Umbria (non) Jazz: un artista popolare osserva e racconta

35esima puntata dell’«Angelo custode» ovvero le riflessioni di ANGELO MADDALENA per il lunedì della bottega

Io non volevo andare a Perugia nei giorni di Umbria Jazz. L’anno scorso ero andato ma sono rimasto “chiuso” a cantare a Orto Sole per due mattine, poi sono andato altrove: insomma avevo snobbato Umbria Jazz.

Adesso che sono in Umbria da due anni, mi son deciso ad andare grazie a Paolo che mi ha proposto di appoggiarmi allo spazio Balena in via Cartolari, un locale che fino a un anno fa si chiamava Balou, oggi gestito dall’associazione culturale Fiorivano le viole. Io già conoscevo l’associazione. Per la prima volta però – il 20 e 21 luglio, ultimi due giorni di Umbria Jazz – ho vissuto le possibilità e la generosità di questo spazio e delle persone che lo gestiscono e frequentano. Ho cantato, accompagnato spontaneamente da diversi musicisti: Farhid, un percussionista maghrebino che già conoscevo; Leonardo, un cantautore che mi ha accompagnato al pianoforte; poi, nel pomeriggio della domenica, un altro musicista mi ha accompagnato con il cajon e con le spazzole, mentre cantavo alcuni miei brani del nuovo cd allegato al libro «Eremo nel lago» (Benedetta epilessia, Casa ecc) e altri “famosi” di cd precedenti.

La cosa più bella e inaspettata è stato il risotto con caponata preparato da Benny, che già conoscevo. E la seconda domenica panzanella: tutto gratis per artisti, passanti e frequentatori, fino a esaurimento scorte. Questo è uno degli aspetti più interessanti di questo angolo di Umbria jazz : lo spazio la Balena, di fronte al quale c’erano tre bancarelle di artigianato e per qualche giorno il banchetto della libreria Mannaggia. Era anche Buskers space, cioè luogo adibito ad accogliere e promuovere artisti di strada. Tutto molto conviviale e piacevole: Perugia è una città che, con tutti i distinguo possibili, tende a valorizzare gli artisti. Ne è prova Fiorivano le viole e via della Viola in generale, da diversi anni “adottata” da un gruppo di artisti e artigiani.

Io sono arrivato in anticipo (le jam session alla Balena iniziavano alle 20) e ho voluto sperimentare la strada a partire dalle scalette di Sant’Ercolano dove, fra le altre cose, avevo iniziato il mio cammino di artista della strada nel 2006.

Mi sono messo a cantare, assistito all’inizio da Paolo e Paola e poi da altri amici loro che si sono fermati. Ero proprio nel piccolo sagrato della Chiesa di Sant’Ercolano. Dopo un po’ ho smesso ma mentre parlavamo (e c’erano un po’ di miei libri sul muretto del balconcino della chiesa) il prete ci ha detto che dovevamo andare via perché «questo è uno spazio privato». E’ stato così solerte da dirci che dovevamo andare via «subito». Siamo andati via ma qualcuno ha fatto notare che comunque quello non è uno spazio privato. E se lo è allora «perché il Vaticano non si affretta a pagare i 7 miliardi di euro di IMU che deve allo Stato?».

Ci siamo messi quindi nelle scalinate, davanti a una porta laterale della chiesa. Per tutta risposta mi son messo a cantare la canzone popolare «Il Vaticano brucerà, il Vaticano brucerà, il Vaticano brucerà col papa dentro». Al che il prete è uscito dall’altra porta. Pensavo ci volesse mandar via e invece ci ha detto che potevamo rimanere e che si scusava per prima, anzi se volevo potevo tornare a cantare sul sagrato: tutto risolto quindi.

