Un Genocidio annunciato

articoli, video, disegni, musica di Chris Hedges, Carlo Rovelli, Gideon Levy, Marcello Faletra, Tareq S.Hajjaj, Malcolm X, Clara Statello, Alberto Negri, Naomi Klein, Piero Orteca, Jonathan Ofir, Osservatorio Euro-Mediterraneo per i diritti umani, Angelo Stefani, Pubble, Francesco Masala, Latuff, Bob Dylan

Lavender, l’Intelligenza Artificiale usata da Israele per colpire i palestinesi, spiegata in parole semplici – Francesco Masala

In Israele, quando il Genocidio incontra l’intelligenza artificiale, il genocidio nazi-sionista sembra una cosa moderna.

In realtà il comando dato agli strumenti di morte è solo questo: ammazzare tutti quelli che non hanno la divisa dell’esercito israeliano e distruggere tutto quello che non ha la Stella di Davide bene in vista, come prescrive quel libro dell’orrore che è la Bibbia (lo spiega bene Mauro Biglino qui e qui).

 

Le armi sono gentilmente fornite dai complici del genocidio, il plotone d’esecuzione dell’Occidente assassino, i Masters of War.

 

PADRONI DELLA GUERRA
Venite padroni della guerra
voi che costruite i grossi cannoni
voi che costruite gli aeroplani di morte
voi che costruite tutte le bombe
voi che vi nascondete dietro i muri
voi che vi nascondete dietro le scrivanie
voglio solo che sappiate
che posso vedere attraverso le vostre maschere.
Voi che non avete mai fatto nulla
se non costruire per distruggere
voi giocate con il mio mondo
come se fosse il vostro piccolo giocattolo
voi mettete un fucile nella mia mano
e vi nascondete dai miei occhi
e vi voltate e correte lontano
quando volano le veloci pallottole.
Come Giuda dei tempi antichi
voi mentite e ingannate
una guerra mondiale può essere vinta
voi volete che io creda
ma io vedo attraverso i vostri occhi
e vedo attraverso il vostro cervello
come vedo attraverso l’acqua
che scorre giù nella fogna
Voi caricate le armi
che altri dovranno sparare
e poi vi sedete e guardate
mentre il conto dei morti sale
voi vi nascondete nei vostri palazzi
mentre il sangue dei giovani
scorre dai loro corpi
e viene sepolto nel fango.
Avete causato la peggior paura
che mai possa spargersi
paura di portare figli
in questo mondo
poiché minacciate il mio bambino
non nato e senza nome
voi non valete il sangue
che scorre nelle vostre vene.Che cosa sono io per parlare quando
non è il mio turno?
Direte che sono giovane
direte che non ne so abbastanza.
Ma c’è una cosa che so
anche se sono più giovane di voi:
so che perfino Gesù
non perdonerebbe quello che fateVoglio farvi una domanda:
il vostro denaro vale così tanto
vi comprerà il perdono
pensate che potrebbe?
Io penso che scoprirete
quando la morte esigerà il pedaggio
che tutti i soldi che avete accumulato
non serviranno a ricomprarvi l’animaE spero che moriate
e che la vostra morte giunga presto
seguirò la vostra bara
in un pallido pomeriggio
e guarderò mentre
vi calano giù nella fossa
e starò sulla vostra tomba
finché non sarò sicuro che siate morti.

(traduzione di Riccardo Venturi)

 

 

 

Un Genocidio annunciato – Chris Hedges

Il Genocidio di Gaza è la fase finale di un processo iniziato da Israele decenni fa. Chiunque non se ne fosse accorto si è reso cieco di fronte al carattere e agli obiettivi finali dello Stato di Apartheid Sionista.

A Gaza non ci sono dubbi. Ogni atto orribile del Genocidio di Israele è stato pianificato in anticipo. Lo è da decenni. L’espropriazione dei palestinesi della loro terra è il cuore pulsante del progetto coloniale israeliano. Questa espropriazione ha avuto momenti storici drammatici, nel 1948 e nel 1967, quando vaste parti della Palestina storica furono conquistate e centinaia di migliaia di palestinesi furono sottoposti a Pulizia Etnica. Anche l’espropriazione è stata condotta in modo crescente: il lento furto delle terre e la costante Pulizia Etnica in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.

L’incursione del 7 ottobre in Israele da parte di Hamas e altri gruppi di Resistenza, che ha provocato la morte di 1.154 israeliani, turisti e lavoratori migranti e visto la presa in ostaggio di circa 240 persone, ha dato a Israele il pretesto per ciò che desiderava da tempo: la totale cancellazione dei palestinesi.

Israele ha raso al suolo il 77% delle strutture sanitarie di Gaza, il 68% delle infrastrutture di telecomunicazione, quasi tutti gli edifici municipali e governativi, i centri commerciali, industriali e agricoli, quasi la metà di tutte le strade, oltre il 60% delle 439.000 case di Gaza, il 68% degli edifici residenziali, il bombardamento della torre residenziale Al-Taj a Gaza Città il 25 ottobre, ha ucciso 101 persone, tra cui 44 bambini e 37 donne, e ne ha ferite centinaia, e ha distrutto i campi profughi. L’attacco al campo profughi di Jabalia il 25 ottobre ha ucciso almeno 126 civili, tra cui 69 bambini, e ne ha feriti 280. Israele ha danneggiato o distrutto le università di Gaza, che ora sono tutte chiuse, e il 60% di altre strutture educative, tra cui 13 biblioteche. Ha inoltre distrutto almeno 195 siti del patrimonio culturale, tra cui 208 moschee, chiese e gli archivi centrali di Gaza che conservavano 150 anni di documenti e testimonianze storiche.

Gli aerei da guerra, i missili, i droni, i carri armati, i proiettili di artiglieria e i cannoni navali israeliani polverizzano quotidianamente Gaza, che misura solo 45 chilometri quadrati, in una campagna di terra bruciata diversa da qualsiasi cosa vista dai tempi della guerra in Vietnam. Ha sganciato 25.000 tonnellate di esplosivo, l’equivalente di due bombe atomiche, su Gaza, molti obiettivi selezionati dall’Intelligenza Artificiale. Sgancia munizioni non guidate (“bombe stupide”) e bombe a penetrazione (“bunker buster”) da 2.000 libbre (900 kg) sui campi profughi e sui centri urbani densamente affollati, nonché sulle cosiddette “zone sicure”: il 42% dei palestinesi sono stati uccisi in queste “zone sicure” dove Israele aveva ordinato loro di fuggire. Oltre 1,7 milioni di palestinesi sono stati sfollati dalle loro case, costretti a trovare rifugio nei sovraffollati rifugi dell’UNRWA, nei corridoi e cortili degli ospedali, nelle scuole, nelle tende o all’addiaccio nel Sud di Gaza, spesso vivendo accanto a pozze fetide di liquami.

Israele ha ucciso almeno 32.705 palestinesi a Gaza, tra cui 13.000 bambini e 9.000 donne. Ciò significa che Israele sta massacrando ben 187 persone al giorno, tra cui 75 bambini. Ha ucciso 136 giornalisti, molti, se non la maggior parte, presi di mira deliberatamente. Ha ucciso 340 medici, infermieri e altri operatori sanitari, il 4% del personale sanitario di Gaza. Questi numeri non riflettono il reale bilancio delle vittime poiché vengono conteggiati solo i morti registrati negli obitori e negli ospedali, la maggior parte dei quali non funziona più. Il bilancio delle vittime, se si contano i dispersi, supera abbondantemente i 40.000.

I medici sono costretti ad amputare gli arti senza anestesia. Quelli con gravi condizioni mediche: cancro, diabete, malattie cardiache, malattie renali, sono morti per mancanza di cure o moriranno presto. Oltre un centinaio di donne partoriscono ogni giorno, con poca o nessuna assistenza medica. Gli aborti sono aumentati del 300%. Oltre il 90% dei palestinesi di Gaza soffre di grave insicurezza alimentare e le persone mangiano mangimi per animali ed erba. I bambini muoiono di fame. Scrittori, accademici, scienziati palestinesi e i loro familiari sono stati rastrellati e assassinati. Oltre 75.000 palestinesi sono stati feriti, molti dei quali rimarranno invalidi per tutta la vita.

“Il 70% delle morti registrate riguardano donne e bambini”, scrive Francesca Albanese, Relatrice Speciale sulla situazione dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati dal 1967, nel suo rapporto pubblicato il 25 marzo. “Israele non è riuscita a dimostrare che il restante 30% dei maschi adulti fossero combattenti attivi di Hamas, una condizione necessaria affinché possano essere presi di mira legalmente. All’inizio di dicembre, i consiglieri per la sicurezza di Israele dichiararono l’uccisione di ‘7.000 terroristi’ in una fase della campagna in cui meno di 5.000 maschi adulti in totale erano stati identificati tra le vittime, implicando così che tutti i maschi adulti uccisi fossero ‘terroristi’”.

Israele usa stratagemmi linguistici per negare a chiunque a Gaza lo status di civile e a qualsiasi edificio, comprese moschee, ospedali e scuole, lo status di protetto. I palestinesi sono tutti etichettati come responsabili dell’attacco del 7 ottobre o liquidati come scudi umani di Hamas. Tutte le strutture sono considerate obiettivi legittimi da Israele perché presumibilmente sono centri di comando di Hamas o si dice che ospitino combattenti di Hamas.

Queste accuse, scrive Francesca Albanese, sono un “pretesto” usato per giustificare “l’uccisione di civili sotto un manto di presunta legalità, la cui la pervasività onnicomprensiva ammette solo intenti genocidi”.

Su scala non abbiamo visto un attacco contro i palestinesi di questa portata, ma tutte queste misure: l’uccisione di civili, l’esproprio di terre, la detenzione arbitraria, la tortura, le sparizioni, le chiusure imposte alle città e ai villaggi palestinesi, la demolizione di case, la revoca dei permessi di soggiorno , la deportazione, la distruzione delle infrastrutture che sostengono la società civile, l’Occupazione militare, il linguaggio disumanizzante, il furto delle risorse naturali, in particolare delle falde acquifere, caratterizzano da tempo la campagna di Israele per sradicare i palestinesi.

L’Occupazione e il Genocidio non sarebbero possibili senza gli Stati Uniti che danno a Israele 3,8 miliardi di dollari (3,5 miliardi di euro) in assistenza militare annuale e stanno ora inviando altri 2,5 miliardi di dollari (2,3 miliardi di euro) in bombe, comprese 1.800 bombe MK84 da 2.000 libbre (900 kg), 500 bombe MK82 da 500 libbre (225 kg) e aerei da combattimento a Israele. Questo è il nostro contributo al Genocidio.

Il Genocidio di Gaza è il culmine di un processo. Non è un atto. Il Genocidio è il prevedibile epilogo del progetto coloniale israeliano. È codificato nel DNA dello Stato di Apartheid Sionista israeliano. Era l’obiettivo finale Israele.

I leader sionisti sono espliciti riguardo ai loro obiettivi.

Il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant, dopo il 7 ottobre, ha annunciato che Gaza non avrebbe più ricevuto “elettricità, cibo, acqua, carburante”. Il Ministro degli Esteri israeliano Israel Katz ha dichiarato: “Aiuti umanitari a Gaza? Non avranno ne elettricità ne acqua”. Avi Dichter, Ministro dell’Agricoltura, ha definito l’assalto militare di Israele “la Nakba di Gaza”, riferendosi alla Nakba, o “Catastrofe”, che tra il 1947 e il 1949 scacciò 750.000 palestinesi dalle loro terre e vide migliaia di persone massacrate dalle milizie sioniste. Il membro del Likud della Knesset israeliana Revital Gottlieb ha postato sul suo profilo di social media: “Abbattere gli edifici!! Bombardare senza distinzione!! Radere al suolo Gaza. Senza pietà! Questa volta non c’è spazio per la misericordia!”. Per non essere da meno, il Ministro del Patrimonio Amichai Eliyahu ha sostenuto l’uso di armi nucleari su Gaza come “una delle possibilità”.

Il messaggio della dirigenza israeliana è inequivocabile. Sterminare i palestinesi nello stesso modo in cui abbiamo sterminato i nativi americani, gli australiani hanno sterminato i popoli delle Prime Nazioni, i tedeschi hanno sterminato gli Herero in Namibia, i turchi hanno sterminato gli armeni e i nazisti hanno sterminato gli ebrei.

Le specifiche sono diverse. Il processo è lo stesso.

Non possiamo invocare l’ignoranza. Sappiamo cosa è successo ai palestinesi. Sappiamo cosa sta accadendo ai palestinesi. Sappiamo cosa gli succederà.

Ma è più facile fingere. Far finta che Israele consentirà l’arrivo degli aiuti umanitari. Fingere che ci sarà un cessate il fuoco. Che i palestinesi ritorneranno alle loro case distrutte a Gaza. Che Gaza verrà ricostruita. Che l’Autorità Palestinese amministrerà Gaza. Che ci sarà una soluzione a due Stati. Fingere che non ci sia alcun Genocidio.

Il Genocidio, che gli Stati Uniti stanno finanziando e sostenendo con spedizioni di armi, dice qualcosa non solo su Israele, ma su di noi, sulla civiltà occidentale, su chi siamo come popolo, da dove veniamo e cosa ci definisce. Dice che tutta la nostra decantata moralità e rispetto per i diritti umani è una menzogna. Dice che le persone di colore, soprattutto quando sono povere e vulnerabili, non contano. Dice che le loro speranze, i loro sogni, la loro dignità e le loro aspirazioni alla libertà non hanno valore. Dice che garantiremo il dominio globale attraverso la violenza razzializzata.

