Spezzeremo le reni alla Russia

articoli e video di Jeffrey Sachs, Scott Ritter, Francesco Masala, Thierry Meyssan, Nicolai Lilin, Vladimir Putin, Ariel Umpierrez, Gigi Sartorelli, Clara Statello, Moni Ovadia, Tomaso Montanari, Annamaria Manzoni, Pepe Escobar, Raniero La Valle, Davide Malacaria, Stephen Wertheim, Giuseppe Masala, Davide Rossi, Alessandro Orsini, bortocal, Jesús López Almejo,  Demostenes Floros, Manlio Dinucci

Jeffrey Sachs (professore di economia alla Columbia University di New York) si è espresso molto duramente sulla propaganda NATO:

“Rispetto gli inglesi, parlate un inglese infinitamente migliore del nostro. Ma la russofobia britannica ha radici molto profonde. Ha già 200 anni. È così stantia… Una volta leggevo il Guardian, ma ora non si può andare sul loro sito web: è un’altra cosa. A proposito, il New York Times non è migliore. È illeggibile, completamente falso, non c’è altro che propaganda, e per di più di una sola cellula. Qualsiasi cosa scrivano, non raccontano la storia. Volevo pubblicare una cosa, ma si sono rifiutati. Non sono affatto pubblicabile per loro. Cosa loro vogliono pubblicare? “Aggressione non provocata”, “Abbiamo a che fare con un pazzo”, “Non c’è nessuno con cui negoziare”, “La guerra è l’unica soluzione”, “L’allargamento della NATO è l’unica soluzione”, “La diplomazia non porterà a nulla”. E tutte le lezioni della storia vanno al diavolo. Questo è il nostro attuale stato di cose.”

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“A certo punto ci saranno le trattative. A certo punto è possibile che l’Ucraina cederà alla Russia alcuni territori, probabilmente Donbass, Lugansk. È giusto dare alla Russia i territori di Lugansk e Donbass, perché la popolazione di questi territori è pro russa. Anche se questi territori fanno parte del’Ucraina, la gente che abita lì non può cambiare la mentalità”.
Il tenente colonnello dei servizi segreti ucraini Denis Desyatnik sta valutando la possibilità di un accordo di pace e di cedere i territori ucraini alla Russia. Dopo un contrattacco fallito i militari ucraini si stanno accorgendo che il Donbass è filo russo. Se avessero compreso questa realtà già nel 2014, forse si potevano evitare centinaia di migliaia di morti. E l’Ucraina non sarebbe distrutta come adesso.
L’unico dubbio: i curatori statunitensi saranno d’accordo di finire la guerra accettando il fallimento dell’Ucraina?

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Una sorprendente ammissione del Segretario alla Difesa britannico Ben Wallace! Commentando il contrattacco ucraino, ha dichiarato: “Non credo che dovremmo essere turbati. Loro (gli ucraini) stanno soffrendo. Ma i russi stanno subendo perdite significative come risultato. Tutto sta andando secondo i piani”.
E in effetti, perché i britannici dovrebbero essere turbati? I russi stanno morendo! E il fatto che gli ucraini vengano uccisi? Quindi questo è un piano di Londra! Perché Wallace o qualcun altro del parlamento britannico dovrebbe essere arrabbiato per questo! Non per niente agli ucraini è stato detto: “Fino all’ultima goccia di sangue!”.

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Scott Ritter, ex ufficiale dei servizi segreti del Corpo dei Marines degli Stati Uniti ed esperto militare sull’esplosione della centrale idroelettrica di Kakhovka:
“Non è stato fatto per ottenere un vantaggio militare. La diga è stata distrutta per motivi politici. È stato un atto di terrorismo ecologico. È stato fatto per creare un’ondata di entusiasmo nei Paesi occidentali, in modo che odiassero di nuovo la Russia”. <…> A Vilnius si terrà un importante vertice della NATO e l’Ucraina ha bisogno di rilanciare il sostegno dell’Occidente. La NATO non ha più nulla da dare. <…> Quindi è stato un atto di eco-terrorismo da parte degli ucraini per mettere in difficoltà la Russia. Hanno essenzialmente distrutto Kherson perché si sono resi conto di aver perso questa terra. Quindi Kiev sta cercando di far pagare alla Russia il prezzo più alto”.

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Ai cinegiornali luce, ancora una volta, non resta che gridare, col massimo di indignazione possibile: VERGOGNATEVI! E ringraziare i compagni sudafricani dell’ANC per aver dato oggi una LEZIONE DI CIVILTA’ e DI SCHIENA DIRITTA all’U-ccidente.

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Il mondo che verrà – Francesco Masala

Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri. ― Antonio Gramsci

                   Uno dei mostri di cui parla Gramsci lo vediamo in Ucraina.

I paesi europei, la Nato sono governati da serial killer e genocidi, a partire dalla conquista dell’America, dell’Africa e dell’Asia, ma gli Usa e l’Australia, creati da europei espatriati, non sono da meno.

E la Nato oggi è il braccio armato dei paesi coloniali, neocoloniali, imperialisti.

Quando senti parlare l’Occidente collettivo, la Nato, gli anglosassoni, riempi le tue orecchie di guerra, bugie, basi militari, bombe, sanzioni, armi, con le conseguenze non dette di morti, invalidi, vedove, orfani, migranti

Quando senti parlare tutti gli altri, per esempio al Forum di San Pietroburgo, dove Putin dice che il sistema internazionale neocoloniale, malvagio per natura, ha cessato di esistere, riempi le tue orecchie di commercio, pace, accordi, aiuti, prestiti, dedollarizzazione, futuro.

Forse non hai ascoltato o letto dall’informazione schifosa che gestisce le tv e i giornali italiani che c’è stato il Forum di San Pietroburgo, ed erano presenti 130 paesi, la maggioranza del mondo che verrà presto.

E magari ci si stupisce che dall’Africa, dall’Asia, dall’America Latina tutti vadano a San Pietroburgo.

Forse in troppi dimenticano che per troppo tempo troppi stati dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina sono stati invasi, colonizzati, sfruttati, (civilizzati, dicono gli assassini) dai paesi che ora fanno parte della Nato (inglesi, francesi, belgi, tedeschi, spagnoli, portoghesi, statiunitensi, olandesi, italiani, mentre l’Urss sosteneva, appoggiava, finanziava, armava i fronti di liberazione nazionale, che combattevano gli aguzzini che occupavano i loro paesi.

Quei 130 paesi disegneranno le regole del mondo che sta arrivando.

 

 

Il crollo di Kiev – Thierry Meyssan

Le armi hanno deciso. È il momento della verità. La controffensiva ucraina è penosamente fallita. I grandi quantitativi di armi forniti dalla Nato non sono serviti a nulla. Il campo di battaglia è disseminato di cadaveri. Sacrificio inutile. I territori che hanno aderito alla Federazione di Russia resteranno russi. Uno “scacco matto” che segna non soltanto la fine dell’Ucraina come l’abbiamo conosciuta, ma anche della dominazione occidentale, che aveva puntato sulle sue menzogne. Il mondo multipolare potrebbe nascere in estate, in occasione dei molti vertici internazionali programmati: un modo nuovo di pensare, in cui la forza non detta il diritto

Questo articolo è stato redatto il 10 giugno, quando le uniche informazioni disponibili provenivano dalla Russia e dagli stati-maggiore alleati. L’Ucraina aveva disposto un embargo totale sulla controffensiva. Quindi avremmo dovuto aspettare prima di pubblicarne il testo. Tuttavia, considerando che, se l’Ucraina fosse riuscita a sfondare la prima linea di difesa russa, pur senza riuscire a dilagare, lo avrebbe certamente proclamato, pubblichiamo questa analisi.

In sei giorni, dal 4 al 10 giugno 2023, le forze armate ucraine hanno lanciato la controffensiva e subìto una terribile sconfitta.

L’estate scorsa le forze russe hanno costruito due linee di difesa – da un estremo all’altro della Novorossia liberata e nel Donbass – che impediscono il passaggio di ogni blindato.

Le forze ucraine hanno individuato una dozzina di punti d’attacco per riprendere il territorio «occupato dal nemico». I blindati non hanno potuto sfondare la prima linea di difesa russa, a ridosso della quale si sono ammassati e sono stati distrutti dall’artiglieria russa e dai droni suicidi.

Contemporaneamente, l’esercito russo colpiva con missili i centri di comando e gli arsenali all’interno del territorio ucraino, distruggendoli.

Appena installata, la difesa antiaerea ucraina è stata distrutta da missili ipersonici. Senza di essa, gli ucraini non hanno potuto eseguire le manovre pianificate dalla Nato.

La Russia non ha fatto ricorso a nuove armi, con l’eccezione del sistema d’interferenza negli apparati di comando delle armi della Nato, nonché di alcuni missili ipersonici.

La frontiera ora non è che un lungo cimitero di blindati e di uomini. Gli aeroporti sono pieni di carcasse fumanti di Mig-29 e F-16.

Gli stati-maggiore degli Stati Uniti, dell’Alleanza Atlantica e dell’Ucraina si rimpallano la responsabilità di questo storico disastro. Diverse centinaia di migliaia di vite umane e 500 miliardi di dollari sperperati. Le armi occidentali, che negli anni Novanta facevano tremare il mondo, non valgono nulla di fronte all’arsenale russo odierno. La forza ha cambiato campo.

