Ucraina nella UE e Julian Assange verso l’inferno

articoli e video di Noam Chomsky, Alberto Barbieri, Giorgio Gallo, Antonio Mazzeo, Nunzio d’Erme, Antonia Sani, Rocco Artifoni, Guido Viale, Fabio Massimo Parenti, Mehmet Perinçek, Fabrizio Verde, Vijay Prashad, Piccole Note, Andrea Zhok, Vittorio Rangeloni, Vincenzo Costa, Enrico Galavotti, Gregorio Piccin, Storia Segreta, Paolo Ferrero, Francesco Masala, Alessandro Marescotti, Sandro Moiso, MIR Italia, Europa per la pace, Gerardo Femina, Fulvio Scaglione, Alberto Negri, papa Francesco, Enrico Campofreda, Mauro Biglino, Alice Walker, Daniel Ellsberg

 

 

“Una giornata buia per la libertà di stampa”

…A sua volta, WikiLeaks ha dichiarato sul suo account Twitter che questo è “un giorno oscuro per la libertà di stampa e per la democrazia britannica” e ha aggiunto che “chiunque in questo Paese tenga alla libertà di espressione dovrebbe vergognarsi profondamente che il ministro della L’interno ha approvato l’estradizione di Julian Assange negli Usa”.

L’organizzazione mediatica internazionale ha sottolineato che il suo fondatore “non ha commesso alcun crimine e non è un criminale”, sottolineando che Assange “è un giornalista e un editore ed è punito per aver svolto il suo lavoro”.

“La strada per la libertà di Julián è lunga e tortuosa. Oggi non è la fine della lotta . È solo l’inizio di una nuova battaglia legale”, ha affermato WikiLeaks, aggiungendo che il prossimo ricorso sarà dinanzi all’Alta Corte. “Combatteremo più forte e grideremo più forte per le strade, organizzeremo e faremo conoscere a tutti la storia di Julian”, ha concluso.

Nel frattempo, Edward Snowden, un ex agente della US National Security Agency e della CIA, che nel 2013 ha rivelato l’esistenza di massicci programmi di spionaggio elettronico nel paese nordamericano, ha twittato che l’estradizione di Assange “è un simbolo atroce fino a che punto gli inglesi e l’impegno dei governi americani per i diritti umani è svanito. “È difficile da credere, ma sembra reale . Ogni serio gruppo per la libertà di stampa nel mondo ha protestato”, ha scritto, chiedendosi: “Come possiamo condannare abusi autoritari all’estero in questo modo?”…

da qui

 

 

NOAM CHOMSKY, DANIEL ELLSBERG E ALICE WALKER SU ESTRADIZIONE DI ASSANGE
“È un giorno triste per la democrazia occidentale. La decisione del Regno Unito di estradare Julian Assange nella nazione che ha complottato per assassinarlo – la nazione che vuole imprigionarlo per 175 anni per aver pubblicato informazioni veritiere nell’interesse pubblico – è un abominio.
Ci aspettiamo che gli autocrati più disprezzati del mondo perseguitino giornalisti, editori e informatori. Ci aspettiamo che i regimi totalitari manipolino il loro popolo e reprimano coloro che sfidano il governo. Non dovremmo aspettarci che le democrazie occidentali si comportino meglio?
Il governo degli Stati Uniti sostiene che la sua venerata Costituzione non protegge il giornalismo che il governo non ama e che la pubblicazione di informazioni veritiere nell’interesse pubblico è un atto sovversivo e criminale. Questo argomento è una minaccia non solo per il giornalismo, ma anche per la democrazia stessa.
Il Regno Unito ha mostrato la sua complicità in questa farsa, accettando di estradare uno straniero sulla base di accuse motivate politicamente che crollano sotto il minimo controllo”.

 

 

Problemi di calendario ortodosso? – Francesco Masala

 

I russi hanno fatto un errore, nel fare un’invasione, una guerra o un’operazione speciale in un anno sbagliato.

Prendete il 2001 invasione della Nato in Afghanistan, ottima annata per un’invasione, i russi erano distratti?

Prendete il 1983, invasione degli Usa a Grenada, ottima annata per un’invasione, i russi erano distratti?

Prendete il 1991, invasione dell’Iraq e operazione speciale degli Usa ad Haiti, ottima annata per le invasioni, ma i russi erano distratti.

Prendete il 1989, invasione degli Usa a Panama, ottima annata per un’invasione, ma i russi erano distratti.

 

 

Missioni di pace: negli ultimi tre anni le forze statunitensi hanno partecipato ad azioni militari in circa 85 paesi.

 

 

Quando la Gran Bretagna credeva di essere il centro del mondo dicevano: “Nebbia sulla Manica. Il continente è isolato”, esattamente come adesso qualcuno dicono gli imperialisti occidentali: la comunità internazionale è contro la Russia.

 

 

Dopo le liste dei filoputiniani a quando le liste dei filozelenskiani?

I filozelenskiani sono quelli che vogliono la guerra con le armi occidentali (per interposto soldato) fino alla vittoria (ancora non sanno di chi), vogliono ammazzare tutti i soldati russi, e anche i civili che sono in mezzo non fanno una bella fine (capita anche questo), non si chiedono a cosa servono i biolaboratori che anche il Pentagono riconosce, e tante altre cose.

 

 

Dopo il massiccio invio di armi dalla Gran Bretagna, per ammazzare più russi possibili, qualche combattente inglese viene condannato a morte in Russia. La prima cosa è buona e giusta, la seconda un orrore, ci dicono. Gli amici di Boris Johnson sono intoccabili? I russi si fottano? Forse è solo la guerra, di merda come tutte.

 

 

E quando sarà la volta dei soldati usa (chiamati per comodità volontari) quale sarà l’iniquo rapporto di (s)cambio con prigionieri russi deciso dagli imperialisti lingua inglese?

 

 

Quattro ipotesi per un accordo di pace

Se la Russia sarà sconfitta ce la fottiamo noi

Se l’Ucraina sarà sconfitta allora si torna al 23 febbraio e si accolgono alcune richieste della Russia per evitare la guerra, la Russia dovrà mettere i soldi per ricostruire l’Ucraina, si fa finta che niente sia successo.

Si fanno piangere Zelensky e le mogliettine dei nazisti nei parlamenti europei e a Porta a porta, tentando la strategia del chiagne e fotte.

“Chi ha avuto, ha avuto, ha avuto, chi ha dato, ha dato, ha dato, e non ci scordiamo il passato”, così dice la Russia, “Scordiamoci il passato”, dice l’Ucraina, le scommesse sono aperte.

 

 

Quando la magistratura europea, in qualche paese, giudicherà i governanti europei per strage, in Ucraina? O come negli stati uniti la colpa non è mai di chi produce, e offre le armi a chi le utilizza? Tanto i morti non possono protestare.

 

Pare che una parte importante dell’Ucraina sia stata distrutta (e non è finita) grazie alle armi occidentali, pagate dai contribuenti europei. Dicono adesso che l’Ucraina sarà ricostruita, più bella che pria.

Ma non con i soldi di Zelensky e dei suoi amici oligarchi nei paradisi fiscali, gli unici contro i quali una guerra senza prigionieri sarebbe santa, no, la ricostruzione dell’Ucraina la pagheranno i contribuenti europei (e italiani).

Spendiamo per distruggere, spendiamo per ricostruire, cose da premio Nobel per l’economia.

Dei geni dell’economia, della diplomazia, della politica, della transizione ecologica, dei virus, della sanità ci governano. Se qualcuno crepa perché le liste d’attesa per un esame medico o un’operazione sono di almeno due-tre anni (ma andrà peggio, ma siamo certi) non sarà un caso, sono cazzi suoi che non ha 300 o 500 euro cash, pezzente, per un ospedale privato, o per le corsie preferenziali non convenzionate.

È davvero difficile trovare tanti errori, incompetenze e corruzione morale di tanta intensità e concentrati nel tempo.

L’oblio, dopo un bel processo, li seppellirà.

 

 

 

dice papa Francesco:

Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi.

 

 

 

 

 

Università Brown. Le invasioni militari Usa hanno prodotto 37 milioni di sfollati

 

Le operazioni militari statunitensi nel mondo, dopo gli attacchi dell’11 settembre, hanno avuto un impatto devastante su 85 paesi.

Un nuovo studio condotto da ricercatori del Watson Institute della Brown University (Stati Uniti) rivela che, solo negli ultimi tre anni, le forze statunitensi hanno partecipato ad azioni militari in circa 85 paesi.

Il rapporto, pubblicato ieri dal quotidiano locale USA Today, rivela che le truppe statunitensi hanno partecipato in operazioni di “antiterrorismo” in 79 paesi, effettuato esercitazioni militari in 41, partecipato a combattimenti in 8 ed effettuato attacchi aerei in 7, compresi Iraq. Afghanistan e Yemen

Nelle offensive militari statunitensi dopo l’11 settembre (2001), sono stati uccisi un totale di 335.745 civili, 259.783 miliziani, 177.073 militari statunitensi, 12.468 soldati alleati e 7.104 agenti.

Allo stesso modo, la ricercatrice Stephanie Savell in uno studio per il progetto ‘Costs of War’, dell’Università di Brown, rivela l’incredibile costo umano che le invasioni militari di questo paese hanno avuto in tutto il mondo, uccidendo centinaia di migliaia di persone oltre a provocare 37 milioni di sfollati.

Queste invasioni militari, iniziate con l’Afghanistan e l’Iraq all’inizio del millennio, sono costate ai contribuenti statunitensi circa 6,4 trilioni di dollari.

Secondo i dati offerti dal Dipartimento della Difesa statunitense e anche da esperti indipendenti, fino alla fine della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano meno di 80 basi militari all’estero, tuttavia il numero è ora salito a 800.

Se paragonato al numero di basi militari in Cina, principale rivale degli Stati Uniti e una delle maggiori economie mondiali, che, al contrario, ha un’unica base militare all’estero, in Africa orientale, che testimonia il motivo per cui gli Stati Uniti sono conosciuti come il “gendarme del mondo”.

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Tre briganti e tre somari a Kiev: quelli vogliono armi non frottole – Alberto Negri

 

Macron, Scholz e Draghi sono a Kiev per convincere gli ucraini a farla finita, non essendo riusciti, per mesi, a convincere Putin. Presso chi combatte, su qualunque fronte, la loro credibilità è zero. Perché zero è anche la credibilità, da decenni, dei cittadini europei che rappresentano. Chiedetelo ai curdi, ai palestinesi, agli yemeniti, ai siriani. Una visita che comunque esalta il profluvio televisivo di una retorica indigeribile.

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Qui Mauro Biglino fa alcune considerazioni, verso la fine del video, relativa a Ucraina e Palestina

 

 

 

LISTE DI PUTINIANI E VERI PROBLEMI – Fulvio Scaglione

 

Chiedo scusa a tutti quelli coinvolti ma le varie e ormai famose “liste dei putiniani”, al netto delle miserie giornalistiche, sono una vera fregnaccia. Ci sono, per quanto riguarda l’informazione e la propaganda, problemi ben più seri di cui occuparsi. Faccio una premessa personale: ho scritto spesso, fino alla vigilia dell’invasione russa in Ucraina, che non ci sarebbe stata alcuna guerra. Era l’epoca in cui moltissimi, me appunto incluso, pensavano (io ancora lo penso) che una guerra sarebbe stata (anche) contro gli interessi della Russia e che per questo un leader razionale e cinico come Vladimir Putin non l’avrebbe intrapresa.  Lo scrivevo in settimane in cui a dirlo e ripeterlo, oltre a tantissimi ucraini e russi, c’erano anche osservatori più o meno insigni e, per fare solo un paio di nomi, leader politici come Macron (“Non ci sarà alcuna escalation militare”, disse il presidente francese dopo la visita a Mosca) e Volodymyr Zelensky. Previsione sbagliatissima, come si vede.

C’è però un’enorme differenza tra sbagliare una previsione e distorcere i fatti. Perché di questo dovremmo occuparci, altro che delle liste dei putiniani. Per tre mesi il sistema mediatico italiano ci ha raccontato una guerra in cui i russi, crudeli e imbecilli, non ne azzeccavano una e venivano ridicolizzati e massacrati sul campo dagli ucraini. Ci è stato detto e ripetuto che le armi occidentali avrebbero spezzato le reni ai russi. Che Putin sarebbe stato presto spodestato dalle contestazioni, da un golpe o da una malattia. Che Putin non sapeva più quale ministro (Shoigu, quello della Difesa) o comandante (quello di stato maggiore Gerasimov, quello delle operazioni sul campo Dvornikov) silurare. Che le sanzioni avrebbero ridotto la Russia a pezzi. Tutto può ancora succedere. Ma dopo tre mesi la realtà è una sola: la Russia, che PRIMA della guerra controllava (tra Crimea e Repubbliche del Donbass) il 7% del territorio ucraino, OGGI ne controlla più del 20%. Le armi occidentali stanno finendo e quelle russe no. Le sanzioni colpiranno ma per ora non bastano a fermare la Russia. Putin sembra saldo in sella. E per dirla tutta, Zelensky e i suoi sembrano invece sull’orlo della disperazione.

Altro che quattro veri o presunti putiniani. Truppa in cui peraltro ogni tanto gli zeloti in cerca di visibilità e collaborazioni provano ad arruolare a forza e a mettere nelle liste anche rispettabilissimi personaggi come Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, o Lucio Caracciolo, direttore di Limes, colpevoli solo di essere un poco più intelligenti della marmaglia. È di tutto il resto che dovremmo preoccuparci.

Ma se a pontificare su Ucraina e Russia ci sono gli stessi (e con gli stessi argomenti) che nel 2003 pontificavano su quanto fosse bella e buona l’invasione dell’Iraq, un problema ci sarà o no? Se il 95% di quelli che partecipano ai talk show non sono mai stati in Ucraina, un problema ci sarà o no? Se il 99% di quelli che ce la spiegano non sono mai stati in Ucraina negli anni Novanta, e non hanno quindi visto il nazionalismo montante a Ovest e l’eredità sovietica vivissima a Est, un problema ci sarà o no? Se il 90% di quelli che “raccontano” la Russia oggi non sono mai usciti da Mosca, e quando sono a Mosca parlano (quando va bene) solo con i circoli della borghesia liberale e occidentalizzata, è un problema o no? Se la stampa italiana per mesi ha riportato come se nulla fosse le notizie selezionate dalla stampa ucraina, cioè dai media di un Paese che già prima della guerra era al 106° posto (su 180) nella classifica della libertà di stampa, dove le Tv dell’opposizione venivano chiuse per decreto (7 in un anno e mezzo) e dove dall’inizio dell’invasione russa tutti i media (comprensibilmente) sono stati di fatto accorpati in un solo organismo alle dipendenze del Presidente e dei suoi collaboratori, un problema l’abbiamo o no? Se uno che va nel Donbass è ipso facto “putiniano” e uno che che ha passaporto americano, casa e incarichi retribuiti negli Usa è un osservatore obiettivo, un problema ce l’abbiamo o no?

Che il sistema mediatico abbia deciso di schierarsi per la vittima contro l’aggressore, per il piccolo contro il grande, insomma per l’Ucraina contro la Russia, peraltro in perfetta coincidenza con il mandato politico di un premier che fin dal primo discorso disse che l’ancoraggio agli Usa e alla Ue era per l’Italia fondamentale, ci sta pure. Ma che il risultato reale, a prescindere dagli schieramenti, sia un’inaffidabile pseudo-informazione è sotto gli occhi di tutti. Per cui, delle liste dei presunti “putiniani” bisogna altamente fregarsene. Al massimo considerarle per ciò che sotto sotto sono, cioè un modo per buttare la palla in tribuna, per parlar d’altro, per mimetizzare il clamoroso scollamento tra la realtà e la sua narrazione.

da qui

 

 

 

Che cosa pensano gli ucraini della guerra? Una testimonianza fuori dal coro –

Europa per la pace – Gerardo Femina

Abbiamo intervistato come Europa per la Pace un italiano che vive in Ucraina e che per motivi di sicurezza preferisce rimanere anonimo. Molto ben informato sugli avvenimenti, ci mostra la grande necessità di pace che ha la gente e a chi finiscono gli aiuti umanitari dell’Occidente..

Lei vive in una zona dell’Ucraina non colpita direttamente dalla guerra. Come si svolge la vita quotidiana?

Prima una precisazione dovuta e necessaria: nessuno qui è russofono o pro-Putin. Si sa che Putin è un “dittatore”. Tutti qui amano l’Ucraina e vogliono la pace.

In questa zona, centro e ovest del paese, la guerra la si sente solo via televisione e via radio. Ogni tanto passa un aereo e poche volte lo si vede a bassa quota. Sappiamo di strutture militari colpite dai missili russi, ma non abbiamo mai percepito un reale pericolo. La guerra, quindi, ha agito nella quotidianità esclusivamente negli aspetti dell’economia famigliare e lavorativa. Ad esempio, il carburante viene razionato (5 litri al giorno per ogni mezzo) e spesso viene a mancare per più giorni. La fila per fare benzina a volte dura qualche giorno, perché il distributore finisce quanto ha a disposizione in prima mattinata e le auto vengono lasciate al loro posto in attesa dell’arrivo delle cisterne. Questo vuol dire che non c’è carburante per spostarsi in auto se non in casi di estrema necessità, ma soprattutto non c’è carburante per i trattori, per le barche, per i camion, per gli autobus locali (ridotti a uno al giorno mentre prima ce n’erano otto). Da questo punto di vista la forza lavorativa è decimata.

Le scuole hanno lavorato con lezioni via Internet per tutto l’anno per via del corona virus e hanno proseguito così durante questi mesi di guerra. Ieri era l’ultimo giorno per molti studenti e le cerimonie scolastiche si sono tenute come se non ci fosse una guerra in corso.

I prezzi dei beni sono raddoppiati da circa due mesi. Talvolta mancano sale e farina. Ci sono giorni in cui gli alimentari sono semi vuoti, altri in cui tornano alla normalità.

Il vero problema sociale è il lavoro. La guerra in questa zona ha creato un problema di occupazione. L’incertezza sul futuro ha di fatto ridotto gli investimenti e aumentato la chiusura di molte attività. Se poi si aggiunge che molti uomini sono stati precettati per il servizio militare, dal punto di vista sociale il risultato è disastroso.

Tuttavia tutti si danno da fare e ciascuno fa la sua parte. La vita procede normalmente. I bar, alcuni ristoranti e il cinema sono talvolta aperti. La domenica i mercati pullulano di gente. La discoteca è aperta venerdì e sabato. Si è più poveri e c’è meno cibo sul tavolo di casa a cena. In questo senso si è consapevoli che il Paese è in guerra.

Ma quindi gli aiuti dall’Europa non sono arrivati?

Sono arrivati, ma al mercato nero, non alla popolazione. Molti beni alimentari mandati dall’Europa sono in vendita presso i negozi, o al mercato rionale. La pasta Barilla, ad esempio, si vende invece di essere fornita a chi ne ha bisogno. Lo stesso vale per i vestiti inviati in questi mesi: salvo rari casi, sono tutti in vendita presso le bancherelle. Nessuno ha organizzato la distribuzione e messa in sicurezza dei beni inviati e il resto si spiega da solo.

Neanche il governo ha inviato aiuti in queste zone. Molti ospedali sono senza personale. Non c’è stato alcun aiuto sociale per le famiglie, nemmeno per quelle che hanno i propri cari al fronte per difendere il Paese. Molti militari arruolati negli ultimi tre mesi non hanno ancora percepito il promesso pagamento mensile. Molti si chiedono dove sono finiti i fondi di solidarietà inviati dal mondo. Di certo non alle famiglie o ai militari. Tutti si domandano: dove sono finiti i fondi europei? Dove finiscono gli aiuti umanitari? A chi vanno?