Questa menzogna, che la civiltà occidentale si fonda su “valori” come il rispetto dei diritti umani e lo stato di diritto, è una delle bugie che i palestinesi e tutti quelli del Sud del Mondo, così come i nativi americani gli afroamericani e i mediorientali, conoscono da secoli. Ma, con il Genocidio di Gaza trasmesso in diretta streaming, questa menzogna è impossibile da sostenere.

Non fermiamo il Genocidio di Israele perché siamo Israele, infettati dalla supremazia bianca e intossicati dal nostro dominio sulla ricchezza mondiale e dal potere di annientare gli altri con le nostre armi di distruzione di massa. Ricordate che l’editorialista del New York Times Thomas Friedman disse a Charlie Rose, alla vigilia della guerra in Iraq, che i soldati americani avrebbero dovuto andare casa per casa da Bassora a Baghdad e dire agli iracheni “fate schifo?”. Questo è il vero credo dell’Impero Americano.

Il mondo al di fuori delle fortezze industrializzate nel Nord del Mondo è profondamente consapevole che il destino dei palestinesi è il loro destino. Mentre il cambiamento climatico mette a repentaglio la sopravvivenza, mentre le risorse diventano sempre più scarse, mentre la migrazione diventa un imperativo per milioni di persone, mentre i rendimenti agricoli diminuiscono, mentre le aree costiere vengono inondate, mentre siccità e incendi boschivi proliferano, mentre gli Stati falliscono, mentre i movimenti di Resistenza armata sorgono per combattere i loro oppressori insieme ai loro sicari, il Genocidio non sarà un’anomalia. Sarà la norma. I vulnerabili e i poveri della terra, quelli che Frantz Fanon chiamava “I Dannati Della Terra”, saranno i prossimi palestinesi.

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer, è stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha lavorato come capo dell’Ufficio per il Medio Oriente e dell’Ufficio balcanico per il giornale. In precedenza ha lavorato all’estero per The Dallas Morning News, The Christian Science Monitor e NPR. È il conduttore dello spettacolo RT America nominato agli Emmy Award On Contact.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

da qui

 

 

Carlo Rovelli: “Uccidere 30 mila palestinesi va bene. Ma uccidere un occidentale è insopportabile”

L’esercito si è comportato proprio come ci si aspettava che si comportasse. Questo è esattamente ciò che gli viene richiesto. L’ipocrita coro internazionale che si è alzato in questa occasione, dopo l’uccisione di sette operatori umanitari della World Central Kitchen, sta facendo un’ingiustizia alle Forze di Difesa Israeliane e un’ingiustizia ancora più grave a migliaia di altre vittime. Qual è la differenza tra un giorno e l’altro? Qual è la differenza tra una persona che viene uccisa e l’altra? Cosa è cambiato lunedì sera con l’attacco ai sette operatori umanitari?

Anche le promesse di Israele di un’indagine approfondita sono del tutto ridicole: cosa c’è da indagare – chi ha dato l’ordine? Che differenza fa chi ha dato quell’ordine? Non ci sono stati innumerevoli ordini simili durante la guerra? Decine di migliaia di ordini di aprire il fuoco per uccidere giornalisti, équipe mediche, persone che agitavano bandiere bianche, uomini sradicati che nulla hanno, e soprattutto donne e bambini.

In un post sulla sua pagina Facebook, il fisico italiano Carlo Rovelli risponde alla perfezione a queste domande, sintetizzando come meglio non si può il colonialismo semantico che accompagna la narrazione dominante in occidente. Il sangue dei palestinesi, di “subumani” per utilizzare un’espressione coniata dal compianto Andre Vltchek, vale meno.
L’esercito israeliano uccide sei uomini provenienti da nazioni ricche. I leader mondiali sono inorriditi, indignati, scioccati. Dicono a Israele che è inaccettabile e che deve fermarsi immediatamente: uccidere 30.000 palestinesi, donne, bambini, persone innocenti va bene, ma uccidere un occidentale è insopportabile.  Gli esseri umani non sono uguali. Sei uomini ricchi valgono molto di più di 30.000 poveri innocenti. Questo è il mondo morale in cui viviamo.

Scrive Gideon Levy:

L’esercito si è comportato proprio come ci si aspettava che si comportasse. Questo è esattamente ciò che gli viene richiesto. L’ipocrita coro internazionale che si è alzato in questa occasione, dopo l’uccisione di sette operatori umanitari della World Central Kitchen, sta facendo un’ingiustizia alle Forze di Difesa Israeliane e un’ingiustizia ancora più grave a migliaia di altre vittime. Qual è la differenza tra un giorno e l’altro? Qual è la differenza tra una persona che viene uccisa e l’altra? Cosa è cambiato lunedì sera con l’attacco ai sette operatori umanitari?

Anche le promesse di Israele di un’indagine approfondita sono del tutto ridicole: cosa c’è da indagare – chi ha dato l’ordine? Che differenza fa chi ha dato quell’ordine? Non ci sono stati innumerevoli ordini simili durante la guerra? Decine di migliaia di ordini di aprire il fuoco per uccidere giornalisti, équipe mediche, persone che agitavano bandiere bianche, uomini sradicati che nulla hanno, e soprattutto donne e bambini.

da qui

 

 

Per Israele, il sangue degli operatori umanitari stranieri è più denso di quello dei palestinesi – Gideon Levy

Riportiamo un articolo di Gideon Levy dal titolo: “Per Israele, il sangue degli operatori umanitari stranieri è più denso di quello dei palestinesi”, pubblicato su Haaretz e dedicato all’eccidio dei 7 operatori sanitari della World Central Kitchen. Dove il denso va interpretato, riteniamo, che quando viene versato non è come quello dei palestinesi, che può sgorgare a fiumi…

 

L’esercito si è comportato proprio come ci si aspettava che si comportasse. Questo è esattamente ciò che gli viene richiesto. L’ipocrita coro internazionale che si è alzato in questa occasione, dopo l’uccisione di sette operatori umanitari della World Central Kitchen, sta facendo un’ingiustizia alle Forze di Difesa Israeliane e un’ingiustizia ancora più grave a migliaia di altre vittime. Qual è la differenza tra un giorno e l’altro? Qual è la differenza tra una persona che viene uccisa e l’altra? Cosa è cambiato lunedì sera con l’attacco ai sette operatori umanitari?

Anche le promesse di Israele di un’indagine approfondita sono del tutto ridicole: cosa c’è da indagare – chi ha dato l’ordine? Che differenza fa chi ha dato quell’ordine? Non ci sono stati innumerevoli ordini simili durante la guerra? Decine di migliaia di ordini di aprire il fuoco per uccidere giornalisti, équipe mediche, persone che agitavano bandiere bianche, uomini sradicati che nulla hanno, e soprattutto donne e bambini.
Avete sentito parlare dei campi di morte e distruzione rivelati su Haaretz da Yaniv Kubovich, l’unico corrispondente militare in Israele che ha rivelato i dettagli dell’attacco agli operatori umanitari? Questo è lo spirito dell’IDF in questa guerra, l’unico. Cosa c’è da indagare?

Non c’è nessuna differenza, proprio nessuna, tra l’attacco all’ospedale al-Shifa – andato avanti per due settimane e che ha lasciato centinaia di cadaveri nella polvere e un ospedale dove non c’è più una pietra sull’altra – e l’uccisione dei sette operatori umanitari all’interno del loro veicolo.

In entrambi i casi l’esercito sapeva che avrebbe arrecato del male a persone innocenti, in entrambi i casi la giustificazione era che i membri di Hamas si nascondevano tra loro, in entrambi i casi si trattava di obiettivi umanitari che è vietato colpire.

Non sapremo mai quanti sono stati uccisi ad al Shifa e quanti di loro erano realmente terroristi, ma è chiarissimo che molte delle vittime erano pazienti e persone che avevano trovato rifugio presso l’ospedale.

Israele ha applaudito a tutto ciò, e il mondo è stato zitto. Che eccellente operazione chirurgica, realizzata tra cumuli di macerie di quello che un tempo era un importante centro medico, l’unico [vero] in tutta la Striscia di Gaza.

Tutti sanno anche che l’attacco contro gli operatori umanitari è stato involontario, per sbaglio, un errore – dopo tutto l’IDF non è così, i nostri soldati non sono così. Anche quando è assolutamente chiaro che qui non c’è stato nessun errore, né alcuna deviazione dagli ordini e dalle procedure.

Ciò che i soldati hanno imparato ad al Shifa, lo hanno messo in pratica anche a Deir al-Balah [luogo dell’eccidio degli operatori della WCK]. Quanti hanno tenuto la bocca chiusa su al Shifa farebbero bene a tenere la bocca chiusa sulla [strage degli operatori] della World Central Kitchen. Anche i rapporti sono simili: ucciderne sette per ottenere la testa di un terrorista, di cui nessuno conosce con certezza l’identità e quale crimine abbia compiuto. In ogni caso, non era sulla macchina, né lui né Yahya Sinwar [il capo di Hamas a Gaza ndr].

Il termine “terrorista” è la parola più flessibile del lessico israeliano. Nelle kill zone significa qualsiasi individuo [l’attraversi]. Così l’ipocrisia è arrivata anche in Israele. Il primo ministro si è pentito dell’uccisione degli operatori umanitari: perché all’improvviso si rammarica e di cosa esattamente? Il Capo di stato maggiore dell’IDF afferma che si è verificato un errore: quale errore, quando sono stati lanciati tre razzi contro tre auto più che identificate? Peraltro, l’IDF ha indagato alla velocità della luce.

Su tutti [ e la più rammaricata] c’era, stranamente, l’esperta di gastronomia [israeliana] Ruti Rousso. Opinionista molto attiva in questa guerra, che fornisce aiuto agli israeliani sfollati e alle famiglie degli ostaggi. Rousso aveva lavorato con il personale della World Central Kitchen che operava anche nelle comunità di confine di Gaza. “Sono distrutta”, ha scritto su X, e questo ovviamente è straziante.

Ma la Rousso schiacciata è la stessa persona che, esattamente tre anni fa, scriveva su twitter: “Sono tutti di Hamas. Nessuno ne è estraneo (a parte gli animali che vivono lì)”.

Cos’altro possiamo dire? Se a Gaza nessuno è estraneo, a parte gli animali, è un bene che l’IDF abbia ucciso anche gli amici della Rousso del WCK. O forse il loro sangue straniero è più denso di quello debole e inferiore dei palestinesi, e la loro razza è superiore?

Nota a margine. Fin qui Gideon Levy che tanto dice anche sulla sollecitudine della leadership d’Occidente contro il razzismo. Evidentemente i palestinesi non sono nell’elenco dalle razze da tutelare…

Poco da aggiungere se non che i morti sono più di 33mila, di cui oltre 14mila bambini, i feriti 75mila e migliaia sono i dispersi. Ieri, Benny Gantz ha chiesto elezioni anticipate a settembre. Richiesta inutile per quanto riguarda la mattanza in corso, dal momento che, se non verrà fermata, a settembre il nuovo premier di Tel Aviv dovrà solo gestire un cimitero a cielo aperto.

Peraltro, anche questo timido passo dell’ex Capo di Stato maggiore israeliano prestato alla politica, e attualmente leader di un partito della coalizione di governo, ha ricevuto il niet di Netanyahu. E ha sollevato le critiche più o meno pungenti delle opposizioni. Per tutti, il titolo dell’editoriale di Haaretz: “Gantz ed Eisenkot: smettetela di salvare Netanyahu e uscite dal suo governo”. Non a settembre, ammonisce lo scritto. Ora.

da qui

 

 

HANNAH ARENDT CONTRO NETANYAHU – Marcello Faletra

Trentaduemila civili assassinati, più della metà donne e bambini (fino ad oggi), come vendetta contro il massacro di Hamas del 7 ottobre scorso. Ma è una vendetta che ha alle spalle una lunga storia che si può far iniziare già dal 1948 (ma anche prima), anno della nascita dello stato di Israele e anche della lettera che alcuni intellettuali, scienziati e scrittori ebrei pubblicarono sul New York Times – tra i firmatari figurano Albert Einstein e Hannah Arendt. La lettera esordisce senza mezzi termini: “Tra i fenomeni politici più inquietanti dei nostri tempi c’è l’emergere nello stato di Israele appena creato del “partito della Libertà” (Tnuat Haherut), un partito politico strettamente affine nella sua organizzazione, metodi, filosofia e attrattiva sociale ai partiti nazista e fascista”. Il capo di questo partito era Begin. Oggi il suo erede più fedele è Netanyahu. E, oggi, dire che il sionismo è l’ultimo avamposto del nazionalismo del XIX secolo, ben protetto dall’amministrazione statunitense, rischia di essere un crimine! La posta in gioco è il dominio coloniale nella regione mediorientale dove Israele ha il ruolo di sentinella verso i paesi arabi che la circondano.

D’altra parte, al massacro di Hamas non è seguita alcuna indagine internazionale, se non quella stabilita dal governo di Netanyahu, che ha inizialmente diffuso false notizie di bambini decapitati. Un falso che però è stato prontamente rilanciato dalla stampa occidentale.

Naturalmente, questo non toglie la dimensione del massacro. Ma il problema della “reazione di difesa” ha aperto un coro mediatico che somiglia più a una congiura del silenzio che a un’informazione obiettiva. Al punto che si discute sulle “proporzioni” di questa  reazione di fronte allo sterminio di migliaia di donne e bambini.

Questa legittimazione internazionale della “giusta reazione” è arrivata fino al punto di far passare come una notizia di cronaca l’assassinio deliberato di oltre cento palestinesi che si accalcano per un pugno di farina.

