Ugo Malaguti: il talento della sperimentazione

ricordo di Diego Rossi

Il 26 settembre scorso, nella sua amata Bologna, ci ha lasciato Ugo Malaguti. La notizia è stata triste e inaspettata. Era fra le voci più sperimentali della fantascienza italiana. La sua scomparsa allontana dalla critica una delle visioni più competenti e appassionate.

Era un innamorato del suo lavoro u.m. – come spesso si firmava Malaguti – era il mentore che ha fatto nascere in tanti ragazzi come me la passione per la lettura fantascientifica. Le critiche di u.m. – anche quelle feroci su alcuni meccanismi dello scrivere e soprattutto “vendere” fantascienza in Italia – sono fra le cose che caratterizzano meglio il fermento culturale dagli anni Sessanta in avanti. Il suo minimizzare e nullificare i risultati di molti editori e autori di oggi ha trasmesso amarezza ma anche slancio, un concreto invito a migliorarsi. Ha scritto, tradotto e vissuto negli anni del vero “Rinascimento” della fantascienza; ed è anche è stato un uomo autentico, spigoloso a volte per la sua schiettezza e durezza.

Nel provare a ricordarlo, penso alle tante ricchezze che le sue pagine mi hanno regalato ma soprattutto al desiderio di sperimentazione, l’aspirare alla novità, all’originalità, non trascurando mai il passato ma guardando con ambizione al futuro.

Passato: perché i suoi 400 titoli sono libri “di carta”, da collezionare e custodire e non ebook.

Passato: perché la critica agli autori moderni è fatta col metro dei “grandi” che ha cercato, conosciuto e proposto in tanti anni di carriera.

Futuro: perché cercava opere che mostrassero sempre energia e forza nelle soluzioni narrative (come dimenticarsi delle sue introduzioni a Van Vogt, Tanith Lee, Andre Norton…).

Futuro: perché il suo modo di sentire e di agire ha sempre avuto come obiettivo l’internazionalizzazione della fantascienza italiana e mai il provincialismo…

Malaguti per me è la Libra, quel bellissimo nome che fonde l’aspirazione leonardesca di spiccare il volo, di cavalcare il vento, con le ali dell’immaginazione, quindi di quelle storie che uscivano dalle edicole per entrare in libreria…

Vorrei consigliare la lettura della sua introduzione del numero 2 della collana degli SLAN. Si tratta di «Pianeta in via di sviluppo» (The Green Odyssey) il romanzo di Farmer che per la prima volta venne proposto in Italia proprio da Malaguti.

In un’edicola di Bologna nel 1962, Malaguti aveva letto due romanzi di Farmer in versione originale: «Gli amanti di Siddo» (The Lovers), poi suggerito alla Rambelli, e quello che alla fine proporrà lui stesso negli SLAN.

Racconta la sua personale odissea nel far arrivare questo autore fantastico in Italia. L’introduzione è anche un frammento della sua autobiografia, il modo migliore per comprenderlo. Ecco alcuni passaggi:

«Un certo signor Farmer[…] che in Italia era non solo sconosciutissimo, ma mai sentito nominare, non era tale da invogliare all’acquisto.

Avrei dovuto convincermi, a mie amare spese, di quanto lo stesso ostacolo frenasse non solo un lettore giovane e scrittore ancor più giovane come me, ma fior di editori con patentini di coraggio e genialità. […]

Mi tuffai immediatamente nella lettura dei due romanzi di Philip Jose Farmer, coccolandoli come se fossero stati gioielli preziosissimi. Un autore mai comparso sulle pubblicazioni italiane, che nessuno conosceva, eppure che sulle copertine americane veniva presentato con aggettivi entusiastici […]

The Lovers era, sicuramente, un capolavoro: scritto in una prosa singolare, piena di luci e ombre, dai periodi lunghissimi e mozzafiato […] The Green Odyssey era una cosa completamente diversa, un’avventura colorata, su un pianeta straniero, brulicante di idee nuove[…]

Insomma, a questo punto avete capito che ero rimasto conquistato, letteralmente conquistato»-

L’odissea di Alan Green compare nel numero 2 della Libra, presentato alla maniera di u.m. fra emozionanti ricostruzioni, avventurosi capovolgimenti, rischi e tanta passione per la sperimentazione. Se Farmer riusciva a stupire solo accennando, innescando la fantasia attraverso un rimando, Malaguti era un esploratore analitico, virtuoso della fascinazione. Innamorato della fantascienza e “giocatore”, quando u.m. diventa direttore di una collana importante (Galassia) non si tira indietro, rischia, anche il ridicolo… perché se non si rischia il ridicolo non si sfiora nemmeno il sublime. 