I militari al fronte si lamentano della mancanza di armi e munizioni, con video sinceri sui social liberi da propaganda. Nella nostra zona non tutti gli uomini sono stati precettati perché mancano fucili e tutto quello che servirebbe per farne militari da mandare al fronte. Mancano anche le divise. Dunque, la domanda è: dove sono tutte le armi fornite dall’Occidente? Dove finiscono i miliardi di sostegno a favore del riarmo dell’Ucraina? Per la sua difesa? Perché a livello militare, possiamo dire senza errore che nulla è migliorato se non per le armi specializzate (cannoni, mitragliatrici, razzi e droni). Chi e come gestisce i fondi per i militari? Queste sono domande da farsi e a cui dare risposta quanto prima. Lo dicono tutti i cittadini di questa regione.

Quali sono i commenti della gente comune riguardo alla guerra?

In questa zona, fin dall’inizio della guerra la maggioranza dei cittadini era contraria al modo in cui il governo ha agito. Durante le prime settimane c’erano incredulità e paura, poi si è passati alla rabbia. Questo perché la maggioranza dei cittadini, patrioti che amano questo Paese, non comprende la necessità di una guerra nata per l’ingresso nella NATO e per un territorio a sud che poteva benissimo essere gestito quale regione speciale russofona. Molti sono contrari alla NATO e ricordano il bombardamento della Serbia. Tantissimi sanno che nel paese la cultura russa è parte integrante della sua struttura: basti pensare che nelle università di Kharkiv le lezioni sono in russo, non in ucraino. La forzatura compiuta da parte del governo attuale è per la maggioranza una cosa incomprensibile e nefasta.

Molti non credono che la Russia voglia conquistare il Paese. Il buon senso dice che se avesse voluto farlo, avrebbe preso subito Kiev e Odessa, bombardandole senza pietà. Invece, tutti comprendono che la Russia cerca di fare pochi danni (se non nelle zone di guerriglia del sud) e pochi morti fra i civili innocenti. È sotto gli occhi di tutti quelli che vivono qui. Le guerre che ricordano i vecchi erano ben diverse.

La gente comune vuole la pace con la Russia. La vuole alleata. Vuole che l’Ucraina resti neutrale riguardo allo scontro Russia/NATO. La gente comune vuole un accordo che preveda il suo ingresso in Europa, ma non nella NATO (che vede come una iattura). La gente comune vuole vivere in pace e far crescere questo Paese, che negli ultimi anni è rimasto al palo in quanto a infrastrutture, libertà di pensiero e lotta alla corruzione (che ha raggiunto livelli mai visti negli ultimi vent’anni).

Oltre alle persone che appoggiano le scelte del presidente Zelensky, esiste anche un’opposizione?

Sì, esiste. Circa un mese fa esisteva anche una stazione radio clandestina che si opponeva alle scelte del governo. Era molto seguita, perché su tutti i canali statali le notizie e le informazioni sono centralizzate dal governo. Questa stazione da circa dieci giorni è svanita. Per fare un esempio importante: i media dicono quanti soldati russi sono morti e quanti mezzi militari russi sono stati distrutti, ma nessuno sa quanti soldati ucraini hanno perso la vita e qual è la situazione dei mezzi di difesa.

Esistono molteplici canali Telegram che sono gestiti da cittadini ucraini, chiaramente di opposizione. Hanno un coraggio enorme, poiché negli ultimi mesi alcuni di loro sono stati arrestati e condannati.

A quali informazioni possono accedere i cittadini? Canali televisivi, Internet…

I canali televisivi sono stati unificati. Tutte le notizie vengono gestite e fornite da un unico canale governativo, via etere e via Internet, che funziona in quasi tutto il territorio. Grazie alle reti private virtuali si possono però ottenere informazioni anche da altre fonti, comprese quelle russe.

Uno dei motivi con cui la Russia giustifica l’intervento militare è la reazione alle violenze contro la popolazione russa in Ucraina che andrebbero avanti dal 2014. Questo è stato un argomento di dibattito durante questi anni?

Certamente, specialmente fra i più giovani, che usano Internet e si informano su canali non strettamente governativi. Come ho già accennato, molti si chiedono il motivo di tanto astio nei confronti delle zone del Donbass. Quasi tutti i Paesi, compresa l’Italia, hanno aree del proprio territorio dove, dopo la Seconda Guerra Mondiale, ci sono minoranze (o maggioranze) di cultura diversa da quella indicata sulle mappe geografiche. Sono tutelate con leggi speciali e hanno statuti che le rendono zone importanti per il Paese stesso.

Dal 2014 c’è stato un crescendo di propaganda di estrema destra nelle scuole e nelle università. Posso testimoniare personalmente questo fatto. Si è cercato di creare un clima avverso alla cultura russa e in generale a favore del nazionalismo e della “razza ucraina”. Questo termine può sembrare ridicolo, ma non per chi ha conosciuto il nazismo del 1940. La televisione non ha mai parlato delle violenze nel Donbass e quando lo ha fatto ha sempre definito “terroristi” coloro che non erano militari ucraini, ma semplici cittadini. Le violenze di Odessa e altre non sono mai state realmente trattate dalla stampa, se non da pochi oppositori che lentamente sono usciti dalla scena mediatica ufficiale.

Al dibattito fra i cittadini, quindi, non ha fatto eco un dibattito politico aperto e franco, anzi. Come si può vedere in questi mesi, chiunque la pensi diversamente dal governo in carica viene “marchiato” con termini che insultano la libertà e la democrazia. Tutti i gruppi politici non allineati con il Presidente in carica sono stati chiusi con la forza e spesso anche minacciati.

Vorrei sottolineare con forza e fermezza due cose: non è propaganda il fatto che è una forza di estrema destra a guidare il Paese, in tutte le sue forme; non è propaganda il fatto che dal 2014 questo Paese è rimasto com’era prima, ma con forti pressioni a svendersi a offerte finanziarie provenienti dai Paesi europei e dagli Stati Uniti. Sono fatti inconfutabili, specialmente per chi vive e lavora qui, a prescindere dal credo politico. Io non sono di “sinistra” e non sono “comunista” e posso affermare con certezza quanto sopra.

Tra gli ucraini che conosce, alcuni sarebbero disposti a cedere territori alla Russia pur di far finire la guerra?

Certamente. Come ho detto prima, la maggioranza è convinta che la guerra andava evitata trovando un accordo per uno statuto speciale delle zone russofone del Donbass. Ora la maggioranza è stufa di questa guerra che assume sempre più i connotati di una guerra nel nome degli Stati Uniti contro la Russia, per mano del proprio Paese. Per tutti la domanda base è: che senso ha? Come si fa a pensare di poter vincere contro la Russia? Quanti giovani dovranno ancora morire per un inutile capriccio politico?

Da quanto si sente in queste settimane un numero crescente di famiglie crede che sia ora di fermare le ostilità e concedere alla Russia quanto conquistato, magari con un patto che salvaguardi Odessa e quanto è rimasto di ucraino al sud.

Ci sono immigrati extracomunitari nella sua zona? Come vengono trattati dal governo?

Non ho informazioni al riguardo. Tuttavia, posso affermare che in tutta l’Ucraina Il razzismo nei confronti degli extracomunitari viene “insegnato”. Anche in tempo di pace la presenza di extracomunitari era pressoché minima se paragonata a quella in altri paesi dell’Est Europa.

Rispettiamo la sua scelta di rimanere anonimo. Sarebbe davvero pericoloso per lei se si sapesse di questa intervista?

Direi proprio di sì. Chiunque fornisca informazioni diverse da quelle gestite dal governo (e dai suoi uffici), può essere rintracciato, interrogato e accusato di alto tradimento, anche per aver detto o scritto su Facebook che mancano il sale e la farina nei negozi. Una coppia di amici ucraini è stata presa e portata via per quasi sei giorni, solo per aver scritto sui social la verità: manca il carburante e non possiamo andare al funerale di nostro nonno che viveva a 200 km da Kiev.

Non ho paura dei cittadini, con i quali si parla apertamente. Ho paura dei militari e dei servizi del governo in carica.

La ringrazio per questo spazio e per il lavoro che svolge. La pace viene sempre al primo posto. E la pace si ottiene tramite mediazioni, negoziati, concessioni e un atteggiamento nettamente contrario alla guerra in ogni sua forma. Tutto ciò purtroppo qui non c’è stato.

da qui

 

 

 

Volodymyr, il culturista – Enrico Campofreda

 

Sempre più tonico, oltre che tronfio, il premier guerrafondaio del popolo ucraino Volodymyr Zelensky, incontra i potenti del mondo occidentale in T-shirt attillata e bicipiti gonfi. Nei centoquattordici giorni di guerra che il suo esercito combatte contro l’invasore russo, il primo cittadino di Kiev accanto ai proclami lanciati via etere, cavo o in presenza davanti a chi va fargli visita, prospettandogli ogni sorta d’aiuto, trascorrerà il suo temo – così immaginiamo – a esercitarsi con manubri e bilanciere in una ‘palestra di guerra’ messa su nel rifugio istituzionale. E’ che dalle prime apparizioni, non tanto quelle sugli schermi in cui impersonava il “Servitore del popolo”, ma le successive del febbraio scorso che lo facevano militante-servitore-militare, abbigliato in verde mimetico, sfoggiava possanza muscolare mostrandosi in maglietta anche in pieno inverno. E’ vero che le riprese si facevano al chiuso, che il metano moscovita ancora circolava verso sud e riscaldava certi ambienti, almeno quelli istituzionali, ma i curatori d’immagine cui s’accompagna da tempo già gli suggerivano la divisa del combattente nella versione rassicurante del bel ragazzone tutto  cuore, coraggio e muscoli. Le prime due virtù si conservano intonse, la muscolosa mascolinità sembra accresciuta. Forse, accanto a truccatori, suggeritori, gost-writer, il buon Volodymyr godrà delle tabelle d’un personal trainer periodicamente attento a indicargli serie e ripetizioni per aumentare la massa di biceps et triceps. E con essi la solidità della sua immagine di statista di strada, uomo col fisicaccio, ben diverso dagli abatini, giovani e meno, interlocutori nei pellegrinaggi al suo cospetto. Nel mito americano e hollywoodiano probabilmente alla base dell’immaginario di Vol  dal momento della folgorazione per la finzione scenica e la politica, e la politica vissuta quale finzione scenica, tutto sta procedendo secondo i piani. Purtroppo il popolo che rappresenta gli si affida nella deriva guerrafondaia senza sbocchi. Un risultato, comunque, lo consegue. Avere sbriciolato il mito macho del russo più russo: Vladimir Putin. Le cui cavalcate, l’hiza guruma, i tiri d’hockey ghiaccio e quelli al piattello sono robetta da ex atleta che vive di ricordi. Sul fisico – che sempre conta – il Vladimiro ucraino batte quello russo due bicipitoni a zero. E avanti con applausi e armi.

da qui

 

 

 

Appello: Dare protezione per disertori e obiettori di coscienza da Russia, Bielorussia e Ucraina

 

In un appello congiunto ai membri del Parlamento europeo e dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, un’ampia alleanza della società civile di 20 Paesi ha chiesto ai governi europei di concedere protezione e asilo agli obiettori di coscienza e ai disertori russi, bielorussi e ucraini. Hanno bisogno di protezione e asilo immediati.

Secondo il diritto internazionale, i militari e le donne che combattono per la Russia in questa guerra stanno conducendo un’operazione illegale. Inoltre, è possibile che la Bielorussia partecipi alla guerra al fianco della Russia. Le persone che si rifiutano di partecipare alla guerra saranno molto probabilmente perseguite penalmente, il che li qualifica per la protezione dell’UE. che li qualifica per la protezione ai sensi della Direttiva UE in materia.

Nella maggior parte degli Stati membri la stragrande maggioranza delle persone colpite non ha ancora ricevuto alcuna garanzia di questa protezione.

Con questo appello, le suddette organizzazioni chiedono che venga loro garantita protezione e asilo.

Si presume che tra le 300.000 persone che hanno lasciato la Russia di recente a causa della guerra, vi siano molti uomini che cercano sicurezza all’estero per evitare di essere mandati in guerra. Negli ultimi mesi circa 20.000 uomini dalla Bielorussia hanno lasciato il Paese per evitare il reclutamento. Ci sono anche obiettori di coscienza ucraini che non vogliono combattere in questa guerra; circa 3.000 uomini hanno chiesto asilo nella sola Moldavia.

A ogni cittadino, registrato in Ucraina entro il 24 febbraio 2022, è attualmente concessa la residenza umanitaria nell’Unione Europea. Questo è incoraggiante. Tuttavia, dovremmo considerare seriamente cosa accadrà agli obiettori di coscienza ucraini quando questa disposizione scadrà.

I Paesi europei dovrebbero accogliere senza burocrazia queste persone in fuga dallo sforzo bellico e concedere loro un diritto di soggiorno permanente.

Il diritto umano all’obiezione di coscienza è stato riconosciuto tra l’altro dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa e dal Parlamento europeo. Deve essere garantito a tutti, dappertutto. I Paesi europei devono garantire il pieno riconoscimento del diritto umano all’obiezione di coscienza.

“Il nostro obiettivo è garantire che gli obiettori di coscienza e i disertori degli Stati coinvolti nella guerra in Ucraina ricevano immediata protezione e asilo, si legge nella lettera ai parlamentari.”

La lettera – che include una bozza di risoluzione suggerita – è un’iniziativa di International Fellowship of Riconciliazione (IFOR), War Resisters’ International (WRI), l’Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza (EBCO) e Connection e.V. (Germania), ed è sostenuta da circa 60 altre organizzazioni per la pace, diritti umani e i rifugiati in tutta Europa.

L’appello è disponibile qui con la lista completa di tutte le organizzazioni internazionali e nazionali che hanno firmato l’appello.

Informazioni sulla situazione legale dell’obiezione di coscienza e della diserzione in Bielorussia, Federazione Russa e Ucraina sono disponibili qui.

Informazioni sulla protezione e l’asilo per gli obiettori di coscienza e i disertori sono disponibili qui.

Contatti:

Zaira Zafarana, International Fellowship of Reconciliation, zaira.zafarana@ifor.orgwww.ifor.org, (inglese, italiano)

Rudi Friedrich, Connection e.V., +49 69 8237 5534, office@Connection-eV.orghttp://www.Connection-eV.org (tedesco, inglese)

Semih Sapmaz, War Resisters’ International, semih@wri-irg.orghttp://www.wri-irg.org (inglese, turco)

Sam Biesemans, Ufficio europeo per l’obiezione di coscienza (EBCO), +32 477 268893, ebco.brussels@skynet.bewww.ebco-beoc.org

MIR Italia – Movimento Internazionale della Riconciliazione

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Guerra, armi e sanzioni – Guido Viale

Fa orrore spedire armi ai combattenti ucraini perché prosegua e si intensifichi una guerra devastante – soprattutto per loro – mentre si continua a finanziare l’invasione del loro paese pagando il gas che Putin esporta in Occidente (Ucraina compresa). E non solo il gas, ma anche tante cose a cui sembra difficile rinunciare, come carbone, perché la Germania non è ancora pronta a rinunciarvi, o fertilizzanti, perché gli Usa non possono scontentare i loro agricoltori. Sanzioni à la carte: mettono alla fame la maggioranza dei russi, ma non fermano la furia dell’esercito aggressore. Così si spinge il popolo ucraino a moltiplicare gli sforzi – facendosi massacrare – contro un aggressore che moltiplica i propri. Fino a quando? Fino alla vittoria, risponde Zelensky. Ma quale vittoria? Si pensa forse che Putin, che ha raso al suolo la Cecenia e sterminato metà del suo popolo, ritirerà le sue truppe entro i confini della Federazione Russa? In mancanza di una mediazione, che non c’è, la guerra potrebbe continuare a tempo indeterminato, moltiplicando le vittime da entrambe le parti.

L’alternativa non è certo la resa dell’Ucraina, come sostengono in molti, ma piuttosto una belligeranza a più bassa intensità, con la dotazione – cospicua – di armi e addestratori che i combattenti ucraini già avevano prima dell’invasione o che continueranno a procurarsi dai loro aggressori. O si pensa invece che una resistenza ucraina più armata possa indebolire Putin fino a farlo detronizzare, o fino a provocare la dissoluzione della Federazione Russa (come in Libia, in Siria, in Iraq), per lasciare campo libero allo sfruttamento delle sue immense risorse? In tal caso quella guerra si rivelerebbe niente altro che un conflitto “in conto terzi”, a beneficio di chi vorrebbe cambiare radicalmente gli equilibri internazionali. Ma “dietro” la Russia c’è l’ombra di una Cina che certo non l’abbandonerà al saccheggio dell’Occidente. E “davanti”, se Putin vedrà in forse il suo potere o la sopravvivenza della Federazione Russa, c’è la bomba atomica, come lui stesso ha dichiarato.

Grottesco poi che quelle sanzioni a metà vengano varate a complemento e non come alternativa all’invio delle armi, come sarebbe stato possibile in presenza di una mediazione che non scontenti entrambe le parti: possibile, verosimilmente, prima dell’inizio delle ostilità, ma forse anche ora, purché con un mediatore credibile. Certo, non la Turchia di Erdogan a cui l’Unione Europea ha già delegato troppi misfatti. L’Onu ha dimostrato da tempo di non essere in grado di assolvere ai suoi compiti: è ormai poco più che una rete di agenzie privatizzate dal mondo del business. Nato e Cina sono di fatto parti in causa. Della mediazione dovrebbe farsi carico l’Unione Europea, che avrebbe tutto l’interesse ad allargare uno spazio di pace sul continente, se non fosse appiattita sulla Nato. Ma la guerra non ha fatto che consolidare – e allargare, con nuovi membri – questa subalternità. La favola di un esercito europeo non è che un’altra tappa nel rafforzamento di quella subalternità: gli Stati Uniti esigono da tempo l’assurdo obiettivo del 2% del Pil per le spese militari.

Ma il paradosso di questa guerra è più profondo: in tempo di pace (in Europa, non altrove) molti osavano un paragone bellico: se gli Stati Uniti, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, erano riusciti in pochi mesi a convertire il loro apparato industriale alla produzione di armi di ogni genere, perché mai, di fronte all’imminente catastrofe climatica e ambientale, non è possibile riconvertire in poco tempo alle energie rinnovabili l’industria dei fossili e quelle che ne dipendono? Ora la guerra c’è, ma nessuno sembra chiederselo più. Eppure, per sostituire le forniture di gas, petrolio e carbone della Russia con gas di diversa provenienza – cioè per potenziare i gasdotti esistenti, posarne di nuovi, fabbricare altre navi metaniere e nuovi gassificatori a sufficienza – ci vogliono almeno quattro anni. Più di quanti ce ne vorrebbero per sostituire con fonti rinnovabili tutto il settore energetico fondato sui fossili e tutte le attività che ne dipendono. A condizione, ovviamente, di fermare, per convertirla, gran parte dell’apparato industriale, dei consumi individuali, degli stili di vita. In fin dei conti, negli anni ’70, era stata fermata per due volte la circolazione delle auto per paura di rimanere senza petrolio e non era morto nessuno.