Qui è in gioco il concetto di “reazione”. Se per un israeliano ucciso occorre uccidere dieci palestinesi civili, siamo nella logica che fu applicata dai nazisti in Italia, per la quale per ogni suo soldato ucciso  (cioé: occupante e sterminatore di ebrei) occorreva assassinare dieci italiani. Una follia omicida!

Su questa concezione nazi-fascista della “reazione” sono ancora di grande attualità alcune osservazioni di Hannah Arendt. Ci ritorneremo più avanti.

Inoltre, cosa c’entra l’immagine di cittadini palestinesi – molti adolescenti – bendati, seminudi in ginocchio con le braccia legate dietro la schiena, con il diritto alla difesa. Questa immagine, poco commentata dalla congiura del silenzio mediatico, è la replica dell’umiliazione che i nazisti facevano contro gli ebrei con altri mezzi. Questa immagine appena accennata dai media ufficiali conferma una visione biologica della politica sionista che reputa alla stregua di bestie i palestinesi. Era la preoccupazione espressa nella lettera di cui ho accennato sopra. In un passaggio del suo capolavoro – Le origini del totalitarismo – Hannah Arendt aveva constatato che la politica estera del nazismo si fondava su “ una visione biologica della nostra politica estera”. E’ la stessa politica messa in atto dai governi di destra israeliani dopo l’assassinio di Rabin (1996) per mano di un estremista di destra.

Questa visione biologica dell’altro prende corpo già nel denudare persone indifese, cioè civili, della propria umanità, renderlo alla stregua di un essere indegno di vivere. E’ il passaggio all’atto del loro sterminio. Chi sono, dunque, i sionisti  israeliani di fronte a queste esecuzioni indiscriminate di massa?  Una cosa è certa: non hanno nulla a che  vedere con Shoah che utilizzano strumentalizzandone la memoria. La memoria dei superstiti a questo punto è a rischio. E se lo fanno è perché sono sostenuti da un leviatano geo-politico pericoloso, non solo per i destini dell’Occidente, ma per mondo intero.

D’altra parte su quanto sta accadendo l’equivoco tra “difesa” e sterminio si tocca con mano. Ed è singolare che l’attuale governo israeliano sia sostenuto da tutte le destre e pseudo-democrazie dell’Occidente, ignorando  un fatto decisivo: Israele è uno stato e in quanto tale dovrebbe rispettare norme di diritto internazionale. Altrimenti è qualcos’altro come sta dimostrando: cioè un nazionalismo razzista e colonialista.

Chi abita in Israele abita prima di tutto uno stato nato nel 1948, questo fatto non va sostituito con la complessa stratificata “cultura ebraica”. Trasformare uno stato di diritto in un nazionalismo etnico-religioso è una mistificazione che rovescia il problema del colonialismo in un conflitto di religioni.

Questa distinzione è stata tempestivamente avvertita da Hannah Arendt già nel 1945 in un saggio dal titolo “Ripensare il sionismo”. Perché il progetto di Netanyahu  è storicamente fedele al programma sionista che nel 1944, come ci ricorda la Arendt, si tenne ad Atlantic City. Questo programma, in poche parole, affermava che “la confederazione ebraica libera e democratica…includerà tutta la Palestina”. Questo progetto, oggi, si sta attuando con Netanyahu.

Infatti, in un documento pubblicato dalla rivista israeliana Merkovit il 28 ottobre 2023, si raccomandava di deportare i due milioni e oltre di palestinesi nella penisola del Sinai. Ma le fantasie di deportazione non hanno limiti: alcuni hanno proposto di deportarli in un paese africano.

Come non pensare alle fantasie che circolavano alla fine degli anni Trenta del secolo scorso di deportare gli ebrei d’Europa in Madagascar! Non dobbiamo mai dimenticare che allora nessuno voleva gli ebrei. Oggi, come uno specchio, nessuno vuole i palestinesi.

La fobia di ieri contro gli ebrei si è storicamente rovesciata nella fobia contro i palestinesi. Ma gli ebrei non sono i sionisti-fascisti che stanno annientando un popolo. E l’antisemitismo è utilizzato come un ombrello del neofascismo incalzante in Occidente contro ogni pensiero dissidente o “diverso” dal dettato irrazionale e guerrafondaio attuale. Spostare il problema palestinese sul piano religioso o culturale è l’arma a disposizione delle destre che governano l’Occidente. Il problema che si vuol nascondere è d’ordine politico. Se Netanyahu è un fedele erede delle istanze fasciste e colonialiste del partito Tnuat Haherut degli anni Quaranta, questo tratto non ha nulla a che vedere con il passato del popolo ebraico. E’ questo l’avvertimento profetico di Hannah Arendt. Alle posizioni della Arendt fece da eco Uri Avnery – giornalista e politico militante dell’Haganah – quando osservava (1967) che il sionismo “è l’ultimo dei movimenti nazionalisti europei dell’800”. Se si abbandona questa chiave di lettura lo sterminio dei palestinesi in atto passerà come una “difesa” degli “ebrei” dai “terroristi”.

D’altra parte, ogni nazionalismo come ben sanno gli “ebrei” di ieri, si fonda su una visione biologica della politica territoriale. “L’Italia agli italiani,”come dicono i leghisti, la Francia ai francesi come urla Le Pen, la “Russia ai russi”  diceva l’ultranazionalista Navalny, che paragonava i musulmani agli scarafaggi, ecc. Queste derive geopolitiche sono il risultato di un revanscismo nazionalista, che però s’inchina volentieri al burattinaio d’oltre oceano, ossequiandolo e recitando la sceneggiatura che viene impartita.

Come è ormai evidente, Israele è l’avamposto degli Stati Uniti nel cuore dei paesi arabi.

Da qui la loro doppia appartenenza: da un lato le ultime amministrazioni fasciste israeliane si proclamano eredi della grande cultura ebraica (Shoah compresa), dall’altro sono l’avamposto degli Stati Uniti nel cuore del medioriente. Il prezzo di questo stato di cose lo pagano i palestinesi con i ripetuti veti imposti dagli Stati Uniti contro il cessate il fuoco.

Ma il fuoco non smette di cessare e l’idea di deportazione dei palestinesiimplica una concezione dell’umanità di segno razzista. Cioè, che un popolo deve essere allontanato o liquidato con ogni mezzo. E questo sta accadendo con il popolo palestinese. Ignorare ciò significa partecipare alla sua liquidazione materiale, cioè ONTOLOGICA. Ieri nessuno voleva gli ebrei. Oggi nessuno vuole i palestinesi! Rovesciamento storico paradossale. L’antisemitismo di ieri, e di oggi, è lo specchio dell’antipalestinismo di oggi. E se i media, organi di propaganda dell’egemonia americana, inculcano un’immagine dei palestinesi come popolo terrorista (Hamas), ciò significa che non solo ignorano deliberatamente la storia recente e passata della Palestina, ma partecipano a un banchetto sacrificale, che è stato – ed è –  lo scenario storico delle deportazioni e dei massacri di interi popoli e culture. D’altra parte, è incredibile quanto il sionismo sia in linea ideologica con la cultura del “sangue e terra” dei nazisti. Ancora un esempio suggerito dalla Arendt: nel 1935 l’ebreo sionista Joachim Prinz pubblica un libro intitolato “Wir Juden” (Noi ebrei), dove sosteneva che bisognava solidarizzare con i nazisti, in quanto sostenevano l’idea del radicamento alla terra d’origine. Il mito dell’origine, cioè l’idea che coloro che sono stati i primi in qualche posto e che lo hanno posseduto per primo, diventi la ragion ultima della politica è aberrante. Ma è un mito. Perché solo chi più è forte farà trapassare il mito in occupazione.

Hannah Arendt, osservava pure, profeticamente, che un progetto di tal genere “é un colpo mortale per quei gruppi ebraici di Palestina che hanno instancabilmente sostenuto la necessità di un’intesa tra arabi ed ebrei”. Queste osservazioni non sono frutto di “opinioni”, ma di una sionista dissidente dopo la presa di posizione del Likud – partito di stampo parafascista – nella gestione della colonizzazione della Palestina nella prima metà del secolo scorso. Vent’anni dopo (1967) Sabri Geries – avvocato e cittadino del nuovo stato israeliano, ma arabo –  affermava che “il filosionismo è l’internazionalismo degli imbecilli”, poiché questo sionismo era stato appoggiato dagli inglesi che per lungo tempo avevano colonizzato la Palestina in funzione anti-turca. E’ sul modello del colonialismo inglese che i sionisti si installeranno in Palestina intorno al 1870, acquistando terre vicini a Giaffa, e in seguito si sono estesi prima lentamente poi con aggressioni in tutto il territorio. Occorre capire questo dato fondamentale: la Palestina non è stata occupata dagli ebrei, ma dai sionisti. Questo non toglie il dato storico che molti ebrei, subito dopo la Shoah, approdarono in Palestina…e furono accolti dagli abitanti del luogo. Un dato spesso trascurato.

La Arendt conosceva bene le posizioni del fascista ebreo Jabotinski, il quale già nel 1925 fondava l’Unione sionista-revisionista”,  che avrebbe portato all’estrema destra il partito Heruth. Che, benché si presentasse sotto le vestigia di una coesistenza pacifica, man mano sottraeva per via di leggi e aggressioni, terre e diritti ai palestinesi.

Uri Avneri – che ho ricordato prima – in un vecchio libro del 1968, già esprimeva le sue perplessità con queste parole. “…la destra tradizionalista ortodossa e sciovinista scatenò una campagna a favore dell’annessione ufficiale dei territori occupati. Si unirono ad essa alcuni piccoli gruppi marginali, fascisti e ultra-religiosi, e ne venne fuori il movimento per il Grande Israele…”. Oggi questi “piccoli gruppi” sono la maggioranza del paese. Qui la questione non è religiosa, culturale o altro . E’ semplicemente colonialista. Israele, forse, è l’ultima regione del pianeta che non ritiene di doversi conformare alle regole del diritto internazionale. Ma questo atteggiamento se è stato tollerato è perché lo scudo storico è la strumentalizzazione della Shoah. Un ombrello, che paradossalmente assassina due volte le vittime dell’ideologia del “sangue e del suolo”. Cioè dell’identità che affonda politicamente le sue radici nelle appartenenze religiose, ad ogni costo, di cui le vittime oggi sono i palestinesi. Hannah Arendt in un passo del suo pamphlet La menzogna in politica (1972) chiama coloro che non hanno più alcun diritto all’esistenza non-persone. La stessa espressione oggi si può dire dei palestinesi, sottoposti ad una congiura mediatica che ricorda quella dai fascismi di ieri.

Quello a cui stiamo assistendo oggi è la messa in atto del piano del dott. Aldad, uno dei dirigenti del Movimento per il Grande Israele. Un fanatico il quale nel capodanno ebraico del 1967 aveva stilato una carta dell’”impero  israeliano” che comprendeva oltre alla Palestina, la Transgiordania, il Libano, la Siria e l’Egitto. Un progetto riuscito solo col popolo palestinese…e in un suo proclama dichiarò: “la sola guerra possibile è la guerra totale. Punto e basta”. Eccoci davanti al suo esecutore d’oggi: Netanyahu. “La guerra di sterminio – osservava Arendt in Che cos’é la politica – è l’unica guerra che sia consona al sistema totalitario”.

I persecutori degli ebrei di ieri sono oggi i persecutori del popolo palestinese per mano di Netanyahu. Nella scena della storia sono cambiati gli attori. E all’antisemitismo, parola utilizzata come un manganello per zittire ogni forma di dissenso, va contrapposto l’antipalestinismo, parola in cui popoli oppressi del pianeta oggi si riconoscono.

Dopo molti decenni le osservazione di Hannah Arendt, sono estremamente importanti per capire la genealogia di ciò che oggi sembra un gioco di posizioni irrazionali, soprattutto sul genocidio che il nazi-fascista Netanyahu sta effetuando.  E la sua posizione è illuminante nella misura in cui è una ebrea, che ha dovuto far le valigie per sottrarsi alla pulizia etnica nazista, tollerata dai governi europei. Che oggi scaricano le loro colpe storiche – lo sterminio di sei milioni di ebrei, più rom, comunisti e altre minoranze – sul popolo palestinese, il quale paga le colpe irredimibili delle politiche “democratiche” occidentali. Diciamolo con altre parole: non sono stati i palestinesi i nemici millenari degli ebrei, ma proprio gli stati di cui oggi ereditiamo la cultura razzista, colonialista e imperialista, cioè: la nostra  cosiddetta “civiltà”.

Per tornare alla Arendt, la quale benché fosse di origine ebraica, tuttavia già subito dopo la seconda guerra mondiale, prese le distanze dal sionismo revisionista che stigmatizzò “fascista”. La Arendt si lamentava del fatto che il nazionalismo avesse preso in mano la questione ebreo-palestinese.

In questo scenario storico non è importante il valore delle differenze culturali, ma l’affermazione di un predominio geopolitico che si reputa “giusto”, e “democratico”, come la celebre “Tavola Rotonda di Re Artù”, che secondo la Arendt, non è altro che la metafora di un tavolo da gioco al poker dove i più scaltri e potenti vinceranno, come per esempio accade con la Tavola Rotonda della Nato, dove basta sostituire re Artu con gli Jenkee e abbiamo l’impero da “difendere”.

Ancora un’osservazione di HannaH Arendt,: “…se i sionisti continueranno ad ignorare i popoli del Mediterraneo e a curarsi soltanto delle grandi potenze lontane, essi finiranno col sembrare loro strumenti, agenti di interessi estranei e ostili.”

