Il 22 luglio 2009, Mahmoud Sarsak sta guidando verso il suo grande sogno: la sua prima importante occasione da calciatore professionista. Ha 22 anni, gioca come attaccante – prevalentemente centravanti, ma a volte anche da ala destra, per via della sua rapidità – e a soli 14 anni ha debuttato nel campionato della Striscia di Gaza con il Rafah Sports Club, diventando il più giovane giocatore di sempre nella competizione. Le voci riguardo al suo talento si sono diffuse rapidamente, arrivando fino alla sede della Federcalcio a Ramallah, in Cisgiordania: Sarsak ha iniziato a giocare nelle selezioni giovanili palestinesi, poi nella Nazionale olimpica, e di recente ha debuttato anche con la squadra maggiore. Pochi giorni fa, ha ricevuto una proposta di contratto professionistico dal Markaz Balata, un club del campionato della Cisgiordania, e si è messo in viaggio per raggiungere la sua squadra. Ma Mahmoud Sarsak non arriverà mai a Balata: il 22 luglio 2009 viene arrestato dalle autorità israeliane.
Per lasciare Gaza e raggiungere la Cisgiordania, si deve passare da una serie di checkpoint, il più importante dei quali è il valico di Erez, nel nord della Striscia. Mentre compie il viaggio, Sarsak è tranquillo: ha richiesto e ottenuto per tempo tutti i permessi necessari dalle autorità israeliane. Ma, quando si ferma al valico per l’ultimo controllo, gli viene detto di scendere dall’auto per incontrare alcuni agenti e rispondere a delle domande. Il breve incontro si rivela presto tutt’altro che una formalità: Sarsak viene trattenuto dalla polizia, e immediatamente trasferito nella prigione di Shikma, ad Ascalona, una città appena più a nord di Erez. Rimane in cella per 45 giorni senza conoscere i motivi del suo arresto, ma subisce intimidazioni, umiliazioni e torture: una volta, gli agenti lo interrogano per quattordici ore consecutive, intimandogli di confessare non capisce bene cosa. Utilizzano la tecnica della privazione del sonno: lo legano a una sedia, in una stanza con musica a volume assordante, e dopo un po’ riprendono a interrogarlo. Altre volte abbassano la temperatura per farlo infreddolire. Quando Sarsak perde i sensi, sfinito, viene slegato e portato da un medico per rianimarlo; ma non appena torna in sé le torture riprendono.
Lo accusano di essere un “combattente illegale”. Sostanzialmente, significa che è ritenuto un terrorista, ma in senso più specifico questa definizione significa che Israele non sa di cosa possa essere colpevole, ma lo arresta e lo interroga preventivamente, con ogni mezzo. La Unlawful Combatants Law è stata approvata nel 2002, sotto il governo di destra di Ariel Sharon: dà il diritto alle autorità israeliane di detenere a tempo indefinito una persona, senza accuse o processo. Inizialmente riguardava solamente i cittadini libanesi, ma dal 2005 ha iniziato a essere usata anche nei confronti dei gazawi. È una legge che è stata più volte denunciata come illegittima da organizzazioni come la Croce Rossa e Amnesty International, ma nonostante questo è rimasta in vigore. Secondo lo Shin Bet, ovvero l’agenzia israeliana per la sicurezza nazionale, Mahmoud Sarsak sarebbe affiliato al Movimento per il Jihad Islamico in Palestina, e avrebbe partecipato a un attentato dinamitardo che ha causato il ferimento di un soldato. Ma Sarsak insiste di non avere nulla a che fare con nessun gruppo radicale, e di essere solo un giocatore di calcio.