Imboccare questa strada, invece di accanirsi sul gas, permetterebbe anche di avvicinarsi con grande anticipo agli obiettivi della COP 26, ma né l’industria né la popolazione sono pronte per un salto del genere. Perché nessuno di coloro che potevano – e avrebbero dovuto farlo – se ne è occupato. Hanno continuato a cincischiare con ipotesi minimali o fantascientifiche, pur di mantenere così com’è l’apparato industriale e soprattutto il potere di chi lo governa. Ma siamo ancora in tempo a farlo e la lotta per fermare questa guerra potrebbe aiutarci.

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Armi letali: il gran ballo dei diritti umani e la macelleria della guerra – Sandro Moiso

 

“La società non esiste. Esistono soltanto gli individui” (Margaret Tatcher)

 

“A Fort Branning, la sede della scuola di fanteria e delle truppe corazzate dell’esercito statunitense, i soldati che vengono «preparati e formati per combattere e vincere» le guerre devono anche frequentare il corso di diritti umani. L’obiettivo del corso è di «inculcare negli allievi che i valori democratici, la legislazione internazionale sui diritti umani e il Diritto Internazionale Umanitario sono doti di comando essenziali nelle forze armate” (Nicola Perugini e Neve Gordon – «Il diritto umano di dominare»)

 

”NATO, Keep the progress going!” (Amnesty International – Manifesto per il “Summit ombra per le donne afghane”, Chicago 2012)

 

Nel 2012, poco dopo che Barack Obama aveva pubblicamente dichiarato di essere intenzionato a richiamare tutte le truppe americane di stanza in Afghanistan entro il 2014, nel centro di Chicago (città dove nel mese di maggio dello stesso anno si sarebbe tenuto un summit della NATO per mettere a punto i dettagli della exit strategy) erano comparsi manifesti che esortavano la NATO a non ritirare le proprie truppe dal tormentato paese centro-asiatico.

Su quei poster era scritto:”NATO, Keep the progress going!” (NATO, occorre portare avanti il progresso), stabilendo così un chiaro collegamento tra l’occupazione militare e il progresso. Sotto il titolo, poi, si annunciava un “Summit ombra per le donne afghane” che si sarebbe tenuto durante lo stesso summit della NATO. A differenza, però, di quanto si potrebbe pensare tale iniziativa non era sponsorizzata da qualche fondazione repubblicana o dalla lobby delle armi ma da Amnesty International, la più nota tra le organizzazioni per i diritti umani presenti al mondo.

Può iniziare da questo episodio una riflessione sul fatto che il segretario del PD, Enrico Letta, che si scandalizza ad ogni piè sospinto per i motivi più disparatii, come nel caso delle parole proferite per stigmatizzare le scelte del premier ungherese («Sono particolarmente scandalizzato in questo momento dall’atteggiamento dell’Ungheria di Orban, mette il suo veto rispetto alle sanzioni e si pone come chiaro ed esplicito alleato di Putin»), in realtà non si scandalizzi affatto per l’indiretta partecipazione del governo che sostiene il conflitto in atto in Ucraina.

Anima candida, erede del Veltroni-pensiero, pieno di nostalgia per l’età (kennedyana) dell’innocenza perduta, il segretario di un partito che accetta qualsiasi compromesso a favore delle scelte della Banca Centrale europea e del suo ex-governatore ed attuale premier italiano e del progressivo ampliamento della guerra russo-ucraina verso Est e, inevitabilmente, verso Ovest, in compenso, non ha mai perso l’occasione per sbandierare la sua personale difesa, e del suo partito, dei diritti umani e civili.

Questo atteggiamento di un “democratico” difensore dei diritti individuali serve perfettamente ad illustrare l’intricato rapporto che intercorre, forse fin dalla loro formulazione alla fine del Secondo conflitto mondiale, tra “diritti umani” e rafforzamento del ruolo dello Stato e del dominio in ogni angolo del mondo dei valori occidentali e degli interessi economici, politici e militari che li sottendono. In cui, ancora una volta, le violenze connesse a un conflitto sono ascrivibili soltanto ad una delle parti in causa, senza mai considerare l’autentica macelleria di vite, di donne, uomini e bambini che la guerra esige per sua stessa natura. Una divinità che non ha riguardo alcuno per il fronte “giusto” o quello “sbagliato”, da cui esige un medesimo tributo di sangue e di violenza.

Riflessione che porta inevitabilmente a rivedere e ribaltare tutti i luoghi comuni su cui si fonda una sventurata e opportunistica concezione dei cosiddetti diritti umani, fondata essenzialmente sul diritto degli Stati, soprattutto occidentali, a definire ciò che è accettabile e ciò che non lo è nei rapporti che intercorrono tra i diversi attori del conflitto sociale oppure di quello globale per la spartizione delle ricchezze e delle influenze economico-militari su scala mondiale.

Pertanto, l’uso che oggi viene fatto, sia dalle ONG che dagli apparati propagandistici e militari, del concetto di “diritti umani” non risulta essere dovuto ad un radicale travisamento degli stessi ma, al contrario, già implicitamente contenuto proprio nelle formulazioni che hanno accompagnato tale concetto fin dalle sue origini.
Come hanno affermato Nicola Perugini e Neve Gordon in una loro ricerca:

Più che reclamare una concezione moralmente adeguata dei diritti umani, intendiamo mostrare come i diritti umani e la dominazione si intersechino.[…] Attraverso un attento esame dei dati empirici, criticheremo[…] l’assunto che maggiori sono i diritti umani minore è il livello di dominazione, il quale normalmente associa la promozione dei diritti umani all’emancipazione dei più deboli […] e offusca le situazioni in cui gli oppressori possono rivendicare, manipolare e tradurre i diritti umani, creando così una propria cultura dei diritti umani per razionalizzare la perpetuazione della dominazione […] Diversi pensatori hanno sostenuto che i diritti umani sono in realtà vincolati dal potere e spesso operano al suo servizio, senza minacciarlo realmente […] In base a questa prospettiva, i diritti umani contribuiscono ad affinare le forme di governo […] In questo senso, i diritti umani consentono la creazione di nuove soggettività poiché, grazie all’evoluzione del proprio repertorio, essi sono in grado di definire cosa significa essere un soggetto pienamente umano…

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Ipnotizzati dalla propaganda fabbricata dalla Nato stiamo andando verso il baratro – Alessandro Marescotti

Mentre si parlava di una vittoria di Zelensky, in realtà in queste settimane accadevano tre cose terribili: boom di export per la Russia, carneficina dei soldati ucraini e avanzata delle truppe di Mosca. Un +90% di export di gas e petrolio con cui Putin può pagarsi la guerra per tutto il 2023

 

Gli ucraini stanno accusando perdite elevatissime, mille al giorno fuori combattimento fra morti, mutilati e feriti. Per la prima volta le forze armate ucraine chiedono gambe e braccia per i mutilati. In un mese quelli fuori combattimento saranno in trentamila di questo ritmo: addio esercito ucraino.

Severodonetsk è in mano ai russi fatta eccezione per l’area industriale. A Severodonetsk i russi hanno già sfondato e per ragioni di propaganda (si chiamano operazioni psicologiche, in gergo psyops) facciamo finte di non crederci, come era per Mariupol, e di prendere per buoni tutti gli annunci di controffensiva che servono a mascherare la terribile situazione militare in cui è sta precipitando l’esercito ucraino.

Mentre qualcuno in Italia indaga sui putiniani, o presunti tali, per via della “disinformazione”, nessuno fra i guardiani governativi delle fake news sembra voler indagare su come è stata drogata l’informazione italiana mainstream, in primis le TV pubbliche che ci hanno raccontato le magnifiche sorti e progressive della guerra giusta, l’imminente crollo di Putin, la disfatta dell’economia russa dietro l’angolo, il tonfo del rublo e altre stupidaggini del genere.

Mentre si parlava di una vittoria di Zelensky, in realtà in queste settimane accadevano tre cose terribili: boom di export per la Russia, carneficina dei soldati ucraini e avanzata delle truppe di Mosca. Un +90% di export di gas e petrolio con cui Putin può pagarsi la guerra per tutto il 2023.

Siamo stati inondati da fake news fabbricate negli incubatori della Nato. Uno dei quali è a Riga, in Lettonia. Si occupa di operazioni psicologiche, in gergo PsyOps, e c’è anche un bel sito web che consente di saperne di più https://stratcomcoe.org

Lo Strategic Communications Centre of Excellence (NATO StratCom COE) è stato costituito nel 2014 e si presenta con un ottimo slogan, tratto dal preambolo della costituzione dell’Unesco:

“Poiché le guerre iniziano nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”.

Peccato che oggi l’obiettivo della Nato non sia esattamente questo. Perché tutto lo sforzo della attuale narrazione bellica (il concetto di “narrazione” è alla base delle psyops) è quello di dimostrare che bisogna combattere a oltranza per ottenere la vittoria e quindi la pace.

Da questo oltranzismo bellico le forze armate ucraine ne stanno uscendo stremate, più o meno come i soldati italiani con il generale Cadorna durante la prima guerra mondiale, che venne sostituito perché quell’oltranzismo portò alla nota disfatta di Caporetto del 1917.

Adesso le scelte per le forze ucraine nel Donbass (le migliori in campo, fra 10 e 15 mila) sono essensialmente fra queste opzioni:

  • farsi decimare in una guerra a oltranza, fino all’ultimo uomo;
  • ritirarsi, lasciando sul campo molti degli armamenti pesanti ricevuti;
  • attendere ancora – in attesa dei mezzi pesanti promessi – con il rischio di farsi catturare in una manovra di accerchiamento.

Analizziamo quest’ultima opzione. Mantenendo posizioni non sostenibili i militari ucraini rischiano di non garantirsi una via di fuga, finendo per difendere una sacca di territorio ormai accerchiato. Chiusi in una sacca, rimarrebbero privi di rifornimenti con le conseguenze del caso.

La propaganda ucraina si consola con una controffensiva su Kherson.

Ma Kherson è saldamente in mano ai russi; una controffensiva annunciata da giorni ha un puro valore propagandistico; se poi non consegue un risultato militare è solo un modo per dire che si sta facendo qualcosa.

Potrebbe essere un “facite ammuina”, di borbonica memoria.

Si tenga presente che annunciare una controffensiva non è il massimo della tattica militare, e infatti la fonte di questa azione militare è di fonte ucraina e si inquadra nella narrazione che vuole i militari ucraini sempre coraggiosi, resilienti e capaci di ribaltare le sorti delle battaglie.

 

Ma questa voglia di controffensiva potrebbe essere qualcosa di molto di più della semplice propaganda. Potrebbe essere un tentativo di replicare le gesta del nostro generale Cadorna, prima di Caporetto. Ottenere l’impossibile con attacchi che invece di sfiancare il nemico sfiancano chi li promuove.

Una considerazione pacifista sui soldati ucraini: poveretti, si fanno ammazzare fino all’ultimo uomo. I loro comandanti non condividono con l’intelligence americana gli esiti delle proprie azioni per mascherare la debolezza in cui versa un’armata decimata, a rischio di ammutinamenti e diserzioni, un’armata piena di feriti, devastata dalle morti e da paurose mutilazioni.

Per chi non si accontenta delle narrazioni psyops ma legge a fondo attentamente e con spirito critico l’informazione che comincia a venire a galla, è davvero doloroso scoprire la verità nascosta. Zelensky infatti non aveva mai dato il conteggio delle proprie perdite fino a quando qualche giorno fa i giornalisti non hanno costretto a fornire i primi numeri, del tipo duecento morti e cinquecento feriti al giorno, cifra che è stata recentemente portata a una somma complessiva di mille. Ogni giorno è veramente terribile rivivere nella sofferenza degli ucraini anche le sofferenze dei soldati al fronte durante durante la prima guerra mondiale, quelli che dovettero subire le idee folli e il martirio delle controffensive ordinate di Cadorna.

Zelensky passerà alla storia come il Cadorna dell’Ucraina.

Chiede l’impossibile alle sue truppe per obbedire a una narrazione propagandistica che promette una vittoria mentre ottiene un massacro.

Ma questo incitamento al martirio non conosce il freno critico e umanitario dell’Europa civile.

Prima ci renderemo conto che l’UE è guidata da una signora non all’altezza e meglio sarà per noi.

E contornata da propagandisti pessimi che non solo non hanno raggiunto gli obiettivi militari auspicati ma che hanno fallito persino nelle sanzioni economiche: l’Europa paga ormai in rubli il gas russo e la Commissione Europea non sanziona, fa finta di non vedere il proprio fallimento.

E anche Biden negli USA arranca nei sondaggi. Trump lo ha superato nei sondaggi nonostante sia sotto accusa.

Questi signori assomigliano sempre più ai pifferai di montagna che andarono per suonare e furono suonati.

“Putin sarà un paria sulla scena internazionale”, diceva Biden. Ma nei prossimi anni a finire fuori della scena sarà molto probabilmente solo Biden, vittima di qualcosa di indefinibile che lo rende goffo e inutilmente enfatico nei suoi proclami. Un perdente, alla resa dei conti.

Purtroppo questa guerra – a meno che non accada qualcosa di nuovo – la sta vincendo Putin, che agisce con una lucidità che fa spavento…

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Le scelte dell’Europa prese sotto dettatura di Usa e Nato sono un vero suicidio economico – Paolo Ferrero

 

E’ sempre più evidente che stiamo vivendo un peggioramento delle condizioni sociali degli strati popolari. In primo luogo vi è una ripresa dell’inflazione che tocca soprattutto i generi di prima necessità e di largo consumo (alimentari, riscaldamento, trasporti, etc). Questa ripresa dell’inflazione colpisce in particolare le famiglie a reddito medio basso: lavoratori dipendenti ed autonomi, pensionati, disoccupati. Di fronte a questa situazione Draghi utilizza solo misure “spot”, che non danno alcuna risposta al problema. Il suo sodale presidente di Bankitalia lo spalleggia dicendosi contrario alla “rincorsa tra prezzi e salari” – che tradotto in italiano significa che i prezzi possono aumentare e che i salari debbono rimanere fermi – cioè che i lavoratori italiani, che hanno gli stipendi con la peggiore dinamica in Europa, debbono continuare a tirare la cinghia.

Al contrario stanno adeguando la remunerazione del capitale, visto che la Banca Centrale Europea già si sta preparando ad aumentare i tassi di interesse. In altre parole secondo lorsignori, di fronte all’inflazione, la remunerazione del lavoro deve scendere e la remunerazione del capitale deve essere salvaguardata.

La scala mobile non va bene per i salari ma va bene per il capitale… Come se non bastasse l’aumento dei tassi di interesse è una misura tipicamente recessiva, che si va a sommare al deciso rallentamento della ripresa economica che sta assumendo i contorni di una vera e propria stagnazione. Stagnazione economica significa riduzione dell’occupazione. Stiamo quindi finendo dentro un bel tritacarne in cui gli strati popolari vengono ulteriormente impoveriti e la disoccupazione e la precarietà sono destinate ad aumentare. Di fronte a questa situazione i giornali dicono che è colpa della guerra, facendo capire che sarebbe colpa di Putin che questa guerra ha cominciato.

Non è così: la drammatica situazione economica e sociale in cui ci stiamo cacciando non è causata dalla guerra di Putin ma dalla risposta che l’Occidente ha predisposto. Innanzitutto le sanzioni hanno effetti negativi principalmente contro i Paesi che le hanno fatte, a partire dall’Italia, che con la Russia aveva un discreto interscambio economico in alcuni importanti settori economici. Più in generale la scelta dell’Europa di interrompere gli scambi economici con la Russia è un vero e proprio suicidio economico, che ci rende assai più dipendenti dagli Stati Uniti: ci limita pesantemente. In secondo luogo la scelta della Nato di individuare come avversario strategico anche la Cina, oltre alla Russia, è ovvio che contribuisce a peggiorare i rapporti anche tra Europa e Cina. Da questo gli Usa hanno tutto da guadagnarci e l’Europa tutto da perderci. In terzo luogo le sanzioni hanno un effetto negativo sull’economia mondiale e contribuiscono all’inflazione e alla stagnazione di cui ho parlato sopra.

In quarto luogo le sanzioni e la spaccatura del mondo in due mette del tutto in secondo piano la lotta al cambio climatico. Si pensi solo al fatto che in Europa la sostituzione del gas russo ha legittimato la ripresa del consumo di carbone… Il nodo vero è che l’Europa, per seguire la volontà degli Stati Uniti, ha dichiarato guerra contro se stessa e i popoli europei sono destinati a patirne conseguenze pesanti. Quelle che stiamo subendo non sono quindi le conseguenze economiche della guerra ma le conseguenze delle sciagurate scelte fatte dall’Occidente in risposta alla guerra. Si tratta allora di cambiare radicalmente quelle scelte sia per evitare di peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei popoli europei, sia perché cambiare quelle scelte rappresenta un contributo vero alla fine della guerra e alla definizione di un compromesso.

È sempre più chiaro che la fornitura di armi all’Ucraina non serve a “vincere” la guerra, ma solo a farla proseguire all’infinito. È sempre più evidente che le sanzioni non “piegheranno” la Russia, ma anzi allontanano la possibilità di aprire una vera trattativa che ponga fine al conflitto. Le sciagurate scelte fatte dai Paesi occidentali sotto dettatura degli Usa e della Nato non solo sono inutili per “vincere” la guerra, ma sono dannose per le condizioni di vita degli stati popolari, a partire da quelli italiani ed europei. Cosa aspetta il nostro governo a smetterla di governare contro gli italiani? Cosa aspettano i partiti che si dicono contro la guerra a staccare la spina a questo governo? La situazione sarebbe ridicola se non diventasse sempre più drammatica per milioni di famiglie costrette a subire sopra la propria pelle i costi della subalternità atlantica del governo Draghi. Draghi go home!

da qui

 

 

 

 

La Russia ha vinto la guerra – Storia Segreta

 

Il primo a rompere le righe nella narrativa ufficiale delle classi dirigenti occidentali, fino ad allora unidirezionale e indifferenziata, è stato Carlo De Benedetti.

Ad inizio maggio, in una intervista a Lilli Gruber a La7 e in una successiva intervista al Corriere della Sera (qui), De Benedetti ci ha rivelato che non è interesse degli europei fare la guerra alla Russia.

«Questo conflitto si sovrappone a una recessione molto severa con effetti catastrofici. No all’invio di armi, serve una soluzione negoziale… Carestia e fame in Nord Africa e in larga parte dell’Africa australe. Costretti a scegliere tra morire di fame e rischiare di morire in mare, gli africani rischieranno di morire in mare. Altro che 500 al giorno; arriveranno a decine, a centinaia di migliaia. La nostra priorità assoluta dev’essere fermare la guerra

Gli interessi degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito da una parte, e dell’Europa e in particolare dell’Italia dall’altra, divergono assolutamente. Se Biden vuol fare la guerra alla Russia tramite l’Ucraina, è affar suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo».

La Nato non ha più senso e serve un esercito europeo:

«E siccome per avere una forza di difesa occorrono dieci anni, bisogna prendere quella che già c’è. A questo punto, tanto vale che gli Stati Uniti escano dalla Nato (!!!), e che gli europei assumano la responsabilità della propria sicurezza… Ma l’Europa ha un interesse comune: fermare la guerra, anziché alimentarla. Se gli Usa vogliono usare l’Ucraina per far cadere Putin, che lo facciano. Se i russi vogliono Putin, che se lo tengano. Cosa c’entriamo noi?»

Ci vuole una soluzione negoziale in cui «L’Ucraina perderebbe i territori russofoni e russofili, e avrebbe in cambio la garanzia americana e britannica di pace e prosperità… La Russia non è il vero pericolo che, per gli americani, è la Cina… Non è una mia opinione personale; è quello che pensano in Germania… Basta guerra».

