Verso il 9 agosto a Messina
“No ponte”: cosa c’è nel sottobosco e nei novimenti, dietro gli slogan e le formule giornalistiche?
Reportage di Angelo Maddalena. A seguire alcuni link utili.

Il primo campeggio contro il Ponte sullo Stretto al quale ho partecipato porta la data di un’estate del 2003, a Messina e a Cannitello, doppio campeggio, uno per ogni sponda. Con Fabrizio Lunetta, compianto amico e compaesano, avevamo realizzato un cortometraggio in cui io ero protagonista come cantastorie e, se non ricordo male, cantavo un pezzo del Contrasto fra un pescatore e un potente sul Ponte sullo Stretto, avevo memorizzato il testo un anno prima, quando mia sorella Chiara aveva partecipato al primo campeggio contro il Ponte, e mi aveva portato il “foglio volante” del cantastorie messinese Fortunato Sindoni. Cosa è successo negli ultimi venti e più anni? Nel 2005 era uscito un’antologia di racconti: No ponte, racconti (Città del sole edizioni), in cui c’è un mio racconto e la prefazione di Alberto Ziparo. Sempre in quell’anno avevo scritto il libro A piedi è un altro mondo, pubblicato dieci anni dopo per le edizioni Euno. Ricordo che pochi mesi dopo la pubblicazione, Renzi e Alfano tornarono a rispolverare la “prospettiva Ponte sullo Stretto”, facendo alzare le vendite del mio libro, in una sorta di pubblicità indiretta (il libro racconta di una passeggiata di protesta in solitaria, da Siena a Roma, con il pensiero al “megaspot” del Ponte sullo stretto). Nel 2013 Mario Monti aveva dichiarato il Ponte sullo Stretto “opera non prioritaria”, mentre il progetto della TAV in Val di Susa continuava (e continua) a essere considerata opera prioritaria. Nel 2012 ci fu la tragica (ma non letale, per miracolo!) caduta di Luca Abbà dal traliccio in Val Clarea, nell’aera del cantiere della TAV in Val di Susa. Quello stesso Luca che all’inizio di gennaio del 2006 avevo incontrato in Val di Susa e rivisto poche settimane dopo a Messina, in un corteo unitario al quale parteciparono molti militanti No TAV della Val di Susa. “Nord e Sud uniti nella lotta”, era uno degli slogan di quei giorni. Da allora ne è passata acqua sotto il ponte o, meglio, oltre il ponte, perché il Ponte ancora non c’è. Berlusconi era riuscito a porre la prima pietra, tutto molto simbolico, ma in realtà nel corso degli anni è stato costruito un raddoppio ferroviario a Cannitello e lavori in corso ci sono per il raddoppio ferroviario nella parte sud di Messina, tra Giampilieri-Fiumefreddo, che comporterebbe un sito di stoccaggio nella zona di Contesse (lavori eseguiti dalla stessa impresa che dovrebbe costruire il Ponte, Webuild; il raddoppio ferroviario è necessario, i disagi che sta provocando agli abitanti di quei territori sono comunque notevoli e il modo di portare avanti i lavori non li alleggerisce). Proprio a Contesse, il 12 luglio scorso, si è svolto un corteo indetto dall’Assemblea No Ponte su proposta di Spazio No Ponte. «Il corteo si è svolto tra le vie di Contesse e del Villaggio UNRRA, nell’ambito della maxi-area che sarebbe maggiormente interessata dai cantieri, sia sotto l’aspetto logistico che infrastrutturale, per impatto ed estensione seconda solo a quella di Ganzirri», si legge in una nota degli organizzatori, e ancora: «E’ stato un corteo “decentrato” rispetto agli usuali percorsi del centro e di Capo Peloro». In uno dei più recenti cortei, indetti poco dopo l’annuncio della ripresa del progetto del Ponte (decreto Legge n.35/2023 del governo Meloni), ero presente anche io, il 2 dicembre 2023. Qualcuno parlò allora di 10 000 o anche più partecipanti, con conclusione in piazza Duomo e interventi dal palco, tra gli altri, di Alex Zanotelli. «Il corteo a Contesse», continua la nota degli organizzatori, «è stato un atto di sensibilizzazione per la gente del luogo già in preda ai disagi per lo stoccaggio del materiale proveniente dagli scavi del raddoppio ferroviario. Al tempo stesso, un’anteprima della manifestazione nazionale in programma a Messina il prossimo 9 agosto». Ciccio Mucciardi, della Casa del Popolo di Messina, fa un quadro della “ricostituzione” dei gruppi di base a Messina a partire dal 2022. In un vocale del 30 giugno del 2025 mi dice che non ha potuto rispondere prima perché “il lunedì pomeriggio e sera abbiamo riunione settimanale dello Spazio No Ponte”. Alla mia domanda sulle riunioni dei comitati dal basso a Messina, mi viene detto, non solo da lui, che da qualche mese ci sono frequenti riunioni di coordinamento, e mi sento dire addirittura: “Ci sono incontri quasi quotidiani, considerando i vari gruppi