Queste parole scritte nel 1945 dovrebbero farci riflettere sulla differenza radicale e politica del progetto sionista, che oggi è diventato il comune denominatore di tutta l’informazione sul caso Israele-Palestina. Il nazionalismo sionista, seguendo Hannanh Arendt, ha tradito non solo la cultura ebraica, ma ha destabilizzato i rapporti sociali in un territorio storicamente sottoposto a domini e oppressione d’ogni genere, di cui quella dei coloni sionisti è oggi la metastasi razzista socio-politica.

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In una settimana, l’esercito israeliano giustizia 13 bambini all’interno e nei pressi dell’Ospedale Al-Shifa

L’esercito israeliano ha giustiziato 13 bambini mediante fucilazione diretta nel complesso medico Al-Shifa e nei dintorni della Città di Gaza

Dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo per i diritti umani

Territorio Palestinese – In palese violazione del Diritto Internazionale, in particolare del Diritto Internazionale Umanitario, l’esercito israeliano ha giustiziato 13 bambini mediante fucilazione diretta nel complesso medico Al-Shifa e nei dintorni della Città di Gaza. Questo è un Crimine di Guerra e un Crimine contro l’Umanità e fa parte del Genocidio che il popolo palestinese nella Striscia di Gaza sta vivendo negli ultimi sei mesi.

Da più di una settimana l’esercito israeliano conduce operazioni militari sistematiche e terrificanti all’interno e nei dintorni del complesso medico Al-Shifa. Questi crimini includono esecuzioni extragiudiziali e uccisioni deliberate di civili palestinesi. La squadra sul campo dell’Osservatorio Euro-Mediterraneo ha ricevuto testimonianze identiche sugli omicidi e sulle esecuzioni di bambini palestinesi di età compresa tra i quattro e i 16 anni.

Alcune delle sparatorie mortali sono avvenute durante un assedio dell’esercito israeliano mentre le famiglie delle vittime erano all’interno delle proprie case; altri si sono verificati quando le vittime hanno tentato di fuggire attraverso percorsi che l’esercito israeliano aveva designato come “sicuri” dopo averli evacuati con la forza dalle loro case e luoghi di residenza.

Il palestinese Islam Ali Salouha vive vicino al complesso medico Al-Shifa. Salouha ha dichiarato che le forze israeliane hanno ucciso i suoi figli Ali, di nove anni, e Saeed Muhammad Sheikha, di sei, di fronte alla famiglia e a loro concittadini. Hanno mirato specificamente ai bambini, ha detto, con proiettili veri.

Salouha, ha scelto di rimanere con la sua famiglia nel suo appartamento con diversi altri residenti perché non c’era un modo sicuro per andarsene dopo più di una settimana di assedio da parte delle forze israeliane all’interno della loro casa nel corso di frequenti incursioni.

Ha spiegato che nel pomeriggio di domenica 24 marzo 2024, l’esercito israeliano ha ordinato a tutti coloro che si trovavano nelle vicinanze, attraverso gli altoparlanti, di lasciare immediatamente la propria zona residenziale, altrimenti la loro casa sarebbe stata bombardata. Di conseguenza, i residenti sono stati costretti a lasciare l’area con alcuni dei loro vicini e ad attraversare una strada disseminata di cadaveri che l’esercito israeliano aveva designato per il viaggio.

Salouha ha detto che furono in grado di percorrere solo dieci metri prima di essere improvvisamenti esposti a intensi colpi di arma da fuoco, diretti in particolare contro i due bambini, Ali e Saeed. I bambini caddero davanti a loro, con i corpi coperti di sangue.

Mentre tentavano di sollevare i due ragazzini da terra, ha detto, le forze israeliane hanno aperto nuovamente il fuoco su di loro, costringendoli a lasciare Ali e Saeed a terra e a continuare a camminare.

Salouha ha sottolineato che suo figlio Ali è stato ucciso in un’esecuzione sul campo dopo essere stato per giorni affamato per la mancanza di cibo a causa dell’assedio israeliano. Ha anche sottolineato che l’area intorno al complesso medico Al-Shifa è diventata un punto caldo per esecuzioni sul campo e omicidi, con i corpi delle vittime disseminati nelle strade a comprova.

Il 28 marzo l’esercito israeliano ha lanciato una massiccia operazione militare contro il complesso medico di Al-Shifa, trasformandolo in una base militare e trasformando l’area circostante in una zona militare, tra bombardamenti aerei e di artiglieria senza sosta e fuoco vivo.

Il Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulle esecuzioni arbitrarie o extragiudiziali deve intraprendere azioni urgenti per indagare e documentare gli omicidi commessi dalle forze israeliane all’interno e nelle vicinanze del complesso medico Al-Shifa, e spingere per misure efficaci per ritenere responsabili gli autori e coloro che hanno dato gli ordini.

Richiamiamo l’attenzione sulla necessità di proteggere i bambini palestinesi, che sono più vulnerabili ai Crimini Israeliani in corso nella Striscia di Gaza e ai quali non viene garantita alcuna protezione ai sensi del Diritto Internazionale, e trasformati invece dall’esercito israeliano in un obiettivo chiaro e attuale per omicidi, esecuzioni e attacchi indiscriminati, oltre a negare loro cibo, alloggio e assistenza medica.

Poiché i bambini palestinesi rappresentano più di un terzo delle vittime dei Crimini Israeliani nella Striscia di Gaza, in corso dal 7 ottobre 2023, rappresentando 14.405 dei 40.156 morti totali, l’uccisione di questi bambini da parte dell’esercito israeliano in modo così sistematico e diffuso è chiaramente intenzionale. Ciò costituisce un’ulteriore prova del Genocidio di Israele contro il popolo palestinese nella Striscia di Gaza, nonché della deliberata distruzione di intere generazioni di palestinesi che vivono lì.

La comunità internazionale deve agire rapidamente e con forza per difendere i civili palestinesi dal Genocidio in corso da quasi sei mesi perpetrato da Israele nella Striscia di Gaza. Deve inoltre esercitare una pressione efficace per porre fine ai gravi crimini commessi da Israele, come gli attacchi al complesso medico di Al-Shifa e ad altre strutture sanitarie, e deve garantire che Israele rispetti i requisiti del Diritto Internazionale e le Regole di Guerra, che specificano la necessità di proteggere i civili e di non prenderli di mira per nessun motivo.

La Corte Penale Internazionale deve agire immediatamente per ritenere Israele responsabile dei suoi crimini che ricadono sotto la sua giurisdizione. È inoltre necessario dare priorità al lavoro e alle indagini su ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza, dato che la gravità dei crimini commessi lì hanno un impatto sulla pace e sulla sicurezza globali.

La comunità internazionale deve intervenire e costringere Israele a rispettare la risoluzione di ieri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che chiede un cessate il fuoco immediato, nonché il rispetto della sentenza del 26 gennaio della Corte Internazionale di Giustizia.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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La storia di Yazan Kafarneh, bambino morto di fame a Gaza – Tareq S.Hajjaj

Yazan Kafarneh, 9 anni, è morto a causa di una malattia congenita resa mortale dalla grave malnutrizione durante l’assedio genocida di Israele. “Non c’era bisogno di un miracolo per salvarlo”, grida la madre. “Gli sarebbe servito solo il cibo che noi gli abbiamo sempre potuto fornire”.

 

Yazan Kafarneh dopo essere morto di fame. (Foto: Rabee’ Abu Naqirah)

Questa non è la foto di una mummia o di un corpo imbalsamato recuperato da uno degli antichi cimiteri di Gaza. Questa è una foto di Yazan Kafarneh, un bambino morto di grave malnutrizione durante la guerra genocida condotta da Israele nella Striscia di Gaza.

La famiglia di Yazan ora vive nella scuola Rab’a nel quartiere Tal al-Sultan nella città di Rafah. Suo padre, Sharif Kafarneh, insieme a sua madre, Marwa, e i suoi tre fratelli minori, erano fuggiti da Beit Hanoun, nel nord di Gaza, all’inizio della guerra.

Yazan Kafarneh è morto all’età di nove anni,  maggiore di quattro fratelli: Mouin, 6, Ramzi, 4, e Muhammad, nato durante la guerra, in un rifugio, quattro mesi fa.

Vivendo in condizioni inadatte alla condizione umana, la famiglia in lutto ha assistito alla morte di Yazan davanti ai propri occhi. Non è successo tutto in una volta, ma gradualmente nel tempo. Il suo fragile corpo è deperito un giorno dopo l’altr,o finché di Yazan non sono rimaste  altro che pelle e ossa.

Sharif non ha potuto fare nulla per suo figlio. E’ morto a causa di una malattia congenita che richiedeva un regime dietetico speciale per mantenerlo in salute. Il fatto che Israele abbia impedito sistematicamente che il cibo raggiungesse la popolazione civile di Gaza ,ha fatto sì che la grave malnutrizione – sofferta dalla maggior parte dei bambini nell’enclave assediata – nel caso di Yazan abbia significato la morte.

“Siamo partiti da Beit Hanoun per il campo profughi di Jabalia”, ha detto Sharif a Mondoweiss. “Poi l’occupazione ci ha chiamati di nuovo e ci ha messo in guardia dal rimanere dove eravamo. Quindi siamo partiti per Gaza City. Poi, l’occupazione ci ha costretto a fuggire più a sud, e lo abbiamo fatto”.

“Se non fosse stato per Yazan, non avrei mai lasciato la mia casa”, ha affermato Sharif. “Yazan necessitava di cure e alimentazione specifiche.

Yazan soffriva di una forma congenita di atrofia muscolare che rendeva difficili i movimenti e la parola, ma Sharif dice che questo non gli aveva mai causato molto dolore, nei suoi nove anni prima della guerra.

“Aveva semplicemente bisogni nutrizionali specifici”, ha spiegato Sharif. “Ma procurargli quel cibo non è mai stato un problema, prima della guerra.”

Era motivo di orgoglio per Sharif il fatto che lui, un tassista, fosse sempre riuscito a fornire al figlio ciò di cui aveva bisogno.

“Tutto è cambiato durante la guerra. Gli alimenti specifici di cui aveva bisogno sono spariti”, ha detto. “Ad esempio, ogni giorno a cena  Yazan doveva mangiare latte e banane. Non poteva restare un giorno senza, e a volte avrebbe potuto avere solo banane. Questo è quello che ci avevano detto i medici”.

“Dopo la guerra, non sono riuscito a procurarmi una sola banana”, ha continuato Sharif. “Per pranzo avrebbe dovuto mangiare frutta e verdura bollita e frullata. Non avevamo elettricità per il frullatore e non c’erano più né frutta né verdura”.

Per quanto riguarda la colazione, il regime di Yazan prevedeva che mangiasse uova. “Naturalmente non ci sono più uova nella città di Rafah”, ha detto Sharif. “Niente frutta, niente verdura, niente uova, niente banane, niente.”

“Ma i bisogni di nostro figlio non erano mai stati un problema per noi”, si affretta ad aggiungere Sharif. “Ci è piaciuto prenderci cura di lui. Era il figlio viziato della famiglia, e anche i suoi fratelli minori lo amavano e si prendevano cura di lui. Dio mi ha dato da vivere perché potessi prendermi cura di lui”.

A causa dei suoi bisogni speciali, prima della guerra le società di beneficenza visitavano la casa di Yazan a Beit Hanoun, fornendo vari trattamenti come terapia fisica e logopedia. Tutto sommato, Yazan ha avuto un’infanzia funzionale e felice.

“È diventato sempre più magro”

La famiglia ha continuato a prendersi cura di Yazan durante la guerra. Hanno cercato di arrangiarsi con quello che riuscivano a trovare, cercando il più possibile di trovare alternative ai cibi di cui Yazan aveva bisogno. “Ho sostituito le banane con l’halawa [un dolce a base di tahini] e le uova con il pane imbevuto di tè”, ha detto Sharif. “Ma questi alimenti non contenevano i nutrienti di cui Yazan aveva bisogno.”

Oltre ai suoi bisogni nutrizionali, Yazan doveva assumere medicinali specifici. Sharif gli portava stimolanti cerebrali e muscolari che lo aiutavano a rimanere vivo e mobile, permettendogli di muoversi e gattonare per tutta la casa. Quelle medicine sono terminate durante la seconda settimana di guerra.

Con la mancanza di alimentazione e farmaci, la sua salute è peggiorata. “Ho notato che si stava ammalando, e il suo corpo stava diventando emaciato”, racconta Sharif. “È diventato sempre più magro.”

La sua famiglia lo ha portato all’ospedale al-Najjar di Rafah, dove la sua salute ha continuato a peggiorare nel corso di undici giorni.

“Anche dopo averlo portato in ospedale, non hanno potuto fare nulla per lui”, ha continuato Sharif. “Tutto quello che sono riusciti a dargli erano liquidi per via endovenosa e, quando la sua situazione è peggiorata, il personale dell’ospedale gli ha inserito un tubo di alimentazione nel naso”.

“Mio figlio aveva bisogno di un tubo con una misura di 14 unità, ma tutto ciò che l’ospedale aveva era uno di 8 unità”, ha aggiunto.

Quando gli è stato chiesto quale fosse il fattore più importante che ha portato al peggioramento delle condizioni di suo figlio, Sharif ha risposto che era l’ambiente in cui viveva. “Prima della guerra, era nell’ambiente giusto. Dopo, tutto era sbagliato. Era a casa sua, ma poi è stato sradicato in un rifugio a Rafah”.

“La situazione in cui viviamo non è adatta agli esseri umani, per non parlare di un bambino malato”, ha spiegato Sharif. “Nei campi, le persone accendevano fuochi per tenersi al caldo, ma il fumo faceva tossire e soffocare Yazan, e non potevamo dire loro di spegnere i fuochi, perché tutti avevano così freddo”.

Il dottor Muhammad al-Sabe’, un chirurgo pediatrico di Rafah che lavora negli ospedali di al-Awda, al-Najjar e al-Kuwaiti, si è interessato in modo particolare al caso di Yazan.