Si è trattato di dichiarazioni bomba che hanno rivelato che nelle elite finanziare mondialiste esiste una drammatica spaccatura: da un lato il gruppo guerrafondaio facente capo a Victoria Nuland e a Biden, dall’altro una parte della finanza europea (De Benedetti non parla per sé ma per una parte rilevante del capitale ebraico europeo) che, a tre mesi dall’inizio della guerra, si è abbondantemente pentita di essersi accodata silenziosamente al progetto dei dem americani.

E le dichiarazioni di De Benedetti non sono rimaste isolate.

Se i Rothschild hanno ribadito il loro appoggio alla guerra in una lettera al governo britannico, poi smentita (qui), Macron ha ribadito il suo atteggiamento dialogante, la Germania appare sempre più riottosa a sostenere attivamente il conflitto e i repubblicani americani, per bocca di Rand Paul, hanno bloccato al senato il piano di aiuti proposto da Biden (qui).

Fino ad arrivare alle altrettanto clamorose dichiarazioni di Henry Kissinger al World Economic Forum di Davos, in cui si stigmatizza la guerra la Russia come un tragico errore strategico. In questo modo infatti si costringe la Russia ad avvicinarsi alla Cina e all’Asia e a fare fronte comune contro l’Occidente. Compattare i nemici è pura stupidità perché la prima regola da rispettare in un confronto geopolitico è cercare di dividerli (qui).

Che ci si debba ridurre a ritenere saggi i consigli di un uomo di 99 anni (!!!) come Kissinger la dice lunga sul livello qualitativo attuale delle leadership occidentali.

Cosa è successo all’arrogante e compatto atteggiamento bellicista di tutte le componenti il potere in Occidente, dalla politica, alla finanza, alla stampa, che aveva caratterizzato le fasi iniziali del conflitto tra la Russia e la NATO?

Una prima ipotesi è che gli interessi si siano diversificati: gli europei ci stanno rimettendo molto dalle sanzioni e sono molto meno convinti di portare avanti una guerra a oltranza, come nei desideri di Biden.

Le contromosse russe alle sanzioni occidentali sono state devastanti. L’obbligo a pagare in rubli petrolio e gas e il suo aggancio all’oro hanno reso la moneta russa la più forte del mondo in poche settimane (qui e qui) e già sta minacciando il ruolo prioritario del dollaro e dell’euro nelle transazioni mondiali.

Ma è possibile che nessuno avesse previsto queste mosse di Putin?

È Possibile (mai sottovalutare la stupidità), ma è improbabile.

La solita ipotesi che le nostre elite usano per giustificare le loro malefatte (‘Scusate, ci siamo sbagliati, siamo tutti coglioni’) questa volta è davvero poco convincente.

Crediamo che invece si debba guardare al fatto nuovo che ha sconvolto gli equilibri interni delle oligarchie occidentali e che poteva anche non essere previsto in queste dimensioni: la Russia ha vinto la guerra.

Infatti dopo le iniziali serie difficoltà (qui) l’esercito russo si è riorganizzato e, lentamente ma implacabilmente, sta disintegrando quello che resta dell’esercito ucraino.

In una dettagliata e competente analisi di Limes si precisa che le forze ucraine sono a rischio accerchiamento nella zona di Slovjansk, e che non hanno più munizioni né carburante, tanto da rendere problematica anche una loro ritirata.

Se gran parte delle truppe accerchiate in Donbass dovessero arrendersi ci sarebbe il problema di trovare altri uomini da mandare al fronte ma sembra che i riservisti siano poco motivati a morire per Zelenski.

Corrono voci di diserzioni e rese di massa, anche perché le truppe non professioniste hanno la sensazione di essere mandate al massacro senza adeguate risorse. Serpeggia anche l’accusa che siano proprio le truppe professioniste banderiste ad arrendersi per prime e ciò non può certo piacere ai soldati di leva che si troverebbero ad essere immolati inutilmente sull’altare della guerra di Biden e dei dem americani.

Ciò nonostante l’Ucraina insiste per difendere ad oltranza le ultime città del Donbass (Severodonetsk, Kramatorsk e Backmut) perché sa che, perse loro, non sarà più possibile organizzare una difesa efficace se non sul Dnepr. La resistenza infatti, in una nazione pianeggiante, senza vallate né montagne, come l’Ucraina, può essere organizzata solo nei centri urbani. Persi quelli perso tutto…

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Italia fornisce missili radioattivi all’Ucraina? – Gregorio Piccin

 

Segnaliamo sul numero del settimanale Left che esce oggi in edicola un articolo di Gregorio Piccin, responsabile pace di Rifondazione Comunista.

Nell’articolo su Left, Gregorio Piccin riferisce gravi fatti su cui la

nostra senatrice Paola Nugnes presenterà un’interrogazione parlamentare nelle prossime ore per chiedere al governo se davvero l’Italia ha inviato missili anti-carro radioattivi MILAN in Ucraina.

Il governo italiano ha secretato le informazioni relative all’invio di armi ma è trapelato che l’Italia avrebbe fornito tali missili a esercito ucraino.

Si tratterebbe di una scelta molto grave considerato che è ben nota la pericolosità a lungo termine per la salute e l’ambiente di tali ordigni.

Infatti lo scorso 10 giugno, presso il tribunale di Cagliari, è iniziato il processo per disastro ambientale che vede imputati i cinque generali delle forze armate italiane Valotto, Graziano (attuale presidente di Fincantieri), Errico, Rossi e Santroni. Il disastro ambientale in questione, che riguarda il poligono NATO di Capo Teulada, è stato causato in particolare proprio dall’uso massiccio del missile portatile anti-carro MILAN.

E’ noto che le prime due versioni di quest’arma contengono torio altamente radioattivo nel sistema di puntamento. Tale metallo pesante viene rilasciato nell’ambiente circostante ad ogni utilizzo. Risulta ugualmente contaminata infatti anche l’area del poligono sperimentale di Salto di Quirra.

Ricordiamo che soldati italiani ancora si ammalano e muoiono a causa dell’uranio impoverito usato nelle precedenti guerre NATO.

L’Italia dovrebbe interrompere e ritirare la fornitura di armi così dannose e farsi promotrice di una iniziativa presso l’ONU per la messa al bando di ogni arma e sistema d’arma che impieghino metalli pesanti quali torio e uranio impoverito.

Invece di contaminare l’Ucraina il nostro paese dovrebbe farsi promotore di un’iniziativa umanitaria diretta alle parti in conflitto per chiedere la sospensione e/o non utilizzo di queste armi.

Da ultimo ricordiamo la preoccupazione espressa dal segretario generale dell’Interpol Jurgen Stock sul fatto che armi inviate in Ucraina stanno finendo nel mercato internazionale illegale. Dobbiamo attenderci attentati con missili radioattivi in futuro?

da qui

 

 

 

 

 

L’insegnamento fondamentale del conflitto ucraino – Enrico Galavotti

 

Devo dire che questo conflitto russo-ucraino ha messo seriamente in crisi il rapporto idealistico (o filosofico) tra etica e politica.

Certo, in Italia non abbiamo solo una tradizione cristiana che, seppur in forma laicizzata, presume di dare un senso alla politica in nome dell’etica; ma abbiamo anche una tradizione machiavellica (cioè radical-borghese) che separa nettamente l’etica dalla politica, facendo di quest’ultima qualcosa di cinico, ai limiti della spietatezza, se e quando la ragion di stato lo esige.

Con questo conflitto però è successo qualcosa di inedito. Infatti chi sembra avere della politica una concezione cinica, Putin, dimostra d’avere ragioni più fondate, persino più etiche di Zelensky, che pur continuamente cerca di coinvolgere il mondo intero nella sua narrativa melodrammatica, che presume d’essere valida in sé, in quanto esprime la condizione d’uno Stato aggredito, vittima della protervia di uno aggressore, che vuole minare la sua sovranità e integrità territoriale.

Bisogna in effetti ammettere che il mondo intero (o meglio, quello occidentale) non ha avuto dubbi a chi dare tutte le ragioni, al punto che ha preferito soprassedere completamente sul fatto che il governo di Kiev, sin dal golpe del 2014, ha avuto esplicite connessioni con l’ideologia neonazista presente in Ucraina: un’ideologia che risale alla II guerra mondiale e ch’era stata soffocata sotto una cenere fumante nella fase del socialismo reale di marca sovietica.

Dunque in questo conflitto si sono, in un certo senso, ribaltati i criteri dell’etica e della politica, nel senso che non è affatto vero che ha sempre più ragioni chi viene aggredito.

Certo, uno potrebbe dire che l’aggressore, usando mezzi militari, si pone automaticamente dalla parte del torto. Ma non è sempre così. La Russia ha aspettato 8 anni prima d’intervenire. Putin è stato accusato dai “falchi” del suo regime d’aver troppo tergiversato, soprattutto nei confronti dell’espansione orientale della NATO…

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scrive Vincenzo Costa

 

Io credo che la guerra sia già decisa nell’essenziale. Possibile che si trascini ancora, più o meno a lungo. Ma l’essenziale è deciso, finisce come non poteva non finire.

I tre re Magi sono andati a dire che tutto quello che si poteva fare è stato fatto, e che è bene chiuderla. Hanno offerto un compenso, peraltro tutt’altro che certo: l’ingresso nella UE. Questo potrebbe avere un peso nello spingere a negoziati: l’ucraina accetta ciò che avrebbe dovuto accettare sin dall’inizio, e in cambio entra nella UE. Questo rappresenta una sorta di garanzia. Non entra nella NATO ma nella UE.

Zelenskij ha capito che a parte Draghi, a cui Macron e scholz non fanno vedere i loro messaggi perché lo considerano il rappresentante degli interessi USA in europa, non si deve aspettare granché da ora in poi. Macron e scholz gli hanno fatto capire che se vuole può continuare la guerra e mandare al macello il suo popolo, ma che questa scelta non li riguarda.

E gli hanno fatto capire che più tempo passa maggiori saranno le concessioni che dovrà fare.

Per non dire che se l’esercito ucraino dovesse collassare, e con 1000 soldati morti al giorno si è prossimi al collasso, una ritirata sarebbe disordinata e sanguinosa e a quel punto ci sarebbe ben poco da trattare…

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scrive Andrea Zhok

 

Stando alle informazioni che arrivano dal fronte ucraino, sembra che quello che molti temevano stia accadendo.

Le forze armate ucraine, essendo oramai in una posizione estremamente difficile nelle ultime roccaforti rimaste nelle loro mani nel Donbass, stanno lanciando un attacco intensivo sugli obiettivi civili di Donetsk.

Incidentalmente l’artiglieria qui utilizzata è in gran parte quella inviata dai paesi europei.

Sono stati colpiti condomini, chiese, ospedali. Il numero dei morti sta salendo rapidamente.

Questo atto, privo di significato militare e, probabilmente, frutto di una frustrazione arrivata vicina alla disperazione, costringerà la Russia ad una reazione pesante, perché dopo aver “messo in salvo” le aree civili delle due repubbliche secessioniste, semplicemente non possono permettersi di far pagare di nuovo un prezzo durissimo a quei civili che sarebbero stati “salvati” dall’intervento russo (e questa è l’intera ratio ufficiale dell’intervento).

Dev’essere chiaro che la risposta russa può essere terrificante senza utilizzare ordigni nucleari. (Le guerre moderne sono come trattative a colpi di armi: si decide cosa usare e come usare di volta in volta, a seconda del segnale che si vuole lanciare).

Questo tipo di dinamica è precisamente quella che era maggiormente da temere nel momento in cui si è deciso di rinforzare sul piano degli armamenti la controparte ucraina, e, lungi dal rappresentare un aiuto per gli ucraini, potrebbe rappresentare per essi un disastro di proporzioni finora inedite.

Speriamo di no, ma l’escalation può essere ad un punto di svolta.

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Il Pentagono ammette: gli Usa supportano 46 biolab in Ucraina

Piccole Note

 

Gli Stati Uniti hanno finalmente ammesso di aver “supportato” 46 biolaboratori in Ucraina, dopo aver respinto per mesi le dichiarazioni in tal senso dei suoi antagonisti geopolitici. Lo ha riferito il Pentagono, ovviamente dichiarando che le ricerche ivi svolte erano legittime e non dirette a creare armi biologiche, anzi.

Il documento del Pentagono spiega che l’interesse per tali siti nesce nel 1991, quando fu varato il Programma Nunn-Lugar Cooperative Threat Reduction (CTR) con il compito di trattare le armi di distruzione di massa nei Paesi dell’ex Unione sovietica. Quattro le missioni del Programma, che elenchiamo di seguito.

“1) consolidare e proteggere le armi di distruzione di massa e il materiale relativo alle armi di distruzione di massa in un numero limitato di siti sicuri; 2) inventariare e rendicontare tali armi e materiali; 3) fornire [attrezzature e competenze per] una manipolazione e uno stoccaggio sicuro di tali armi e materiali, come richiesto dagli accordi sul controllo degli armamenti; e 4) offrire assistenza per un ricollocamento retribuito a migliaia di ex scienziati sovietici esperti in armi di distruzione di massa, in materiali relativi alle armi di distruzione di massa e nei trasferimenti delle stesse”.

Questa le missioni, alle quali gli Stati Uniti, spiega il documento, si sono adoperati distruggendo o mettendo in sicurezza le testate nucleari, in collaborazione anche con la Russia, come anche le bio-armi risalenti al tempo sovietico.

“Gli Stati Uniti, attraverso la collaborazione internazionale, hanno anche lavorato per affrontare altre minacce biologiche in tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica. A tale scopo il governo degli Stati Uniti ha ingaggiato esperti in materia di biologia, biodifesa, salute pubblica e campi correlati”.

Quanto all’Ucraina, specifica il documento, gli Usa hanno eliminato la minaccia nucleare, in collaborazione con la Russia (collaborazione durata fino al 2014, l’anno di Maidan), tanto che nel Paese sarebbe rimasto solo un quantitativo poco rilevante di uranio arricchito, non sufficiente per produrre una testata atomica (e una bomba sporca?).

Riguardo alle bio-armi ucraine, si legge, “Gli Stati Uniti hanno lavorato in collaborazione [con Kiev] per migliorare la sicurezza biologica, la protezione e la sorveglianza delle malattie dell’Ucraina, sia per quanto riguarda la salute umana che degli animali, fornendo supporto, negli ultimi due decenni, a 46 laboratori pacifici ucraini, strutture sanitarie e siti diagnostici delle malattie. La collaborazione si è concentrata sul miglioramento della salute pubblica e delle misure di sicurezza agricola, rispettando i dettami della non proliferazione”.

Arduo immaginare che gli Stati Uniti potessero dire il contrario: di certo non potrebbero mai ammettere, anche se così fosse, che questi 46 biolab servivano (servono?) a produrre bio-armi. E, però, leggere nero su bianco che gli Usa ingaggiavano esperti di armi biologiche da tutta l’Unione sovietica, al di là dello scopo dichiarato, vero o falso che sia, fa un certo effetto.

Inoltre, la descrizione dei biolab in oggetto come una sorta di laboratori diagnostici, del tipo di quelli disseminati nelle grandi città italiane, fa un po’ sorridere. Con 46 di tali centri, poi, se lo scopo fosse davvero quello dichiarato, dovremmo presumere che gli ucraini e i loro animali godono di una salute di ferro.

Sul punto, torna prepotentemente alla memoria la famosa dichiarazione di Victoria Nuland al Congresso degli Stati Uniti. Interpellata sui biolab ucraini, allora ancora de facto negati dagli Usa, la sottosegretaria di Stato disse: “Siamo piuttosto preoccupati che l’esercito russo possa cercare di prenderne il controllo”.  Perché preoccuparsi tanto, se si trattava di innocui centri benessere?

Al di là dell’ironia del caso, ce ne scusiamo con i lettori ma era d’obbligo, resta che, dopo tanta reticenza, l’America ha finalmente messo nero su bianco il suo lavoro oscuro nei biolab ucraini (nel documento si parla di trasparenza, ma di trasparente c’è ben poco, se si considera che alcuni mesi fa negavano l’esistenza di tali biolab, bollando le accuse come Fake News)

Concludiamo riprendendo l’inizio della nostra nota, cioè alle missioni assegnate al CTR e chiedendoci, ingenuamente, perché gli incaricati di tale programma non abbiano semplicemente distrutto le bio-armi ereditate dall’era sovietica, perché hanno ingaggiato gli esperti che ci lavoravano perché proseguissero quel lavoro e, infine, quanti saranno i biolab sparsi nei Paesi ex sovietici oggi passati nell’orbita occidentale, supportati dagli Usa, se già 46 sono disseminati in Ucraina.

Ps. Ipotizzare che un biolab possa servire per creare armi biologiche, ad esempio virus che si diffondono tramite insetti, non è necessariamente complottista. Alcuni membri del Congresso degli Stati Uniti, ad esempio, nel luglio 2019, chiesero al Dipartimento della Difesa se avesse creato o usato tali armi biologiche tra gli anni ’50 e la metà degli anni ’70.

Dubitiamo che la richiesta abbia ottenuto risposta, anche perché, di lì a poco, sarebbe arrivato il coronavirus e c’era il rischio di gettare benzina sul fuoco alimentato dai cosiddetti complottisti. 

A pochi giorni dalla richiesta, coincidenza temporale, fu chiuso il più importante biolab della Difesa Usa, Fort Detrick, nel quale si studiavano pericolose “tossine, e germi chiamati agenti selezionati , che secondo il governo avevano ‘il potenziale per rappresentare una grave minaccia per la salute pubblica, animale o vegetale” (New York Times). Le autorità si peritarono di rassicurare che non era successo nulla, solo un problema di sicurezza delle acque reflue, Nessuna informazione ulteriore, perché fu chiuso per ragioni di “sicurezza nazionale”, sulle quali vige il segreto.

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L’ascesa della NATO in Africa – Vijay Prashad

 

Dal blog https://www.pressenza.com/

La preoccupazione per l’espansione dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) verso il confine russo è una delle cause dell’attuale guerra in Ucraina. Ma questo non è l’unico tentativo di espansione della NATO, un’organizzazione creata nel 1949 dagli Stati Uniti per indirizzare il proprio potere militare e politico sull’Europa. Nel 2001, la NATO ha condotto un’operazione militare “fuori area” in Afghanistan che è durata 20 anni, e nel 2011 la NATO, su richiesta della Francia, ha bombardato la Libia e rovesciato il suo governo. Le operazioni militari della NATO in Afghanistan e Libia sono state il preludio alle discussioni su una “NATO globale”, un progetto che mira ad utilizzare l’alleanza militare della NATO al di là dei propri obblighi scritti su carta, dal Mar Cinese Meridionale al Mar dei Caraibi.

La guerra della NATO in Libia è stata la prima grande operazione militare in Africa, ma non è stato il primo approdo militare europeo sul continente. Dopo secoli di guerre coloniali europee in Africa, nuovi Stati sono emersi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale per affermare la loro sovranità. Molti di questi Stati – dal Ghana alla Tanzania – si sono rifiutati di permettere alle forze militari europee di rientrare nel continente, motivo per cui queste potenze europee sono ricorse ad assassinii e golpe militari per farsi amici i governi filo-occidentali della regione. Ciò ha permesso la creazione di basi militari occidentali in Africa e ha dato alle imprese occidentali la libertà di sfruttare le risorse naturali del continente.