attivi in città”. È una notizia che mi riporta alla vivacità dei comitati NoTav della Val di Susa, almeno fino a qualche anno fa, cioè un’attività incessante che non si riduce ai soli appuntamenti di preparazione di cortei e di manifestazioni nazionali. Elemento, questo, che sfugge spesso a chi guarda da lontano certe realtà di lotta dal basso in alcuni territori negli ultimi anni. Mi viene da dire che solo andando e frequentando direttamente certi luoghi si possono cogliere certi aspetti, e qui forse c’è una “mancanza” del giornalismo di inchiesta, meno praticato rispetto a qualche decennio fa o forse, che è ancora peggio, sempre meno visibilizzato per diversi motivi, non solo di convenienza economica di giornali che puntano alla vendita e quindi alla notizia facile e semplicistica. I gruppi messinesi, rispetto a molti anni fa, non sono “riuniti” nella Rete No Ponte, bensì “sparpagliati”, se così può dirsi. «L’Assemblea No Ponte», spiega Mucciardi, «è un soggetto costituito da più soggetti, un momento di aggregazione pubblica voluto da Spazio No Ponte, ma non solo, che si riunisce una volta al mese e che in teoria è aperto a tutti e tutte, all’inizio partecipavano un po’ tutti i comitati, poi alcuni si sono allontanati”. Tra quelli che si sono allontanati potrebbe esserci G., messinese, militante storico, da quando lo conosco ha avuto sempre una visione il più possibile oggettiva delle cose, anche facendo autocritica dei gruppi in cui ha militato: «Il rischio di questi movimenti è che ci siano figure e gruppi politici o partitici che tendono a egemonizzare gli indirizzi da dare alle mobilitazioni e allo stile della lotta dal basso», mi dice. E questo è un aspetto che io ho purtroppo visto dal di dentro nel movimento No Tav della Val di Susa. G. mi ha anche fatto notare la scarsa importanza attribuita all’azione diretta, alla gestione dei conflitti in modo coraggioso e senza troppe mediazioni. Me lo diceva circa due anni fa, quando ero andato con lui all’imbarco dei traghetti a Messina, dove c’era una manifestazione di protesta per la presenza di Salvini che doveva incontrare i due presidenti della Regione coinvolti nel progetto del Ponte, il tutto organizzato dalla CISL (avevo scritto di quell’incontro nel blog Border Liber). Allora G. mi faceva notare quello che ancora oggi mi ripete e cioè la difficoltà di coinvolgere e di sapere comunicare con le persone comuni e gli abitanti di Messina in larga scala. Il 17 e 18 maggio ho partecipato, al forte San Jachiddu, oggi Parco ecologico, a una serie di incontri e di manifestazioni culturali, con al centro le politiche del territorio e ovviamente il Ponte sullo stretto. Un amico con cui sono arrivato mi faceva notare che la presenza fissa di almeno un centinaio di persone (tra chi andava e chi veniva si saranno superati certamente quei numeri) agli incontri (presentazione di libri, uno spettacolo teatrale, una lettura di poesie ecc.), non gli sembrava segno di grande partecipazione. In uno di quegli incontri si parlò anche di manifestazioni di alcuni mesi prima, come quella del 1° marzo, il Carnevale No Ponte, durante la quale le forze dell’ordine circondarono e provocarono i manifestanti tra via XXIV maggio e via Boccetta, e ci fu qualche risposta dei partecipanti al corteo, e diverse cariche da parte dalle forze dell’ordine. Gino Sturniolo, a proposito, a San Jachiddu, aveva fatto una considerazione forse preziosa (perché raramente ne ho ascoltate di questo tipo in assemblee di movimenti di base): «Da Genova 2001 in poi, nei movimenti e negli animi di tanti di noi è dilagata una tendenza ad autocolpevolizzarci e a dividerci tra “violenti” e “non violenti”». Oggi le notizie più recenti parlano della possibilità di dichiarare il Ponte sullo Stretto “opera di difesa nazionale”, per superare vari scogli burocratici. Era successo qualcosa di simile per la TAV della Val di Susa, dichiarata “area di interesse strategico”, ma anche per la questione dei Rifiuti a Napoli nel 2008. In un cartello esposto da una signora del Comitato No Ponte Capo Peloro, al sit in di due anni fa per Salvini, c’era scritto: “14,6 miliardi di euro di Tasse per tutti”. É il costo dei lavori del Ponte, probabilmente aumenteranno in corso d’opera. Ma è interessante il riferimento alle “tasse per tutti”. Uno degli aspetti poco noti delle cosiddette grandi opere è il Project financing, uno stratagemma per usare i soldi pubblici per opere che all’inizio vengono presentate con costi a carico delle imprese private. “75 torrenti da mettere in sicurezza”, diceva un altro cartello e