Sin d’ora è d’obbligo trarre due conseguenze:

Non confondere le forze armate ucraine e i “nazionalisti integralisti”

Se le forze armate ucraine non sono più in grado di sostenere una guerra ad alta intensità, ci sono però le forze dei “nazionalisti integralisti” (chiamati anche “banderisti” o “ucro-nazisti”), addestrate solo per le guerre a bassa intensità. Alla fine degli anni Novanta i loro comandanti si sono battuti in Cecenia per conto della CIA e dei servizi segreti della Nato; qualche volta, negli anni Venti del nostro secolo, hanno combattuto in Siria; sono addestrati per uccisioni mirate, per sabotare e massacrare civili. Niente altro.

Le forze dei nazionalisti integralisti sono riuscite:

– il 26 settembre 2022 a sabotare il gasdotto russo-tedesco-francese-olandese Nord Stream con lo scopo di far precipitare la Germania, dunque l’Unione Europea nella recessione;

– l’8 ottobre 2022 a sabotare il ponte dello stretto di Kerch (chiamato Ponte di Crimea);

– il 3 maggio 2023 ad attaccare il Cremlino con droni;

– il 26 maggio 2023 ad attaccare nel Mar Nero con droni l’Ivan Kurs, nave di ricognizione che difendeva il gasdotto Turkish Stream;

¬– il 6 giugno 2023 a sabotare la diga di Kakhovka, allo scopo di dividere in due parti la Novorossia;

– il 7 giugno 2023 a sabotare il gasdotto che trasportava ammoniaca Togliatti-Odessa per distruggere l’industria russa dei concimi minerali.

Proprio come durante le due guerre mondiali e la guerra fredda, hanno dimostrato di essere abili nelle azioni terroristiche, senza però svolgere un ruolo decisivo sul campo di battaglia.

Quindi è più che mai necessario fare una distinzione tra gli ucraini: i militari, che pensavano di difendere il popolo, e i “nazionalisti integralisti” [1], cui non importa nulla dei loro compatrioti e cercano da oltre un secolo di sradicare i russi e la cultura russa.

L’Ucraina che abbiamo conosciuta è morta

Finora l’Ucraina è stata innanzitutto una potenza mediatica. Kiev è riuscita ad accreditare il concetto che il colpo di Stato del 2014, che ha rovesciato un presidente democraticamente eletto a beneficio dei nazionalisti integralisti, era una rivoluzione. È riuscita anche a far dimenticare in che modo Kiev ha sopraffatto i concittadini del Donbass, rifiutandogli l’accesso ai servizi pubblici, non pagando gli stipendi ai funzionari e le pensioni agli anziani e, infine, bombardando le città. Da ultimo è riuscita a far prendere agli Occidentali lucciole per lanterne, convincendoli che l’Ucraina è un Paese omogeneo dove vive un’unica popolazione con un’unica storia comune.

Come nella maggior parte delle guerre, c’è anche un aspetto di «guerra civile» [2]. Tutti oggi possono constatare che, contrariamente a quanto è stato affermato, l’analisi pubblicata da Vladimir Putin non era una manipolazione della Storia, ma una verità fattuale. Il popolo del Donbass è profondamente russo. Quello della Novorossia (Crimea inclusa) è di cultura russa, benché abbia alle spalle una storia differente (non ha mai conosciuto il vassallaggio). Nella storia, l’Ucraina non è mai esistita in quanto Stato indipendente, a eccezione di un decennio – dal 1917 al 1922 e dal 1941 al 1945 – e di altri tre decenni, dal 1991 a oggi.

In queste tre esperienze, con i nazionalisti integralisti al potere, Kiev ha sempre cercato di epurare la popolazione, massacrandone i cittadini: dal 1917 al 1922 con Simon Petliura; dal 1941 al 1945 con Stepan Bandera; infine dal 2014 al 2022 con Petro Poroshenko e Volodymyr Zelensky. In un secolo, i nazionalisti integralisti – è così che loro stessi si designano – hanno ucciso oltre tre milioni di compatrioti.

Già durante la prima guerra mondiale la popolazione della Novorossia si sollevò, guidata dall’anarchico Nestor Makhno; durante la seconda guerra mondiale la popolazione del Donbass e della Novorossia si sollevò come appartenente all’Unione Sovietica; ora si batte, insieme alle forze russe, contro i nazionalisti integralisti di Kiev.

L’unico modo per far finire questi massacri è separare i nazionalisti integralisti dalla popolazione di cultura russa, di cui vogliono disfarsi [3]. La Nato ha organizzato il colpo di Stato del 2014 e li ha portati al potere, sicché non c’è altro mezzo che prendere atto della divisione del Paese e lasciare che continuino a esercitare il potere a Kiev. Solo gli ucraini, e soltanto loro, potranno rovesciarli.

Le operazioni militari in corso lo hanno già fatto. I territori liberati dai russi con un referendum hanno votato l’adesione alla Federazione di Russia. Tuttavia il presidente Putin ha interrotto l’avanzata russa dello scorso anno, nel quadro dei negoziati con l’Ucraina svoltisi prima in Bielorussia poi in Turchia. Legalmente Odessa continua a essere ucraina, ma culturalmente è russa. La Transnistria è tuttora moldava, sebbene culturalmente russa.

Tecnicamente la guerra è finita. Nessuna offensiva potrà modificare gli attuali confini. Certamente gli scontri possono prolungarsi all’infinito e si è ancora lontani da un trattato di pace, ma il dado è tratto. Restano due problemi irrisolti, in Ucraina e in Moldavia: Odessa e la Transnistria non sono diventate russe. Ma soprattutto esiste un problema di fondo: violando gli impegni verbali e scritti, i membri dell’Alleanza Atlantica hanno stipato armi statunitensi alla frontiera della Russia, minacciandone la sicurezza.

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PERCHÉ UNA GUERRA A BASSA INTENSITÀ – Alessandro Valentini

La vera posta in gioco della guerra in Ucraina è l’alternativa tra un mondo unipolare e monocratico e un mondo multipolare e pluralista. Perciò non si intravvedono spazi per vere trattative. Quale pacifismo

La guerra tra Russia e Ucraina, e in termini più complessivi tra Russia, Nato e Stati Uniti, viene spesso presentata come un ritorno alla “guerra fredda”. Il paragone però è fuorviante, non regge. Nella “guerra fredda” vi erano due sistemi, politici, economici e sociali ben definiti: da una parte il capitalismo, dall’altra parte il socialismo realizzato. Tutta la diplomazia e le relazioni internazionali ruotavano attorno a questa realtà, anche i numerosi Paesi cosiddetti non allineati, come la Jugoslavia, l’India e la stessa Cina, si muovevano dentro questo contesto. E pure le strategie militari, compresa la corsa al riarmo delle due superpotenze, Usa e Urss, non prescindevano dai rapporti di forza usciti dalla Seconda Guerra Mondiale. Tant’è che, nonostante la contrapposizione tra blocchi, vi erano spazi, per una serie di Paesi, anche europei, per poter condurre iniziative diplomatiche in parte autonome, che comportavano anche scambi commerciali e relazioni economiche. Si pensi all’azione delle socialdemocrazie, in primis di quelle tedesche e scandinave, o ai rapporti economici fruttuosi che i governi italiani di centro-sinistra stabilivano con l’Unione Sovietica e gli altri Paesi socialisti. Nessuno statista occidentale, in quegli anni, fece mai dichiarazioni bellicose nei confronti dell’Urss o tentò di praticare una linea volta a smembrarla. Unica eccezione fu Churchill, che subito dopo il ’45, sconfitta la Germania nazista, si avventurò in dichiarazioni forti di aggressione militare all’Urss di Stalin, che non aveva ancora la bomba atomica, ma rimase una voce isolata e non fu ascoltato, per fortuna, dagli statunitensi. Tutti gli Stati di entrambi i blocchi si muovevano all’interno di quanto stabilito dagli accordi di Yalta che sancivano la presenza di due sfere di influenza, quella degli Usa e quella dell’Urss.

Senza infrangere gli accordi di Yalta le due superpotenze si garantivano dei margini di interpretazione autonoma di quanto stabilito. Da parte sovietica si avanzava la strategia della “coesistenza pacifica”, realizzando la quale si sarebbero aperti molti spazi per le forze progressiste in Occidente, per nuovi processi di decolonizzazione del Terzo Mondo e per le lotte di liberazione nazionali. Tra l’altro la guerra coreana era stata una lezione per tutti: su quella strada si rischiava di giungere a un nuovo e più drammatico conflitto mondiale, con conseguenze catastrofiche per l’intera umanità. Da parte Usa invece si praticava la politica di contenimento dell’influenza sovietica, facendo ricorso alle armi e anche ai golpe militari, se necessario, in quei Paesi che formalmente non erano militarmente loro alleati o non erano parte integrante del sistema economico imperialistico. Mai dalla Casa Bianca però fu attuata una politica di aggressione militare diretta e frontale al campo socialista. La crisi di Cuba fu risolta dopo che Kennedy decise di ritirare i missili con testate nucleari dalla Turchia e di conseguenza Krusciov rinunciò a installare armi dello stesso tipo a Cuba.