Le prime operazioni NATO rimasero ai confini dell’Africa, con il Mar Mediterraneo come prima linea. La NATO istituì le forze alleate dell’Europa meridionale (AFSOUTH) a Napoli nel 1951, e poi le forze alleate del Mediterraneo (AFMED) a Malta nel 1952. I governi occidentali istituirono queste formazioni militari per presidiare il Mar Mediterraneo contro la marina sovietica e per creare piattaforme da cui poter intervenire militarmente nel continente africano. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, il Comitato di Pianificazione della Difesa della NATO, che fu sciolto nel 2010, creò la Forza di Reperibilità Navale Mediterranea (NOCFORMED) per esercitare pressioni sugli stati filo-sovietici – come l’Egitto – e per difendere le monarchie dell’Africa settentrionale (la NATO non fu in grado di impedire il colpo di stato anti-imperialista del 1969 che rovesciò la monarchia in Libia e portò il colonnello Muammar Gheddafi al potere; il governo di Gheddafi espulse le basi militari statunitensi dal paese subito dopo).

Le conversazioni al quartier generale della NATO sulle operazioni “fuori area” hanno avuto luogo con crescente frequenza dopo che la NATO si è unita alla guerra degli Stati Uniti contro l’Afghanistan. Un alto funzionario della NATO mi disse nel 2003 che gli Stati Uniti “stavano prendendo gusto ad utilizzare la Nato” per sfoggiare il loro potere contro possibili avversari…

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«Ho visto con i miei occhi le bugie dei media occidentali», intervista al prof. Perinçek di ritorno dal Donbass

(di Fabrizio Verde)

 

In un panorama mediatico e politico sempre più asfittico in Occidente, dove l’operazione speciale della Russia in Ucraina viene raccontata in modo unilaterale, l’intervista con il professor Mehmet Perinçek rappresenta una vera e propria boccata di aria fresca. Lo storico e scienziato politico turco, professore presso le università di Istanbul e Mosca, ci ha raccontato cosa ha visto e ascoltato nei territori liberati del Donbass che ha recentemente visitato. 

Con ll professor Perinçek abbiamo inoltre parlato degli scenari futuri che vanno delineandosi sullo sfondo di quanto accade in Ucraina, del nuovo ordine multipolare a trazione eurasiatica emergente e del ruolo della Turchia che nonostante sia un membro Nato lavora fattivamente per giungere a un accordo di pace. 

 

INTERVISTA

Professore lei ha visitato i territori liberati in Donbass di Mariupol, Donetsk, Berdiansk, Enerhodar e Melitopol. Ha incontrato e conversato con le persone del posto. Quali sono state le sue impressioni e quali testimonianze ha raccolto? 

Posso affermare con sicurezza che se la Russia non avesse avviato un’operazione speciale in Ucraina, si sarebbe verificato un conflitto armato più grave, con molte più distruzioni e vittime tra la popolazione civile delle città ucraine.

Kiev voleva usare queste aree come punto d’appoggio contro la Russia. In questo caso, non solo le città ucraine, ma anche molte città russe situate vicino al confine con l’Ucraina avrebbero sofferto. Si sarebbero trasformate in rovine.

I residenti locali raccontano cose terribili sulle azioni dei neonazisti, sugli “Azov” che li hanno usati come scudi umani. I neonazisti hanno bombardato le case dei civili per dare la colpa ai russi, per incolpare l’esercito russo dell’uccisione di bambini. Molti sostengono che Mariupol sia stata attaccata ancor prima che i soldati russi entrassero in città.

Si sente dire molto spesso:

“La guerra qui non è iniziata ieri. È iniziata 8 anni fa. Kiev non ha mai rispettato gli accordi di Minsk. L’Occidente non ha mai detto una parola. Anche noi siamo esseri umani, anche noi meritiamo di avere una vita! L’operazione militare russa è il risultato di questo processo, non l’inizio di una guerra. Al contrario: Questa operazione metterà fine a una guerra durata 8 anni”.

A Mosca, la crisi ucraina viene discussa nel quadro dell’allargamento della NATO e dell’aggressione statunitense. Nel Donbass, il contesto è il regime di Kiev e il suo pericoloso fascismo.

Non solo gli abitanti del Donbass hanno sofferto per il regime di Kiev, ma anche gli ucraini di lingua russa che non erano d’accordo con la “dittatura neonazista”. Non è stato permesso loro di celebrare il Giorno della Vittoria, non gli è stato permesso di parlare la loro lingua madre, i bambini sono stati costretti a odiare i loro vicini nelle scuole. L’ho sentito dire personalmente da persone di Melitopol, Berdyansk, Mariupol.

Durante questa dittatura, le persone scomparivano, se ne perdevano le tracce – tutto questo prima dell’operazione speciale della Russia.

Abbiamo visto con i nostri occhi questo fascismo ordinario.

Oggi la vita in quelle città sta gradualmente riprendendo. I bambini, gli anziani hanno la possibilità di camminare tranquillamente per le strade della città. La cosa più importante che ho potuto capire è che quasi tutti gli abitanti del Donbass non vogliono legare il loro futuro a Kiev.

Quanto ha potuto vedere in questi luoghi corrisponde al racconto dei media occidentali?

Ho incontrato le autorità locali e la gente comune. Sono molto arrabbiati con i media occidentali. Perché parlano in modo unilaterale e c’è molta disinformazione.

Ho visto con i miei occhi le bugie dei media occidentali. Vi faccio un esempio: Durante il viaggio sono entrato nella centrale nucleare di Zaporozhye. I media occidentali avevano fatto una grande campagna. Dicevano: “Ci sarà una seconda Chernobyl”, “La Russia sta bombardando la centrale”, ecc.

 

La centrale non ha subito alcun danno durante l’ingresso dell’esercito russo in città. L’abbiamo vista con i nostri occhi. Continua la sua attività ordinaria così com’è. Anche i precedenti dipendenti della centrale sono ancora in servizio.

Questo ricorda gli eventi in Iraq. I discorsi su una sorta di arma di distruzione di massa in Iraq alla fine si sono rivelati nient’altro che una falsificazione.

L’Occidente non usa solo razzi e carri armati nelle guerre. Usa anche i media come arma…

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Resistenza e pace, oggi – Giorgio Gallo

 

Come parlare di resistenza e di pace in una fase di guerra in Europa, probabilmente la peggiore dalla fine della Seconda guerra mondiale? Una guerra, quella in Ucraina, che ha creato una polarizzazione fortissima sui media italiani e nell’opinione pubblica, e che ha visto l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia bersaglio di pesanti critiche, con lo stucchevole ma aspro dibattito sulla “resistenza”: quella ucraina e quella vissuta dall’Italia per liberarsi dal fascismo e dall’occupazione nazista.
Parlare di pace non è così semplice come potrebbe sembrare. Cosa intendiamo, infatti, con “pace”? Spesso ci riferiamo a uno stato di assenza di guerra, all’esito stesso di una guerra: finito il conflitto armato, si fa la pace. Ma la sola assenza di guerra rischia sempre di assomigliare a quella che Tacito mette in bocca a Calgaco, capo Caledone: “dove fanno il deserto, la chiamano pace”.
Ma la pace è anche molto altro. Pensiamo alla parola ebraica shalom, dove pace è pienezza di vita: qualcosa di più e di diverso che semplice assenza di violenza. O pensiamo alla nozione, sviluppata da autori come Amartya Sen e Martha Nussbaum, di capabilities come insieme delle condizioni che consentono la fioritura esistenziale di tutti e di ciascuno: le libertà “di” (politiche e civili, sociali ed economiche, culturali e religiose) unite alle libertà “da” (bisogno, povertà e fame, sofferenza, malattia, morte prematura, insicurezza); o, ancora, la libertà di “vivere il tipo di vita al quale si dà valore, e si ha motivo di dare valore”. Ma pensiamo anche a un concetto anarchico, in senso filosofico-politico, di pace come assenza di dominio e di comando (ma non di organizzazione e di governo).
Se assumiamo un concetto più ricco e articolato di pace, l’affrontare un conflitto si presenta come un processo, certamente non facile, finalizzato non a “vincere” la guerra prevalendo sul “nemico”, quanto piuttosto ad andare al di là della violenza. Costruire la pace/shalom significa allora centrare l’attenzione e l’impegno non sul nemico da sconfiggere, ma sul tipo di società che vorremmo: la pace/shalom non è uno “stato”, dunque, ma un “processo”.
Si tratta un processo pieno di incertezze, e anche di contraddizioni, il cui vero punto nodale, al di là della dicotomia “lotta armata / lotta non armata e nonviolenta”, è la congruenza e l’interrelazione gandhiana fra mezzi e fini. Un processo che può comportare scelte difficili. Riprendendo e parafrasando il titolo di un libro sulla guerra partigiana italiana, si tratta di scelte che nascono spesso dalla Necessità, a volte dal Caso, ma sempre dall’Utopia1. Come dice Santo Peli a proposito della nostra resistenza, ci troviamo di fronte a tutte “le complessità, le contraddizioni, le ombre e le luci di un quadro che fu in realtà continuamente cangiante”, che rischiano di “restare schiacciate […] a tutto vantaggio dell’immediatezza comunicativa e del fascino di una comunicazione […] limpida, di facile fruizione”2.
Necessità e Caso hanno portato, a volte, alla scelta della lotta armata. Era l’unica possibilità? Certamente no, anche se è comprensibile che, non ultimo per ragioni culturali, per molto tempo la lotta armata sia stata vista come l’unica, o, comunque la fondamentale forma di resistenza. Emblematica la chiara gerarchia che il Decreto-legge luogotenenziale n. 518 del 21 agosto 1945 definisce tra partigiano combattente (con almeno tre azioni armate), patriota (non coinvolto in azioni armate, o che ha preso parte all’insurrezione finale) e benemerito (non attivo nella lotta armata)…

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Putin al Forum di San Pietroburgo: “L’economia delle entità immaginarie viene sostituita dall’economia dei beni reali”

 

Nell’atteso intervento di questo venerdì al Forum economico di San Pietroburgo, il presidente della Federazione russa Vladimir Putin ha dichiarato come: “Gli Stati Uniti – dopo aver dichiarato la vittoria nella Guerra Fredda – si sono autoproclamati messaggeri di Dio in terra, che non hanno obblighi ma solo interessi.”. E ancora: “Inoltre, questi interessi sono dichiarati sacri. Sembrano non notare che negli ultimi decenni si sono formati nuovi potenti centri sul pianeta e stanno diventando sempre più forti”.

Sul tema delle sanzioni, il presidente della Federazione russa ha sottolineato come sia un’arma a doppio taglio. “Le sanzioni possono essere utilizzate contro qualsiasi stato. Anche le aziende europee possono diventare il loro obiettivo. E così la stessa Ue ha inferto un duro colpo alla sua economia”…

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Ipnotizzati dalla propaganda fabbricata dalla Nato stiamo andando verso il baratro – Alessandro Marescotti

Gli ucraini stanno accusando perdite elevatissime, mille al giorno fuori combattimento fra morti, mutilati e feriti. Per la prima volta le forze armate ucraine chiedono gambe e braccia per i mutilati. In un mese quelli fuori combattimento saranno in trentamila di questo ritmo: addio esercito ucraino.

Severodonetsk è in mano ai russi fatta eccezione per l’area industriale. A Severodonetsk i russi hanno già sfondato e per ragioni di propaganda (si chiamano operazioni psicologiche, in gergo psyops) facciamo finte di non crederci, come era per Mariupol, e di prendere per buoni tutti gli annunci di controffensiva che servono a mascherare la terribile situazione militare in cui è sta precipitando l’esercito ucraino.

Mentre qualcuno in Italia indaga sui putiniani, o presunti tali, per via della “disinformazione”, nessuno fra i guardiani governativi delle fake news sembra voler indagare su come è stata drogata l’informazione italiana mainstream, in primis le TV pubbliche che ci hanno raccontato le magnifiche sorti e progressive della guerra giusta, l’imminente crollo di Putin, la disfatta dell’economia russa dietro l’angolo, il tonfo del rublo e altre stupidaggini del genere.

Mentre si parlava di una vittoria di Zelensky, in realtà in queste settimane accadevano tre cose terribili: boom di export per la Russia, carneficina dei soldati ucraini e avanzata delle truppe di Mosca. Un +90% di export di gas e petrolio con cui Putin può pagarsi la guerra per tutto il 2023.

Siamo stati inondati da fake news fabbricate negli incubatori della Nato. Uno dei quali è a Riga, in Lettonia. Si occupa di operazioni psicologiche, in gergo PsyOps, e c’è anche un bel sito web che consente di saperne di più https://stratcomcoe.org

Lo Strategic Communications Centre of Excellence (NATO StratCom COE) è stato costituito nel 2014 e si presenta con un ottimo slogan, tratto dal preambolo della costituzione dell’Unesco:

“Poiché le guerre iniziano nella mente degli uomini, è nella mente degli uomini che devono essere costruite le difese della pace”.

Peccato che oggi l’obiettivo della Nato non sia esattamente questo. Perché tutto lo sforzo della attuale narrazione bellica (il concetto di “narrazione” è alla base delle psyops) è quello di dimostrare che bisogna combattere a oltranza per ottenere la vittoria e quindi la pace.

Da questo oltranzismo bellico le forze armate ucraine ne stanno uscendo stremate, più o meno come i soldati italiani con il generale Cadorna durante la prima guerra mondiale, che venne sostituito perché quell’oltranzismo portò alla nota disfatta di Caporetto del 1917.

Adesso le scelte per le forze ucraine nel Donbass (le migliori in campo, fra 10 e 15 mila) sono essensialmente fra queste opzioni:

  • farsi decimare in una guerra a oltranza, fino all’ultimo uomo;
  • ritirarsi, lasciando sul campo molti degli armamenti pesanti ricevuti;
  • attendere ancora – in attesa dei mezzi pesanti promessi – con il rischio di farsi catturare in una manovra di accerchiamento.

Analizziamo quest’ultima opzione. Mantenendo posizioni non sostenibili i militari ucraini rischiano di non garantirsi una via di fuga, finendo per difendere una sacca di territorio ormai accerchiato. Chiusi in una sacca, rimarrebbero privi di rifornimenti con le conseguenze del caso.

La propaganda ucraina si consola con una controffensiva su Kherson.

Ma Kherson è saldamente in mano ai russi; una controffensiva annunciata da giorni ha un puro valore propagandistico; se poi non consegue un risultato militare è solo un modo per dire che si sta facendo qualcosa.

Potrebbe essere un “facite ammuina”, di borbonica memoria.

Si tenga presente che annunciare una controffensiva non è il massimo della tattica militare, e infatti la fonte di questa azione militare è di fonte ucraina e si inquadra nella narrazione che vuole i militari ucraini sempre coraggiosi, resilienti e capaci di ribaltare le sorti delle battaglie.

Ma questa voglia di controffensiva potrebbe essere qualcosa di molto di più della semplice propaganda. Potrebbe essere un tentativo di replicare le gesta del nostro generale Cadorna, prima di Caporetto. Ottenere l’impossibile con attacchi che invece di sfiancare il nemico sfiancano chi li promuove.

Una considerazione pacifista sui soldati ucraini: poveretti, si fanno ammazzare fino all’ultimo uomo. I loro comandanti non condividono con l’intelligence americana gli esiti delle proprie azioni per mascherare la debolezza in cui versa un’armata decimata, a rischio di ammutinamenti e diserzioni, un’armata piena di feriti, devastata dalle morti e da paurose mutilazioni.

Per chi non si accontenta delle narrazioni psyops ma legge a fondo attentamente e con spirito critico l’informazione che comincia a venire a galla, è davvero doloroso scoprire la verità nascosta. Zelensky infatti non aveva mai dato il conteggio delle proprie perdite fino a quando qualche giorno fa i giornalisti non hanno costretto a fornire i primi numeri, del tipo duecento morti e cinquecento feriti al giorno, cifra che è stata recentemente portata a una somma complessiva di mille. Ogni giorno è veramente terribile rivivere nella sofferenza degli ucraini anche le sofferenze dei soldati al fronte durante durante la prima guerra mondiale, quelli che dovettero subire le idee folli e il martirio delle controffensive ordinate di Cadorna.

Zelensky passerà alla storia come il Cadorna dell’Ucraina.

Chiede l’impossibile alle sue truppe per obbedire a una narrazione propagandistica che promette una vittoria mentre ottiene un massacro.

Ma questo incitamento al martirio non conosce il freno critico e umanitario dell’Europa civile.

Prima ci renderemo conto che l’UE è guidata da una signora non all’altezza e meglio sarà per noi.

E contornata da propagandisti pessimi che non solo non hanno raggiunto gli obiettivi militari auspicati ma che hanno fallito persino nelle sanzioni economiche: l’Europa paga ormai in rubli il gas russo e la Commissione Europea non sanziona, fa finta di non vedere il proprio fallimento.

E anche Biden negli USA arranca nei sondaggi. Trump lo ha superato nei sondaggi nonostante sia sotto accusa.

Questi signori assomigliano sempre più ai pifferai di montagna che andarono per suonare e furono suonati.

“Putin sarà un paria sulla scena internazionale”, diceva Biden. Ma nei prossimi anni a finire fuori della scena sarà molto probabilmente solo Biden, vittima di qualcosa di indefinibile che lo rende goffo e inutilmente enfatico nei suoi proclami. Un perdente, alla resa dei conti.

Purtroppo questa guerra – a meno che non accada qualcosa di nuovo – la sta vincendo Putin, che agisce con una lucidità che fa spavento.

 

L’uomo del KGB doveva finire nella polvere, ma nella polvere ci stiamo finendo noi, che ci siamo cibati della narrazione tossica della Nato, una narrazione che ci ha promesso una vittoria militare dell’Ucraina che non è arrivata.

I soldati ucraini sono le prime vittime di questa narrazione tossica, dopo veniamo noi.

Non è escluso che quello che si profila sia una Caporetto di Zelensky nel Donbass. Le premesse ci sono tutte perché Cadorna, il generale che pretendeva l’impossibile, ottenne non la vittoria ma la disfatta.

Prima o poi l’ubriacatura della guerra passerà…

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Le scelte dell’Europa prese sotto dettatura di Usa e Nato sono un vero suicidio economico – Paolo Ferrero

 

E’ sempre più evidente che stiamo vivendo un peggioramento delle condizioni sociali degli strati popolari. In primo luogo vi è una ripresa dell’inflazione che tocca soprattutto i generi di prima necessità e di largo consumo (alimentari, riscaldamento, trasporti, etc). Questa ripresa dell’inflazione colpisce in particolare le famiglie a reddito medio basso: lavoratori dipendenti ed autonomi, pensionati, disoccupati. Di fronte a questa situazione Draghi utilizza solo misure “spot”, che non danno alcuna risposta al problema. Il suo sodale presidente di Bankitalia lo spalleggia dicendosi contrario alla “rincorsa tra prezzi e salari” – che tradotto in italiano significa che i prezzi possono aumentare e che i salari debbono rimanere fermi – cioè che i lavoratori italiani, che hanno gli stipendi con la peggiore dinamica in Europa, debbono continuare a tirare la cinghia.

Al contrario stanno adeguando la remunerazione del capitale, visto che la Banca Centrale Europea già si sta preparando ad aumentare i tassi di interesse. In altre parole secondo lorsignori, di fronte all’inflazione, la remunerazione del lavoro deve scendere e la remunerazione del capitale deve essere salvaguardata.

La scala mobile non va bene per i salari ma va bene per il capitale… Come se non bastasse l’aumento dei tassi di interesse è una misura tipicamente recessiva, che si va a sommare al deciso rallentamento della ripresa economica che sta assumendo i contorni di una vera e propria stagnazione. Stagnazione economica significa riduzione dell’occupazione. Stiamo quindi finendo dentro un bel tritacarne in cui gli strati popolari vengono ulteriormente impoveriti e la disoccupazione e la precarietà sono destinate ad aumentare. Di fronte a questa situazione i giornali dicono che è colpa della guerra, facendo capire che sarebbe colpa di Putin che questa guerra ha cominciato.