“Le dure condizioni che Yazan ha dovuto sopportare, inclusa la malnutrizione, sono stati i principali fattori che hanno contribuito al deterioramento della sua salute e alla sua morte definitiva”, ha detto il dottor al-Sabe’ a Mondoweiss. “Si tratta di una malattia genetica e congenita e richiede cure speciali ogni giorno, comprese proteine specifiche, farmaci per via endovenosa e terapia fisica quotidiana, che non è disponibile a Rafah”.

Il dottor al-Sabe’ ha affermato che la maggior parte degli alimenti somministrati ai pazienti che non possono nutrirsi tramite sondini non sono disponibili a Gaza. “L’occupazione impedisce l’ingresso di questi alimenti e medicinali specifici”, ha spiegato. “Incluso un medicinale chiamato Guarantee.”

Guarantee è uno speciale integratore alimentare utilizzato in ambito medico per quella che viene chiamata “nutrizione enterale”, ovvero nutrire i pazienti attraverso un tubo nasale.

“Il trattamento speciale per i pazienti, soprattutto per i bambini, è inesistente”, ha aggiunto il dottor al-Sabe’. “Non abbiamo nemmeno i pannolini, per non parlare del latte artificiale e degli integratori alimentari”.

“Se le cose non cambiano, se restano così come sono, assisteremo alla morte in massa tra i bambini”, ha sottolineato. “Se un bambino non riceve nutrimento per un’intera settimana, prima o poi morirà. E anche se i bambini malnutriti alla fine ricevessero nutrimento, probabilmente subirebbero conseguenze sulla salute per tutta la vita”.

“Se i bambini che ne hanno bisogno vengono esclusi dalle medicine per una settimana, anche questo probabilmente porterà alla loro morte”, ha continuato.

Bambini colpiti in modo sproporzionato dalla carestia

Secondo un rapporto sulla situazione umanitaria dell’UNICEF del 22 marzo, 2,23 milioni di persone a Gaza soffrono almeno di “insicurezza alimentare acuta”, mentre metà di quella popolazione (1,1 milioni di persone) soffre di “insicurezza alimentare catastrofica”, il che significa che “la carestia è imminente” per metà della popolazione”.

Un precedente rapporto del dicembre 2023 aveva già concluso che tutti i bambini di Gaza sotto i cinque anni (stimati in 335.000 bambini) sono “ad alto rischio di malnutrizione grave e di morte prevenibile”. L’ultimo rapporto dell’UNICEF del 22 marzo stima che la soglia di carestia per “insicurezza alimentare acuta” sia già stata “di gran lunga superata”, mentre è altamente probabile che sia stata superata anche la soglia di carestia per “malnutrizione acuta”. Inoltre, l’UNICEF ha affermato che il Comitato di Revisione della Carestia aveva previsto che la carestia si sarebbe manifestata dappertutto  a Gaza  tra marzo e maggio di quest’anno.

La dottoressa al-Sabe’ sottolinea che tali condizioni terribili colpiscono in modo sproporzionato i bambini, che hanno bisogni nutrizionali avanzati rispetto agli adulti.

“I loro corpi sono deboli e non hanno grandi riserve di muscoli e grasso”, ha spiegato. “Anche un solo giorno senza cibo per un bambino porterà a conseguenze difficili da controllare in futuro”.

“Un maschio adulto può stare una settimana senza cibo prima che inizino a mostrare segni di malnutrizione”, ha continuato. “Non è così con i bambini. La loro massa muscolare aumenta ogni volta che mangiano, il che a sua volta porta ad un maggiore bisogno di nutrienti”.

La mancanza di sostanze nutritive significa che i bambini diventeranno deboli, ha detto il chirurgo pediatrico, e che presto inizieranno a manifestare sintomi come affaticamento, sonnolenza, diarrea, vomito, anemia, occhi infossati e dolori articolari. Per lo stesso motivo, sostiene il dottor al-Sabe, i bambini rispondono al trattamento abbastanza rapidamente, ma “a condizione che non soffrano di malnutrizione per più di una settimana”.

Dopo una settimana, invertire gli effetti della malnutrizione diventa molto più difficile. Al-Sabe’ afferma che il tratto digestivo dei bambini rallenterà, potrebbero iniziare a soffrire di insufficienza renale e la loro pancia potrebbe gonfiarsi di liquidi.

Questo è ciò che è particolarmente devastante per Gaza: oltre 335.000 bambini hanno subito vari gradi di malnutrizione estrema per mesi. Le conseguenze sono difficili da immaginare a livello dell’intera popolazione e per le generazioni future. Al momento in cui scrivo, oltre 30 bambini sono già morti a causa della malnutrizione nel nord di Gaza, ma il numero reale è probabilmente molto più alto data la mancanza di segnalazioni in molte aree del nord.

“Non aveva bisogno di un miracolo per salvarsi”

La madre di Yazan, Marwa Kafarneh, riusciva a malapena a trattenere le lacrime mentre parlava di suo figlio.

“Era un bambino normale nonostante la sua malattia”, ha detto a Mondoweiss. “Giocava con i suoi fratelli. Strisciava e si muoveva, sapeva aprire gli armadi e usare il telefono, e poteva osservare le cose per ore.

“Avrebbe potuto vivere una vita lunga, una vita normale”, ha continuato. “Suo padre gli avrebbe portato tutto ciò di cui aveva bisogno. Non avrebbe dovuto soffrire la fame nemmeno per un solo giorno.

Quando ha visto che le immagini del corpo emaciato di suo figlio erano diventate virali sui social media, Marwa ha detto che preferiva la morte piuttosto che guardare le foto. “Il mio figlio maggiore è morto davanti ai miei occhi, davanti a tutti i nostri occhi”, ha detto. “Non siamo riusciti a salvarlo. E non aveva nemmeno bisogno di un miracolo per salvarsi. Tutto ciò di cui aveva bisogno era il cibo che noi siamo sempre stati in grado di fornirgli”.

Piangendo, ha aggiunto: “Ma trovare quel cibo a Gaza, quello sì  oggi richiede niente di meno che un miracolo”.

 

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali” -Invictapalestina.org

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I numeri dell’infamia: la guerra di Israele contro i bambini palestinesi – Clara Statello
Il Giorno della Terra in Palestina, con più di 2 milioni di persone intrappolate a Gaza e oltre 32mila vittime dei bombardamenti israeliani: mai come adesso la vittoria nella lotta per il diritto al ritorno dei palestinesi è l’unica alternativa al genocidio.

La morte a Gaza non è solo l’odore acre del piombo fuso che piove dal cielo, le macerie che seppelliscono i corpi. E’ il volto scavato dei bambini denutriti, ridotti a scheletri viventi. Nei loro occhi è scritto un destino imminente: la morte per fame. Israele è accusato di utilizzare la fame come arma di guerra, una grave violazione del diritto internazionale umanitario, un atto genocidario secondo la Corte di giustizia internazionale dell’Aja (ICJ).

Sull’orlo della carestia catastrofica

Gaza è ad un passo dalla carestia, prevista tra ora e metà marzo. L’intera popolazione dell’enclave affronta un periodo di insicurezza alimentare, mentre la metà (circa 1,1 milioni di abitanti, prevalentemente del Nord di Gaza) sarà in una condizione di carestia catastrofica, secondo uno studio pubblicato a marzo da IPC, sostenuto dalle Nazioni Unite.

A soffrire per la mancanza di cibo sono soprattutto i bambini piccoli. Un lattante su tre è denutrito a causa dell’assenza totale di latte formula da sostituire al latte materno. Anche le neomamme soffrono la fame. Al Jazeera segnala che ogni giorno a Gaza partoriscono in media 180 donne. I neonati hanno peso e statura inferiori a quelle dei bambini normali, riferiscono i medici.

Le piccole vittime della fame

“Ogni notte vado a dormire con la paura di svegliarmi e trovare uno dei miei figli morto”, dice Nermeen Tafesh. E’ rimasta a Gaza Nord con i suoi cinque figli, dopo le notizie dei raid israeliani contro gli sfollati, mentre fuggivano a Khan Younis. Il maggiore ha 14 anni, il più piccolo ne ha 4. E’ quello che soffre più la fame.

Almeno 27 bambini sono morti per malnutrizione e disidratazione a Gaza, su un totale di 30 vittime, ma il numero potrebbe essere più alto, dato che la maggior parte della popolazione non ha accesso agli ospedali (molti dei quali sotto assedio o distrutti).

Quando Laila Junaid è stata portata all’ospedale Kamal Adwan nella città di Beit Lahiya, nel nord di Gaza pesava meno della metà della media di un bambino della sua età. Laila a due mesi pesa solo due chili, meno un neonato appena dato alla luce. Il suo peso non è compatibile con la sua età e nemmeno con la possibilità di continuare a vivere.

Al-Akid Ahmed Al Alì, giovane medico dell’ospedale, dice ad Al Jazeera che ogni giorno ricevono 2-3 casi di bambini sottopeso. La denutrizione è causata dalla mancanza totale di latte formula. Israele blocca gli aiuti ai valichi, impedendo l’ingresso di alimenti e medicine salvavita nel Nord di Gaza. Malnutrizione acuta e grave disidratazione, prosegue il medico, colpisce particolarmente i bambini appena nati che prima finiscono in terapia intensiva e poi muoiono. La media è catastrofica: un lattante su tre soffre la fame.

La malnutrizione colpisce i bambini già nel ventre materno. Puerpere malnutrite partoriscono figli malnutriti, alcuni con gravi immunodeficienze provocate dalla carenza di sostanze nutritive vitali. I medici sono disperati perché non sono in grado di fornire le cure necessarie per salvarli.

“Diamo loro soluzione salina o zucchero” ,  spiega un pediatra dell’ospedale Kamal Adwan ad Al Jazeera.

Il  piccolo Mohammed Najjar  è morto per fame a 6 anni.

“Cosa abbiamo fatto per meritarci questo! Stava morendo davanti ai nostri occhi. È morto davanti ai nostri occhi”, ha detto il padre Naim Al-Najjar dall’ospedale Kamal Adwan, nel nord di Gaza, in un video ottenuto dalla CNN. “Se avessimo trovato cibo e acqua, oltre ai farmaci prescritti, si sarebbe potuto riprendere”.

Maram Mansour, 4 anni, sta morendo di fame e di assenza di cure. Ricoverata nel reparto di terapia intensiva pediatrico dello stesso ospedale, lotta contro gravi complicazioni di salute dovute alla malnutrizione, tra cui calcificazioni renali, acidosi del sangue e anemia.

Nel Nord di Gaza non si trova più cibo, anche a causa della speculazione che ha portato alle stelle i prezzi dei beni primari, come farina, riso e latte.  Secondo le testimonianze riportate, in mancanza di alimenti , alberi e vegetazione, tutto diventa cibo, persino il mangime per gli animali e le piante grasse.

La carestia incombe non soltanto al Nord, riguarda l’intera enclave, anche Rafah. In caso di attacco israeliano a quello che era stato indicato come l’ultimo posto sicuro di Gaza, sarebbero a rischio 600.000 minori.

L’ONU afferma che la malnutrizione nei bambini a Gaza sta raggiungendo livelli senza precedenti. L’Unicef ha dichiarato che questa situazione poteva del tutto essere evitata.

La guerra contro di Israele contro i bambini

I minori uccisi dalle bombe israeliane a Gaza sono almeno 13.000 anche se in realtà non è possibile fornire neanche una stima approssimativa. La morte non è l’unica minaccia per i bambini dell’enclave. Strazianti risultano le parole di James Elder portavoce dell’Unicef. In un documento pubblicato nei giorni scorsi, afferma che tanti bambini, rimasti orfani, sperano di essere uccisi dall’esercito israeliano.

“L’indicibile viene regolarmente detto a Gaza. Dalle ragazzine che sperano di essere uccise fino a sapere che un bambino è l’ultimo sopravvissuto dell’intera famiglia. Tale orrore è frequente”

Il terrore della vita supera il terrore della morte. L’infanzia è semplicemente negata, perché Israele distrugge tutto ciò di cui i bambini hanno bisogno: la mamma e il papà, i fratellini, i parenti, la casa, le scuole.

Circa il 38% di tutti gli edifici scolastici di Gaza, 212, sono stati “colpiti direttamente” dall’esercito israeliano dal 7 ottobre. Almeno il 67% delle scuole dovrà essere interamente o parzialmente ricostruito, in seguito agli attacchi israeliani. E poi ci sono i cecchini, che mirano deliberatamente contro i bambini, per strada o nelle loro case.

Secondo quanto riporta la ong Euromed Monitor, l’esercito israeliano in una settimana ha giustiziato 13 bambini mediante fucilazione diretta, durante l’assedio dell’ospedale Al-Shifa a Gaza City. Le squadra sul campo dell’organizzazione ha ricevuto testimonianze identiche sugli omicidi e sulle esecuzioni di bambini palestinesi di età compresa tra i quattro e i 16 anni attorno al complesso medico.

La nuova decisione dell’ICJ

La Corte internazionale di giustizia ha ordinato a Israele di fornire immediatamente aiuti umanitari immediati e senza ostacoli a Gaza, tra cui alimenti, medicine, carburante, acqua, elettricità, indumenti, alloggi, etc. “anche aumentando la capacità e il numero dei valichi di frontiera terrestri e mantenendoli aperti per tutto il tempo necessario”. Il provvedimento, votato all’unanimità è arrivato giovedì come parte di nuove misure provvisorie emesse nel caso di genocidio presentato dal Sudafrica. Inoltre, con voto di 15 a 1, si impone a Israele di impedire al proprio esercito di ostacolare l’ingresso alle forniture, in conformità con la disciplina su prevenzione e punizione del crimine di genocidio.