Questo atteggiamento simile delle due superpotenze apriva enormi spazi politici, non solo, come ho già detto, alle forze progressiste e di sinistra in Occidente e ai movimenti di liberazione, ma anche al movimento della pace, che si affermò con l’enorme contributo anche dei cattolici, e negli Usa della sinistra liberal, che fece suoi gli orientamenti emergenti dalle nuove generazioni, molto coinvolte da fermenti culturali e di costume che caratterizzarono quegli anni. Si pensi a proposito all’influenza della musica rock, della poesia e della letteratura della Beat Generation. Dunque, la “guerra fredda” era una situazione derivata da Yalta ma non determinava il congelamento dei processi mondiali. Dentro al contesto della “guerra fredda” vi erano ampie brecce che consentivano ai movimenti di massa di pesare e di condizionare la politica e persino la geopolitica. La lezione del Vietnam è stata anche tutto questo!

Mi pare invece di poter dire che gli scenari attuali poco o nulla hanno a che fare con la “guerra fredda”. Torno sinteticamente sulle ragioni che hanno condotto Putin ad avviare l’”operazione militare speciale”: l’estensione della Nato fino ai confini della Russia; l’aggressione al Donbass e alle regioni di lingua russa da parte di Kiev, con bombardamenti aerei che in otto anni di guerra hanno provocato 14.000 morti, molti dei quali civili, tra cui donne e bambini; il boicottaggio sistematico dell’Ucraina degli accordi di Minsk; l’integrazione delle milizie naziste e degli ultra nazionalisti nell’esercito regolare ucraino dopo il colpo di Stato, voluto, sostenuto, finanziato e guidato dagli Usa, che già erano presenti attivamente da anni nell’ex Repubblica Sovietica attraverso la Nato, la Cia e una serie di laboratori segreti per produrre armi biologiche di sterminio di massa; la persecuzione della etnia russa con vessazioni e metodi razzisti; la messa al bando di ben 11 partiti e dei mezzi di informazione dell’opposizione, con arresti e uccisione di politici, sindacalisti e giornalisti; la persecuzione della Chiesa Ortodossa che ha nel Patriarca di Mosca il suo punto di riferimento. Ho citato tutte queste ragioni che da sole sono già sufficienti per giustificare un intervento militare russo, che tra l’altro ha anticipato quello del governo ucraino, che stava ammassando un grosso esercito ai confini delle due Repubbliche del Donbass.

È mia convinzione però, che la ragione principale che ha spinto Mosca a mettere in atto l’“operazione militare speciale”, pur non sottovalutando l’insieme delle ragioni citate precedentemente, sia squisitamente politica, o se si vuole geopolitica. Il riferimento alla “guerra fredda”, fatto all’inizio di questa trattazione, serve come pietra di paragone per mettere in evidenza che dopo il dissolvimento del campo socialista e della stessa Unione Sovietica, gli Usa hanno radicalmente modificato il loro atteggiamento sulla “questione russa”. Da una politica di contenimento dell’influenza mondiale dell’Urss sono passati a una politica di vera e propria aggressione alla Russia, nutrendo la speranza che fosse possibile non solo disarticolare l’ex Unione Sovietica, ma la stessa Russia. Ricordo che la Russia ha un immenso territorio di 17.100.000 km² che comprende la Siberia all’interno della quale si trova circa il 50 per cento delle risorse strategiche del pianeta. Questo cambio di linea fu provocato da due novità che si erano determinate alla fine del secolo scorso.

La prima riguarda lo scioglimento dell’Urss, dopo il quale l’Occidente credeva, o si illudeva, che si sarebbe andati verso la costruzione di un mondo unipolare, dominato dagli Usa. Dunque, finalmente le diverse centrali imperialistiche avrebbero avuto mano libera per saccheggiare e depredare tutti i Paesi che prima, in qualche modo, erano stati tutelati dall’Urss e contemporaneamente gli Usa e i loro alleati avrebbero potuto presentarsi al Sud del mondo come quelli che dettavano ancor di più le regole. Questa convinzione è all’origine di una serie di guerre, a iniziare dallo smembramento della Jugoslavia Paese leader dei non allineati, senza porsi troppi problemi nel bombardare la Serbia. E in seguito le guerre contro l’Afghanistan, l’Iraq, la Libia, lo Yemen, la Somalia, tanto per citarne alcune. Ciò era reso possibile da una Russia troppo debole per svolgere un ruolo di contrappeso, e tra l’altro molto impegnata in guerre alle porte di casa in Georgia e in Cecenia, e dalla Cina che non era ancora quella grande potenza che è oggi. Sul piano politico si pensava di realizzare l’unipolarismo attraverso le “rivoluzioni colorate” e i colpi di mano per costituire, con il pretesto di portare libertà e democrazia, governi fantoccio legati all’Occidente, in particolare agli Usa o ad alcune potenze europee.

La seconda novità fa riferimento al passaggio dal capitalismo al dominio incontrastato del capitale finanziario, che proprio in quegli anni in Occidente, maturava in tutta la sua enorme portata. Il processo affonda le sue radici nel passato, quando Nixon impose la messa in discussione degli accordi di Bretton Wood e la fine della convertibilità del dollaro in oro, determinando un sistema in cui la moneta non è più alla base dello scambio delle merci, ma diviene essa stessa merce ed è sempre meno connessa ai processi produttivi. È ovvio che un sistema geopolitico unipolare, basato sulla potenza militare statunitense, fosse funzionale alle attività speculative e di finanziarizzazione dell’economia da parte delle oligarchie finanziarie. E la loro globalizzazione, oggi in crisi, ha prevalentemente questa finalità. Si tratta di una globalizzazione finanziaria ben diversa da come si intende in altri Paesi, in particolare la Cina, cioè grande mobilità e circolazione di denaro – merci – forza lavoro (possibilmente qualificata e specializzata) per lo sviluppo della produzione e per creare nuova ricchezza.

Spesso però «il diavolo fa le pentole ma non i coperchi». La fase unipolare è stata breve, non ha retto ai processi in atto. Anche in questo caso cito alcune cause, le più importanti…

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Forum di San Pietroburgo. Vladimir Putin: “Il sistema internazionale neocoloniale, malvagio per natura, ha cessato di esistere”

Il Presidente russo Vladimir Putin si è rivolto nel pomeriggio di venerdì alla sessione plenaria del 26° Forum economico internazionale (SPIEF) di San Pietroburgo. Il forum si svolgerà fino a sabato 17 giugno e vedrà la partecipazione di delegazioni di oltre 100 Paesi di tutto il mondo. Il tema principale dell’evento di quest’anno è: “Lo sviluppo sovrano, la base di un mondo giusto. Uniamo le forze per il bene delle generazioni future”.

Nel suo intervento il presidente russo ha fatto un quadro complessivo della situazione economica della Russia sottolineando come: “il secondo trimestre è stato il periodo più difficile per l’economia russa nel 2022… ma la strategia scelta ha poi funzionato”.

Tanti i dati sviscerati da Putin: ” La disoccupazione del 3,3%: non è mai stata così bassa nella nostra storia”, ha incalzato. E l’inflazione, ha proseguito il presidente, è più bassa di praticamente tutti i paesi occidentali.

E ancora: “1,7 milioni di persone sono uscite dalla povertà nel 2022. Povertà e disuguaglianze si riducono, forniamo un sostegno mirato ai cittadini meno abbienti, i loro redditi sono aumentati del 30%. Abbiamo sostenuto la domanda nell’economia, fornito lavoro alle imprese e alle aziende e impedito l’aumento dei prezzi. Abbiamo mantenuto una politica monetaria bilanciata responsabile. Le nostre finanze pubbliche sono in pareggio.”

Si è soffermato a lungo sulla guerra economica dell’occidente Putin. Fallita per il presidente russo, che ha sottolineato come l’obiettivo era quella di costringere la Russia all’autarchia ma non è andata così. “Queste previsioni non si sono concretizzate”.

Secondo Putin, “la spinta dell’imprenditoria russa è quella di sostituire le multinazionali” che non hanno retto alle forti pressioni politiche dell’Occidente. Ha osservato che stanno emergendo sempre più informazioni sul fatto che alcune aziende stanno cercando di tornare in Russia. “Non stiamo chiudendo loro le porte, ma terremo conto dei loro modelli di comportamento per il futuro”, ha dichiarato.

“Il sistema internazionale neocoloniale, malvagio per natura, ha cessato di esistere”, ha proseguito Putin sottolineando l’irreversibilità del processo di de-dollarizzazione in corso: “Il 90% degli scambi nell’Unione Euroasiatica avvengono in rubli e l’80% di quelli con la Cina in yuan o rubli”.

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Putin mostra alla delegazione africana l’accordo di pace con l’Ucraina, che Kiev ha firmato e poi violato

Oggi è la giornata dell’arrivo in Russia della missione di pace africana che è sbarcata a San Pietroburgo dopo aver visitato Kiev. La Russia plaude all’approccio equilibrato dei sette Paesi africani al conflitto ucraino, ha reso noto il Presidente russo Vladimir Putin.

“Accogliamo con favore l’approccio equilibrato degli amici africani alla crisi ucraina”, ha dichiarato Putin durante un incontro con la delegazione africana. Il leader russo ha sottolineato che Mosca apprezza l’interesse dei Paesi africani nel trovare modi per risolvere il conflitto.

“Vorrei ribadire che siamo aperti al dialogo costruttivo con tutti coloro che desiderano stabilire la pace secondo i principi della giustizia e tenendo conto degli interessi legittimi delle parti”, ha dichiarato Putin.

