Una polemica dalle parti di Philip Dick

Tradurre, tradire, traghettare, trans-umanizzare…

di Giuliano Spagnul

PhilipDick-testa

Tanto sterminata è la critica sull’opera dickiana tanto è povera (esiste?) quella sulle traduzioni italiane della stessa. Eppure dovrebbe essere la prima preoccupazione per quell’enorme massa di lettori, sottoscritto compreso, che non conoscendo o conoscendo male la lingua inglese sono costretti ad accontentarsi delle varie traduzioni che si sono succedute nel tempo, dalle collane seriali di Galassia e Urania alle ultime, circonfuse di aura accademica, edite da Fanucci. E allora accingiamoci, con il dizionario posto tra il testo originale e le diverse traduzioni, a spulciare, rovistare, annusare l’equivoco, la frode e perché no, l’errore fecondo; cioè quell’errore capace di aprire a nuovi scenari, nuove riflessioni e problematizzazioni. Non sarà questo un lavoro sistematico: non ne ho le competenze, posso solo tentare un piccolo approccio provocatorio. Una provocazione spero non fine a se stessa ma che appunto cerchi di provocare qualcosa, di andare oltre, che spinga avanti il nostro sguardo; un punto di vista diverso dal solito. Do Android Dream of Electric Sheep? (1966) è stato tradotto per la prima volta da Maria Teresa Guasti nelle edizioni Galassia prima, Nord poi, con il titolo Il cacciatore di androidi. Riccardo Duranti l’ha ritradotta per Fanucci e il titolo bilica tutt’oggi fra il Ma gli androidi sognano le pecore elettriche? e il più accattivante per il grande pubblico Blade Runner. Debbo alla traduzione di Maria Teresa Guasti l’intuizione che in questo romanzo, nonostante le apparenze, non si parli affatto di androidi. La scena clou in cui si descrive nei particolari la soppressione fisica di un Nexus-6 è così resa nella traduzione: «Sparò. Il grande corpo dell’androide si spezzò, crollando in una pioggia di parti separate. Frammenti di metallo e componenti più fragili rimbalzarono sul tavolo di cucina, rovesciando a terra piatti e stoviglie. I circuiti all’interno del corpo fecero sussultare e vibrare ancora braccia e gambe, ma ormai l’androide era morto». L’originale invece recita: “He shot Roy Baty; the big man’s corpse lashed about, toppled like an over-stacked collection of separate, brittle entities; it smashed into the kitchen table and carried dishes and flatware down with it. Reflex circuits in the corpse made it twitch and flutter, but it had died”, così come è stato correttamente reso nella successiva traduzione: «Rick sparò anche a Roy Baty; la grossa carcassa dell’uomo si gettò di scatto in avanti, poi crollò a terra come una pila troppo alta di tanti oggetti fragili e separati. Andò a sbattere contro il tavolo di cucina e si trascinò dietro piatti e stoviglie. I circuiti dei riflessi lo fecero fibrillare e contorcersi per un po’, ma ormai era morto». Ecco l’esempio di come una traduzione falsata possa metterci sull’avviso di qualcosa che non va come dovrebbe. È evidente che l’artificialità di questi esseri è troppo esigua se si deve basare solamente su una carenza di empatia. Da qui il bisogno di un sovrappiù, qualcosa che li qualifichi come affatto diversi, appunto artificiali. Ed ecco l’esigenza di aggiungere parti metalliche al loro interno. Un altro particolare che di per sé potrebbe sembrare insignificante ma che per me ha il sapore di un tradimento è la trasmutazione del Kipple in palta. La prima traduzione mantiene il termine inglese Kipple e in una nota lo descrive come “desolazione, disordine, squallore, decadimento: tutto insieme”. Certo che si può tradurre in palta ma questo richiama più all’immondizia, a qualcosa di sporco, all’accumulazione di rifiuti, mentre il Kipple dickiano ha più a che fare con l’entropia, con il decadimento naturale delle cose; non ha una connotazione morale come invece il termine palta. L’entropia non è dovuta al nostro semplice produrre rifiuti, è nell’ordine delle cose così come il nostro opporci a essa. Non per un imperativo morale ma per un imperativo vitale. Sfumature? Probabile, me ne si permetta però un’altra ancora: il cacciatore Rick dice al falso agente Crams: «_ Mi confessi che è un androide. _ Perché? Io non sono un androide. Ma lei cosa fa? Va in giro ammazzando la gente, dicendo a se stesso che sono androidi?». Nella nuova traduzione il “dicendo a se stessi che…” diventa “dicendo loro che…”; il testo originale da ragione alla prima versione: “_ Admit to me that you’re an android. _ Why? I’m not an android. What do you do, roam around killing people and telling yourself they’re androids?”. In questo processo di deumanizzazione dell’altro chi si vuole convincere? Se stessi o l’altro? Chi è il vero obiettivo? Nei campi di sterminio nazisti agli internati veniva proibito di sollevare lo guardo, di guardare negli occhi i loro aguzzini. Era fondamentale per il carnefice convincersi della non umanità delle vittime, altrimenti come avrebbero potuto, rientrando a casa dopo il lavoro accarezzare i propri figli con tenerezza e amore?