“Israele deve smettere di affamare i civili e bambini”, ha affermato Caroline Gennez, ministro belga per la cooperazione allo sviluppo e la politica urbana, a commento della decisione dell’ICJm puntando il dito contro l’utilizzo della “fame come arma di guerra” da parte di Israele, una “flagrante violazione del diritto internazionale”.

La carestia a Gaza non è un evento naturale, ma è provocata da Israele che non consente l’ingresso via terra degli aiuti umanitari. Solo 155 camion al giorno riescono a superare il valico di Rafah, secondo quanto riporta la portavoce dell’UNRWA Tamara Alrifai, specificando che si tratta di un numero ben lontano dai 500 camion stimati dalle Nazioni Unite come il minimo richiesto date le circostanze a Gaza.

Gaza City è “l’epicentro della crisi”. Solo 11 convogli di aiuti alimentari del Programma Alimentare Mondiale (WFP) hanno raggiunto il nord del territorio palestinese dall’inizio di quest’anno, ha affermato l’agenzia delle Nazioni Unite.

La scelta è chiara: o “un’ondata” di aiuti umanitari a Gaza oppure si soffrirà la fame, avverte il WFP.

“Non c’è nessun’altra parte del mondo dove così tante persone affrontano una carestia imminente”.

Se Israele non si fermerà, se non riconoscerà il diritto di esistenza della Palestina come Stato, i palestinesi andranno incontro alla pulizia etnica o al genocidio. Ed è chiaro che le principali vittime delle azioni genocidarie dell’esercito israeliano sono i bambini.

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Alberto Negri – La “scommessa” di Netanyahu per allargare la guerra

Ripubblichiamo un editoriale di Alberto Negri pubblicato su il Manifesto del 3 aprile 2024 che illustra alla perfezione la “nuova fase” del Medio Oriente iniziata con l’attacco israeliano a Damasco.

Con l’attacco israeliano a Damasco è iniziata una nuova fase di destabilizzazione del Medio Oriente, dalla Siria al Libano e oltre, fortemente voluta da Tel Aviv ben prima del massacro di Hamas del 7 ottobre. Già l’8 agosto il ministro della Difesa Gallant avvertiva che «il Libano in caso di guerra rischiava di tornare all’età della pietra». L’obiettivo di Israele e degli Stati Uniti negli ultimi 40 anni non è mai cambiato, come ben spiega il Patto di Abramo: lo Stato ebraico deve restare l’unica superpotenza regionale. È per questo che si fa la guerra e si rischia il suo allargamento non per altro.

Gli ultimi aiuti militari Usa a Tel Aviv, dicono le carte, sono stati concessi »per affrontare conflitti su più fronti». Basta leggere e guardare la mappa. Israele oltre a occupare una gran parte dei territori palestinesi, si è impadronita delle alture siriane del Golan nel 1967 e di pezzi di territorio libanese. Se l’idea a Gaza è di espellere i palestinesi, ai suoi confini Israele punta a stabilire un sorta di nuova “fascia di sicurezza” e a piegare i regimi della regione. E come sempre tutto quanto riguarda la “sicurezza” di Israele, implica necessariamente l’insicurezza degli altri e il loro annientamento come dimostrano le dichiarazioni di Gallant e quanto avviene ogni giorno a Gaza dove le bombe israeliane hanno ucciso 7 persone che lavoravano per la Ong Usa World Central Kitchen. L’orrore non ha mai fine e le giustificazioni israeliane appaiono prive di ogni credibilità quando si sta radendo al suolo un intero popolo.

In questo quadro, dove il conflitto in Ucraina appare sempre meno lontano dal Medio Oriente, anche il ritorno dell’Isis appare un evento inquietante. Quando sono iniziate le primavere arabe nel 2011 e con la successiva avanzata dell’Isis, il peggiore nemico degli sciiti in Siria e in Iraq – oltre che in Libano – Tel Aviv ha pensato regolare i conti con i pasdaran iraniani e gli Hezbollah alleati di Assad e di Mosca. La sconfitta del Califfato fermato dell’esercito di Assad con l’aiuto decisivo dei russi, dei pasdaran iraniani, degli Hezbollah sciiti e delle milizie curde alleate dell’Occidente ha rallentato questi piani ma oggi il ritorno dell’Isis sulla scena con giganteschi attentati sia in Russia che in Iran costituisce per Israele un’altra un’opportunità da sfruttare per colpire i nemici impegnati su più fronti. Ed è da ricordare che in Siria e in Iraq le milizie jihadiste hanno continuato a colpire nella totale indifferenza occidentale.

Ed è da ricordare che in Siria e in Iraq le milizie jihadiste hanno continuato a colpire nella totale indifferenza occidentale.

Per fare la “sua” guerra Netanyahu è persino disposto a mettere a rischio il suo patto non scritto con Putin che in questi anni non aveva mai protestato per i raid israeliani in Siria e in Libano, ovvero contro gli alleati stessi di Mosca. Ma l’attacco israeliano contro un edificio dell’ambasciata dell’Iran a Damasco, in cui sono morte almeno 11 persone, tra cui il generale Mohammad Reza Zahedi, comandante della Forza Qods dei Guardiani della rivoluzione (i cosiddetti Pasdaran) in Siria e Libano, rischia seriamente di far saltare qualunque possibilità di accordo, anche sottobanco. Ed è esattamente quello che vogliono i vertici israeliani: mano libera contro i palestinesi e contro tutti gli altri. Netanyahu è sotto la pressione di una piazza a lui ostile che chiede un tregua ma ha dalla sua parte i coloni e le proteste di migliaia di israeliani evacuati dai confini con il Libano nell’alta Galilea.

Israele sta alzando il tiro per innescare un altro conflitto. In Libano non colpisce più solo le aree intorno alla Linea Blu, dove è schierata l’Unifil con il contingente italiano, ma addirittura la valle di Baalbek che è nell’entroterra ed è più a nord. La stessa escalation si sta verificando in Siria dove i raid israeliani qualche giorno fa avevano colpito Aleppo e adesso sono tornati di nuovo a prendere di mira Damasco. Lo scopo di Tel Aviv è sempre quello della provocazione portata all’estremo limite: spingere Pasdaran iraniani e Hezbollah libanesi verso una reazione fuori luogo e non calcolata che possa legittimare Israele a lanciare un attacco contro il Libano e il regime di Teheran.

Con gli Stati Uniti che in questa tragedia coprono due ruoli contraddittori ma complementari nella loro assurdità. Uno è quello di mediatore: Washington sta trattando per Gaza e ha persino nominato un “inviato di pace” per il Libano che si chiama Amos Hochstein. Una strana figura di paciere che ha servito nell’esercito israeliano e poi per le lobby di Washington. Un pompiere-piromane che esemplifica l’inaccettabile politica americana di appoggiare costantemente Israele con aiuti militari a tutto spiano. Il tutto con la complicità degli europei che mandano armi a Tel Aviv ma non hanno mai il coraggio di mettere una sanzione allo Stato ebraico.

Per Washington, in pieno anno elettorale, si tratta tra l’altro di un strategia assai pericolosa. Questo governo israeliano sta facendo di tutto sul fronte siriano e libanese per trascinare gli americani in un conflitto allargato che si può estendere all’Iran. Ma per fare una guerra più grande di quella attuale ha bisogno probabilmente di un cambio alla Casa Bianca. Sono calcoli rischiosi e spregiudicati ma ormai lo stato ebraico ci ha abituati a ogni cinismo.

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Le ultime parole scritte da Malcolm X riguardavano il sionismo. Ecco cosa disse

Per Malcolm X, il sionismo era indissolubilmente legato al più ampio colonialismo europeo. In un passaggio poco conosciuto scritto poco prima del suo assassinio, affermò chiaramente che vedeva il sionismo non solo come una minaccia per la Palestina, ma per l’intero Terzo Mondo.

Il genocidio in corso a Gaza, unito al recente anniversario dell’assassinio di Malcolm X, ha suscitato interesse per ciò che il famoso attivista pensava e scriveva sulla Palestina. Ma un lettore dell’Autobiografia di Malcolm X imparerebbe poco; in effetti, non si fa menzione del viaggio di Malcolm a Gaza nel 1964, o del suo feroce articolo intitolato “Logica sionista”. Anche le acclamate biografie di Malcolm X, come “The Dead Are Arising” di Les Payne e “A Life of Reinvention” di Manning Marable, ignorano o trascurano i dettagli della visita di Malcolm e gli scritti sulla Palestina. Marable arriva fino a sostenere che la prospettiva di Malcolm sulla Palestina fosse mero opportunismo politico; una trovata volta a ottenere il sostegno del presidente egiziano Jamal Abdul Nasser. È il rifiuto e l’abbandono di questa parte cruciale della vita di Malcolm che attenua sia la sua  prospettiva internazionalista, sia la minaccia che percepiva del sionismo non solo per la Palestina ma per l’intero Terzo Mondo.

Il 5 settembre 1964, Malcolm X si recò a Gaza – allora sotto il controllo dell’Egitto – dove trascorse due giorni. Visitò il campo profughi di Khan Younis e un ospedale locale e si è mescolò con gente del posto e luminari. Tra queste interazioni, forse la più influente fu il suo incontro non pianificato con il famoso poeta palestinese Harun Hashim Rashid. Malcolm era visibilmente commosso dalla terribile esperienza di quest’ultimo e dal racconto della crisi di Suez quasi dieci anni prima, in cui centinaia di palestinesi furono assassinati dall’IDF. Inoltre, gli appunti del diario di Malcolm indicano la sua ammirazione per la poesia di Rashid, mentre annotava frettolosamente una delle sue poesie intitolata “We Must Return:”

Dobbiamo tornare

Non dovrebbero esistere confini

Nessun ostacolo può fermarci

Gridate profughi: “Torneremo”

Dite ai Mts: “Torneremo”

Dite al vicolo: “Torneremo”

Ritorneremo alla nostra giovinezza

La Palestina ci invita ad armarci

E noi siamo armati e combatteremo

Dobbiamo tornare

Dopo il suo incontro con Rashid, Malcolm incontrò i leader religiosi e si unì a loro nella preghiera notturna congregazionale. Annotò nel suo diario che a Gaza “lo spirito di Allah era forte”.

La visita a Gaza ispirò lo scritto più famoso di Malcolm sul sionismo. Pubblicato sull’Egyptian Gazette il 17 settembre 1964, “Sionist Logic” lanciava una critica feroce al sionismo e dimostrava il punto di vista di Malcolm secondo il quale esso non costituiva solo una minaccia per la Palestina, ma per l’intero Terzo Mondo. Nel suo saggio scrive:

“I sionisti israeliani sono convinti di essere riusciti a camuffare con successo il loro nuovo tipo di colonialismo. Il loro colonialismo sembra essere più “benevolo”, più “filantropico”, un sistema con il quale governano semplicemente facendo sì che le loro potenziali vittime accettino le loro amichevoli offerte di “aiuto” economico e altri doni allettanti, che mettono davanti agli occhi di  nazioni africane recentemente indipendenti, le cui economie stanno attraversando grandi difficoltà… Pertanto, il potere e l’influenza dell’Israele sionista in molte delle nazioni africane recentemente “indipendenti” è rapidamente diventato ancora più incrollabile di quello dei colonialisti europei del XVIII secolo… e questo  nuovo tipo di colonialismo sionista differisce solo nella forma e nel metodo, ma mai nelle motivazioni o negli obiettivi”.

Qui, Malcolm traccia paralleli con il colonialismo europeo e la distruzione che ha provocato nel Terzo Mondo nei secoli precedenti. Per Malcolm, il sionismo è indissolubilmente legato al più ampio colonialismo europeo; l’ultima iterazione progettata per sottomettere il Terzo Mondo. Per affrontare questo più ampio tentativo coloniale, Malcolm implora i leader e i popoli del Terzo Mondo di unirsi e respingere le false aperture delle potenze coloniali.

Ciò che ho scritto sopra ha ricevuto un certo grado di copertura pubblica, ma c’è un documento cruciale trovato nell’appendice di “The Dead Are Arising” che deve ancora ricevere l’attenzione che merita. Il direttore generale del Centro islamico di Ginevra aveva inviato a Malcolm X nove domande sulla sua vita, fede e speranza per il futuro, alle quali Malcolm scrisse risposte incisive e schiette. La risposta alla domanda finale fu scritta la mattina del 21 febbraio 1965. Si tratta, per quanto ne so, del documento finale scritto da Malcolm X e testimonia la sua prospettiva internazionalista e la minaccia del sionismo – non solo alla Palestina ma all’intero Terzo Mondo. È riprodotto qui di seguito:

Domanda: L’Africa sembra aver catturato la maggior parte della tua attenzione e della tua viva preoccupazione. Perché? E ora che ne hai visitato quasi ogni parte, dove pensi che si trovi realmente l’Islam? E cosa si potrebbe fare, secondo te, per salvarlo sia dall’insensatezza di molti, o meglio della maggior parte di coloro che sono considerati i paladini della sua causa, sia dall’alleanza maliziosa e intraprendente del sionismo, dell’ateismo e del fanatismo religioso contro l’Islam? ?