Io mentre canto nella scalinata di Sant’Ercolano mi accorgo di una specie di sordità da parte di chi passa, per nulla attento o ispirato dal cappello dell’artista che chiede un gesto di sostegno. Ero preparato: nasco come artista di strada, consapevole che la modernità e soprattutto gli ultimi anni hanno portato sempre più aridità e spegnimento della dimensione popolare e di strada. I cantastorie e gli artisti sono stati cacciati dalle strade e tutta la dimensione popolare è stata bandita: la mia canzone Genova ferita (del cd Strade e contrade) e la canzone Vomito di gioia (nel mio ultimo cd Eremo in canto) raccontano tutte queste «pugnalate alla bellezza e alla curiosità di un mondo immondo».

Io continuo a sperimentarmi. E al Balena succede una cosa simile, in piccolo: le offerte per gli artisti ci sono, ma striminzite. Spesso io e Farhid ricordiamo che è importante mettere un’offerta libera per gli artisti.

Ma passiamo a un livello più ampio: come mai in un festival come Umbria Jazz – la stessa parola jazz significa spontaneo, senza troppi paletti, insomma popolare – sembra sia stata abolita la dimensione popolare?

Nete, della band Heavy Wood, veterano di Umbria Jazz, dice che per la gente gli artisti di strada sono «vagabondi che non hanno bisogno di soldi»: è una mentalità diffusa negli ultimi decenni. Però aggiunge anche – e qui scatta l’analisi – che l’anno scorso molta più gente dava soldi a loro (che sono un duo di musicisti): avevano guadagnato più del doppio, in dieci giorni, fra cappello e vendita dei cd. Lo conferma anche Roberto, collega di Nete. Tutti e due mi spiegano che l’anno scorso i musicisti di strada accreditati (come sono loro, nel senso che hanno uno spazio definito e un appoggio del bar davanti al quale suonano che gli presta la corrente, offrendo una bibita e un panino) potevano suonare fino a mezzanotte; quest’anno invece fino alle nove di sera. Poi aggiungono che sino a tre anni fa si poteva suonare fino alle due di notte. Quindi c’è stato un calo, un degrado diremmo, di tipo istituzionale, con questo restringere i tempi. Non è solo questo. Roberto e Nete mi raccontano – esasperati – di una ordinanza del Comune di Perugia approvata il 4 luglio (dieci giorni prima dell’inizio del Festival!) che vieta ai musicisti di usare amplificazione con corrente elettrica: quindi in pratica ti tagliano le gambe, o meglio i fili! Dovresti avere un generatore con consumo e rumore assordante, manco a parlarne, o piccole casse con batteria.

Di fatto molti musicisti sono andati via, impossibilitati ed esasperati. Roberto e Nete hanno dovuto fare la spola fra questura e vigili urbani per riuscire a suonare senza essere “illegali”. Un vigile ha detto che questa ordinanza è figlia del decreto sicurezza di Salvini approvato nei mesi scorsi. Tutto torna quindi.

Non sono solo questi gli elementi di disturbo. Roberto dice che la gente è meno sensibile e meno pronta a sostenere gli artisti di strada: «Forse hanno fatto la promozione mirata a un certo target di pubblico, meno attento all’arte di strada e più ai grossi eventi che ovviamente sono tanti e ben pubblicizzati con i soliti grossi nomi».

Paolo e Benny, abitatori del centro storico da tanti anni, dicono che quest’anno c’è stata una sorta di accentramento: gli anni precedenti musicisti di qualità suonavano in molti locali del centro, quest’anno molto meno, Benny dice che una “centrale internazionale” ha imposto musicisti famosi ma non talentuosi agli organizzatori di Umbria Jazz, e che questi artisti comunque si sono concentrati negli spazi istituzionali (fra gli altri il “nuovo” spazio del Chiostro della Casa dell’associazionismo in via della Viola) e meno nei locali dei vicoli, come succedeva invece gli anni precedenti.

C’è un’intervista video al duo Heavy wood che sarebbe da guardare.

Insomma: la deriva del Festival Collisioni è vicina. A Collisioni sono andato nel 2010, la prima edizione, quella più “pura”, ma già lì si vedevano i prodromi della deriva: si presentava come festival che non pagava i cachet ai grandi artisti per dare spazio ai giovani. Io facevo ritratti e ho guadagnato bene perché ho un mio stile efficace e indipendente. Poi negli anni successivi, si è scoperto che strapagano i cachet dei soliti artistoni pompatoni da major e industria dell’intrattenimento. Quando chiesi se potevo fare cappello per strada mi dissero che non era possibile. Insomma un Festival morto prima di iniziare!

