi sogni, con la bocca aperta, facile antro quindi dei piccoli volatili che in maniera sciacallesca imperversano nella calura estiva. Nella rappresentazione richiamata, gli svolazzanti sono le api o le vespe appartenenti entrambi alla numerosa e generosa famiglia degli imenotteri.

Questi adoratori del quieto vivere egoistico sono altrimenti detti «ammucca passuluni».La dinamica della scena è identica; in alternativa, in maniera godereccia, l’interessato inghiotte i fichi che essendo giunti a maturazione avanzata cadono da soli dagli alberi.

Nel motto si identifica colui che “sereno” nella sua ingenuità o ignoranza vive fuori dalla realtà, e, quindi, si «ammucca» – introietta e inghiotte – qualsiasi tipo di diceria. Facile preda dei furbi in tutte le salse. E’ la figurazione del credulone che, diventando facile esca, assume le sembianze di sonoro amplificatore di tutte le sciocchezze.

Orbene sembra proprio che una numerosissima schiera di italiani appartenga alla grande famiglia degli «ammuccalapuni».

La tragicomica realtà in essere viene messa a nudo nel libro di Nando Pagnoncelli «Dare i numeri. Le percezioni sbagliate sulla realtà sociale» edito dalle Dehoniane, postfazione di Ilvo Diamanti. Viene analizzato lo studio dell’Ipsos – importante istituto internazionale di ricerca di marketing e indagine – gestito nel biennio 2014/2015 su scala internazionale: prima in 14 Paesi e poi allargato a 33 realtà.

Il titolo del libro è esaustivo. L’indagine infatti focalizza la difformità tra realtà e percezione sugli aspetti fondamentali caratterizzanti la quotidianità, dove si sviluppa il percorso di vita di tutti noi: sotto esame la struttura sociale, la politica e l’economia. I parametri di riferimento osservati sono numerosi. Fra i tanti: tasso di disoccupazione, quantità di giovani classificati “Neet” – cioè che non studiano e non lavorano – e ancora numero degli immigrati e dei musulmani, età media della popolazione e over 65 anni, partecipazione alla vita politica e percentuale di elettori, indicatori economici, etc.

Emergono incoerenze sconcertanti. A maggior ragione considerato che – a differenza dei decenni passati, contraddistinti da un alto tasso di analfabetismo totale o da bassi indici di istruzione – viviamo in una fase storica caratterizzata da considerevole crescita di scolarizzazione e da un enorme estensione delle articolate possibilità della conoscenza e nell’accesso alle informazioni con strumenti tradizionali o avanzati (come internet).

In esame è il “metro di cittadinanza”, il modo d’essere soggetti civili, nella formazione delle coscienze, nella costruzione del pensiero e nella pratica della democrazia: quindi soggetti fondamentali di partecipazione, per la determinazione della scala delle priorità sociali e nell’esercizio attivo delle decisioni.

Il dramma è veramente grande!

Nei Paesi dello scenario internazionale esaminato nella ricerca, l’Italia si trova ampiamente ai primissimi posti nella distanza fra percezione e realtà. Alcune “raffinatezze”: sull’entità dei migranti si pensa che questi rappresentino il 26% della popolazione italiana, in realtà sono l’8%; si ritiene inoltre che i professanti la religione musulmana presenti in Italia siano il 20%, in realtà sono il 3%; il 49% ritiene che il tasso di disoccupazione pesi il 49% e non il 12%; si ritiene inoltre che il nostro Paese sia grandemente abitato da super vecchi con l’età media pari a 59 anni, e non 44,4 anni. C’è grande disconoscenza (falsificazione della realtà) sulle dimensioni e composizioni produttive ed economiche dell’Italia, quindi sul reale peso nel contesto internazionale e sulla distribuzione del reddito nazionale. Lo stesso vale riguardo le morti cruente: la maggioranza della popolazione crede che i reati penali assegnino un record all’Italia e che gli omicidi siano sempre in continua crescita, mentre la realtà è completamente all’opposto – nell’ultimo trentennio gli omicidi sono in considerevole diminuzione, nel 2015 erano il 20% di quelli commessi all’inizio degli anni 80 – mentre l’unico “sviluppo” (in gran parte disconosciuto) riguarda negli ultimi anni i morti nei luoghi di lavoro.

E’ in atto un profondo ed irreversibile decadimento del valore di conoscenza civile degli italiani? Sarebbe interessante mettere a confronto le ricerche in oggetto con altre similari (se effettuate cioè con criteri analoghi) condotte negli ultimi 25 anni.

E’ pur vero che il tasso di istruzione in Italia è complessivamente basso, nella composizione media e per tasso di laureati, ma è vero che questi livelli nella scala del tempo si sono sempre accresciuti, anche in maniera significativa.

C’è dell’altro, quindi, che grandemente travisa le conoscenze, le valutazioni e quindi le scelte dei cittadini italiani.

C’è un nesso con i modelli in uso negli strumenti di informazione: tutti tra l’altro sempre più infarciti di messaggi pubblicitari che allontanano dalla percezione della realtà? Almeno quelli che poi contano. Dove, nei fatti, nella composizione delle scalette divulgative, nelle modalità realizzative dei programmi televisivi e di gestione/partecipazione “robotica” dell’universo internettiano, prevale l’uniformità e il ridimensionamento di grande parte dello scibile umano nazionale e internazionale, con un asservimento inconsapevole, di ritorno al paesello medioevale.

C’è un nesso con la pratica della politica “gridata” diventata ormai imperante, deformante della realtà ed esaltatrice delle singole soggettività prevalenti nel comando, che nel nostro Paese ha ormai assunto da oltre 20 anni caratteristiche di assoluto deviazionismo sulle regole e le modalità che hanno caratterizzato la nostra Repubblica e la valorizzazione dei suoi valori fondativi?

Il decadimento delle grandi organizzazioni sociali nate dopo la conquista delle libertà e con la sconfitta del fascismo, nell’elaborazione del pensiero, nella formazione delle coscienze civili e nel coinvolgimento di rivendicazione di grandi masse di cittadini, quanto c’entra?

In atto c’è il palese rischio, ormai consolidato, di diventare tutti zombi teleguidati dal clan del pensiero unico, cioè di quelli che gestiscono la distribuzione delle ricchezze prodotte. Il piatto è ricco, chi vuole “ci si può ficcare”, alimentando la discussione e il confronto. L’argomento posto, suppongo, merita l’approfondimento di tutti i contributi.

 

Redazione
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