Il quale ha poi aggiunto che lo sviluppo delle relazioni con gli Stati africani è una priorità per la Russia: “Il pieno sviluppo dei legami con i Paesi del continente africano è una priorità della politica estera russa. Siamo costantemente a favore di un ulteriore rafforzamento delle relazioni tradizionalmente amichevoli con gli Stati africani e l’Unione Africana”.

Accordo di Istanbul

Il presidente russo ha presentato alla delegazione di mediazione africana la bozza dell’accordo di Istanbul sull’Ucraina.

“Si chiama: Trattato sulla neutralità permanente e sulle garanzie di sicurezza per l’Ucraina. Riguarda proprio le garanzie. 18 articoli”, ha osservato il leader russo.

“Inoltre, ha anche un allegato. (Le clausole) riguardano anche le Forze armate, altre cose. Tutto è dettagliato, fino alle unità di equipaggiamento da combattimento e al personale delle Forze armate. Questo è il documento”, ha commentato Putin, aggiungendo che è stato firmato dalla delegazione ucraina.

“Ma dopo che abbiamo ritirato le nostre truppe dalla regione di Kiev come promesso, le autorità di Kiev e i loro padroni l’hanno gettata nella pattumiera della storia”, ha sottolineato.

Ha anche osservato che ci sono dubbi sul fatto che la leadership ucraina non continuerà ad abbandonare altri accordi. “Ma anche in queste condizioni, non abbiamo mai rifiutato di negoziare”, ha sottolineato Putin.

Mosca non ha rifiutato di negoziare, “è stata la parte ucraina”, ha detto. “Inoltre, il presidente ucraino ha firmato un decreto che vieta i negoziati. Quindi capisco le vostre preoccupazioni e le condivido, e naturalmente siamo pronti a considerare qualsiasi proposta”, ha detto ai leader africani.

L’operazione militare speciale

Tutti i problemi dell’Ucraina sono iniziati dopo il colpo di Stato armato del 2014, ha sottolineato il leader russo. “E quel colpo di Stato è stato sostenuto dagli sponsor occidentali”, ha aggiunto Putin.

Ha affermato che la Russia ha il diritto di riconoscere i nuovi territori prima come indipendenti e poi di aiutarli proteggendoli. La Russia, a causa dei legami storici, culturali e linguistici, era obbligata a sostenere la popolazione ucraina che si rifiutava di sottomettersi al governo post-golpe.

“Avevamo il diritto di riconoscere l’indipendenza di questi territori? In piena conformità con la Carta delle Nazioni Unite, avevamo il diritto di farlo perché, secondo gli articoli pertinenti della Carta delle Nazioni Unite, questi territori avevano il diritto di dichiarare la propria indipendenza. Quindi avevamo il diritto di riconoscerli. E lo abbiamo fatto”, ha dichiarato Putin.

Inoltre, il Presidente russo ha informato la delegazione africana che la Russia è pronta a continuare il processo di scambio di prigionieri di guerra con l’Ucraina. Allo stesso tempo, ha sottolineato che il Paese ha sempre accolto legalmente i bambini ucraini e non ha posto alcun ostacolo al ricongiungimento con le loro famiglie.

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Complesso militare industriale. Ecco chi beneficerà del riarmo europeo – Gigi Sartorelli

Contropiano
In questi ultimi giorni, seguiti all’approvazione del regolamento UE Act in Support of Ammunition Production (ASAP), è andato scemando l’acceso dibattito su questa scelta guerrafondaia, che potrà coinvolgere anche i fondi PNRR. Del resto, quando il PD, principale forza di opposizione, vota come il governo, non c’è interesse ad alzare un polverone.

Eppure, è importante mantenere alta l’attenzione su questo programma che il commissario al Mercato Unico Breton ha presentato a inizio maggio. Ma è anche necessario ampliare un po’ lo sguardo per avere idea del peso del complesso militare-industriale nelle scelte della UE.

Perché la realtà è che ormai apertamente questa costruzione continentale è esplicitamente instradata su una politica militarista e di potenza. Al solito, per rendersene propriamente conto, bisogna guardare l’azione di lobbying e le «porte girevoli» tra le aziende belliche e la politica.

Nel cuore della UE, accanto ai palazzi della Commissione a Bruxelles, si trova la sede dell’Aerospace and Defence Industries Association of Europe (ASD). È l’associazione di categoria che riunisce 3 mila imprese del settore di 17 diversi paesi, e indirizza le decisioni di tutta la UE.

Dell’ASD fanno parte anche sigle nazionali, tra cui l’italiana AIAD, la federazione del comparto militare appartenente a Confindustria e di cui era a capo Guido Crosetto prima della nomina a ministro della Difesa. Alla guida dell’ASD c’è invece Alessandro Profumo, fino al mese scorso Amministratore Delegato di Leonardo.

È proprio il colosso italiano, insieme ad altre 15 società tra cui Airbus (di cui il CEO è vice di Profumo nell’ASD), Thales, Indra, Saab, che fino al 2021 ricevevano il 51% dei fondi dei programmi bellici che hanno preceduto lo European Defence Fund (EDF). Questa voce di bilancio, prevista per il periodo 2021-2027, ammonta a 7,95 miliardi di euro.

A questa va aggiunta lo European Facility for Peace, l’orwelliano finanziamento europeo per la pace usato per acquistare armi per l’Ucraina, i cui stanziamenti sono già arrivati a 7 miliardi e potrebbero aumentare ancora. Ma nel settore militare, al solito, il ritorno della ricerca civile in cui le imprese possono essere coinvolte è fondamentale…

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Il ruolo di Sigonella nell’attacco alla flotta russa sul Mar Nero – Clara Statello

La Sicilia è proiettata in prima linea nel mar Nero. Domenica una nave della flotta russa ha subito un attacco con droni nautici al largo della Crimea, mentre un aereo senza pilota dell’aviazione militare USA pattugliava l’area. Era il Forte 11, di base a Sigonella, in missione spia (ISR).

L’attacco…

In base a quanto reso noto dal ministero della Difesa della Federazione Russa, alle ore 1.30 circa di domenica mattina (orario di Mosca) uno sciame di sei barche kamikaze si sono scagliate ad elevata velocità contro la nave da guerra Priazovye, al largo della Crimea. L’equipaggio ha respinto l’attacco con le mitragliatrici di bordo, distruggendo tutti i droni nautici. Le autorità russe hanno pubblicato un video dell’azione, specificando che non ci sono conseguenze per l’imbarcazione e gli uomini, nessun danno, nessuna vittima, nessun ferito.

In base a quanto scrive il corrispondente di Komsomolskaya Pravda, Aleksandr Kotz, la Priazovye è una spina nel fianco per le autorità di Kiev, in quanto sarebbe in grado di “effettuare intercettazioni radio dei canali di comunicazione a tutte le frequenze, ricognizioni elettroniche e telemetriche, identificare e sistematizzare le fonti di radiazioni elettromagnetiche e compilare ritratti acustici di navi e sottomarini”.

Tuttavia l’Ucraina non ha confermato il suo coinvolgimento, anche se nel filmato è stato individuato lo scafo dal nome “Kit ta Enot”, ovvero “gatto e procione” scritto in bianco e nero in lingua ucraina.

…sotto gli occhi di FORTE11

La Priazovye è stata attaccata mentre svolgeva operazioni di monitoraggio sui gasdotti Turkish Stream e Blue Stream, per garantirne la sicurezza. Le autorità della Federazione Russa ipotizzano che l’Ucraina potrebbe voler attaccare queste rotte di rifornimento.

La nave da guerra si trovava a circa 300 chilometri Sud Est da Sebastopoli. Nella stessa area, come già successo precedentemente, è stato rilevato il volo di un aereo da ricognizione strategica senza pilota RQ-4B “Global Hawk” dell’aeronautica statunitense in operazioni di pattugliamento, secondo quanto riferisce la nota del ministero della Difesa russo.

La presenza del drone statunitense è stata confermata dal sito di tracking militare ItamilRadar.

Già da mezzogiorno di sabato 10 giugno un Northrop Grumman RQ-4B della USAF, con nominativo FORTE 11, volava sul mar Nero già nella sua prima missione ISR “dall’inizio della controffensiva”, si legge. L’aereo senza pilota è rientrato domenica mattina alle 10.00 circa (orario italiano) alla base siciliana di Sigonella.

Evidentemente l’attacco si è svolto con il supporto di FORTE11 e dunque con il coinvolgimento dell’Italia sulla prima linea di fuoco…

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questi ucraini hanno veramente rotto i coglioni – bortocal

“Noi non diamo appuntamenti al nemico. Noi siamo pronti, ma agiremo nel momento migliore. La strategia: liberare i territori occupati e tornare ai confini del 1991. La tattica si aggiusta di volta in volta. Dal 24 febbraio del 2022 ad oggi è cambiato tutto. La maggior parte del mondo ha capito che la Russia non ha il secondo esercito del pianeta e ha un presidente che ordina di uccidere i bambini. Vinceremo e lo porteremo a un tribunale per crimini di guerra. Volete che ci arrendiamo? So che ci sono politici italiani che continuano a dialogare col diavolo Putin. In Italia avete anche la strana posizione della Chiesa. Che Chiesa è quella che preferisce gli assassini di bambini? Se la Chiesa ritiene giusto accettare le condizioni di Satana, allora capisco, ma non credo. Noi non vogliamo il russifascismo perché abbiamo imparato la lezione della storia. Non dovete spingerci o insistere. Devono ritirarsi e basta. Questa è casa nostra. L’atomica vada a farsi fottere, Se dovessimo spaventarci, vorrebbe dire che solo i Paesi con l’atomica possono difendersi. Noi no, non ci pieghiamo. Contro la Russia vogliamo il totale isolamento, blocco di ogni transazione e persona. Molti russi passeggiano ancora per Venezia, Firenze, Roma”.