Ed eccoci ora a un altro pezzo forte The Three Stigmata of Palmer Eldritch (1964) che mantiene inalterato il titolo in Le tre stimmate di Palmer Eldritch sia nella vecchia traduzione Nord di Ugo Malaguti che nella nuova Fanucci di Umberto Rossi. Ciò che colpisce subito nella comparazione fra la nuova traduzione e il testo originale è la sostituzione della parola dono con quella di pharmakon. Palmer Eldritch dice a Barney Mayerson: «Eccoti la mia cura, e ricorda; in greco pharmakon vuol dire anche veleno». Nell’originale: “That’s my gift to you, and remember: in German gift means poison” 1. In tedesco gift significa veleno, all’opposto della medesima parola inglese che significa dono. Senza voler qui scomodare tutto il discorso antropologico al riguardo e senza insistere troppo sulla nota importanza della lingua tedesca per Dick, non possiamo non vedere come questa modifica di fatto alteri un elemento importante del romanzo; Palmer Eldritch non offre una cura che va bene solo se presa in piccole dosi, come appunto un farmaco, fa invece un regalo, un dono che in quanto tale è comunque un veleno. E occorre qui ricordare che il binomio dono/veleno attraversa tutta l’opera di Dick. Cosa sono gli Autofac2 (fabbriche che producono incessantemente prodotti di consumo o copie di tali prodotti, gratuitamente) se non un regalo avvelenato per l’umanità? E non è un veleno per la puritana società americana tutto ciò che viene regalato senza che sia stato guadagnato con il duro lavoro? In un classico dei fumetti, quel Lil Abner citato anche da Dick stesso in un’altra sua opera,3 compaiono dei terribili personaggi, gli Shmoos che fanno qualsiasi cosa per l’umanità, sono capaci di produrre qualsiasi bene l’umanità desideri, e gratuitamente; e perciò costituiscono per la stessa una minaccia assoluta.4 C’è un’ultima piccola cosa significativa da segnalare in questa traduzione: l’active immagination, l’immaginazione attiva che varia da individuo a individuo nel sottoporsi all’uso della sostanza stupefacente Can-D viene resa con immaginazione vivace. Una variazione che non tiene conto di quella tipica terminologia del pensiero di Carl G. Jung; pensiero che ha avuto un gran peso nell’opera, oltre che nella vita, di Dick.

Proseguendo il nostro rapido excursus approdiamo a un altro testo, Galactic Pot-Healer (1967): Giù nella cattedrale nella prima traduzione di Pietro Anselmi per Bompiani e poi Guaritore galattico in quella di Fanucci tradotta dal responsabile stesso della collana Carlo Pagetti. Qui vorrei segnalare la scelta di modificare i titoli di alcuni romanzi o film, implicati in giochi linguistici all’interno del romanzo, in altri titoli e di conseguenza in altri indovinelli. Operazione del tutto lecita che però sarebbe stata più corretta se in una nota si fossero riportati quelli originali.5

Vorrei segnalare anche, a titolo precauzionale per chi la trovasse in una bancarella e fosse tentato di comprarla, l’esistenza di una traduzione di Ubik alquanto originale (molto originale!) pubblicata da Fanucci nel 1989 nella collana “Il libro d’oro della fantascienza” tradotta da Domenico Cammarota con la revisione di Gianni Pilo.