Nel frattempo, viene trasferito in una nuova struttura: il carcere di Ayalon, a Ramla, a sud-est di Tel Aviv, una delle prigioni più grandi e protette del paese. La sua routine diventa la seguente: passa alcune settimane in una cella in isolamento, interrogato e torturato; poi viene trasferito in una cella comune assieme ad altri prigionieri, dove resta per diversi mesi; quindi lo riportano in isolamento per interrogarlo e torturarlo per delle settimane; poi, di nuovo nella cella comune. Questo circolo viene giustificato legalmente con il continuo rinnovo del periodo di detenzione amministrativa, una volta che questo giunge alla scadenza. La prospettiva che gli si pone davanti è, molto probabilmente, quella di morire in carcere senza accuse formali né un processo: è quello che succede nella primavera del 2012 a un altro calciatore prigioniero, Zakaria Issa, malato di cancro ma lasciato senza cure durante la sua detenzione, e infine rilasciato solo quando ormai è troppo tardi. Davanti alla morte di Issa, Sarsak capisce che, lì dentro, nessuno lo aiuterà, e che deve trovare un modo per attirare l’attenzione. Così, il 19 marzo, dopo il sesto rinnovo della sua detenzione, decide di entrare in sciopero della fame.

Non c’è solo lui, in questa battaglia: oltre un migliaio di prigionieri palestinesi in Israele stanno facendo la stessa cosa, chiedendo che venga loro riconosciuto lo status di prigionieri politici. Le organizzazioni pro-Palestina e le associazioni per i diritti umani denunciano le condizioni di prigionia inumane nelle carceri israeliane, e la stampa internazionale inizia a scriverne. Il 14 maggio, le autorità offrono un accordo ai detenuti, promettendo la fine dell’isolamento e la possibilità di ricevere visite dalle famiglie: molti accettano, ma una minoranza prosegue lo sciopero, e Sarsak è tra questi ultimi. Il governo israeliano si rifiuta di venire incontro alle loro richieste, e ben presto diventa chiaro che anche l’accordo con i detenuti che hanno interrotto il digiuno non verrà rispettato. Anat Litvin, un medico e attivista per i diritti umani israeliano, ottiene la possibilità di visitare Sarsak in carcere, e quando esce è molto pessimista: il calciatore ha perso quasi metà del suo peso corporeo, i suoi organi e i muscoli sono seriamente danneggiati. La sua detenzione scade, teoricamente, il 22 agosto, ma è improbabile che possa arrivare vivo fino a questa data.
Con l’aiuto del suo avvocato, Mohammed Jabarin, e di suo fratello maggiore Emad, Mahmoud Sarsak riesce allora a scrivere un appello assieme al compagno di prigionia Akram Rikhawi. La lettera viene resa pubblica il 5 giugno, e fa il giro del mondo. E a questo punto qualcosa si muove. Il sindacato internazionale dei calciatori FIFPro denuncia la detenzione illegale del giocatore palestinese, e addirittura il presidente della FIFA, Josef Blatter, scrive una lettera alla federcalcio israeliana per chiedere di fare pressioni sul governo di Benjamin Netanyahu affinché rilasci Sarsak. Il quotidiano basco Diario de Navarra pubblica una lettera di alcuni calciatori professionisti che invocano la liberazione del loro collega: tra di essi ci sono il capitano dell’Osasuna Patxi Puñal, quello dell’Athletic Bilbao Carlos Gurpegui, quello dell’Atlético Madrid Antonio López, e quello del Real Zaragoza Javier Paredes. Un’ulteriore lettera, inviata alla UEFA e al governo britannico, reca tra i firmatari il regista Ken Loach, il linguista Noam Chomsky, e l’ex-calciatore francese del Manchester United Éric Cantona. È una mobilitazione storica.
In pochi giorni, le prese di posizione per Mahmoud Sarsak da parte del mondo del calcio aumentano di numero. A coloro che chiedono a Israele di rilasciarlo si aggiungono l’attaccante del Siviglia Frédéric Kanouté, il mediano dell’Arsenal Abou Diaby, l’ex-campione del mondo francese Lilian Thuram, e anche il presidente della UEFA Michel Platini. La Federcalcio palestinese aggiunge inoltre che la UEFA deve annullare gli Europei U21 dell’anno successivo, che si svolgeranno proprio in Israele. Dietro a tutte queste pressioni, il governo di Tel Aviv, infine, cede: a Mahnoud Sarsak viene proposto un accordo per il rilascio, e il 14 giugno interrompe il suo sciopero della fame, dopo 97 giorni. Viene ufficialmente liberato il 10 luglio, dopo quasi tre anni di detenzione, nessuna accusa formulata e nessun processo. Viene riaccompagnato a Gaza, dove la popolazione lo accoglie come un eroe. Dopo essere stato condotto all’ospedale Al-Shifa per valutare le sue condizioni, viene infine riaccompagnato dalla sua famiglia, a Rafah.