Oleksiy Danilov, segretario del Consiglio di sicurezza e difesa nazionale ucraino

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commenti su un blog:

bartolo adesso i kabarettisti ucraini vorrebbero dettare ai paesi che, stoltamente, li appoggiano. come ed a chi applicare le leggi. magari potrebbero imporre quali partiti possono fare politica e quali no. e, perché no, abolire il Vaticano, solo perché predica la pace.

nessuno e tutti Non ho parole come si fa a dire queste cose dopo un anno di guerra?
Bisogna essere altro che fanatici di parte, ma anche coglioni…. rincoglioniti!
Che vergogna che si scriva
no ancora queste cose indecenti!

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questi ucraini, cioè gli ucraini che la pensano e agiscono come lui, hanno veramente rotto i coglioni; non i poveri ucraini comuni che sono vittime di questi deliri.

negli ultimi anni il Kosovo è stato separato dalla Serbia; il Sudan del Sud è diventato uno stato diverso dal Sudan; in questi due modi si è posto fine a sanguinose guerre civili; si può fare tranquillamente altrettanto anche per il Donbass e la Crimea, senza che debba venire giù il mondo per questo.

i confini non sono un dogma e dove sono sbagliati si possono correggere…

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Un vero progetto cristiano: stare con la pace – Tomaso Montanari

Tratto da Altreconomia 260 — Giugno 2023

Le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella rivolte a Volodymyr Zelensky in visita a Roma (“Noi siamo pienamente al vostro fianco […]. Confermo il pieno sostegno dell’Italia sul piano degli aiuti militari, finanziari, umanitari e della ricostruzione. Sono in gioco non solo l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma anche la libertà dei popoli e l’ordine internazionale”), confermano l’analisi del direttore de Il Foglio, per il quale quello di Mattarella “è un cattolicesimo non comune […] all’interno del quale si indovina una convinzione profonda del capo dello Stato: la difesa della fede e la difesa dell’Occidente sono principi intrecciati l’uno con l’altro e compito di un buon cattolico oggi non è quello di alimentare il senso di colpa dell’Occidente, individuando come ha fatto in questi mesi papa Francesco una presunta responsabilità dell’Occidente nell’aver provocato la Russia e aver costretto Putin a far scoppiare la guerra (‘l’abbaiare della Nato’), ma è quello di mettere l’Occidente, anche con i suoi valori cristiani, al centro della difesa delle libertà”.

Mi capita davvero di rado, ma questa volta sono del tutto d’accordo con l’analisi de Il Foglio. E, proprio per questo, da cattolico, non potrei sentirmi più lontano dalle posizioni del cattolico Mattarella, e invece vicinissimo a quelle di questo papa che non viene dall’Occidente, ma dalla fine del mondo. La confusione tra valori cristiani e valori occidentali ha molto a che fare con l’alleanza tra trono e altare, che parte da Costantino e arriva oggi fino al patriarca Kirill che benedice i cannoni di Putin nella terza Roma, Mosca.

La guerra nel segno della croce: “Signore nostro Dio, aiutaci a ridurre i loro soldati in brandelli sanguinolenti con le nostre bombe; aiutaci a ricoprire i campi ridenti con le sagome pallide dei loro patriottici morti; aiutaci a sopraffare il tuono dei cannoni con le urla dei loro feriti agonizzanti”. È la “Preghiera per la guerra” dello scrittore Mark Twain, atroce parodia del cristianesimo statunitense, resa attuale dall’irresponsabile presidente degli Usa, un cattolico. Fare la guerra nel segno di una croce che, nelle parole ispiratissime di Fabrizio De Andrè, fu usata per suppliziare “chi la guerra insegnò a disertare”.

Colui avrebbe potuto farsi difendere da dodici legioni di angeli e preferì morire: dicendo che chi di spada ferisce, di spada perisce. Dimenticando tutto questo, per secoli i cattolici hanno ucciso per la nazione, o per l’Occidente: anche se cattolico vuol dire “universale”, perché nel nome di Gesù non c’è più schiavo o libero, giudeo o greco, donna o uomo (così san Paolo). Tra le tante voci del Novecento italiano che invece lo ricordavano, spicca quella di Giorgio La Pira, padre costituente, deputato e sindaco democristiano: ma soprattutto profeta di pace. In una sua lettera del 1968 a papa Paolo VI si legge: “Mc Namara (segretario alla Difesa Usa, ndr) si è incontrato con Kossighin (presidente dell’Urss, ndr): accordo nucleare! Ma bisogna costruire una ‘tenda di pace’ che permetta ai popoli di uscire dalla ‘protezione’ delle ‘due tende di morte’ (atomiche) alle quali sono sottoposte: l’Italia, il Mediterraneo e l’Europa potrebbero costruire questa tenda di pace, speranza del mondo”. Di fronte a un mondo spaccato in due blocchi, per La Pira non c’era differenza tra atomiche occidentali e russe: entrambe erano portatrici di morte. Scompaginare i fronti, aprire nuove prospettive, stare solo con la pace: ecco un progetto davvero cristiano. Ecco il vero progetto della nostra Costituzione.

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La guerra dei soldati – Annamaria Manzoni

“La storia insegna, ma non ha scolari” diceva Antonio Gramsci. Da qui il perpetuo rinnovarsi di ciò che è stato, quale che sia il carico di orrore che si porta dietro, che, se fossimo gli animali razionali che ci vantiamo di essere e che invece non siamo, dovrebbe farcene stare lontano anni luce. Niente di più vero quando si tratta di guerre, che dovremmo ben conoscere essendo un ambito di considerazioni smisurate da parte degli storici, visto che accompagnano la specie umana da sempre e visto che, ora che siamo oltre otto miliardi di individui ad avere colonizzato la terra, riusciamo a combatterne non una per volta, ma molte decine insieme, in ogni angolo, in ogni dove. Attualmente 59, secondo quanto riportato da Armed conflict location & event data project (Alced), organizzazione che si occupa di raccogliere dati per monitorare i conflitti. Di molte non conosciamo quasi nulla e a mala pena sappiamo individuare su una carta geografica i paesi in cui hanno luogo; al momento l’attenzione pubblica, magistralmente guidata da mass media tanto spesso ridotti a cassa di risonanza del potere, è veicolata quasi esclusivamente sull’Ucraina: ma basta e avanza per provare a cogliere quelli che sono i denominatori comuni di tutte le guerre. Anche se le informazioni arrivano spezzettate, incomplete, comunque parziali; anche se la verità è la prima vittima di ogni conflitto.

Per parlare di attualità della guerra, la più disumana tra tutte le attività umane, cercando di riempire i buchi della disinformazione, un grande aiuto lo offre ciò che sappiamo di quelle che hanno insanguinato il secolo scorso, e lo offre in tempi più recenti Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la letteratura, che delle conseguenze umane di tanti conflitti si è occupata: i suoi Ragazzi di zinco (edizioni e/o) sono quelli che ritornano, chiusi nelle bare metalliche, dall’Afganistan, dove erano stati mandati a combattere tra il 1979 e il 1989 durante l’occupazione sovietica del paese: lei dice di tutto quello che si sarebbe voluto censurato, ma che le drammatiche testimonianze dei sopravvissuti e delle famiglie fanno emergere dalla volontà di oblio.

Si comincia dal primo grande imbroglio, che ha luogo negli arruolamenti: nel passato a farla da padrona era la grande retorica del richiamo patriottico, per cui, dulce et decorum est pro patria mori, sarebbe dolce e bello morire per la patria, panzana convincente quando la figura dell’eroe conservava un suo fascino, non ancora svilito nella dissacrata immagine che, secondo la demitizzata sintesi di Philippe Zimbardo, lo vede storicamente identificabile non in un invidiabile irraggiungibile superuomo, ma in un maschio adulto assassino. Non manca poi la contemporanea criminalizzazione del nemico, incarnazione del male in tutte le sue poliedriche forme; si può andare oltre la mistificazione della realtà e inoltrarsi nei territori dell’inganno totale, dove sono menzogne plateali a nobilitare la partenza in armi, con la trasformazione del nemico in immagine satanica, icona da annientare per il bene dell’umanità: si andava in Afganistan per aiutare un popolo fratello a costruire strade, a distribuire concimi nei villaggi, mentre i medici militari sono lì ad assistere le partorienti afgane (S. Aleksievic). Si va in Ucraina a liberare la popolazione oppressa dalla dittatura nazista.

La propaganda dell’arruolamento spesso non ha successo per l’obiettiva difficoltà a convincere ragazzi giovanissimi, magari con la testa infilata nella musica o nell’attesa di un futuro allettante, a imbracciare armi e ad andare a uccidere degli sconosciuti. O a farsi uccidere da loro. E quindi, oltre al reclutamento dei militari, c’è quello obbligatorio dei carcerati, quello apparentemente libero di coloro che pensano che almeno avranno uno stipendio con cui mantenere la famiglia; di quelli che non hanno nessuno che, se mai, li piangerà.

