Un futuro luminoso

(tratto da: “African Women in Europe Victims of Human Trafficking” di Beatrice Mariotti per InDepth, 4.7.2011. Beatrice Mariotti lavora per l’ong “Solwodi” – Solidarietà con le donne in difficoltà – a Berlino. Traduzione di Maria G. Di Rienzo)

Mentre i paesi europei si arrovellano per trovare una soluzione a Lampedusa, che è diventata il simbolo dell’assai disprezzata migrazione africana in Europa, poca attenzione viene data alle donne africane ed ai bimbi africani in Europa, coloro che devono confrontarsi con le nuove forme di schiavitù e colonialismo di cui fanno esperienza giorno dopo giorno nei democratici stati del “Nord” per altri versi attenti ai diritti umani.

Sebbene dati precisi non siano disponibili, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite stima che circa due milioni e mezzo di persone l’anno siano trafficate attraverso i confini in tutto il mondo. Dopo lo spaccio di droghe, il traffico di esseri umani è, assieme a quello di armi, la seconda industria mondiale del crimine (con un giro di 7/10 miliardi di dollari annui) e l’Ufficio su droghe e crimine delle NU lo dice in rapida crescita.

Eurostat stima vi fossero 90.000 donne africane migranti in Europa nel 2007, ma paesi quali l’Italia, la Francia, l’Irlanda ed il Portogallo non avevano fornito alcun dato. Nel 2009, davvero pochi paesi ne hanno forniti: l’Italia ha tuttavia riportato di avere 30.000 donne africane migranti. Il tedesco “Bundesamt fuer Statistik” ha riportato nel 2009 la presenza di mezzo milione di migranti africani (uomini e donne) in Germania. Solo a Berlino, ci sono circa 30.000 africane migranti, metà delle quali non documentate. (…)

Solwodi (acronimo di Solidarity with Women in Distress) è un’ong fondata in Kenya che da più di 25 anni contrasta il traffico di esseri umani in Kenya come in Germania, e in tutta Europa. Negli ultimi tre anni ha lavorato a Berlino principalmente con donne africane vittime del traffico. Queste donne sono l’esempio più evidente del fallimento dei programmi bilaterali di cooperazione e delle politiche di sviluppo. Esse sono il segno concreto che qualcosa non ha funzionato nel discorso dei diritti umani.

Ad ogni modo, esse sono anche l’evidenza che la “verità” non ha bisogno di avvocati, che la verità difende se stessa e trova la propria via sottoterra come il fuoco attraverso le ceneri, sino a che irrompe e cambia i sistemi dal basso, mostrando che il potere della vita e la dignità delle persone non possono essere ristretti o soffocati.
Queste donne sono qui, in mezzo a noi, e nonostante la loro sofferenza non hanno perso speranza e potere interiore. Le loro storie sono molto simili. Hanno lasciato i loro paesi a causa della povertà. Qualcuno doveva sostenere la famiglia. E’ stato loro offerto lavoro in Europa. Non c’era alternativa, quindi non c’era senso nel fare troppe domande.
Sono partite, affrontando un lungo viaggio attraverso il deserto ed alcune non ce l’hanno fatta. Altre sono arrivate in Italia o in Spagna. L’unico lavoro per loro è stato la prostituzione. Parte di esse sono state inviate in Germania, parte in altri paesi del Nord per soddisfare la richiesta, come se fossero merci, facili da ottenere, da usare e da gettare via.
Questo tipo di mercato nero sta fiorendo qui nel bel mezzo del cosiddetto “mondo civilizzato”, dove le donne africane sono vittime di abusi, ignorate, marginalizzate e trattate dai nostri uffici pubblici come un fardello per le nostre società. In Germania, molte di quelle che si sono liberate dalla schiavitù moderna hanno tentato di avere un figlio da un uomo con un permesso di residenza permanente, l’unico modo per loro di restare nel paese e di non essere rimpatriate dopo essere state sfruttate e derubate di tutto, compreso il rispetto per se stesse. Le leggi sono chiare, non c’è altra maniera. (…)

Lovely (non il suo vero nome) sta ancora vivendo con un “Duldung”, una sorta di permesso temporaneo che non consente a chi lo possiede di assicurarsi lo standard minimo grazie a cui sopravvive ogni nativo tedesco: “Ho lavorato in numerosi paesi europei come prostituta. Dovevo lavorare in strada anche quando ero incinta. A Berlino ho partorito un bimbo prematuro a causa dello stress e degli anni di abusi. E’ stato difficile, molto difficile, ma io sono forte e so che ce la farò e che mio figlio avrà un futuro migliore in Germania. Un giorno mi piacerebbe lavorare per un’organizzazione come la tua, ed aiutare le altre donne ad avere una possibilità, una seconda possibilità. Dio mi ha dato il potere di andare avanti e di lottare per la mia vita.”

Brigid (non il suo vero nome) ha l’Aids a causa degli abusi che ha subito, grazie alla forte domanda di “merci” come lei: “Mi auguro vita e amore, ecco cosa spero per me stessa. C’è un mondo fatto di oscurità che tenta di prevalere, ma io so che l’amore è più forte. L’amore, una famiglia, io sogno questo. Vedo il futuro di fronte a me ed è luminoso.” Con queste parole Brigid descrive un suo dipinto, che ha fatto al Centro di Solwodi. Il suo talento è incredibile, così come la sua forza interiore.
La nostra società vuole davvero perdere l’occasione di riapprendere la speranza, come Lovely, come Brigid, come le molte donne africane che nonostante gli enormi travagli attraversati sanno ancora danzare, cantare, ridere e ringraziare Dio per il dono della vita?

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Pabuda
Pabuda è Paolo Buffoni Damiani quando scrive versi compulsivi o storie brevi, quando ritaglia colori e compone collage o quando legge le sue cose accompagnato dalla musica de Les Enfants du Voudou. Si è solo inventato un acronimo tanto per distinguersi dal suo sosia. Quello che “fa cose turpi”… per campare. Tutta la roba scritta o disegnata dal Pabuda tramite collage è, ovviamente, nel magazzino www.pabuda.net

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