Non è così: la drammatica situazione economica e sociale in cui ci stiamo cacciando non è causata dalla guerra di Putin ma dalla risposta che l’Occidente ha predisposto. Innanzitutto le sanzioni hanno effetti negativi principalmente contro i Paesi che le hanno fatte, a partire dall’Italia, che con la Russia aveva un discreto interscambio economico in alcuni importanti settori economici. Più in generale la scelta dell’Europa di interrompere gli scambi economici con la Russia è un vero e proprio suicidio economico, che ci rende assai più dipendenti dagli Stati Uniti: ci limita pesantemente. In secondo luogo la scelta della Nato di individuare come avversario strategico anche la Cina, oltre alla Russia, è ovvio che contribuisce a peggiorare i rapporti anche tra Europa e Cina. Da questo gli Usa hanno tutto da guadagnarci e l’Europa tutto da perderci. In terzo luogo le sanzioni hanno un effetto negativo sull’economia mondiale e contribuiscono all’inflazione e alla stagnazione di cui ho parlato sopra.

In quarto luogo le sanzioni e la spaccatura del mondo in due mette del tutto in secondo piano la lotta al cambio climatico. Si pensi solo al fatto che in Europa la sostituzione del gas russo ha legittimato la ripresa del consumo di carbone… Il nodo vero è che l’Europa, per seguire la volontà degli Stati Uniti, ha dichiarato guerra contro se stessa e i popoli europei sono destinati a patirne conseguenze pesanti. Quelle che stiamo subendo non sono quindi le conseguenze economiche della guerra ma le conseguenze delle sciagurate scelte fatte dall’Occidente in risposta alla guerra. Si tratta allora di cambiare radicalmente quelle scelte sia per evitare di peggiorare ulteriormente le condizioni di vita dei popoli europei, sia perché cambiare quelle scelte rappresenta un contributo vero alla fine della guerra e alla definizione di un compromesso.

È sempre più chiaro che la fornitura di armi all’Ucraina non serve a “vincere” la guerra, ma solo a farla proseguire all’infinito. È sempre più evidente che le sanzioni non “piegheranno” la Russia, ma anzi allontanano la possibilità di aprire una vera trattativa che ponga fine al conflitto. Le sciagurate scelte fatte dai Paesi occidentali sotto dettatura degli Usa e della Nato non solo sono inutili per “vincere” la guerra, ma sono dannose per le condizioni di vita degli stati popolari, a partire da quelli italiani ed europei. Cosa aspetta il nostro governo a smetterla di governare contro gli italiani? Cosa aspettano i partiti che si dicono contro la guerra a staccare la spina a questo governo? La situazione sarebbe ridicola se non diventasse sempre più drammatica per milioni di famiglie costrette a subire sopra la propria pelle i costi della subalternità atlantica del governo Draghi. Draghi go home!

da qui

 

 

 

 

La Russia ha vinto la guerra – Storia Segreta

 

Il primo a rompere le righe nella narrativa ufficiale delle classi dirigenti occidentali, fino ad allora unidirezionale e indifferenziata, è stato Carlo De Benedetti.

Ad inizio maggio, in una intervista a Lilli Gruber a La7 e in una successiva intervista al Corriere della Sera (qui), De Benedetti ci ha rivelato che non è interesse degli europei fare la guerra alla Russia.

«Questo conflitto si sovrappone a una recessione molto severa con effetti catastrofici. No all’invio di armi, serve una soluzione negoziale… Carestia e fame in Nord Africa e in larga parte dell’Africa australe. Costretti a scegliere tra morire di fame e rischiare di morire in mare, gli africani rischieranno di morire in mare. Altro che 500 al giorno; arriveranno a decine, a centinaia di migliaia. La nostra priorità assoluta dev’essere fermare la guerra

Gli interessi degli Stati Uniti d’America e del Regno Unito da una parte, e dell’Europa e in particolare dell’Italia dall’altra, divergono assolutamente. Se Biden vuol fare la guerra alla Russia tramite l’Ucraina, è affar suo. Noi non possiamo e non dobbiamo seguirlo».

La Nato non ha più senso e serve un esercito europeo:

«E siccome per avere una forza di difesa occorrono dieci anni, bisogna prendere quella che già c’è. A questo punto, tanto vale che gli Stati Uniti escano dalla Nato (!!!), e che gli europei assumano la responsabilità della propria sicurezza… Ma l’Europa ha un interesse comune: fermare la guerra, anziché alimentarla. Se gli Usa vogliono usare l’Ucraina per far cadere Putin, che lo facciano. Se i russi vogliono Putin, che se lo tengano. Cosa c’entriamo noi?»

Ci vuole una soluzione negoziale in cui «L’Ucraina perderebbe i territori russofoni e russofili, e avrebbe in cambio la garanzia americana e britannica di pace e prosperità… La Russia non è il vero pericolo che, per gli americani, è la Cina… Non è una mia opinione personale; è quello che pensano in Germania… Basta guerra».

Si è trattato di dichiarazioni bomba che hanno rivelato che nelle elite finanziare mondialiste esiste una drammatica spaccatura: da un lato il gruppo guerrafondaio facente capo a Victoria Nuland e a Biden, dall’altro una parte della finanza europea (De Benedetti non parla per sé ma per una parte rilevante del capitale ebraico europeo) che, a tre mesi dall’inizio della guerra, si è abbondantemente pentita di essersi accodata silenziosamente al progetto dei dem americani.

E le dichiarazioni di De Benedetti non sono rimaste isolate.

Se i Rothschild hanno ribadito il loro appoggio alla guerra in una lettera al governo britannico, poi smentita (qui), Macron ha ribadito il suo atteggiamento dialogante, la Germania appare sempre più riottosa a sostenere attivamente il conflitto e i repubblicani americani, per bocca di Rand Paul, hanno bloccato al senato il piano di aiuti proposto da Biden (qui).

Fino ad arrivare alle altrettanto clamorose dichiarazioni di Henry Kissinger al World Economic Forum di Davos, in cui si stigmatizza la guerra la Russia come un tragico errore strategico. In questo modo infatti si costringe la Russia ad avvicinarsi alla Cina e all’Asia e a fare fronte comune contro l’Occidente. Compattare i nemici è pura stupidità perché la prima regola da rispettare in un confronto geopolitico è cercare di dividerli (qui).

Che ci si debba ridurre a ritenere saggi i consigli di un uomo di 99 anni (!!!) come Kissinger la dice lunga sul livello qualitativo attuale delle leadership occidentali.

Cosa è successo all’arrogante e compatto atteggiamento bellicista di tutte le componenti il potere in Occidente, dalla politica, alla finanza, alla stampa, che aveva caratterizzato le fasi iniziali del conflitto tra la Russia e la NATO?

Una prima ipotesi è che gli interessi si siano diversificati: gli europei ci stanno rimettendo molto dalle sanzioni e sono molto meno convinti di portare avanti una guerra a oltranza, come nei desideri di Biden.

Le contromosse russe alle sanzioni occidentali sono state devastanti. L’obbligo a pagare in rubli petrolio e gas e il suo aggancio all’oro hanno reso la moneta russa la più forte del mondo in poche settimane (qui e qui) e già sta minacciando il ruolo prioritario del dollaro e dell’euro nelle transazioni mondiali.

Ma è possibile che nessuno avesse previsto queste mosse di Putin?

È Possibile (mai sottovalutare la stupidità), ma è improbabile.

La solita ipotesi che le nostre elite usano per giustificare le loro malefatte (‘Scusate, ci siamo sbagliati, siamo tutti coglioni’) questa volta è davvero poco convincente.

Crediamo che invece si debba guardare al fatto nuovo che ha sconvolto gli equilibri interni delle oligarchie occidentali e che poteva anche non essere previsto in queste dimensioni: la Russia ha vinto la guerra.

Infatti dopo le iniziali serie difficoltà (qui) l’esercito russo si è riorganizzato e, lentamente ma implacabilmente, sta disintegrando quello che resta dell’esercito ucraino.

In una dettagliata e competente analisi di Limes si precisa che le forze ucraine sono a rischio accerchiamento nella zona di Slovjansk, e che non hanno più munizioni né carburante, tanto da rendere problematica anche una loro ritirata.

Se gran parte delle truppe accerchiate in Donbass dovessero arrendersi ci sarebbe il problema di trovare altri uomini da mandare al fronte ma sembra che i riservisti siano poco motivati a morire per Zelenski.

Corrono voci di diserzioni e rese di massa, anche perché le truppe non professioniste hanno la sensazione di essere mandate al massacro senza adeguate risorse. Serpeggia anche l’accusa che siano proprio le truppe professioniste banderiste ad arrendersi per prime e ciò non può certo piacere ai soldati di leva che si troverebbero ad essere immolati inutilmente sull’altare della guerra di Biden e dei dem americani.

Ciò nonostante l’Ucraina insiste per difendere ad oltranza le ultime città del Donbass (Severodonetsk, Kramatorsk e Backmut) perché sa che, perse loro, non sarà più possibile organizzare una difesa efficace se non sul Dnepr. La resistenza infatti, in una nazione pianeggiante, senza vallate né montagne, come l’Ucraina, può essere organizzata solo nei centri urbani. Persi quelli perso tutto…

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Italia fornisce missili radioattivi all’Ucraina? – Gregorio Piccin

 

Segnaliamo sul numero del settimanale Left che esce oggi in edicola un articolo di Gregorio Piccin, responsabile pace di Rifondazione Comunista.

Nell’articolo su Left, Gregorio Piccin riferisce gravi fatti su cui la

nostra senatrice Paola Nugnes presenterà un’interrogazione parlamentare nelle prossime ore per chiedere al governo se davvero l’Italia ha inviato missili anti-carro radioattivi MILAN in Ucraina.

Il governo italiano ha secretato le informazioni relative all’invio di armi ma è trapelato che l’Italia avrebbe fornito tali missili a esercito ucraino.

Si tratterebbe di una scelta molto grave considerato che è ben nota la pericolosità a lungo termine per la salute e l’ambiente di tali ordigni.

Infatti lo scorso 10 giugno, presso il tribunale di Cagliari, è iniziato il processo per disastro ambientale che vede imputati i cinque generali delle forze armate italiane Valotto, Graziano (attuale presidente di Fincantieri), Errico, Rossi e Santroni. Il disastro ambientale in questione, che riguarda il poligono NATO di Capo Teulada, è stato causato in particolare proprio dall’uso massiccio del missile portatile anti-carro MILAN.

E’ noto che le prime due versioni di quest’arma contengono torio altamente radioattivo nel sistema di puntamento. Tale metallo pesante viene rilasciato nell’ambiente circostante ad ogni utilizzo. Risulta ugualmente contaminata infatti anche l’area del poligono sperimentale di Salto di Quirra.

Ricordiamo che soldati italiani ancora si ammalano e muoiono a causa dell’uranio impoverito usato nelle precedenti guerre NATO.

L’Italia dovrebbe interrompere e ritirare la fornitura di armi così dannose e farsi promotrice di una iniziativa presso l’ONU per la messa al bando di ogni arma e sistema d’arma che impieghino metalli pesanti quali torio e uranio impoverito.

Invece di contaminare l’Ucraina il nostro paese dovrebbe farsi promotore di un’iniziativa umanitaria diretta alle parti in conflitto per chiedere la sospensione e/o non utilizzo di queste armi.

Da ultimo ricordiamo la preoccupazione espressa dal segretario generale dell’Interpol Jurgen Stock sul fatto che armi inviate in Ucraina stanno finendo nel mercato internazionale illegale. Dobbiamo attenderci attentati con missili radioattivi in futuro?

da qui

 

 

 

L’insegnamento fondamentale del conflitto ucraino – Enrico Galavotti

 

Devo dire che questo conflitto russo-ucraino ha messo seriamente in crisi il rapporto idealistico (o filosofico) tra etica e politica.

Certo, in Italia non abbiamo solo una tradizione cristiana che, seppur in forma laicizzata, presume di dare un senso alla politica in nome dell’etica; ma abbiamo anche una tradizione machiavellica (cioè radical-borghese) che separa nettamente l’etica dalla politica, facendo di quest’ultima qualcosa di cinico, ai limiti della spietatezza, se e quando la ragion di stato lo esige.

Con questo conflitto però è successo qualcosa di inedito. Infatti chi sembra avere della politica una concezione cinica, Putin, dimostra d’avere ragioni più fondate, persino più etiche di Zelensky, che pur continuamente cerca di coinvolgere il mondo intero nella sua narrativa melodrammatica, che presume d’essere valida in sé, in quanto esprime la condizione d’uno Stato aggredito, vittima della protervia di uno aggressore, che vuole minare la sua sovranità e integrità territoriale.

Bisogna in effetti ammettere che il mondo intero (o meglio, quello occidentale) non ha avuto dubbi a chi dare tutte le ragioni, al punto che ha preferito soprassedere completamente sul fatto che il governo di Kiev, sin dal golpe del 2014, ha avuto esplicite connessioni con l’ideologia neonazista presente in Ucraina: un’ideologia che risale alla II guerra mondiale e ch’era stata soffocata sotto una cenere fumante nella fase del socialismo reale di marca sovietica.

Dunque in questo conflitto si sono, in un certo senso, ribaltati i criteri dell’etica e della politica, nel senso che non è affatto vero che ha sempre più ragioni chi viene aggredito.

Certo, uno potrebbe dire che l’aggressore, usando mezzi militari, si pone automaticamente dalla parte del torto. Ma non è sempre così. La Russia ha aspettato 8 anni prima d’intervenire. Putin è stato accusato dai “falchi” del suo regime d’aver troppo tergiversato, soprattutto nei confronti dell’espansione orientale della NATO…

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scrive Vincenzo Costa

 

Io credo che la guerra sia già decisa nell’essenziale. Possibile che si trascini ancora, più o meno a lungo. Ma l’essenziale è deciso, finisce come non poteva non finire.

I tre re Magi sono andati a dire che tutto quello che si poteva fare è stato fatto, e che è bene chiuderla. Hanno offerto un compenso, peraltro tutt’altro che certo: l’ingresso nella UE. Questo potrebbe avere un peso nello spingere a negoziati: l’ucraina accetta ciò che avrebbe dovuto accettare sin dall’inizio, e in cambio entra nella UE. Questo rappresenta una sorta di garanzia. Non entra nella NATO ma nella UE.

Zelenskij ha capito che a parte Draghi, a cui Macron e scholz non fanno vedere i loro messaggi perché lo considerano il rappresentante degli interessi USA in europa, non si deve aspettare granché da ora in poi. Macron e scholz gli hanno fatto capire che se vuole può continuare la guerra e mandare al macello il suo popolo, ma che questa scelta non li riguarda.

E gli hanno fatto capire che più tempo passa maggiori saranno le concessioni che dovrà fare.

Per non dire che se l’esercito ucraino dovesse collassare, e con 1000 soldati morti al giorno si è prossimi al collasso, una ritirata sarebbe disordinata e sanguinosa e a quel punto ci sarebbe ben poco da trattare…

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scrive Andrea Zhok

 

Stando alle informazioni che arrivano dal fronte ucraino, sembra che quello che molti temevano stia accadendo.

Le forze armate ucraine, essendo oramai in una posizione estremamente difficile nelle ultime roccaforti rimaste nelle loro mani nel Donbass, stanno lanciando un attacco intensivo sugli obiettivi civili di Donetsk.

Incidentalmente l’artiglieria qui utilizzata è in gran parte quella inviata dai paesi europei.

Sono stati colpiti condomini, chiese, ospedali. Il numero dei morti sta salendo rapidamente.

Questo atto, privo di significato militare e, probabilmente, frutto di una frustrazione arrivata vicina alla disperazione, costringerà la Russia ad una reazione pesante, perché dopo aver “messo in salvo” le aree civili delle due repubbliche secessioniste, semplicemente non possono permettersi di far pagare di nuovo un prezzo durissimo a quei civili che sarebbero stati “salvati” dall’intervento russo (e questa è l’intera ratio ufficiale dell’intervento).

Dev’essere chiaro che la risposta russa può essere terrificante senza utilizzare ordigni nucleari. (Le guerre moderne sono come trattative a colpi di armi: si decide cosa usare e come usare di volta in volta, a seconda del segnale che si vuole lanciare).

Questo tipo di dinamica è precisamente quella che era maggiormente da temere nel momento in cui si è deciso di rinforzare sul piano degli armamenti la controparte ucraina, e, lungi dal rappresentare un aiuto per gli ucraini, potrebbe rappresentare per essi un disastro di proporzioni finora inedite.

Speriamo di no, ma l’escalation può essere ad un punto di svolta.

da qui

 

 

 

 

Il Pentagono ammette: gli Usa supportano 46 biolab in Ucraina

Piccole Note

 

Gli Stati Uniti hanno finalmente ammesso di aver “supportato” 46 biolaboratori in Ucraina, dopo aver respinto per mesi le dichiarazioni in tal senso dei suoi antagonisti geopolitici. Lo ha riferito il Pentagono, ovviamente dichiarando che le ricerche ivi svolte erano legittime e non dirette a creare armi biologiche, anzi.

Il documento del Pentagono spiega che l’interesse per tali siti nesce nel 1991, quando fu varato il Programma Nunn-Lugar Cooperative Threat Reduction (CTR) con il compito di trattare le armi di distruzione di massa nei Paesi dell’ex Unione sovietica. Quattro le missioni del Programma, che elenchiamo di seguito.

“1) consolidare e proteggere le armi di distruzione di massa e il materiale relativo alle armi di distruzione di massa in un numero limitato di siti sicuri; 2) inventariare e rendicontare tali armi e materiali; 3) fornire [attrezzature e competenze per] una manipolazione e uno stoccaggio sicuro di tali armi e materiali, come richiesto dagli accordi sul controllo degli armamenti; e 4) offrire assistenza per un ricollocamento retribuito a migliaia di ex scienziati sovietici esperti in armi di distruzione di massa, in materiali relativi alle armi di distruzione di massa e nei trasferimenti delle stesse”.

Questa le missioni, alle quali gli Stati Uniti, spiega il documento, si sono adoperati distruggendo o mettendo in sicurezza le testate nucleari, in collaborazione anche con la Russia, come anche le bio-armi risalenti al tempo sovietico.

“Gli Stati Uniti, attraverso la collaborazione internazionale, hanno anche lavorato per affrontare altre minacce biologiche in tutti i Paesi dell’ex Unione Sovietica. A tale scopo il governo degli Stati Uniti ha ingaggiato esperti in materia di biologia, biodifesa, salute pubblica e campi correlati”.

Quanto all’Ucraina, specifica il documento, gli Usa hanno eliminato la minaccia nucleare, in collaborazione con la Russia (collaborazione durata fino al 2014, l’anno di Maidan), tanto che nel Paese sarebbe rimasto solo un quantitativo poco rilevante di uranio arricchito, non sufficiente per produrre una testata atomica (e una bomba sporca?).

Riguardo alle bio-armi ucraine, si legge, “Gli Stati Uniti hanno lavorato in collaborazione [con Kiev] per migliorare la sicurezza biologica, la protezione e la sorveglianza delle malattie dell’Ucraina, sia per quanto riguarda la salute umana che degli animali, fornendo supporto, negli ultimi due decenni, a 46 laboratori pacifici ucraini, strutture sanitarie e siti diagnostici delle malattie. La collaborazione si è concentrata sul miglioramento della salute pubblica e delle misure di sicurezza agricola, rispettando i dettami della non proliferazione”.