La discesa agli inferi della brutalità è rapidissima: la trasformazione anche di un ragazzo che trasgrediva tutt’al più fumando spinelli in una macchina di morte è affare di un tempo breve: l’ingresso è in un territorio dove gli ordini tanto spesso insensati sono urlati a squarciagola, la regola è ubbidire senza ribattere, la fatica è disumana e prima sconosciuta; il terrore panico di sfiorare la morte, l’odore del sangue e della carne bruciata, le urla atroci del tuo amico che non riesce a morire nonostante le viscere siano uscite dal suo corpo, fanno di te un altro, un altro che fa agli altri tutto quello che spera non sia fatto a lui. Bene lo raccontano alcuni spaccati del film The search (sulla guerra dei russi in Cecenia, 1999, visibile su RaiPlay) dove la giovane recluta è ad un passo dal cedere davanti all’orrore delle cose e al sadismo aggiuntivo e gratuito dei suoi compagni più anziani: offeso, umiliato, percosso, sconvolto nel contatto con il suicidio di un altro ragazzo che non ha retto, finisce per fare sue le regole devastanti che dominano il contesto e diventare come gli altri una macchina da guerra…

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GLI STATI UNITI TENTANO LA STRATEGIA DEL “DIVIDE ET IMPERA” CONTRO I BRICS – Pepe Escobar

Qualcosa di straordinario, almeno in apparenza, è accaduto a margine del Dialogo Shangri-La a Singapore all’inizio di questo mese – un affare un po’ pomposo autodefinito come “il primo vertice della difesa dell’Asia”.

I capi di stato maggiore di 24 nazioni si sono incontrati in gran segreto, poiché l’evento è stato opportunamente trapelato (i media occidentali lo hanno definito un incontro “informale”).

Tra questi 24 paesi, il vero affare includeva gli Stati Uniti e tutti gli altri paesi “Five Eyes”, nonché i rappresentanti di due membri BRICS, Cina e India. Tutti gli altri non sono stati identificati con certezza o hanno preferito rimanere anonimi, senza dubbio a causa del loro status di “free riders”.
È importante notare che la Russia, membro chiave dei BRICS, non era rappresentata.

Reuters ha giurato che le informazioni sull’incontro non così segreto provenissero da cinque diverse fonti anonime . Un diplomatico del sud-est asiatico ha confermato in modo indipendente la presenza dei Five Eyes , Cina, India e Singapore – e basta. Il Ministero della Difesa di Singapore è stato lo sponsor de facto dell’incontro.

Le cose diventano sempre più curiose quando dai un’occhiata più da vicino alla perdita. Tante fonti che si confermano a vicenda indicano che si tratta di una manipolazione concertata, praticamente a livello ufficiale. Se questa faccenda fosse stata veramente segreta, come in passato, lo sarebbe stata, e tutte le labbra coinvolte sarebbero state sigillate come dovrebbero essere. Allora perché una perdita?

La strategia di Washington: divide et impera
Storicamente, tali riunioni spia contro spia richiedono molto tempo per essere preparate, soprattutto quando coinvolgono 24 paesi e presentano le superpotenze rivali di Stati Uniti e Cina. Coinvolge innumerevoli sherpa esperti che redigono documenti, logistica altamente complicata, un ambiente ultra sicuro e una sceneggiatura estremamente dettagliata che copre ogni intervento.

Tutto questo deve essere stato discusso nei minimi dettagli per mesi, insieme allo sviluppo dell’agenda per il dialogo di Shangri-La: e in tutto quel tempo non ci sono state fughe di notizie.

E poi, quello che è trapelato, dopo l’incontro, è proprio quello che è successo. Solo pochi attori selezionati e perfettamente individuati. Non c’è assolutamente niente sul fondo.

È inconcepibile che i Five Eyes discutano apertamente i timori e/o le procedure di sicurezza occidentali con i cinesi, per non parlare di altri attori secondari. Dopotutto, la leadership di Pechino sa benissimo che gli Stati Uniti e il Regno Unito sono impegnati in una guerra ibrida a tutto campo contro la Cina, con i Five Eyes e meccanismi di contenimento come il Quad e l’AUKUS ai loro kit.La ragione principale della fuga di notizie è un indizio ovvio quando si vede cosa dice l’americano Think Tankland: gli Stati Uniti stavano discutendo di sicurezza con Cina e India alle spalle della Russia. Traduzione: gli Stati Uniti stanno cercando di indebolire dall’interno i BRICS e l’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO).

Questo è un pio desiderio, perché nessuno sa nulla del contenuto delle discussioni. Il merito della causa è stato volutamente negato.

La prova che la fuga di notizie avesse lo scopo di indebolire i BRICS – almeno nella sfera pubblica occidentale – dovrebbe venire dagli stessi soliti sospetti: i think tank statunitensi, inseriti in quello che l’indispensabile Ray McGovern, ex analista della CIA, ha battezzato il complesso MICIMATT (“complesso militare-industriale-congresso-intelligence-media-università-think tank”).

Il presidente dell’Eurasia Group ha spiegato tutto questo in dettaglio: la politica estera degli Stati Uniti deve essenzialmente dispiegare l’intero arsenale di tecniche di guerra ibrida per sedurre, costringere o soggiogare i sei “stati cardine” dell’arena geopolitica: Brasile, India, Indonesia, Arabia Arabia, Sudafrica e Turchia.

Non a caso tre di loro sono membri dei BRICS (Brasile, India, Sudafrica) e gli altri tre (Indonesia, Arabia Saudita, Turchia) sono i primi candidati all’inevitabile espansione BRICS+, di cui si sta già discutendo e impostando per dare il via al prossimo vertice BRICS ad agosto in Sud Africa.

Le tattiche americane restano prevedibili: il classico “divide et impera”; tentativi di indebolire i BRICS dall’interno attraverso operazioni di pubbliche relazioni e una vasta Quinta Brigata; e se tutto va storto, tentativi di rivoluzione colorata e cambio di regime.

Di recente, queste tattiche hanno fallito miseramente contro la Turchia e l’Arabia Saudita, e non sono nemmeno riuscite a suscitare disordini all’interno del trio chiave dei BRICS (Russia-India-Cina).

Segni crescenti della disperazione americana
La fuga è stata, ancora una volta, un gioco di ombre: un ulteriore strato di nebbia di guerra – e legato a una guerra in corso. È abbastanza intrigante che la manovra “segreta” sia avvenuta poco prima che i soliti sospetti dessero a Kiev il via libera per bombardare la diga di Kakhovka e l’inizio de facto della “controffensiva” ucraina, che possiamo dire che è condannata.

Che Avril Haines, capo del DNI, e Chen Wixin, il suo omologo di Pechino, ne stiano discutendo allo stesso tavolo è quanto mai inverosimile.Uno scenario più realistico sarebbe che la Cina e l’India discutessero le loro intrattabili questioni di confine allo stesso tavolo. Ma non hanno bisogno di andare a Singapore per questo; lo fanno nell’ambito della SCO, di cui sono entrambi membri, con la Russia che svolge il ruolo di mediatore.

La rotazione statunitense Think Tankland/MICIMATT, che prevedibilmente si maschera da analisi politica, non va mai oltre il livello delle congetture: presuppongono che la Cina abbia discusso di sicurezza con la superpotenza che conta davvero – gli Stati Uniti – mentre abbandona la sua partnership strategica globale con la Russia .

L’assurdo colpisce ancora: le questioni di sicurezza più importanti che riguardano i due Paesi vengono discusse ai massimi livelli, ad esempio durante la recente visita a Mosca del ministro della Difesa cinese Li Shangfu, che ha incontrato personalmente Putin.

Anche senza conoscere il contenuto dell’incontro, è giusto tenere conto di tutto ciò che nella fuga di notizie punta all’Ucraina.

La narrativa dell’intelligence statunitense sarebbe qualcosa del genere: abbiamo bisogno di una strategia di uscita, assolutamente, ora. Quindi i servizi segreti cinesi devono convincere i russi a congelare il campo di battaglia così com’è, una sorta di cessate il fuoco. Poi potremo riarmare Kyiv e riprendere il combattimento più tardi.

Chiunque abbia seguito gli scambi ad alto livello tra Russia e Cina negli ultimi mesi sa che si tratta, ancora una volta, di sciocchezze. Pechino potrebbe avere il suo piano di pace in 12 punti, a cui Mosca si attiene. Ma i fatti sul campo, imposti dall’arroganza degli Stati Uniti e della NATO, hanno cambiato la situazione.

E poi c’è la domanda davvero fondamentale: quando e come la Russia deciderà di attraversare il Dnepr. Solo allora Mosca sarà disposta a discutere di una possibile “pace”, e solo alle sue condizioni.

Allo stesso tempo, Mosca e Pechino sono pienamente consapevoli che la guerra per procura USA-NATO in Ucraina contro la Russia è solo una prova incorporata nella cronaca di una guerra annunciata: quella vera, la prossima, contro la Cina, con Taiwan come pretesto .

Credere che i servizi segreti cinesi assecondino volentieri i capricci dei Cinque Occhi perché credono che la Cina sia in una posizione geopolitica precaria non è nemmeno ridicolo. Eppure, è parte integrante della propaganda Think Thankland negli Stati Uniti.

È ridicolo come la narrazione di 24/7 Beltway secondo cui “la Cina sta minacciando la guerra a Taiwan” quando è l’egemone che usa Taiwan come un’Ucraina remixata, costringendo Pechino a perdere la sua pazienza taoista.