Risposta: Considero l’Africa come la mia Patria. Mi interessa soprattutto vederla diventare completamente libera dall’influenza politica ed economica esterna che  l’ha dominato e sfruttata. L’Africa, a causa della sua posizione strategica, si trova ad affrontare una vera e propria crisi. Gli avvoltoi coloniali non hanno intenzione di arrendersi senza combattere. La loro arma principale è ancora il “divide et impera”. Nell’Africa orientale si nutre [sic] tra gli africani un forte sentimento anti-asiatico. Nell’Africa occidentale c’è un forte sentimento antiarabo. Dove ci sono arabi o asiatici c’è un forte sentimento antimusulmano. Queste ostilità non vengono avviate dalle persone coinvolte sopra menzionate. A questo punto non hanno nulla da trarre vantaggio dal combattere tra loro. Coloro che ne beneficiano di più sono gli ex padroni coloniali che ora hanno soppiantato l’odiato colonialismo e imperialismo con il sionismo. I sionisti hanno superato tutti gli altri gruppi di interesse nell’attuale lotta per la nostra Madre Africa. Usano un approccio così benevolo e filantropico che è abbastanza difficile per le loro vittime capire i loro piani. Il sionismo è ancora più pericoloso del comunismo, perché è reso più accettabile ed è quindi più distruttivo.

Poiché l’immagine araba è quasi inseparabile dall’immagine dell’Islam, il mondo arabo ha una molteplicità di responsabilità di cui deve essere all’altezza. Poiché l’Islam è una religione di Fratellanza e Unità, coloro che prendono l’iniziativa nell’esporre questa religione hanno il dovere di dare il più alto esempio di Fratellanza e Unità. È imperativo che il Cairo e la Mecca (il Consiglio supremo degli affari islamici e la Lega mondiale musulmana) tengano una conferenza di “vertice” religioso e mostrino un maggiore grado di preoccupazione e responsabilità per l’attuale difficile situazione del mondo musulmano, altrimenti altre forze insorgeranno nell’attuale generazione di giovani musulmani lungimiranti e i “centri di potere” saranno tolti dalle mani di coloro in cui si trovano ora e collocati altrove. ALLAH PUÒ FARLO FACILMENTE.

Alcune ore dopo aver digitato questa risposta, Malcolm X fu assassinato all’Audobon Ballroom di New York. Aveva 39 anni.

Traduzione di Grazia Parolari “Tutti gli esseri senzienti sono moralmente uguali

da qui

 

 

Se il genocidio è un rumore di fondo – Naomi Klein

È una tradizione degli Oscar: un discorso politico squarcia il velo della mondanità e dell’autocelebrazione. Ne scaturiscono reazioni contrastanti. Alcuni lodano l’oratore, altri lo ritengono l’usurpatore egoista di una notte di celebrazioni. Poi tutti girano pagina.

Eppure sospetto che l’impatto delle parole del regista Jonathan Glazer, che il 10 marzo hanno fermato il tempo alla cerimonia di premiazione di Los Angeles, durerà molto più a lungo, e il loro significato sarà oggetto di analisi per anni.

Glazer stava ritirando il premio per il miglior film internazionale per La zona d’interesse, ispirato alla storia di Rudolf Höss, il comandante del campo di concentramento di Auschwitz. Il film segue l’idilliaca vita domestica di Höss con la moglie e i figli, che si svolge in una residenza signorile con giardino adiacente al campo di concentramento.

Glazer ha descritto i suoi personaggi non come mostri, ma come “orrori non-pensanti, borghesi, ambiziosi-arrivisti”, persone capaci di trasformare il male in rumore di fondo.

Prima della cerimonia del 10 marzo, La zona d’interesse era già stato acclamato da molte star del mondo del cinema. Alfonso Cuarón, il regista premio Oscar per Roma, l’ha definito “probabilmente il film più importante di questo secolo”.

Steven Spielberg l’ha descritto come “il miglior film sull’Olocausto che io abbia visto dopo il mio”, riferendosi a Schindler’s list, che sbancò agli Oscar trent’anni fa. Ma mentre il trionfo di Schindler’s list rappresentò un momento di unità per la maggioranza della comunità ebraica, La zona d’interesse capita in un momento diverso.

Oggi infuria il dibattito su come debbano essere ricordate le atrocità naziste: l’Olocausto dovrebbe essere considerato solo un dramma degli ebrei, o come qualcosa di più universale? Fu una lacerazione unica della storia europea, oppure un ritorno a casa dei genocidi coloniali, insieme alle logiche e alle teorie razziali che ne erano alla base? Quel “mai più” significa mai più per tutti o mai più per gli ebrei, una promessa che rende Israele intoccabile?

Questi conflitti sull’universalismo del trauma, sull’eccezionalismo e sulla comparazione sono al centro dell’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica a Israele presso la Corte internazionale di giustizia, e stanno lacerando le comunità ebraiche in tutto il mondo.

In un minuto Glazer ha coraggiosamente preso posizione su ciascuna di queste dispute. “Tutte le nostre scelte sono state fatte per riflettere e metterci di fronte al presente, non per dire ‘guardate cos’hanno fatto allora’, ma piuttosto ‘guardate cosa facciamo adesso’”, ha detto, sbarazzandosi dell’idea che paragonare gli orrori di oggi ai crimini nazisti significhi di per sé minimizzare, e non lasciando dubbi sul fatto che fosse sua intenzione tracciare una continuità tra il passato mostruoso e il nostro mostruoso presente.

Ed è andato oltre: “Siamo qui in quanto uomini che rifiutano di lasciar manipolare le proprie identità ebraiche e l’Olocausto da un’occupazione che ha trascinato nel conflitto tante persone innocenti, sia le vittime del 7 ottobre in Israele sia quelle dell’attacco in corso a Gaza”.

Per il regista Israele non può passarla liscia, e non è etico usare il trauma dell’Olocausto come giustificazione o copertura per le atrocità commesse oggi dallo stato israeliano.

Altri hanno sostenuto queste argomentazioni in passato, e in tanti hanno pagato a caro prezzo, soprattutto se palestinesi, arabi o musulmani.

Glazer ha sganciato la sua bomba retorica protetto da un’armatura identitaria: si è presentato alla platea come un uomo ebreo bianco e di successo – con al suo fianco altri due uomini ebrei bianchi e di successo – che, insieme, avevano fatto un film sull’Olocausto. E questo privilegio non l’ha messo al riparo dall’ondata di calunnie che hanno travisato le sue parole affermando che stava ripudiando la sua identità ebraica, un’accusa che rafforza la tesi del regista.

Altrettanto significativo è quello che è successo dopo il suo intervento. Appena Glazer ha finito il discorso – dedicando il premio ad Aleksandra Bystroń Kołodziejczyk, una donna polacca che di nascosto portava da mangiare ai prigionieri di Auschwitz e che combatté i nazisti tra le file dell’esercito polacco – sul palco sono saliti gli attori Ryan Gosling ed Emily Blunt.

Senza neppure una pausa pubblicitaria, siamo stati catapultati in una gag sul fenomeno “Barbenheimer”, con Gosling che dice a Blunt che Oppenheimer, il film sull’invenzione di un’arma di distruzione di massa in cui lei ha recitato, avrebbe sfruttato il successo di Barbie al botteghino, e Blunt che accusa Gosling di essersi dipinto degli addominali finti.

All’inizio ho temuto che questo improbabile accostamento avrebbe indebolito l’intervento di Glazer: come potevano coesistere le strazianti realtà appena invocate con questa energia da ballo del liceo californiano?

Poi ho capito: l’artificio scintillante che ha incorniciato quel discorso aiutava in realtà a ribadire il concetto. “Il genocidio diventa il sottofondo della loro vita”: Glazer ha descritto così l’atmosfera del suo film, dove i personaggi badano ai loro problemi quotidiani – figli insonni, una madre incontentabile, l’infedeltà – all’ombra delle ciminiere che sbuffano resti umani.

Queste persone non ignorano che al di là del loro giardino stia operando una macchina di morte su scala industriale. Semplicemente hanno imparato a vivere delle vite appaganti sullo sfondo di un genocidio.

È questo l’aspetto del film di Glazer che appare più contemporaneo. Dopo più di cinque mesi di massacri quotidiani a Gaza, con Israele che ignora gli ordini della Corte internazionale di giustizia e i governi occidentali che lo rimproverano bonariamente continuando a inviargli armi, il genocidio sta diventando ancora una volta un rumore di fondo.

Glazer ha sottolineato che il soggetto del suo film non è l’Olocausto, ma qualcosa di più duraturo e pervasivo: la capacità umana di convivere con le atrocità, di farci pace, di trarne un beneficio.

All’anteprima di maggio, prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre e prima dell’aggressione di Israele a Gaza, si poteva considerare il film come un’opera intellettuale da contemplare con distacco. Le persone che dalla platea del festival di Cannes hanno accolto La zona d’interesse con un applauso di sei minuti probabilmente si sentivano al sicuro ad accarezzare la sfida di Glazer.

Forse alcuni avranno riflettuto su quanto ci siamo assuefatti alle nuove imbarcazioni cariche di persone lasciate annegare nel Mediterraneo. O forse avranno pensato ai jet privati che li avevano portati in Francia e a come le loro emissioni sono legate alla scomparsa delle fonti di sostentamento per le persone povere in luoghi lontani.

Glazer voleva che il suo film provocasse questo genere di pensieri scomodi. Però, da quando è arrivato nei cinema a dicembre, la sfida con cui il regista invitava gli spettatori a contemplare l’Höss che è dentro di noi ci ha toccato molto di più.

La maggior parte degli artisti tenta d’intercettare lo spirito dei tempi, ma La zona d’interesse potrebbe aver risentito di qualcosa di raro: un eccesso di rilevanza e di attualità.

In una delle scene più memorabili del film un pacco di vestiti e biancheria femminile rubati agli internati del campo arriva in casa Höss. La moglie del comandante, Hedwig (interpretata da Sandra Hüller), stabilisce che tutte, comprese le domestiche, possono scegliere un capo. Lei tiene per sé una pelliccia, e prova perfino il rossetto che trova in una tasca.

È questa intimità con i morti a essere agghiacciante. E non ho idea di come qualcuno possa guardare questa scena e non pensare ai soldati israeliani che si sono filmati mentre frugavano nella biancheria delle palestinesi a Gaza o mentre si vantavano di rubare scarpe e gioielli per le loro fidanzate o mentre si facevano selfie di gruppo con le macerie di Gaza sullo sfondo.

Sono tanti questi echi che il capolavoro di Glazer sembra un documentario. È come se, girando La zona d’interesse con lo stile di un reality show, con telecamere nascoste nella casa e nel giardino (il regista ha parlato di “Grande fratello nella casa nazista”), il film avesse anticipato il primo genocidio in diretta streaming.

Tutti quelli che conosco che hanno guardato il film non sono riusciti a pensare ad altro che a Gaza. Questo non vuol dire stabilire un paragone con Auschwitz. Non esistono due genocidi identici. Ma il motivo stesso per cui è stato costruito l’edificio del diritto internazionale umanitario era proprio darci gli strumenti per riconoscere alcuni elementi distintivi.

E alcuni di essi – il muro, il ghetto, le uccisioni di massa, l’intento di sterminio più volte dichiarato, la riduzione alla fame, il saccheggio, la disumanizzazione, e l’umiliazione – si stanno ripetendo. E allo stesso modo è così che il genocidio diventa un sottofondo, è così che quelli di noi un po’ più lontani da quei muri possono bloccare le immagini, spegnere le grida e semplicemente andare avanti.

Ed ecco perché l’Academy ha rafforzato il messaggio di Glazer con quel brusco passaggio a “Barbenheimer”. L’atrocità sta di nuovo diventando un sottofondo.

Cosa possiamo fare per interrompere la normalizzazione? In tanti stanno offrendo le loro risposte con proteste, con la disobbedienza civile, inviando convogli di aiuti a Gaza o raccogliendo fondi. Ma non basta.

Guardando gli Oscar, dove Glazer è stato l’unico nella passerella di ricchi a parlare di Gaza, mi è tornato in mente che erano passate due settimane da quando Aaron Bushnell, un soldato di 25 anni dell’aviazione statunitense, si è dato fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington.

Non voglio che nessun altro metta in atto quella spaventosa forma di protesta. Ma dovremmo meditare sulla dichiarazione che Bushnell ha lasciato, parole che considero un finale contemporaneo del film di Glazer: “Molti di noi si chiedono: ‘Cosa farei se vivessi durante la schiavitù? O durante l’apartheid? Cosa farei se il mio paese stesse commettendo un genocidio?’. La risposta è: lo stai facendo. Proprio in questo istante”.

da qui

 

 

 

Ong Usa bersaglio mirato, esercito IDF nell’anarchia con licenza d’uccidere – Piero Orteca

Tragico errore? Equivoco scaturito da una mancanza di informazioni? Ma quando mai! L’attacco israeliano contro un piccolo convoglio di operatori umanitari, a Gaza, che ha ucciso sette persone, è stato consapevolmente condotto. Bisognerà solo stabilire chi lo ha ordinato. E poi Al Shifa, i fantasmi nell’ospedale degli orrori

Haaretz e Servizi segreti

Questa è la versione che dà il prestigioso quotidiano di Tel Aviv, Haaretz, che si basa su ‘fonti confidenziali’ dei Servizi segreti dello Stato ebraico. Gli israeliani davano la caccia a un palestinese armato che, secondo loro, era stato individuato sul camion che accompagnava i rifornimenti in magazzino. All’uscita, qualcuno ha pensato che nel piccolo corteo di vetture, su cui si spostavano i cooperanti, ci fosse anche il presunto terrorista. «Le auto – precisa Haaretz – viaggiavano lungo un percorso pre-approvato e coordinato con l’esercito israeliano. A quel punto, la war room dell’unità responsabile del controllo di sicurezza, ha ordinato a un drone (probabilmente un Hermes 450), che seguiva le vetture, di colpirne una». E questo, è bene sottolinearlo, nonostante i veicoli fossero contrassegnati, con grande evidenza, con i loghi e le iscrizioni di appartenenza all’organizzazione umanitaria World Central Kitchen.