alcuni del comitato di Capo Peloro sottolineavano alcune sfasature: “Salvini ha bloccato 500 milioni per le navi green, cioè quelle elettriche che dovevano sostituire quelle a carbone altamente inquinanti». Questo tipo di informazioni e di rivendicazioni vengono raccontate in forma teatrale nello spettacolo Sceccu, cavallo e re, che ho visto dal vivo al Forte San Jachiddu il 18 maggio, messo in piedi da un gruppo di militanti e presentato negli ultimi mesi a Padova, Bologna, Palermo e in vari quartieri di Messina. Non è uno spettacolo di denuncia o, meglio, in parte sì, ma c’è molto altro: c’è comicità, ci sono costumi, vivace scenografia e “animali” in scena: il cavallo di Troia, per esempio, simbolo del potere che entra dentro di noi in modo subdolo per farci accettare le decisioni più nocive per la comunità e il territorio. Ricorda per certi versi lo stile di certi spettacoli di Dario Fo, quindi un teatro popolare applicato alla realtà attuale. Da “una bizzarria rabbiosa e rocambolesca” di Monia Alfieri, che è una delle attrici in scena, lo spettacolo coinvolge quasi una decina di attori, tutti militanti, tra cui Massimo Cammarata. Sia lui che Monia sono stati tra gli animatori del Teatro Occupato Pinelli, tra la fine del 2012 e l’inizio 2014 (sgomberato per la seconda e ultima volta a gennaio di quell’anno). Ci sono stato per presentare due miei spettacoli. Tra i teatri autogestiti di quel periodo (Valle a Roma, Garibaldi a Palermo, Coppola a Catania, Rossi a Pisa), mi sembrò il più informale e il meno burocratico nelle trafile di accoglimento degli spettacoli proposti, e anche molto popolare perché nello spazio del teatro trovavano cittadinanza altre associazioni e attività non solo strettamente artistiche ma anche sociali. Il Ponte sullo Stretto, secondo Franco La Cecla, è uno dei tanti “mega spot”, cioè la proiezione di un desiderio di grandezza che compensa un senso di irrilevanza e di impotenza di molti individui, quindi siamo nell’ambito dell’irrazionale. Talmente irrazionale che viene “venduto” anche come “opera turistica”, cioè come attrazione per i turisti che verrebbero ad ammirarlo per la sua, appunto, “grandezza”. Un paio di anni fa, Simone, di Polistena, cameriere in un ristorante in provincia di Reggio Calabria, mi disse così, senza ombra di sorriso o di scherzo nel volto e nel tono della voce: “Il Ponte lo devono fare perché poi così andiamo lì a farci le foto”. Purtroppo, la foto sul Ponte molto probabilmente non potrà farsela Simone perché, se mai inizieranno i lavori, difficilmente saranno completati. Di questi giorni è la notizia che il Ponte sullo stretto è stato escluso dai finanziamenti europei (“la Commissione europea ha escluso l’opera dal programma Connecting Europe facility”). Al tempo stesso, Salvini esulta perché sicuro che il Cipess (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile) darà parere favorevole per iniziare i lavori, parere che doveva arrivare entro fine giugno, poi rinviato e atteso “entro la fine di luglio”. Ciccio Mucciardi mi spiega che, cosa rara e forse mai vista prima, nel 2024 è stato approvato un decreto-legge che consentirebbe di iniziare i lavori senza garanzia che l’opera sia completata, il cosiddetto “decreto spezzatino”, cioè un cantiere che si svilupperebbe per fasi, per capirsi: come approvare il progetto delle fondamenta di una casa senza garanzia che la casa sarà costruita. Il suddetto decreto è stato contestato dal comitato Invece che il Ponte, in quanto violerebbe l’art. 46 della Direttivaa 2014/24/UE . Continua Mucciardi: “Tutto ciò potrebbe favorire Webuild per l’eventualità di intascare le penali in caso di non conclusione o non inizio dei lavori, la stessa cosa era successa con l’interruzione dei procedimenti tecnici dell’opera dovuta alla legge Monti che dichiarava il Ponte opera non prioritaria”. Allora lo Stato non aveva pagato la penale a Eurolink (di cui maggiore azionista era Impregilo), che ammontava a circa 1 miliardo di euro, l’impresa è comunque la stessa di allora, ma nel frattempo ha cambiato nome e si chiama Webuild, insomma: sono usciti dalla porta e potrebbero rientrare (con un altro nome) dalla finestra per intascare la penale? Viene da pensare che l’interesse non sia tanto di costruire l’opera quanto di intascare e lucrare su progetti e lavori mai iniziati o incompleti, proprio quello che è successo negli ultimi decenni: sono stati già spesi 1,2 miliardi di euro solo per la progettazione del Ponte, provenienti principalmente da fondi pubblici.

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