Alla fine, cosa spicca davvero di questa saga spia contro spia? Non tanto. Se non un’altra esplosione di disperazione da parte dell’Egemone.

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Il Washington Post e quel riferimento alla “battaglia apocalittica” – Davide Malacaria

“Mentre la controffensiva di Kiev s’infiamma, Washington trattiene il fiato”. Così il titolo di un articolo del Washington Post che spiega l’importanza accreditata all’operazione militare ucraina.

Infatti, “sia Kiev che i suoi sostenitori sperano nella rapida riconquista di un territorio strategicamente significativo. Un risultato più modesto susciterà negli Stati Uniti e nei suoi alleati domande scomode alle quali non sono ancora pronti a rispondere”.

Ed è infatti vero che un fallimento dovrebbe risuscitare l’ipotesi del negoziato, a oggi seppellita, ma tante sono le variabili di questo scontro che tale conseguenza non è affatto scontata.

Anche perché in ambito occidentale le voci che sostengono la necessità di negoziare sono intimidite e represse, così che non si vede chi, nel caso di un fallimento, possa brandire con forza tale prospettiva.

Riguardo quest’ultima considerazione appare istruttivo un altro passaggio dell’articolo: “Biden, Sunak e i leader degli oltre 50 altri paesi che sostengono l’Ucraina hanno espresso il loro sostegno come parte di una battaglia apocalittica per il futuro della democrazia e dello stato di diritto internazionale contro l’autocrazia e l’aggressione che l’Occidente non può permettersi di perdere”.

I maccartisti in lotta contro l’autoritarismo…

Si può notare l’ironia sottesa all’asserita lotta per la democrazia e contro l’autoritarismo, allorché tale lotta implica una censura senza precedenti delle voci dissenzienti.

Mai l’Occidente aveva conosciuto una simile costrizione, che ha un solo precedente, che però riguardava solo gli Stati Uniti e anche qui con le limitazioni del caso, ed è l’oscura stagione del maccartismo.

D’altronde era ovvio che a furia di esportare la democrazia a suon di bombe, l’idea stessa di democrazia ne risultasse vulnerata anche in patria. E che a furia di legittimare il controllo dei cittadini e delle informazioni – prima col Patriot act poi con la riduzione dei media mainstream a una funzione ancillare e la sorveglianza globale via social – tale controllo prima o poi sarebbe stato usato dai controllori per i loro scopi.

Ed è ovvio che gli ambiti che hanno brandito e imposto tutto questo, avendo incrementato a dismisura il loro potere grazie alle guerre infinite, ora impongano la loro dura legge ai sudditi dell’Impero (colonie comprese)…

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Wertheim (NYT): “A volte le storie che raccontiamo per vincere la guerra ci aiutano a perdere la pace”

“A volte le storie che raccontiamo per vincere la guerra ci aiutano a perdere la pace”. Inizia così un articolo di Stephen Wertheim pubblicato sul New York Times di ieri.

“Dopo gli attacchi dell’11 settembre – continua il cronista – gli Stati Uniti hanno deciso che il governo talebano dell’Afghanistan era colpevole tanto quanto i terroristi di al Qaeda che avevano colpito l’America. Quindi, nei successivi 20 anni ha cercato di escludere i talebani dal potere, finendo col cedere a loro l’intero paese”.

La storia che ci raccontiamo sulla guerra in Ucraina comporta analoghi rischi. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina l’anno scorso, il dibattito nelle capitali occidentali sulle origini del conflitto si è chiuso individuando una sola causa: la Russia ha preso le armi esclusivamente per spinte aggressive e imperialistiche, e le politiche occidentali, compresa l’annosa espansione della NATO, erano ininfluenti”.

[…] È difficile immaginare che in futuro gli storici possano  essere così semplicistici. Anche i tiranni non si muovono nel vuoto assoluto. Invadere l’Ucraina, il secondo paese più grande d’Europa per superficie, ha comportato enormi costi e rischi per Putin. Peraltro, prima di attaccare Kiev, in qualità di leader della Russia per più di due decenni, egli ha virato verso l’Occidente per poi andargli contro. La decisione di non ammettere nessuna responsabilità occidentale puzza di quello che gli psicologi chiamano errore di attribuzione fondamentale: la tendenza ad attribuire il comportamento degli altri alla loro natura e non alle situazioni che si trovano davanti”.

“Infatti, tante prove suggeriscono che l’allargamento della NATO nel corso degli anni ha alimentato le apprensioni di Mosca e aumentato i rischi per l’Ucraina”. E nell’articolo cita i tanti interventi pubblici di figure di primo piano dell’establishment Usa che in passato hanno ammonito sui terribili rischi insiti nell’allargamento della Nato a Est e in particolare nell’adesione ad essa di Kiev.

“Qualsiasi formula per una pace duratura deve riconoscere questa complessità”. spiega il cronista e da ciò discende che l’Ucraina deve esser tenuta fuori dalla NATO.

“[…] L’Ucraina ha bisogno di un visione vera di cosa sia la vittoria – un futuro prospero, democratico e sicuro – non della vittoria di Pirro dei sogni della NATO e delle invasioni russe. I suoi partner internazionali dovrebbero iniziare a elaborare questa visione già questa estate. È tempo di passare a una fase meno propagandistica del dibattito pubblico, che impari dal passato per plasmare il futuro”.

Abbiamo pubblicato questo testo perché non è usuale, anzi, che un media mainstream, e addirittura il NYT, pubblichi analisi che divergono dalle direttive Nato. All’Occidente serve lucidità per concludere la mattanza ucraina e gestire il futuro del Paese, ammonisce nelle sue conclusioni Wertheim. Il suo articolo e la sua pubblicazione del NYT denota che un barlume di lucidità ancora sopravvive nell’establishment d’Occidente, nonostante la follia guerrafondaia che lo ha travolto.

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Il dottor Stranamore torna a giocare con la bomba: la variabile Germania – Giuseppe Masala 

Anche Stanley Kubrick nel suo memorabile film il Dottor Stranamore fece dire ad uno dei protagonisti che il punto fondamentale in una partita a scacchi nucleare era la deterrenza come fattore principale che deve “creare nell’animo dell’eventuale nemico il terrore di attaccare”.

E dopo trenta anni dalla caduta del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica e della conseguente fine della Guerra Fredda i concetti legati ad una eventuale guerra nucleare tornano di stringente attualità. Ovviamente tutto questo è stato causato della guerra in Ucraina che vede impegnata direttamente una potenza nucleare come la Russia e indirettamente gli USA e la Nato (anche se è ormai un ardua arrampicata sugli specchi sostenere che l’intervento occidentale sia “solo” indiretto).

Per la verità ormai era da qualche anno che “la bomba” veniva rievocata nei circoli che contano e che decidono le strategie diplomatiche e conseguentemente quelle dello strumento principe della diplomazia: le forze armate. Per la precisione erano soprattutto i tedeschi ad evocarla e ad accampare pretese. Per esempio, ricordiamo nel 2019 l’alto diplomatico tedesco Wolfgang Ischinger (è stato anche ambasciatore in USA) e Chairman della Conferenza di Monaco sulla Sicurezza che si tenne dal 15 al 17 Febbraio di quell’anno che dichiarò come l’ombrello nucleare francese doveva essere messo a disposizione del “Consiglio Europeo” (1). Così allo stesso modo in più di una circostanza uno dei pesi massimi della politica tedesca come era l’allora Ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble parlava apertamente di europäischer Atomschirm, di ombrello nucleare europeo (2). In altri termini secondo Schauble la Francia avrebbe dovuto mettere a disposizione la sua forza nucleare a protezione di tutta l’Europa affrancandola così dalla tutela americana e in sostanza ridando all’Europa quella indipendenza che di fatto perse con la fine della Seconda Guerra Mondiale. Certo, Schauble nascondeva dietro la presunta europeizzazione del deterrente nucleare francese la realtà di una gestione franco-tedesca del medesimo deterrente, a meno che non si voglia credere alla favola bella dell’Europa dove Malta e la Grecia contano quanto la Francia e la Germania.

La motivazione per la quale la Germania era smaniosa di ottenere finalmente il deterrente nucleare era già negli anni scorsi evidente e ne ho parlato in più di una circostanza anche io su questa testata o se preferite, molto più autorevolmente di me ne ha parlato in varie circostanze per esempio anche Limes. La Germania aveva egemonizzato l’Europa, ribaltando di fatto le risultanze della Seconda Guerra Mondiale.  E non solo; Berlino approfittando dei mercati mondiali aperti – così come organizzati dal WTO – aveva invaso di merci il mercato americano spappolandone di fatto il tessuto produttivo e accumulando su Washington un avanzo mercantile stratosferico. Cosa questa possibile non per la maggior innovazione di prodotto e di processo tedesca rispetto agli USA ma perchè Berlino aveva spuntato dai russi prezzi dell’energia imbattibili guadagnando una competitività enorme…

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Kiev e le mappe/sogno sul collasso dell’impero russo – Ennio Remondino

Sogni pericolosi al posto di analisi, considerando che vengono dal capo dell’intelligence militare ucraina Kyrylo Budanov, che ha disegnato la mappa dei nuovi Stati liberati dall’oppressione moscovita. Le ‘terre storiche’ ucraine compresse nella Federazione Russa. Dal che, certe ‘esagerazioni ‘ del presidente Zelensky trovano qualche giustificazione. Meno la non realtà di molto ‘consiglieri politico militari’ occidentali americani  a Kiev

Il crollo della Federazione russa

«La guerra d’Ucraina ha rinnovato in molti il mai sopito desiderio di assistere un giorno al definitivo crollo della Federazione Russa che considerano l’ultimo impero coloniale ancora in piedi in questa parte di mondo», la spiegazione chiave di Mauro De Bonis su Limes. La visione, ‘disfatta dell’esercito di Mosca alla successiva disgregazione del paese più vasto del pianeta’. In attesa dell’improbabile, si inventano nuove entità statuali completamente indipendenti, oppure parti dell’ormai ex dominio assegnate a trepidanti vicini di casa. Tra i sostenitori più accaniti di quest’ultimo disegno Kyrylo Budanov, capo dell’intelligence militare ucraina (Hur).