Missili due e tre

Il racconto di Haaretz prosegue con un’ulteriore incredibile mossa degli israeliani: i cooperanti feriti dal primo missile, sono stati colpiti di nuovo, dopo essersi trasferiti in una seconda auto. E tutto questo mentre, telefonicamente, segnalavano all’IDF la loro situazione di emergenza. Ma non è finita qui. La terza vettura, nonostante la situazione di estremo pericolo, è tornata indietro e si è avvicinata per dare soccorso ai compagni. Alcuni dei quali erano forse già morti. Ma i superstiti non avevano nemmeno avuto il tempo di completare il trasbordo, che è arrivato un terzo missile, completando la carneficina. Si è trattato, dunque, di un triplo attacco, svoltosi a distanza di tempo e di spazio. Anche se non è possibile, per ora, quantificare queste due variabili.

Dettagli da brivido

Ma il resoconto del giornalista Yaniv Kubovich, agghiacciante, è talmente dettagliato da far sorgere seri interrogativi sull’affidabilità e sulla correttezza dell’IDF, l’Israel Defense Force. Il fatto è un tale boomerang per l’immagine del Paese, che gli stessi vertici governativi hanno dovuto ammettere le loro responsabilità, scusandosi e attribuendolo a non meglio precisati «difetti di comunicazione». Lo ha detto il premier Benjamin Netanyahu e lo ha ripetuto il Capo di Stato maggiore dell’IDF, Hertzl Halevi. Assieme all’ormai consueta tattica utilizzata dagli israeliani in questi casi: «Apriremo un’inchiesta approfondita». E invece, questa volta, l’inchiesta abbastanza approfondita l’ha aperta un foglio liberal come Haaretz, che difende la democrazia israeliana.

Anarchia e licenza d’uccidere

Uno dei report che il giornale dedica al tragico evento, è una sintesi efficace della situazione che vivono le forze armate israeliane. «Fonti dell’esercito: operatori umanitari di Gaza uccisi perché gli ufficiali dell’IDF sul campo fanno quello che vogliono», titola il quotidiano di Tel Aviv e aggiunge che «l’incidente non ha alcun coordinamento col collegamento, ed è stato causato dal fatto che ogni comandante stabilisce le regole per se stesso». Pesantissimo la disamina successiva, che mostra l’esercito israeliano in confusione totale, come un gigante dai piedi di cartone. «L’uccisione di 7 operatori umanitari nella Striscia di Gaza è dovuta alla scarsa disciplina dei comandanti sul campo e non alla mancanza di coordinamento tra l’esercito israeliano e le organizzazioni umanitarie. Gli ufficiali e i soldati coinvolti hanno violato gli ordini e i regolamenti nelle nostre Forze di difesa».

‘Comando Sud’ senza autorità

Le fonti di Haaretz, in pratica, accusano il Comando Sud di aver tentato di deviare le colpe dell’eccidio dei cooperanti a Deir al-Balah. «Anche se il Comando – aggiungono gli ufficiali dell’Intelligence che parlano a condizione di anonimato – sa quale è stata la causa dell’attacco. A Gaza ognuno fa quello che vuole». In questo caso, sostiene Haaretz, non è ancora chiaro se la decisione di aprire il fuoco sul convoglio umanitario, sia stata concordata preventivamente con lo Stato maggiore. Anche se tutto farebbe pensare, invece, a una mossa ‘faidate’, di qualche ufficiale di grado intermedio, accecato da una sorta di fondamentalismo militare. Il punto è proprio questo. Le fonti di Haaretz criticano, in particolare, sia il Ministro della Difesa Yoav Gallant, che il Capo di Stato maggiore dell’IDF, Hertzl Halevi. Entrambi hanno parlato di «difetti di comunicazione», tra le forze armate israeliane e le organizzazioni umanitarie.

Ministri e generali bugiardi

C’è, è vero, un difetto di comunicazione. Ma è all’interno dello stesso esercito israeliano, che non riesce assolutamente a fare rispettare le cosiddette «regole d’ingaggio». E, senza regole, qualsiasi guerra, si trasforma in un indegno carnaio, dove, alla fine, si perde di vista qualsiasi differenza tra il bene e il male.

 

Al Shifa, i fantasmi dell’ospedale degli orrori

Nel racconto di Angelo Stefani sul Manifesto, medico volontario del Pcrf, Palestine Children’s Relief Fund, istituito nel 1992 negli Stati Uniti

  • Le rovine annerite dell’ospedale di Al-Shifa, a Gaza City. Era il più grande complesso ospedaliero dell’intera Palestina occupata. Dopo due settimane di assedio israeliano è un cumulo di macerie. Aveva 800 posti letto ed era una eccellenza: si eseguivano trapianti di rene, chirurgia a cuore aperto, neurochirurgia avanzata, oltre a chirurgia generale, medicina interna e maternità. Al Shifa, per i palestinesi di Gaza la «casa della guarigione». Per Israele, nascondeva il principale centro di comando di Hamas.
  • Le forze israeliane avevano già fatto irruzione nello Shifa a novembre provocando gravi danni e costringendo pazienti e personale medico a uscire, lasciando dietro di sé reparti devastati e neonati senza incubatrici. La seconda incursione è durata due settimane: l’ultimo giorno il personale medico riferiva di  107 pazienti, molti in terapia intensiva, e 60 operatori sanitari, incarcerati in un vecchio edificio dell’ospedale privo di tutto. 
  • Situazione «orribile e disumana», nessuna ventilazione, squallide condizioni di pulizia, farmaci quasi assenti con ferite settiche purulenti. I medici, al posto dei guanti ormai esauriti, usavano sacchetti di plastica. Gli accompagnatori dei pazienti sono stati giustiziati, arrestati o evacuati dai militari, i pazienti e il personale lasciati senza cibo e acqua per giorni.
  • La Cnn riporta la testimonianza di Khader Al Za’anoun, giornalista di Wafa, che denuncia «un film dell’orrore»«I bulldozer hanno schiacciato i corpi delle persone ovunque intorno e nel cortile dell’ospedale – ha detto. Molte famiglie cercano i loro cari e non riescono a identificarli. Abbiamo trovato intere famiglie morte e i loro corpi decomposti nelle case intorno all’ospedale».
  • «Le persone ancora vive all’interno soffrono la fame con una bottiglia d’acqua al giorno da condividere con sei persone». Secondo Euro-Med Human Rights Monitor, organizzazione indipendente con sede a Ginevra, «l’esercito israeliano ha attaccato i palestinesi senza distinzione di status civile, posizione professionale, sesso, età o condizioni di salute».
  • Tra i morti sono stati ritrovati, crivellati di proiettili i corpi di due dei medici palestinesi più stimati di Gaza, madre e figlio. Lei, Yusra al-Maqadmeh, medico generico, e lui, Ahmad al-Maqadmeh, chirurgo plastico vincitore di una borsa di studio del Royal College of Surgeons of England per il suo lavoro sulle ferite da arma da fuoco. Secondo il britannico Middle East Eye, sarebbero stati giustiziati mentre cercavano di fuggire.
  • Difficile il calcolo delle vittime. Le forze israeliane affermano di avere ucciso 200 persone e arrestate 900. La protezione civile di Gaza parla di circa 300 persone uccise. L’esercito sostiene di non aver danneggiato civili e personale medico. Le organizzazioni mediche e i testimoni oculari denunciano la menzogna. Secondo l’Oms, almeno 21 pazienti sono morti durante l’assedio per assenza di cure e sostentamento.
  • I sopravvissuti hanno detto a Middle East Eye che decine di civili sono stati uccisi. Euro-Med conferma che centinaia di cadaveri, tra cui alcuni bruciati e altri con testa e arti mozzati, sono stati scoperti sia nell’ospedale che nell’area circostante. Rapporti preliminari suggeriscono che oltre 1.500 palestinesi siano uccisi, feriti o dispersi, con metà delle vittime donne e bambini.
  • L’esercito israeliano ha impedito a squadre di soccorso e a organizzazioni internazionali di entrare allo Shifa per svolgere missioni umanitarie o evacuazioni. Il brutale attacco al complesso medico Al-Shifa è l’aspetto più visibile del piano sistematico di Israele di distruggere il settore sanitario della Striscia, negando alla popolazione ogni possibilità di cure mediche e in ultima analisi, di sopravvivenza.

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Un altro soldato israeliano ammette l’attuazione della Direttiva Annibale il 7 ottobre – Jonathan Ofir

Nella terminologia militare israeliana, la cosiddetta “Direttiva Annibale” è la politica di sparare sui propri soldati per evitare che vengano fatti prigionieri e usati come merce di scambio.

Vi è un numero crescente di prove e testimonianze che suggeriscono che il 7 ottobre la Direttiva Annibale sia stata attuata, almeno in una certa misura, nei confronti degli israeliani. Inoltre, crescenti testimonianze indicano che questa politica è stata estesa ai civili israeliani sotto forma di fuoco indiscriminato da elicotteri e carri armati. La recente eccezionale indagine di Al Jazeera, “7 Ottobre”, affronta questa questione in modo piuttosto approfondito.

La settimana scorsa, un’altra testimonianza riguardante tali atti è apparsa su Canale 13 ed è stata ripetuta il giorno dopo su Ynet, in cui il comandante di una compagnia corazzata, il Capitano Bar Zonshein, racconta di come ha sparato proiettili di artiglieria da carri armati contro veicoli che si dirigevano verso Gaza vicino a Kisufim, a circa due chilometri dalla recinzione perimetrale di Gaza.

“Abbiamo identificato due camioncini Toyota, e su di essi, c’era un gran numero di persone in piedi nella cabina, erano strapieni. Non sapevo se fossero cadaveri o persone vive. E ho deciso di attaccare quei veicoli”, dice Zonshein.

Bisogna sottolineare che la descrizione di Zonshien di “strapieno” di persone potrebbe essere sia militare che civile, ma queste distinzioni apparentemente non tenevano conto dei suoi calcoli. Ciò è, ovviamente, significativo in termini israeliani perché fino a quel momento la Dottrina Annibale era stata limitata solo ai soldati.

La parte successiva della testimonianza di Zonshein, tuttavia, offre una visione rivelatrice della logica con cui ha attaccato i camioncini: “Perché qualcosa nel mio istinto mi ha detto che avrebbero potuto esserci degli ostaggi a bordo”.

In altre parole, Zonshein pensava che i suoi commilitoni potessero essere tra i catturati, ed è proprio per questo che ha aperto il fuoco.

L’intervistatore lo incalza ribadendo che si parla della possibilità di prendere di mira i soldati. “Forse li avreste uccisi. Sono i vostri soldati”.

“Giusto”, risponde Zonshien. “Ma sostengo che questa è la decisione giusta, che è meglio fermare il rapimento e che non vengano presi in ostaggio”.

L’intervistatore poi chiede se, in retrospettiva, ha agito correttamente.

“Si. Sento di aver agito correttamente”, risponde.

Poi la domanda va dritta al punto: “È questo l’ordine? Applicare la Direttiva Annibale?”, sollecita l’intervistatore.

Zonshein quasi lo conferma, usando un linguaggio fortemente allusivo.

“Nell’ordinanza stessa devono essere adottate alcune misure operative”, afferma. “Bisogna sparare ai punti di raccolta centrali e ai punti di controllo militari, e in caso di identificazione dei propri soldati, bisogna fare anche ‘quella cosa’”.

“Quella cosa”, ovviamente, è applicare la Direttiva Annibale.

Zonshein non si sente moralmente gravato dalla sua decisione, spiega, perché “oggi so che non li abbiamo colpiti”, anche se in precedenza aveva detto di aver colpito il primo camioncino.

Zonshein sembra credere che gli israeliani nel camioncino non siano stati feriti, facendo vaghi riferimenti a “dettagli che preferisco non rivelare”.

Ma i suoi riferimenti opachi vengono dissipati dal suo giudizio inequivocabile secondo cui essere fatti prigionieri è un destino peggiore della morte.

“Non mi pesa perché immaginare persone prese da assassini, tenute prigioniere e torturate, questo, penso, è un pensiero molto peggiore”, spiega.

Non è ancora stato confermato se i prigionieri israeliani siano stati torturati durante la prigionia di Hamas. Per quanto riguarda i civili, le indicazioni finora suggeriscono che il loro trattamento è stato relativamente umano, come indicato anche dagli stessi ostaggi. Si può dire il contrario dei detenuti palestinesi in prigionia israeliana, la cui tortura sistematica e diffusa è stata ben documentata, anche dalla televisione israeliana.

Si potrebbe sostenere, ovviamente, che il soldato abbia agito di propria iniziativa personale e, forse, che le sue azioni fossero basate su una convinzione generale e diffusa all’interno della società israeliana dei presunti orrori della prigionia sotto Hamas. Ma a parte le allusioni nella testimonianza di Zonshein che suggeriscono il contrario, la logica politica per l’uccisione di potenziali prigionieri israeliani è abbastanza chiara. Nel 2006, quando il caporale israeliano Gilad Shalit fu catturato, Israele lo scambiò nel 2011 con 1.027 prigionieri palestinesi. Questo è qualcosa che Israele vuole ripetere.

L’idea dominante nell’esercito israeliano sembra essere: sacrifichiamo le loro vite per evitare che vengano usate come merce di scambio. E, naturalmente, il loro modo di superare il dilemma morale di fondo della Direttiva Annibale è dire a se stessi che è meglio per loro morire piuttosto che cadere nelle mani di quegli “animali”.

Jonathan Ofir è un direttore d’orchestra, musicista, scrittore e blogger israelo-danese, che scrive regolarmente per Mondoweiss.

Traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

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