Tre poeti per Gaza, ieri e oggi

poesie di Gianni Mascia, Alberto Masala, Sandro Sardella

Stabat Mater – Gianni Mascia
Stava Maria, Mater addolorada, a Gaza.
Tristezza nelle viscere, pietre nel cuore,
nelle penombre di vespro che s’arrossano,
come carne insanguinata, appena martoriata,
nell’ora d’un segno di croce, a denti stretti,
senza preghiere e senza nemmeno un sospiro,
né una stilla d’acqua santa a benedire
l’ultimo momento, l’ultimo canto funebre.

Stava Maria, madre di dolore, a Gaza.
Ribolle la terra nel vuoto del nulla,
mentre lontano rimbomba feroce la voce
del fragore di mura in caduta, sbrecciate,
che suonano nei sogni di polvere malvagia,
di notti che repentine rotolano nelle rovine,
nel singhiozzare del pianto di un bimbo ferito
che beve le lacrime salate dell’amarezza,
che piovono come un fiume d’Inverno, tsunami,
dalla bocca spalancata del cielo gonfio, grigio,
color di Piombo Fuso, che vomita l’anima
nei suoni dell’abbandono e della disamistade
che sono la sinfonia dell’odio e della tirannia.

Stava Maria, Mater addolorada, a Gaza…
Era lì, a Gaza, stava a Kabul, in Sierra Leone,
in ogni dove e in ogni quando riluca il dolore,
in ogni dove e in ogni quando alberghi la follia
e l’uomo si strafoga di quel sangue innocente
consolato solo dal canto di labbra di luna.
da qui

 

 

 

A Gaza – Alberto Masala

Questo testo può apparire debole e rinunciatario – ma rappresenta la mia condizione di impotenza attuale rispetto a come l’occidente sta gestendo l’arroganza e la falsità delle tesi israeliane: un regime teocratico e sanguinario, violento e determinato allo sterminio, che non ha nessuna opposizione da parte dei governi “occidentali”. Davanti a ciò che succede a Gaza sono disperato e impotente: oggi non potevo scrivere un testo differente da questo, anche se avrei voluto farlo.

da qui

 

 

GAZA CITY – RASA DISCANTO – Sandro Sardella

“Mentre in lontananza rombava il tuono dell’artiglieria,

noi incollavamo, recitavamo, componevamo versi e

cantavamo con tutta l’anima. Eravamo alla ricerca di

un’arte elementare che pensavamo avrebbe salvato

l’umanità dalla furiosa follia di quei tempi.

Aspiravamo a un nuovo ordine che potesse ristabilire

l’equilibrio tra il cielo e l’inferno.”

(Jean Arp)

il cuore ha tremato

il flusso dell’indecente ha forzato

un occidentale quotidiano consumonarcotizzato

il cuore tuo

cara amica

ha tremato

inquietato da

piccoli occhi interrogantimpauriti

acceso da

grida e pianti

scosso da

un’indifferenza devastante

fiamme sulla spiaggia di Gaza city

la corsa delle ambulanze è breve

l’assedio resta in piedi

inascoltato

feroce

sterminatore

i bimbi saltano e giocano

in un sole traballante

la palla

vola

galleggia

oltre

idee di pietra e cementi

le olive cadono premature e marce

come cani da caccia

si sparpagliano

cacciatori investiti

di un qualche valore spirituale

s’ingozzano

fanno il bagno

fanno pulizia

lo sguardo fisso nel vuoto

dove un boato ha lasciato

indelebile la sua impronta di

polveri urla e brandelli di cielo

la cena fumò e bruciò

tra i detriti delle stanze

sopra il balcone nuovo

mani e voci

le luci e la baia

la sabbia ha un buon sapore

oltre la marea

l’odore del mercato

ascoltando le sirene

di una fragile tregua

ancora quando

piove piombo

e dalle colline aride

appena pomeriggio

carrarmati e blindati

senza limiti di tempo

sversano

un fuoco biblico

per purificare la terra

per avere sicuro e largo dominio

corpi caldi e umidi

impolverati

le donne urlano

agli aerei in cielo

un incalzante lamento

si sparge

a ritmo infuocato

tra mura e carni sfarinate

la polvere fluttua

fumo che vomita

rumori di vita

soleggiati e sparati

è un luglio di giudizio

inesorabile

irrefrenabile

ne sentiamo l’odore

il vento asciuga umori

dentro fiori invisibili

le conchiglie stridono

sullo schermo

il grido della carne

s’infrange

s’affoga

come sopportare quel cielo

queste notti arrossate

questa bestiale propaganda

questa mia impotenza

e parliamo

cara amica

di occupazione

di genocidio

di infinite ingiustizie

di vergognose complicità

di indignazione

di

di

di

e guardiamo

gli aquiloni estivi

agitarsi nel cielo

sopra teste resistenti

nel luglio fuoco di Gaza city

le tue lacrime

macchie di sole

dentro voci di campane rotte

redaz
una teoria che mi pare interessante, quella della confederazione delle anime. Mi racconti questa teoria, disse Pereira. Ebbene, disse il dottor Cardoso, credere di essere 'uno' che fa parte a sé, staccato dalla incommensurabile pluralità dei propri io, rappresenta un'illusione, peraltro ingenua, di un'unica anima di tradizione cristiana, il dottor Ribot e il dottor Janet vedono la personalità come una confederazione di varie anime, perché noi abbiamo varie anime dentro di noi, nevvero, una confederazione che si pone sotto il controllo di un io egemone.

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