Dov’è la novità nella sperimentazione? Che è sempre incompresa? 

Mi spiego meglio, ovviamente è un punto di vista personale. Farmer stava sperimentando, inserendo qualcosa di nuovo ma lo lasciava affiorare su formule narrative collaudate. La profondità di Malaguti è stata quella di percepire la forza del talento di Farmer in un romanzo come The Green Odyssey, secondario (ma per me eccezionale). Dove altri editor vedevano ripetizioni su scala minore – perché la storia di un gigante biondo finito su un pianeta sconosciuto e che vuole tornare sulla Terra non era certo un tema originale… – ebbene u.m. si rende conto che su quel cliché vivono nuovi personaggi; ad esempio Amra, la moglie schiava con 5 figli di tre mariti diversi; Alzo, il cane che fiuta lo straniero; la gatta Lady Fortuna; più in genere l’ironia e la rilettura – in chiave quasi steampunk (ante litteram) – della fantascienza di Vance. Il tutto condensato in pochi tratti, in frammenti. In questo senso colgo la “brevità” di Farmer. Uno scrittore coraggioso e un Malaguti coraggioso. 

La novità è un tratto di colore su un fondo scuro. Se quel colore fosse dominante, eccessivo, il nuovo potrebbe apparire irritante; se il tratto fosse troppo delicato rischierebbe di perdersi, restando indistinto, involuto. 

La novità è libertà, è colore, vivida brevità, umile e rivoluzionaria, audace e consapevole. 

Nella mia personale visione Malaguti interagiva con le opere che pubblicava, era in una continua ricerca creativa. È famoso l’aneddoto sulle traduzioni in generale e in particolare con Ursula Le Guin che lui stesso racconta in questa avvincente intervista, la sua ultima purtroppo, fatta da Franco Giambalvo sul blog Nuove Vie: https://www.nuove-vie.it/ugo-malaguti-il-ritorno-pubblico-sulle-scene/

[D] Forse non sai che da te che ho imparato molte cose per fare una buona traduzione. Mi ricordo che raccontavi un episodio in cui traducendo eri così preso da aggiungere (senza accorgertene) una o due frasi in più, ché secondo te ci stavano bene. Te lo ricordi?

[R]Si trattava de La mano sinistra delle tenebre, e fu Ursula Le Guin, che leggeva perfettamente l’italiano, a farmelo notare, lodandomi molto perché secondo lei ero riuscito a cogliere il pensiero di Genli Ai, facendogli dire quella cosa (era una riga o poco più) che secondo lei avrebbe dovuto dire e che lei aveva dimenticato di trascrivere. Inserì in tutte le nuove edizioni quella frase, fu assolutamente gentile e simpatica, mi ricambiò traducendo per una rivista letteraria americana il capitolo “La pianura di ghiaccio” del mio Palazzo nel cielo. Un’altra tecnica, che puoi applicare solo con gli autori vivi, e che ho applicato con Williamson, Hamilton e Leigh Brackett, era quella – ove possibile – di farmi inviare una copia delle versioni su rivista, che spesso differivano da quelle in libro (nei casi più fortunati, una fotocopia del dattiloscritto originale, prima del passaggio degli editors) che venivano tagliate o riadattate dagli editors americani (la versione su Galaxy del finale di Time and again di Simak fu aggiunta da Gold, mentre quella in libro è molto più poetica ed efficace, anche se completamente diversa). Se poi l’autore è tuo amico, e disponibile, puoi chiedergli di aggiungere qualcosa che a tuo avviso manca, come fece Aldiss per Descalation che a mio parere era davvero poco fantascientifico, e che lui integrò quasi con un capitolo nuovo, che rende la mia traduzione unica tra quelle uscite nel mondo. Tradurre è un lavoro serio, creativo, non a caso equiparato dal legislatore a qualsiasi opera dell’ingegno e trattato allo stesso modo del cosiddetto “diritto primario”, cioè quello dell’autore.

Cosa aggiungere?

Grazie Hugh Maylon, u.m., U. M., Ugo Malaguti. Mi hai insegnato a pensare la fantascienza come se fosse un’opera d’arte. Penso alla preparazione del fondo di una tela. Pennellate decise e regolari, in linee verticali e orizzontali, ripetute, identiche, rassicuranti. Un fondo scuro e compatto, collaudato, uniforme, ma che è pronto ad accogliere i nostri sogni, le nostre speranze, i nostri colori, le parole nuove che ci rappresentano veramente. 

Infine vorrei segnalare anche il ricordo più sentito e ben scritto che ho letto in queste settimane su Malaguti… di Antonio Dini:

https://www.fumettologica.it/2021/09/morto-ugo-malaguti-fantascienza/

Le immagini sono state scelte dalla “bottega”

 

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