E per finire – sperando che qualcun altro ben più preparato del sottoscritto riprenda il discorso – un’avvertenza per uno dei primi romanzi di Dick: Eye in the Sky (1955), L’occhio nel cielo; chiunque pensasse sufficiente averlo letto nella vecchia traduzione di Urania sappia che, indipendentemente dal livello della traduzione, ha letto all’incirca solo il 60% del romanzo. La nuova edizione Fanucci, tradotta da Maurizio Nati ci propone un’opera affatto nuova. Interessante anche qui sarebbe vedere come sono stati operati i tagli e cercare di capirne la logica. Quanto lavoro e quanta materia di studio; e chissà… forse prima o poi si potrebbe anche arrivare a fare un po’ di chiarezza su quell’eterna querelle della qualità della scrittura di Philip K. Dick.

  1. E questo è il mio regalo. Regalo si dice cadeau, in francese, ma in inglese si dice gift. E ricordi: in tedesco, gift significa veleno.” Nella traduzione di Malaguti.
  2. http://una-stanza-per-philip-k-dick.blogspot.it/2015/02/autofac.html
  3. The trasmigration of Timothy Archer, La trasmigrazione di Timothy Archer (1981)
  4. Nel racconto del 1956 Pay for the printer, Diffidate delle imitazioni, compaiono i Biltong, alieni sbarcati sulla Terra postatomica, che aiutano i sopravvissuti grazie alla loro capacità di riprodurre qualunque cosa che ancora esista e sia funzionante.

A titolo esplicativo riporto il primo indovinello nella traduzione di Anselmi e di seguito la scelta operata da Pagetti: 1) Gauk lesse dal foglietto. “L’intelaiatura a traliccio Arma-da-fuoco Insetto che punge.” “Insetto-che-piange?” domandò Joe. “No! Insetto-che-punge.” “Intelaiatura a traliccio,” rifletté Joe. “Reticolato… insetto che punge… Vespa?” Si grattò con la penna perplesso. “E l’hai preso dal computer di traduzione di Kobe? Ape.” Decise. “Arma da fuoco… allora Cannone-ape. Laser-ape. Heater-ape. Rod-ape. Gat.” Scrisse la parola velocemente. “Gat-vespa, gat-ape. Gat-by… Intelaiatura a traliccio. Dovrebbe trattarsi di un’inferiata… Grata!” Ora aveva la frase. “Il grande Gatsby, di Francis Scott Fitzerald.” Lasciò cadere la penna trionfante.” (N.d.T.): Heater-Rod-Gat significa Pistola. Ape=Bee, e si pronuncia bi. Quindi Gat+bee corrisponde alla pronuncia di Gatsby. Grata=grate si pronuncia greit allo stesso modo di great che significa grande. Il gioco di parole è comunque intraducibile in italiano.

2) Gauk lesse ciò che aveva scritto sul foglio. “Avvenenti in congiunzione con originari di scaturiti.” “Originali?” chiese Joe. “No, originari.” “Originari di scaturiti” disse Joe, pensoso. “In congiunzione con. Avvenimenti. Carine?” scarabocchiò con il suo mozzicone di penna. “E questo te l’ha dato il computer di Kobe? Belle? Belli” ragionò. “In congiunzione con. Insieme a.E.” Prese in fretta un appunto. “Sgorgati. Usciti. Derivati. Nati. Originari di nati. Da nati.” Allora capì. “Dannati. Belli e dannati, di F. Scott Fitzgerald.” Gettò la penna sulla scrivania, trionfante.

 

 

 

Redazione
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Un commento

  • L’edizione dei racconti pubblicata da Fanucci riprende, editandola un po’, quella mondadoriana. La differenza è, per esempio, che in quella Fanucci i refusi si sprecano quasi a ogni pagina. Fa piacere trovare in rete qualcuno che è insoddisfatto della faciloneria dei traduttori. Che dire allora delle traduzioni orripilanti di Lovecraft? In quella mondadoriana a cura di Giuseppe Lippi, nel racconto Dagon, proprio nella prima pagina, poco dopo l’incipit, manca addirittura una frase. Logico, non c’era nelle edizioni popolari dei racconti di Lovecraft, ma c’è nella edizione di Joshi, quella critica. Lippi fa finta di seguirla, ma poi traduce dai vecchi libri. Che mondo di furbetti!

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