A 25 anni, però, il fisico di Sarsak non è più lo stesso dopo un così lungo periodo di prigionia, torture e denutrizione. Impiega otto mesi per riuscire a tornare ad allenarsi, e ormai il suo livello come calciatore è lontanissimo da quello che aveva al momento dell’arresto. L’idea di tornare a giocare a calcio come professionista o anche solo a vestire la maglia della Nazionale è ormai una possibilità più che remota. E, nella sua testa, il suo arresto non è stato una casualità, ma una scelta deliberata da parte delle autorità israeliane: neutralizzare la carriera di un promettente atleta palestinese, perché non potesse diventare un simbolo per il suo popolo. “In carcere sono rimasto sconvolto nel vedere così tanti laureati e calciatori professionisti. – racconta a Vice, nel settembre 2013 – Penso che sia una strategia di Israele, quella di impedire ai talenti palestinesi di risplendere, mostrando al mondo un volto civilizzato”. Non è chiaro quanti atleti palestinesi si trovino o si siano trovati in passato nelle stesse condizioni. Al momento del rilascio di Sarsak, in prigione c’erano ancora sicuramente i calciatori Omar Abu Roweis e Muhammad Nimr, che avevano giocato per la squadra olimpica prima di essere arrestati nel febbraio 2012.

Una volta libero, Mahmoud Sarsak diventa un attivista per la causa della Palestina. Nei mesi successivi al suo rilascio, inizia una campagna di sensibilizzazione per convincere la UEFA a togliere a Israele gli Europei U21 del 2013. “Non merita di ospitare questi giochi. – dichiara al Fatto Quotidiano – Permettere loro di farlo è come approvare tutti i crimini che stanno commettendo: dall’invasione di Gaza ai bombardamenti sullo stadio dove sono morti diversi bambini che stavano giocando a calcio, fino alle torture e alle uccisioni di numerosi giovani coinvolti nello sport, o nei confronti di donne e bambini palestinesi in generale”. A maggio, partecipa a una protesta a Londra, fuori dal Grosvenor House Hotel, dove si sta tenendo il Congresso della UEFA, per chiedere la cancellazione del torneo. Ma ormai è troppo tardi.
Nel tardo pomeriggio del 5 giugno 2013, la Nazionale di Israele apre gli Europei U21 a Netanya, contro la Norvegia: si tratta della prima competizione internazionale di calcio ospitata nel paese dalla Coppa d’Asia del 1964. L’ondata di indignazione del mondo del calcio per la brutale prigionia di Sarsak si è presto placata. Già nell’estate del 2012, il presidente della UEFA Platini aveva escluso di spostare il torneo in un’altra sede, e la sua decisione aveva ricevuto l’appoggio sia del capo della FIFA Blatter che del presidente del CIO Jacques Rogge. “Ho grande rispetto per i palestinesi e sono solidale con il calcio palestinese, ma Israele ha diritto come chiunque altro a ospitare un torneo” spiega Platini alla CNN. “Platini è venuto in Palestina e ha visto la situazione reale. Ha detto che si sarebbe occupato della nostra causa. – risponde Sarsak – Adesso ha cambiato completamente idea. Ha fatto un regalo a Israele su un piatto d’oro, concedendogli l’onore di ospitare il torneo”.
Fonti
–AL-MUGHARABI Nidal, Israel detention ends Gaza footballer’s dream, Reuters
–CHILDS Simon, Was Mahmoud Sarsak Sent to Prison for Being Good at Soccer?, Vice
–Freed Palestinian footballer Sarsak returns to Gaza, BBC News
–MONTAGUE James, Should soccer boycott Israel’s European Championship?, CNN
–Salvemos al futbolista Sarsak, Diario de Navarra