Tifosi anti russi

Una decolonizzazione sperata di parte occidentale, con in testa gli Stati Uniti. E un piano d’azione per accompagnare e attutire ‘gli effetti della frantumazione’, inventata. Più giochi di guerra che analisi, ma questo offre la situazione. «Frantumazione che tenga conto degli interessi occidentali una volta che il colosso avrà cessato di occupare buona parte dell’Eurasia». Tra fantasia e stupidità.

Incubo atomiche russe in libertà

Il collasso della Federazione richiama scenari apocalittici per l’incerto destino dell’arsenale atomico russo, possibili lotte intestine per confini da assegnare, conflitti e avvicendarsi di leader che possono risultare anche più duri dell’attuale. E come fa notare la studiosa Marlène Laruelle, sostenerlo denota scarsa conoscenza della società russa…

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Putin e quello che davvero conta sullo scacchiere – Pepe Escobar

Strategic Culture

[Traduzione a cura di: Nora Hoppe]

 

L’incontro del Presidente Putin con un gruppo di corrispondenti di guerra russi e blogger di Telegram – tra cui Filatov, Poddubny, Pegov di War Gonzo, Podolyaka, Gazdiev di RT – è stato uno straordinario esercizio di libertà di stampa.

Tra loro c’erano giornalisti seriamente indipendenti che possono essere molto critici nei confronti del modo in cui il Cremlino e il Ministero della Difesa (MoD) stanno conducendo quella che può essere alternativamente definita come un’Operazione Militare Speciale (OMS), un’operazione antiterrorismo (CTO – “Counter-Terrorism Operation”) o una “quasi guerra” (secondo alcuni influenti ambienti economici di Mosca).

È avvincente osservare come i corrispondenti di guerra russi stiano ora svolgendo un ruolo simile a quello degli ex commissari politici dell’URSS, tutti, a loro modo, profondamente impegnati a guidare la società russa verso il prosciugamento della palude, lentamente ma inesorabilmente.

È chiaro che Putin non solo comprende il loro ruolo, ma a volte, in stile “shock”, il sistema da lui presieduto attua effettivamente i suggerimenti dei giornalisti.

Come corrispondente estero che lavora in tutto il mondo da quasi 40 anni, sono rimasto piuttosto impressionato dal modo in cui i giornalisti russi possono godere di un grado di libertà inimmaginabile nella maggior parte delle latitudini dell’Occidente collettivo.

La trascrizione dell’incontro al Cremlino mostra che Putin non è affatto incline a menare il can per l’aia. Ha ammesso che nell’esercito ci sono “generali da operetta”; che c’è una carenza di droni, di munizioni di precisione e di apparecchiature di comunicazione, che ora viene affrontata.

Ha discusso della legalità dei gruppi di mercenari; della necessità di installare prima o poi una “zona cuscinetto” per proteggere i cittadini russi dai bombardamenti sistematici del regime di Kiev; e ha sottolineato che la Russia non risponderà al “terrorismo ispirato da Bandera” con il terrorismo.

Dopo aver esaminato gli scambi, una conclusione è d’obbligo: I media di guerra russi non stanno organizzando un’offensiva, anche se l’Occidente collettivo attacca la Russia 24 ore su 24, 7 giorni su 7, con il suo massiccio apparato mediatico di ONG e soft power. Mosca non è – ancora? – pienamente impegnata nelle trincee della guerra dell’informazione; allo stato attuale, i media russi giocano solo in difesa.

 

Proprio fino a Kiev?

Probabilmente la citazione più importante dell’intero incontro è la valutazione concisa e agghiacciante di Putin sulla “nostra posizione sullo scacchiere”:

“Siamo stati costretti a cercare di porre fine alla guerra che l’Occidente ha iniziato nel 2014 con la forza delle armi. E la Russia porrà fine a questa guerra con la forza delle armi, liberando l’intero territorio dell’ex Ucraina dagli Stati Uniti e dai nazisti ucraini. Non ci sono altre opzioni. L’esercito ucraino degli Stati Uniti e della NATO sarà sconfitto, indipendentemente dai nuovi tipi di armi che riceverà dall’Occidente. Più armi ci saranno, meno ucraini e ciò che era l’Ucraina rimarranno. L’intervento diretto degli eserciti europei della NATO non cambierà il risultato. In questo caso, però, il fuoco della guerra inghiottirà l’intera Europa. Sembra che gli Stati Uniti siano pronti anche a questo.”

In poche parole: tutto questo finirà solo alle condizioni della Russia e solo quando Mosca valuterà che tutti i suoi obiettivi sono stati raggiunti. Qualsiasi altra cosa è un pio desiderio.

Tornando ai fronti, come sottolineato dall’indispensabile Andrei Martyanov, il corrispondente di guerra di prim’ordine Marat Kalinin ha illustrato in modo definitivo come l’attuale controffensiva ucraina non sia stata in grado di raggiungere nemmeno la prima linea di difesa russa (che dista ben 10 km). Tutto ciò che il miglior esercito per procura della NATO mai assemblato è stato in grado di realizzare finora è stato di essere massacrato senza pietà su scala industriale…

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Il capo della sicurezza del presidente sudafricano Ramaphosa accusa i funzionari polacchi di razzismo

L’arrivo in Ucraina della missione di pace africana è stato preceduto da una ‘spiacevole’ disavventura. Il Ministero degli Affari Esteri (MAE) della Repubblica di Polonia ha infatti reso noto che venerdì pomeriggio un volo SAA con a bordo membri della sicurezza del Presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e giornalisti sudafricani è stato trattenuto per oltre 26 ore.

“Il 15 giugno, un aereo che trasportava membri della squadra di sicurezza del presidente sudafricano Cyril Ramaphosa è stato trattenuto all’aeroporto Chopin di Varsavia. La situazione si è verificata a causa del mancato rispetto delle procedure di ingresso standard richieste dalla parte polacca”, ha dichiarato il MAE in un comunicato.

Nel comunicato veniva affermato anche: “A bordo dell’aereo c’erano materiali pericolosi che i rappresentanti sudafricani non avevano il permesso di portare. Inoltre, a bordo dell’aereo c’erano persone della cui presenza la parte polacca non era stata preventivamente informata”.

Secondo il MAE è stato fatto “ogni sforzo possibile” per preparare la visita del presidente Ramaphosa in Polonia.

“Si sono tenute tre riunioni di consultazione e i rappresentanti del Ministero degli Affari Esteri sono rimasti in costante contatto con la squadra di avanscoperta sudafricana dell’Ufficio del Presidente Ramaphosa e con l’Ambasciata sudafricana a Varsavia. La parte sudafricana è stata informata di tutte le formalità necessarie per l’ingresso della delegazione in Polonia e dei permessi di trasporto richiesti”.

La versione sudafricana è ben differente da quanto affermano le autorità di Varsavia. Il Maggiore Generale Wally Rhoode, capo della sicurezza di Ramaphosa, ha criticato le autorità polacche per aver “messo in pericolo la vita del nostro Presidente” dopo che la polizia polacca ha rifiutato di far sbarcare la scorta di Ramaphosa all’aeroporto internazionale di Varsavia.

Il Maggiore Generale Wally Rhoode ha spiegato che il presunto motivo per cui non è stato permesso al personale di sicurezza di Ramaphosa di entrare nel Paese è l’assenza di permessi per le armi, che erano trasportate nei container presenti sull’aereo…

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Delegazione di pace africana. Il portavoce sudafricano smentisce i missili russi su Kiev

E’ giunta oggi a Kiev per incontrare Zelensky la missione africana di pace, che comprende il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa e i leader di Comore, Congo, Egitto, Senegal e Uganda.

Alcuni media internazionali come Reuters e Al Jazeera hanno riferito di esplosioni nella capitale ucraina mentre la delegazione africana iniziava la missione di pace. Un allarme aereo è stato diramato nella capitale ucraina e in tutta la regione proprio mentre il gruppo si apprestava a partire a far partire la visita.

L’allarme è stato diramato dopo che l’aeronautica ucraina ha dichiarato che diversi missili russi Kalibr erano stati lanciati dal Mar Nero e si stavano “dirigendo a nord” verso Kiev.

L’amministrazione militare di Kiev ha poi dichiarato che le forze ucraine hanno messo in azione i sistemi di difesa aerea fuori dalla capitale e ha esortato i residenti a rimanere nei rifugi.

La versione di questi media – rilanciata in Italia dall’inviato del Tg1 – è stata però nettamente smentita dal portavoce del presidente sudafricano, Vincent Magvenya. Questi tramite il proprio profilo Twitter ha riferito che la missione africana non ha sentito esplosioni o sirene a Kiev dopo la dichiarazione di allarme aereo…

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