Umbria Jazz ancora resiste ma ci sono tanti aspetti da rivedere. Tipo il fatto che ai giardini Carducci, dove c’è un palco per musicisti accreditati, ci sono anche alcuni stands gastronomici gestiti dall’organizzazione di Umbria Jazz, e – come sottolineava Roberto – si fa in modo di non dare molto spazio agli artisti e agli artigiani popolari, in modo che la gente sia spinta ad andare verso la gastronomia (tipo Hot dog a 5 euro e 50 targati Umbria Jazz). Molti si lamentano del fatto che in corso Vannucci, all’altezza del mega palco, c’è un senso di uscita dalla piazza a “senso unico”: cioè puoi solo uscire da quel lato della piazza, e only exit c’è scritto nel cartello vicino ai due kebabari bengalesi, per intendersi. Il bengalese non può più vendere birra dopo le 24. Nel Chiostro della casa delle associazioni c’è gente: neanche tanta nel cortile dove sta un bar, ma dentro il cinema Meliès c’è una folla e la gente assiepata. Non si può entrare da quanta gente c’è, ci sono musicisti rinomati sul palco. La security dice alla gente di non fermarsi qui o lì, e si fanno controlli all’ingresso. Vado via perché queste situazioni mi risultano indigeribili ma io sono “esagerato”: mi dà fastidio che le persone si accalchino per un musicista o un artista in generale. Insomma c’è una politica del controllo e della repressione che non fa bene a un festival come Umbria jazz: di questo passo diventa Umbria non Jazz.

Roberto mi dice che molti sono andati via dopo due o tre giorni, mentre l’anno scorso molta gente rimaneva una settimana o più. Carlo aggiunge che ha visto fare un sacco di multe alle automobili parcheggiate qua e là anche se i parcheggi a pagamento erano tutti pieni. Come dice Carlo: non è una questione di destra o di sinistra, ma di tendenze culturali e antropologiche. Sono d’accordo, ma è vero anche che una cultura di destra tende a desertificare le strade; non è solo di destra nel senso di partito ma attraversa e serpeggia dentro ognuno di noi. E’ la cultura che espropria il cuore popolare delle città, con le Capitali della cultura: «è questa la strategia dell’affarismo culturale, strappare il cuore alle città, il cuore popolare» come canto nella canzone Genova ferita.

C’è da stare agitati, altro che Umbria jazz da record con 500 mila partecipanti come titola Il Corriere dell’Umbria citando il milione e mezzo di euro di incassi.Questo non è l’unico Umbria Jazz possibile!

LE VIGNETTE – SCELTE DALLA “BOTTEGA” – SONO DI GIULIANO SPAGNUL.

QUESTO APPUNTAMENTO

Mi piace il torrente – di idee, contraddizioni, pensieri, persone, incontri di viaggio, dubbi, autopromozioni, storie, provocazioni – che attraversa gli scritti di Angelo Maddalena. Così gli ho proposto un “lunedì… dell’Angelo” per aprire la settimana bottegarda. Siccome una congiura famiglia-anagrafe-fato gli ha imposto il nome di Angelo mi piace pensare che in qualche modo possa fare l’angelo custode della nuova (laica) settimana. Perciò ci rivediamo qui – scsp: salvo catastrofi sempre possibili – fra 168 ore circa che poi sarebbero 7 giorni. [db]

 

Redazione
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2 commenti

  • bartoli roberto

    condivido appieno l’analisi ed il sentire di Angelo. E, da musicista che ama e pratica il jazz, ne condivido il sentimento di critica e di delusione..
    Grazie ad Angelo per lo scritto, e a Daniele per averlo pubblicato!

    • angelo maddalena

      grazie Roberto, veramente grazie, ma tu dove abiti? mi piacerebbe incontrarti se vivi in Umbria o anche altrove

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