Arduo immaginare che gli Stati Uniti potessero dire il contrario: di certo non potrebbero mai ammettere, anche se così fosse, che questi 46 biolab servivano (servono?) a produrre bio-armi. E, però, leggere nero su bianco che gli Usa ingaggiavano esperti di armi biologiche da tutta l’Unione sovietica, al di là dello scopo dichiarato, vero o falso che sia, fa un certo effetto.

Inoltre, la descrizione dei biolab in oggetto come una sorta di laboratori diagnostici, del tipo di quelli disseminati nelle grandi città italiane, fa un po’ sorridere. Con 46 di tali centri, poi, se lo scopo fosse davvero quello dichiarato, dovremmo presumere che gli ucraini e i loro animali godono di una salute di ferro.

Sul punto, torna prepotentemente alla memoria la famosa dichiarazione di Victoria Nuland al Congresso degli Stati Uniti. Interpellata sui biolab ucraini, allora ancora de facto negati dagli Usa, la sottosegretaria di Stato disse: “Siamo piuttosto preoccupati che l’esercito russo possa cercare di prenderne il controllo”.  Perché preoccuparsi tanto, se si trattava di innocui centri benessere?

Al di là dell’ironia del caso, ce ne scusiamo con i lettori ma era d’obbligo, resta che, dopo tanta reticenza, l’America ha finalmente messo nero su bianco il suo lavoro oscuro nei biolab ucraini (nel documento si parla di trasparenza, ma di trasparente c’è ben poco, se si considera che alcuni mesi fa negavano l’esistenza di tali biolab, bollando le accuse come Fake News)

Concludiamo riprendendo l’inizio della nostra nota, cioè alle missioni assegnate al CTR e chiedendoci, ingenuamente, perché gli incaricati di tale programma non abbiano semplicemente distrutto le bio-armi ereditate dall’era sovietica, perché hanno ingaggiato gli esperti che ci lavoravano perché proseguissero quel lavoro e, infine, quanti saranno i biolab sparsi nei Paesi ex sovietici oggi passati nell’orbita occidentale, supportati dagli Usa, se già 46 sono disseminati in Ucraina.

Ps. Ipotizzare che un biolab possa servire per creare armi biologiche, ad esempio virus che si diffondono tramite insetti, non è necessariamente complottista. Alcuni membri del Congresso degli Stati Uniti, ad esempio, nel luglio 2019, chiesero al Dipartimento della Difesa se avesse creato o usato tali armi biologiche tra gli anni ’50 e la metà degli anni ’70.

Dubitiamo che la richiesta abbia ottenuto risposta, anche perché, di lì a poco, sarebbe arrivato il coronavirus e c’era il rischio di gettare benzina sul fuoco alimentato dai cosiddetti complottisti. 

A pochi giorni dalla richiesta, coincidenza temporale, fu chiuso il più importante biolab della Difesa Usa, Fort Detrick, nel quale si studiavano pericolose “tossine, e germi chiamati agenti selezionati , che secondo il governo avevano ‘il potenziale per rappresentare una grave minaccia per la salute pubblica, animale o vegetale” (New York Times). Le autorità si peritarono di rassicurare che non era successo nulla, solo un problema di sicurezza delle acque reflue, Nessuna informazione ulteriore, perché fu chiuso per ragioni di “sicurezza nazionale”, sulle quali vige il segreto.

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L’ascesa della NATO in Africa – Vijay Prashad

 

Dal blog https://www.pressenza.com/

La preoccupazione per l’espansione dell’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO) verso il confine russo è una delle cause dell’attuale guerra in Ucraina. Ma questo non è l’unico tentativo di espansione della NATO, un’organizzazione creata nel 1949 dagli Stati Uniti per indirizzare il proprio potere militare e politico sull’Europa. Nel 2001, la NATO ha condotto un’operazione militare “fuori area” in Afghanistan che è durata 20 anni, e nel 2011 la NATO, su richiesta della Francia, ha bombardato la Libia e rovesciato il suo governo. Le operazioni militari della NATO in Afghanistan e Libia sono state il preludio alle discussioni su una “NATO globale”, un progetto che mira ad utilizzare l’alleanza militare della NATO al di là dei propri obblighi scritti su carta, dal Mar Cinese Meridionale al Mar dei Caraibi.

La guerra della NATO in Libia è stata la prima grande operazione militare in Africa, ma non è stato il primo approdo militare europeo sul continente. Dopo secoli di guerre coloniali europee in Africa, nuovi Stati sono emersi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale per affermare la loro sovranità. Molti di questi Stati – dal Ghana alla Tanzania – si sono rifiutati di permettere alle forze militari europee di rientrare nel continente, motivo per cui queste potenze europee sono ricorse ad assassinii e golpe militari per farsi amici i governi filo-occidentali della regione. Ciò ha permesso la creazione di basi militari occidentali in Africa e ha dato alle imprese occidentali la libertà di sfruttare le risorse naturali del continente.

Le prime operazioni NATO rimasero ai confini dell’Africa, con il Mar Mediterraneo come prima linea. La NATO istituì le forze alleate dell’Europa meridionale (AFSOUTH) a Napoli nel 1951, e poi le forze alleate del Mediterraneo (AFMED) a Malta nel 1952. I governi occidentali istituirono queste formazioni militari per presidiare il Mar Mediterraneo contro la marina sovietica e per creare piattaforme da cui poter intervenire militarmente nel continente africano. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, il Comitato di Pianificazione della Difesa della NATO, che fu sciolto nel 2010, creò la Forza di Reperibilità Navale Mediterranea (NOCFORMED) per esercitare pressioni sugli stati filo-sovietici – come l’Egitto – e per difendere le monarchie dell’Africa settentrionale (la NATO non fu in grado di impedire il colpo di stato anti-imperialista del 1969 che rovesciò la monarchia in Libia e portò il colonnello Muammar Gheddafi al potere; il governo di Gheddafi espulse le basi militari statunitensi dal paese subito dopo).

Le conversazioni al quartier generale della NATO sulle operazioni “fuori area” hanno avuto luogo con crescente frequenza dopo che la NATO si è unita alla guerra degli Stati Uniti contro l’Afghanistan. Un alto funzionario della NATO mi disse nel 2003 che gli Stati Uniti “stavano prendendo gusto ad utilizzare la Nato” per sfoggiare il loro potere contro possibili avversari…

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«Ho visto con i miei occhi le bugie dei media occidentali», intervista al prof. Perinçek di ritorno dal Donbass

(di Fabrizio Verde)

 

In un panorama mediatico e politico sempre più asfittico in Occidente, dove l’operazione speciale della Russia in Ucraina viene raccontata in modo unilaterale, l’intervista con il professor Mehmet Perinçek rappresenta una vera e propria boccata di aria fresca. Lo storico e scienziato politico turco, professore presso le università di Istanbul e Mosca, ci ha raccontato cosa ha visto e ascoltato nei territori liberati del Donbass che ha recentemente visitato. 

Con ll professor Perinçek abbiamo inoltre parlato degli scenari futuri che vanno delineandosi sullo sfondo di quanto accade in Ucraina, del nuovo ordine multipolare a trazione eurasiatica emergente e del ruolo della Turchia che nonostante sia un membro Nato lavora fattivamente per giungere a un accordo di pace. 

 

INTERVISTA

Professore lei ha visitato i territori liberati in Donbass di Mariupol, Donetsk, Berdiansk, Enerhodar e Melitopol. Ha incontrato e conversato con le persone del posto. Quali sono state le sue impressioni e quali testimonianze ha raccolto? 

Posso affermare con sicurezza che se la Russia non avesse avviato un’operazione speciale in Ucraina, si sarebbe verificato un conflitto armato più grave, con molte più distruzioni e vittime tra la popolazione civile delle città ucraine.

Kiev voleva usare queste aree come punto d’appoggio contro la Russia. In questo caso, non solo le città ucraine, ma anche molte città russe situate vicino al confine con l’Ucraina avrebbero sofferto. Si sarebbero trasformate in rovine.

I residenti locali raccontano cose terribili sulle azioni dei neonazisti, sugli “Azov” che li hanno usati come scudi umani. I neonazisti hanno bombardato le case dei civili per dare la colpa ai russi, per incolpare l’esercito russo dell’uccisione di bambini. Molti sostengono che Mariupol sia stata attaccata ancor prima che i soldati russi entrassero in città.

Si sente dire molto spesso:

“La guerra qui non è iniziata ieri. È iniziata 8 anni fa. Kiev non ha mai rispettato gli accordi di Minsk. L’Occidente non ha mai detto una parola. Anche noi siamo esseri umani, anche noi meritiamo di avere una vita! L’operazione militare russa è il risultato di questo processo, non l’inizio di una guerra. Al contrario: Questa operazione metterà fine a una guerra durata 8 anni”.

A Mosca, la crisi ucraina viene discussa nel quadro dell’allargamento della NATO e dell’aggressione statunitense. Nel Donbass, il contesto è il regime di Kiev e il suo pericoloso fascismo.

Non solo gli abitanti del Donbass hanno sofferto per il regime di Kiev, ma anche gli ucraini di lingua russa che non erano d’accordo con la “dittatura neonazista”. Non è stato permesso loro di celebrare il Giorno della Vittoria, non gli è stato permesso di parlare la loro lingua madre, i bambini sono stati costretti a odiare i loro vicini nelle scuole. L’ho sentito dire personalmente da persone di Melitopol, Berdyansk, Mariupol.

Durante questa dittatura, le persone scomparivano, se ne perdevano le tracce – tutto questo prima dell’operazione speciale della Russia.

Abbiamo visto con i nostri occhi questo fascismo ordinario.

Oggi la vita in quelle città sta gradualmente riprendendo. I bambini, gli anziani hanno la possibilità di camminare tranquillamente per le strade della città. La cosa più importante che ho potuto capire è che quasi tutti gli abitanti del Donbass non vogliono legare il loro futuro a Kiev.

Quanto ha potuto vedere in questi luoghi corrisponde al racconto dei media occidentali?

Ho incontrato le autorità locali e la gente comune. Sono molto arrabbiati con i media occidentali. Perché parlano in modo unilaterale e c’è molta disinformazione.

Ho visto con i miei occhi le bugie dei media occidentali. Vi faccio un esempio: Durante il viaggio sono entrato nella centrale nucleare di Zaporozhye. I media occidentali avevano fatto una grande campagna. Dicevano: “Ci sarà una seconda Chernobyl”, “La Russia sta bombardando la centrale”, ecc.

 

La centrale non ha subito alcun danno durante l’ingresso dell’esercito russo in città. L’abbiamo vista con i nostri occhi. Continua la sua attività ordinaria così com’è. Anche i precedenti dipendenti della centrale sono ancora in servizio.

Questo ricorda gli eventi in Iraq. I discorsi su una sorta di arma di distruzione di massa in Iraq alla fine si sono rivelati nient’altro che una falsificazione.

L’Occidente non usa solo razzi e carri armati nelle guerre. Usa anche i media come arma…

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La vittoria, le perdite e i rimpiazzi – Guido Viale

 

Abbiamo 100, anzi 200 “perdite” al giorno, afferma Zelenski. Secondo il generale Mini, anche 300. Perdite vuol dire soldati “caduti”, cioè uccisi; morti: da rimpiazzare ogni giorno con altre 100-300 “unità” destinate alla stessa sorte. Giorno dopo giorno. Altrettanto, se non di più, sono i “caduti” dell’esercito russo, dall’altra parte del fronte.
Poi ci sono i feriti, molti dei quali amputati o destinati a esserlo; tutti comunque segnati da un trauma difficile da rimarginare. E poi ancora, i morti tra la popolazione civile, in una guerra dove si tirano giù a cannonate i condominii con dentro i loro abitanti. Oggi lo fa (solo?) l’esercito russo, ovunque arrivi, come ieri lo facevano l’esercito e le milizie ucraine in Donbass.
Poche – sempre meno – le prospettive di una risoluzione del conflitto a breve; più probabile uno stallo guerreggiato che prolunghi indefinitamente il bilancio quotidiano di quel massacro. Perché da una parte e dall’altra del fronte si mira alla “vittoria”, avendo sempre meno chiaro in che cosa possa consistere.

Le armi di cinquanta e più anni fa sono state quasi tutte consumate, insieme ai soldati che le manovravano; adesso devono arrivare i “rimpiazzi”: sia di mezzi che di uomini. Di uomini sempre meno adatti al combattimento; e forse anche meno pronti a combattere. Di mezzi, cioè armi, quante ne riuscirà a sfornare l’industria russa e quante ne saranno disposti a cedere gli Stati maggiori di Nato, Stati uniti e Stati membri dell’Unione europea; prima di entrare eventualmente in campo direttamente.
Ma anche se le armi sono moderne e i combattenti sono abbigliati come “robocop”, questo modo di combattere è vecchio di un secolo. L’immagine che viene immediatamente alla mente è quella della battaglia di Verdun tra Francia e Germania nella “Grande guerra”, durata 10 mesi in situazione di stallo e costata 140mila morti e 300mila feriti e “dispersi” – cioè morti anche loro – alla Germania e 160mila morti e 380mila feriti e “dispersi” alla Francia.

Un massacro. Che, a distanza di un secolo, ci fa dire da tempo, tanto da trovarlo scritto anche sui manuali scolastici di storia, che gli Stati maggiori di entrambi i paesi che mandavano le “loro” truppe all’assalto, cioè a farsi ammazzare a ondate successive – per poi “rimpiazzarle” con truppe “fresche”, “votate”, cioè condannate, alla stessa sorte – erano dei criminali; e che quella guerra e quel modo di combattere erano stati un massacro inutile e insensato.

se lo si dice dei generali e dei capi di Governo di allora, perché non lo si può dire di quelli di oggi? Certo oggi c’è un aggredito e un aggressore mentre a distanza di anni è difficile dire chi fosse l’aggredito e chi l’aggressore nella Grande guerra. Aggressore sarebbe risultato, più che il primo a dichiararla, chi quella guerra l’aveva persa. L’aggredito, quindi, chi l’aveva vinta. Poi, rivedendo le cose in sede storica, non si può fare a meno di riconoscere che, nel pieno della Belle époque, i germi di quel massacro che avrebbe cambiato la storia del mondo covavano da tempo da entrambe le parti.

E perché non si può dire la stessa cosa anche di questa guerra? Sono in tanti, nonostante l’ostracismo a cui vengono sottoposti, a sostenere che le premesse per scatenare l’aggressione di Putin all’Ucraina erano state poste da tempo dall’allargamento della Nato (di fatto, anche all’Ucraina; anche se in forma non ufficiale; e nel pieno di un’aggressione alle popolazioni del Donbass). Premesse non molto diverse da come il trattato di Versailles aveva prima favorito l’ascesa di Hitler e poi innescato la sua guerra di aggressione, contando che a farne le spese sarebbe stata solo l’Unione sovietica…

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ah le sanzioni e le armi….

 

Dalla pg FB di Mario Ferrandi-The Seneca Effect

“In Belgio, i birrifici stanno andando in bancarotta perché stanno finendo le bottiglie di vetro, l’87% delle quali fornite dalla Russia, perché è troppo ad alta intensità di energia per produrre cristalli in Europa. Queste bottiglie non torneranno. I birrifici volevano passare alle lattine di alluminio, ma questo richiede ancora più energia, e l’alluminio proveniva anche dalla Russia “

Non importiamo solo energia DIRETTA, combustibili fossili, importiamo semilavorati contenenti energia a basso costo che ammontano ad altra energia non determinata al momento ma determinabile: quanta parte dell’enorme occultamento del vero pri ces delle cose ci è sfuggito, a causa di olio di picco? i semilavorati sono PORTATORI DI ENERGETICA e bisogna sapere quanta energia c’è per determinare il costo e poi poterlo indicizzare, non alla presunta legge dell’offerta e della domanda, ma a quella del, mbuh, QECP, Quantità di Energia Cont ained nel Prodotto . La barra di ferro per la costruzione che abbiamo preso da Azovstal ha raddoppiato il prezzo, il legno, l’alluminio, il manganese, per non parlare dei concimi. È tutto il primario che si vendica. Ed è più grande di quanto sembri: niente costruzione, per dire, niente lavoro, niente stipendi; niente fertilizzanti non significa solo aumenti dei prezzi, significa la scomparsa del prodotto. Non è povertà, è miseria, non c’è roba anche se hai i risparmi per comprarla. E questo vuol dire che i SEMIFINITI VECTOR non possono essere realizzati da nessuno, quindi se uno non te li dà, qualcun altro lo fa: eravamo ignoranti, e forse non era del tutto chiaro nemmeno a loro prima, alle nazioni post-sovietiche. La Cina è la fabbrica mondiale dei lavoratori delle grandi fabbriche e dei bassi salari, quelle post sovietiche sono l’energia mondiale, e nessuno può sostituirle solo perché hanno salari bassi, perché non c’entrano le ore di lavoro contenute nel prodotto, ma l’energia a basso costo che c’è dentro e la filiera industriale adiacente per la semilavorazione che c’è o no. E se così fosse, il sistema occidentale non salta in 10 anni ma in due, il tempo di esaurire le scorte e mandare i piccoli paesi sostitutivi a picco. E sai cosa significa questo? Che attaccheremo la Russia per dividerla e rubare pozzi, miniere e acciaio, e piuttosto ci smusseranno le armi nucleari, ma non chissà quando, ma entro un anno o due. Questo era il mistero Azovstal, non i nazisti dell’Illinois dentro…

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La giornata del ripudio della guerra – Rocco Artifoni

 

“L’Italia ripudia la guerra” è l’incipit dell’articolo 11 della Costituzione, approvato il 24 marzo del 1947 dall’Assemblea Costituente. Ci fu un ampio confronto sul verbo da utilizzare: condanna, rinuncia o ripudio? Il presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini, intervenne in aula per spiegare che «condanna» ha un valore etico più che politico-giuridico, «rinuncia» presuppone la rinuncia ad un bene, ad un diritto, il diritto della guerra che si vuole appunto contestare, mentre la parola «ripudia» ha un accento energico ed implica così la condanna come la rinuncia alla guerra. Nel vocabolario troviamo che ripudio deriva dal latino “repudium”, che rappresenta l’atto di respingere con il piede. Perciò la nostra Costituzione vuole dare un calcio alla guerra. Ma c’è anche qualcosa di più. Si ripudia quando non si vuole più riconoscere come proprio qualcosa o qualcuno con cui si aveva un legame. L’Italia ripudia la guerra, poiché la guerra, purtroppo, l’ha fatta e l’ha conosciuta.

“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, recita il primo comma dell’art. 11. A quante guerre ha partecipato l’Italia tra il 1861 e l’approvazione dell’art. 11 della Costituzione? Che cosa ci facevano i soldati italiani in Abissinia, Eritrea, Etiopia, Somalia, Libia, Spagna, Jugoslavia, Albania, Grecia, Cina, Russia, ecc. Quanti crimini di guerra hanno commesso? Che cosa abbiamo fatto per riconoscere l’offesa arrecata alla libertà degli altri popoli? L’Italia ha chiesto seriamente perdono per queste atrocità commesse in terre straniere?

Nel calendario civile italiano non mancano le date per ricordare i nostri morti, ma prima dovremmo ricordare quelli che abbiamo provocato. Lanza del Vasto, apostolo della nonviolenza, sosteneva che i torti degli altri non ci giustificano. Ogni popolo, ogni nazione dovrebbe anzitutto fare memoria dei propri errori, dei crimini che ha compiuto, dei morti che ha causato. Altrimenti non è un vero ripudio, ma soltanto una commemorazione, con il sottinteso che la colpa dei propri morti è sempre degli altri, rischiando così di trasformare i carnefici in vittime. Perciò in Italia sarebbe importante istituire la Giornata del Ripudio della guerra, il 24 marzo, giorno di approvazione dell’art. 11 della Costituzione.

C’è ancora troppa retorica nel ricordare i nostri morti, mentre dovremmo ascoltare di più le ragioni di chi abbiamo offeso e ucciso. Potremmo anzitutto imprimere nella consapevolezza e nella coscienza nazionale le parole pronunciate dall’imperatore etiope Hailé Selassié alla Società delle Nazioni il 30 giugno 1936: «È mio dovere informare i governi riuniti a Ginevra, in quanto responsabili della vita di milioni di uomini, donne e bambini, del mortale pericolo che li minaccia descrivendo il destino che ha colpito l’Etiopia. Il governo italiano non ha fatto la guerra soltanto contro i combattenti: esso ha attaccato soprattutto popolazioni molto lontane dal fronte, al fine di sterminarle e di terrorizzarle. […] Sugli aeroplani vennero installati degli irroratori, che potessero spargere su vasti territori una fine e mortale pioggia. Stormi di nove, quindici, diciotto aeroplani si susseguivano in modo che la nebbia che usciva da essi formasse un lenzuolo continuo. Fu così che, dalla fine di gennaio del 1936, soldati, donne, bambini, armenti, fiumi, laghi e campi furono irrorati di questa mortale pioggia. Al fine di sterminare sistematicamente tutte le creature viventi, per avere la completa sicurezza di avvelenare le acque e i pascoli, il Comando italiano fece passare i suoi aerei più e più volte. Questo fu il principale metodo di guerra». Di questo ecocidio e genocidio dovremmo ancora provare vergogna di fronte all’Etiopia e al mondo.

E se proprio volessimo ricordare che cosa hanno fatto gli altri a noi, prima dei torti dovremmo elencare i meriti. Quando l’imperatore dell’Etiopia ritornò dall’esilio in patria, il 20 gennaio 1941, emanò un decreto in cui faceva appello alla popolazione perché, malgrado i numerosi lutti, agisse con rispetto verso i prigionieri italiani: «Io, Hailé Selassié, vi raccomando di accogliere in maniera conveniente e di prendere in custodia tutti gli italiani che si arrenderanno, con o senza armi. Non rinfacciate loro le atrocità che hanno fatto subire al nostro popolo. Mostrate loro che siete dei soldati che possiedono il senso dell’onore e un cuore umano. Vi raccomando particolarmente di rispettare la vita dei bambini, delle donne e dei vecchi. Non saccheggiate i beni altrui anche se appartengono al nemico. Non incendiate le case». La vicenda etiopica ci ha anche insegnato che la vendetta non è un obbligo.

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Armi, sempre armi – Antonia Sani

 

Ho trovato molto efficace la denuncia presentata dal Centropace di Viterbo contro l’uso delle armi e la difesa dell’art. 11/Cost.

Attraverso quel foglio, diffuso più volte nel corso delle settimane, la denuncia viene riproposta alla meditazione dei cittadini su vari aspetti che rendono improponibile la forma militare.

 

Continuano a essere presentati in rete, uno dietro l’altro senza tregua, articoli sulla guerra e invocazioni alla pace; una sorta di disperati protagonismi, la foga di esprimere il proprio pensiero, il percorso rivisitato negli anni, nei decenni….Non so se i cittadini di tutti  gli Stati europei si comportino con le loro esternazioni a  somiglianza dell’ Italia …Non avrei mai immaginato nel nostro paese una cosi estesa preparazione e consapevolezza in tanti soggetti, maschili e femminili, in grado di reggere confronti, dibattiti, chiamando in ballo riferimenti storici, fornendo informazioni assai circostanziate a un pubblico fino al mese precedente all’oscuro degli antefatti.

 

Quale il risultato? – L’ incertezza dominante dovuta alla sfiducia nella comunicazione radiotelevisiva – la curiosità alimentata da quanto viene

quotidianamente propinato dalle nuove tecnologie ; -una familiarità improvvisa,  e via via penetrante, verso un mondo orientale fin qui pressoché indifferente riguardo a  storia, costumi, alimenti, parole e segni in lingue sconosciute. Il mese di guerra e l’altalena dei risultati fin qui conseguiti dalle forze in campo ha aperto scenari inediti divenuti abituali.

 

La guerra, per chi l’ha vissuta da bambini, era un fuggire da “sfollati “, di luogo in luogo, dove non giungevano notizie all’infuori di racconti a voce riferiti nelle cerchie in cui casualmente ci si trovava a riparare. Era un detto diffuso che i Russi avrebbero rapito i bambini e portati in Russia. Erano le idee politiche del momento, del tutto estranee ai bambini di allora…

 

Oggi  la forma del mondo non è più una cartina muta. In tutte le famiglie si trasmettono immagini e informazioni, dagli adulti ai bambini, intrecciate a spaventosi video ritratti a gara, e a spericolati droni fuori da ogni realtà.

 

Improvvisamente la guerra non è più un gioco dei bambini “maschi ” dedicato alle distruzioni in campo avversario, mentre le bimbe “femmine” giocano il ruolo di vivandiere. Il tutto coi castelli di sabbia sulla riva del mare.

Ciò che torna prepotentemente in campo sono le ARMI. I giovani, ragazzi e ragazze, prendono sul serio quanto viene mostrato in tv: giovani come loro muoiono uccisi, insanguinati, colpiti da un’arma. Allora, bisogna addestrarsi, imparare come farle funzionare. Quello che era sembrato un gioco, o osservare in casa con timore reverenziale la rivoltella paterna, è divenuto realtà.

Ma quale realtà? Una realtà che per i nostri giovani continua a rivestire le sembianze del gioco.

La guerra appare in tutte le sue sembianze, ma da noi realtà non è…allora ci si può divertire a dipingersi volti insanguinati con tinta rossa fluente, a imbracciare un’arma per la prima volta sentendosi per la prima volta parte in causa e, nello stesso tempo, una spinta eroica a incarnare chi veramente muore tra le bombe. Grandi striscioni perlopiù rivolti alla pace.
Le tante manifestazioni dei giovani denotano uno stato di incertezza tra una realtà brutale, il rifugio in un volontariato inatteso, la percezione di un futuro europeo ben distante dalla vita scolastica quotidiana….

da qui

 

 

 

 

 

 

Reparti speciali italiani in UcrainaAntonio Mazzeo

 

Da giorni il personale della 2° Brigata Mobile dell’Arma dei carabinieri che comprende i reparti speciali del Reggimento paracadutisti Tuscania e del GIS – Gruppo di intervento speciale è stato distaccato in Ucraina ” a difesa” dell’ambasciata italiana a Kiev.

 

A confermare la notizia, debitamente tenuta segreta sino ad oggi dal governo Draghi, il generale Nicola Conforti, vice capo del II° Reparto del Comando generale dei Carabinieri.

In Ucraina i carabinieri garantiscono la sicurezza dell’ambasciata a Kiev e parteciperanno con gli specialisti del RIS alla task force europea presso la Corte penale internazionale dell’Aja, che indaga sui crimini di guerra“, ha spiegato il generale Conforti al Corriere della Sera.

Sempre secondo l’ufficiale il 6 maggio 2022 è stata firmata pure un’intesa tecnica di cooperazione in campo addestrativo con la Guardia Nazionale Messicana, forza di polizia a status militare istituita nel 2019. Altri accordi tecnici sono stati firmati con il Ruanda e la Moldavia.

Un migliaio di carabinieri dei corpi speciali operano in missioni di guerra all’estero (in partiolare Niger, Gibuti e Somalia), mentre per la “formazione” delle polizie militari dei paesi africani e mediorientali viene utilizzato l’hub internazionale di Vicenza che ospita dal 2005 il Centro di eccellenza per le Stability Police Unit (COESPU), il quartier generale della Gendarmeria europea e il Centro di eccellenza Nato per la polizia di stabilità.

Il “premio” per il Reggimento paracadutisti Tuscania e il Gruppo di intervento speciale dei Carabinieri? Una mega-cittadella militare nel parco di sar Rossore a Pisa-Coltano, adue passi dalla baseUSA di Camp Darby e dallo scalo aereo di Psa san Giusto, devastando uno straordinario territorio,depauperando lefonti idriche e condannando la Toscana a fare da terzo grande polo nazionale per le operazioni belliche in mezzo mondo.

da qui

 

 

Resistenza e pace, oggi – Giorgio Gallo

 

Come parlare di resistenza e di pace in una fase di guerra in Europa, probabilmente la peggiore dalla fine della Seconda guerra mondiale? Una guerra, quella in Ucraina, che ha creato una polarizzazione fortissima sui media italiani e nell’opinione pubblica, e che ha visto l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia bersaglio di pesanti critiche, con lo stucchevole ma aspro dibattito sulla “resistenza”: quella ucraina e quella vissuta dall’Italia per liberarsi dal fascismo e dall’occupazione nazista.
Parlare di pace non è così semplice come potrebbe sembrare. Cosa intendiamo, infatti, con “pace”? Spesso ci riferiamo a uno stato di assenza di guerra, all’esito stesso di una guerra: finito il conflitto armato, si fa la pace. Ma la sola assenza di guerra rischia sempre di assomigliare a quella che Tacito mette in bocca a Calgaco, capo Caledone: “dove fanno il deserto, la chiamano pace”.
Ma la pace è anche molto altro. Pensiamo alla parola ebraica shalom, dove pace è pienezza di vita: qualcosa di più e di diverso che semplice assenza di violenza. O pensiamo alla nozione, sviluppata da autori come Amartya Sen e Martha Nussbaum, di capabilities come insieme delle condizioni che consentono la fioritura esistenziale di tutti e di ciascuno: le libertà “di” (politiche e civili, sociali ed economiche, culturali e religiose) unite alle libertà “da” (bisogno, povertà e fame, sofferenza, malattia, morte prematura, insicurezza); o, ancora, la libertà di “vivere il tipo di vita al quale si dà valore, e si ha motivo di dare valore”. Ma pensiamo anche a un concetto anarchico, in senso filosofico-politico, di pace come assenza di dominio e di comando (ma non di organizzazione e di governo).
Se assumiamo un concetto più ricco e articolato di pace, l’affrontare un conflitto si presenta come un processo, certamente non facile, finalizzato non a “vincere” la guerra prevalendo sul “nemico”, quanto piuttosto ad andare al di là della violenza. Costruire la pace/shalom significa allora centrare l’attenzione e l’impegno non sul nemico da sconfiggere, ma sul tipo di società che vorremmo: la pace/shalom non è uno “stato”, dunque, ma un “processo”.
Si tratta un processo pieno di incertezze, e anche di contraddizioni, il cui vero punto nodale, al di là della dicotomia “lotta armata / lotta non armata e nonviolenta”, è la congruenza e l’interrelazione gandhiana fra mezzi e fini. Un processo che può comportare scelte difficili. Riprendendo e parafrasando il titolo di un libro sulla guerra partigiana italiana, si tratta di scelte che nascono spesso dalla Necessità, a volte dal Caso, ma sempre dall’Utopia1. Come dice Santo Peli a proposito della nostra resistenza, ci troviamo di fronte a tutte “le complessità, le contraddizioni, le ombre e le luci di un quadro che fu in realtà continuamente cangiante”, che rischiano di “restare schiacciate […] a tutto vantaggio dell’immediatezza comunicativa e del fascino di una comunicazione […] limpida, di facile fruizione”2.
Necessità e Caso hanno portato, a volte, alla scelta della lotta armata. Era l’unica possibilità? Certamente no, anche se è comprensibile che, non ultimo per ragioni culturali, per molto tempo la lotta armata sia stata vista come l’unica, o, comunque la fondamentale forma di resistenza. Emblematica la chiara gerarchia che il Decreto-legge luogotenenziale n. 518 del 21 agosto 1945 definisce tra partigiano combattente (con almeno tre azioni armate), patriota (non coinvolto in azioni armate, o che ha preso parte all’insurrezione finale) e benemerito (non attivo nella lotta armata)…

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BUCHA. UNA TESTIMONIANZA DALL’UCRAINA – Alberto Barbieri

Passiamo la frontiera di Siret, tra Romania e Ucraina, con la clinica mobile di MEDU. Il nostro team è composto da medici, psicologi ed interpreti. Siamo diretti alla città ucraina di Černivci, 40 km più a nord, un tempo chiamata la piccola Vienna per via del passato austro-ungarico, in cui le culture rumena, ucraina, ebraica, tedesca si sono avvicendate nei secoli. Oggi questa città di 300mila abitanti ospita almeno 150mila sfollati provenienti dalle zone di guerra dell’Est e del Sud del paese. Subito oltre il confine incontriamo nel senso inverso un’interminabile processione di tir e camion fermi da giorni in attesa di entrare in Romania. Il senso di attesa precaria, il cielo plumbeo e la sottile pioggia accrescono il senso di uno scenario distopico. Giungiamo infine nella zona centrale della città, in un ampio cortile circondato da edifici amministrativi dove le autorità locali hanno creato un punto di raccolta per gli sfollati. Qui vengono forniti diversi servizi, da quelli burocratici alla fornitura di alimenti, kit di prima necessità e assistenza sanitaria. Il piazzale è gremito all’inverosimile, ci sono varie distribuzioni in corso ma su tutto prevale un senso di compostezza, di misura, dal tono della voce ai gesti delle persone, soprattutto donne, anziani e bambini. Un coro improvvisato intona struggenti canti ucraini mentre le tante persone sembrano sentire ma non ascoltare; come se questo fosse un giorno normale in un posto normale. Del resto qui in città ci si è dovuti costruire una normalità anche nelle situazioni più inverosimili; l’allarme aereo suona un giorno sì e un giorno no ma i più non ci fanno più caso. Fuori dalla nostra clinica mobile si organizza subito un nutrito capannello di pazienti; sono soprattutto uomini e donne anziane con patologie croniche oppure mamme con i bambini. Per l’assistenza psicologica attrezziamo uno spartano spazio per i colloqui proprio al centro del cortile, in un giardinetto protetto da grandi platani. Sul tronco di uno di essi è affisso un foglio di carta con una scritta in ucraino: colloqui psicologici, trattamento per l’insonnia. In un primo momento nessuno sembra volersi avvicinare e rimaniamo ad osservare l’operoso affaccendarsi intorno a noi e, da lontano, l’incessante salire e scendere dei pazienti dalla nostra clinica mobile. Poi qualcosa cambia. Intorno al nostro ambulatorio improvvisato non si forma nessun assembramento ma lo sgabello destinato al colloquio non rimane mai vuoto. Come se le persone non volessero mostrarsi in fila in attesa di parlare con uno psicologo, timorose forse di confessare una fragilità che possa essere scambiata per resa. Come se le persone scorgessero da lontano il momento opportuno per sedersi su quello sgabello appena liberatosi di un altro occupante. Donekst, Nikolaiev, Odessa, Kharkiv, Kherson, Kiev, Donbass, Bucha…i luoghi di provenienza dell’umanità che si avvicenda disegnano la mappa della guerra. Molti si siedono per chiedere qualche medicina che li faccia tornare a dormire, una richiesta forse più accettabile per il proprio giudice interiore del chiedere aiuto psicologico. Per altri il solo sedersi sullo sgabello ha un effetto deflagrante, come se questo piccolo spazio protetto fosse un luogo sicuro dove l’apparente normalità si dissolve per lasciare finalmente erompere tutte insieme le emozioni in qualche modo represse per giorni o settimane, dalla fuga dalle proprie case, spesso dalla perdita delle persone più care. Qui si può piangere. Olga è una giovane donna; l’avevo scorta qualche minuto prima in vicinanza del nostro spazio. Mi era apparsa il perfetto esempio della resilienza. Sicura di sè, forte mentre parlava con alcune donne più anziane che sembrava consolare. Quando si siede sullo sgabello di fronte a noi, sembra squarciarsi all’improvviso un velo troppo sottile. E’ tutto troppo veloce. In pochi istanti Olga ci porta l’orrore di Bucha, lo scempio della morte. L’angoscia scorre sul suo viso insieme alle lacrime e l’angoscia, come in uno specchio, prende chi dovrebbe curare, sostenere, attenuata solo dall’ottundimento di chi non ha mai vissuto esperienze simili, di chi si aggrappa solo all’incapacità di pensare che tutto questo sia reale come sola ancora di salvezza. Con il passare dei minuti cerchiamo di riorganizzare le difese emotive; cerchiamo appiglio nelle tecniche che conosciamo, organizziamo una strategia per stabilizzare i sintomi più invalidanti che accerchiano Olga. Saranno necessari più colloqui, sarà indispensabile un aiuto farmacologico, il tempo ora non è abbastanza per far uscire tutto. Nel frattempo dopo un po’ di sole sono tornate le nuvole, sembra che pioverà, si ascoltano dei tuoni che sembrano riportarci nel qui e ora. E’ solo apparenza però. Che cos’è un tuono? E in che cosa assomiglia allo scoppio di una bomba? Riusciamo a immaginare come un evento atmosferico familiare possa evocare immagini e odori di terrore e di morte? A mio fianco, la nostra brava interprete, anch’essa rifugiata, è colta da attimi di angoscia che cresce al ritmo impazzito dei tuoni. Respiriamo profondamente per riportare un po’ di quiete.

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intervista con Noam Chomsky

 

Chomsky: US Is Playing With the Future of Civilization in Order to Weaken Russia

 

David Barsamian: Let’s head into the most obvious nightmare of this moment, the war in Ukraine and its effects globally. But first a little background. Let’s start with President George H.W. Bush’s assurance to then-Soviet leader Mikhail Gorbachev that NATO would not move “one inch to the east” — and that pledge has been verified. My question to you is, why didn’t Gorbachev get that in writing?

Noam Chomsky: He accepted a gentleman’s agreement, which is not that uncommon in diplomacy. Shake-of-the-hand. Furthermore, having it on paper would have made no difference whatsoever. Treaties that are on paper are torn up all the time. What matters is good faith. And in fact, H.W. Bush, the first Bush, did honor the agreement explicitly. He even moved toward instituting a partnership in peace, which would accommodate the countries of Eurasia. NATO wouldn’t be disbanded but would be marginalized. Countries like Tajikistan, for example, could join without formally being part of NATO. And Gorbachev approved of that. It would have been a step toward creating what he called a common European home with no military alliances…

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Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • Gian Marco Martignoni

    Il dossier di approfondimento dedicato alla questione energetica su Le Monde Diplomatique di questo mese ( giugno ) in abbinamento a euro 3,50 con Il manifesto ,è decisamente interessante per capire cosa sta succedendo nello scenario globale. In pratica, come è noto, gli Usa brillano per la produzione di shale gas, con l’obiettivo di sostituire le esportazioni di idrocarburi russe. Ma i conti non tornano, per cui la Cina e L’India si sono proposti tramite la Mongolia di acquistare sempre più la produzione russa, mentre la Germania, inspiegabilmente, si sottomette agli ordini di Biden.Il prezzo del gallone di petrolio negli Usa è alle stelle, l’inflazione pure, e per Biden si prospettano tempi grami, oltre al rilancio esponenziale dell’inquinamento derivante dalla fratturazione delle rocce. Al contempo la guerra dell’informazione, eterodiretta dalla Nato, sul campo si rivela un clamoroso fallimento, e contrasta con il sentimento maggioritario dell’opinione pubblica europea.Zelensky altro che Cadorna !

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