L’eterna bufala del Ponte sullo Stretto

di Alberto Ziparo e Angelo M. Cirasino

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In un mondo dominato dal virtuale è la fantasia (o più spesso il delirio) a orientare la realtà, e non viceversa. Quando anni fa, negli Stati Uniti, si sparse la voce, del tutto immotivata che la notte di Halloween qualcuno dava ai bambini dolcetti avvelenati, alcuni coscienziosi americani pensarono bene di adeguare la realtà a questa stupida balla e cominciarono a farlo per davvero.
Sperano forse in questo effetto i fan del Ponte sullo Stretto: a forza di annunciare l’inizio dei lavori, con tanto di data per la posa della prima pietra, qualcosa dovrà pure accadere, no?
Dagli anni ’90 al 2026 (ultima previsione), secondo loro, quasi ogni anno avrebbe dovuto vedere il battesimo del Ponte. Così, da mezzo secolo ci tocca assistere al ritorno ciclico di questa bufala senza che peraltro accada nulla: non solo non partono i lavori, ma nemmeno si arriva mai a un plausibile progetto esecutivo. Nel florilegio di non meno di 20 fantasiosi gradi di progettazione proposti sinora, infatti, di quello esecutivo non c’è mai stata traccia.

Il punto è che, a differenza della storiella di Halloween, quella del Ponte non è così facile da prendere sul serio. Gli attuali animatori del – molto presunto – “rilancio” del progetto omettono infatti un passaggio fondamentale, che fu decisivo nel 2013 per la sua cancellazione ufficiale dalla lista di opere strategiche: l’annullamento di tutti i contratti allora in essere e addirittura la messa in liquidazione della società concessionaria, la Stretto di Messina S.p.A. Lo stesso Coordinatore tecnico-scientifico del progetto, prof. Remo Calzona, aveva ammesso che, a fronte delle numerosissime edizioni di un progetto infinito, la sua versione esecutiva, quella cruciale per dimostrare la reale fattibilità dell’opera, non era mai stata redatta perché avrebbe provato l’esatto contrario della fattibilità, ovvero che il Ponte non si può fare.

Non è che sia difficile, problematico, complicato, arduo o pieno di incognite: è semplicemente impossibile. Il progetto è giudicato “allo stato non realizzabile” – dalla massima autorità tecnica competente, non da un gruppuscolo di ostinati luddisti – sia nell’ultima versione con campata unica di 3,3 chilometri, sia nella versione con i piloni nello Stretto (che oggi qualcuno vorrebbe riproporre), bocciata anni prima proprio dai luminari coinvolti all’uopo dalla Società e dal Ministero, che avevano stabilito l’impossibilità di poggiare il manufatto su pile “nel mare” proprio per le condizioni sismo-tettoniche e meteo-climatiche dello Stretto. Non parliamo poi delle soluzioni in tunnel, subalveo o sotterranea, definitivamente bocciate già da lustri. E sempre dai progettisti, non da tecnici critici né da parsimoniosi ragionieri.

Il perché di tutto ciò è semplice: a oggi non esistono ancora materiali che assicurino le prestazioni tecnologiche necessarie per costruirlo. Questo problema insormontabile, ovviamente, non è mai menzionato da politici e decisori pubblici locali e nazionali; che probabilmente, non avendo alcuna voglia né alcuna capacità di fare i conti con i reali bisogni e le vere prospettive di Calabria, Sicilia e Mezzogiorno, ripiegano su un’imitazione ancor più esilarante di Cetto La Qualunque, e coprono la propria insipienza continuando a urlare a squarciagola “facciamo il Ponte”.

Messina Sera, 1959.

“Facciamo il Ponte”: sono tre parole, semplici, chiare e vistose anche per chi guarda distrattamente i media. Quante di più ne servirebbero per prospettare il recupero dell’armatura eco-paesaggistica, la riqualificazione socio-spaziale, la patrimonializzazione proattiva di un territorio impareggiabile per ecologia, storia, cultura e – soprattutto – bellezza? Peccato che le tre paroline magiche funzionino soltanto con chi (e per chi) di quel territorio (e del territorio in generale) non sa nulla. Non funzionano, per esempio, con chi vive in Calabria e Sicilia. Dove invece prevale ormai l’insofferenza, insieme a una certa umana comprensione e sopportazione, per una politica che continua a contorcersi e a balbettare parole senza senso per tentare di sopravvivere, ingannando chi invece dovrebbe servire.

La stessa stupefacente insistenza di questa politica sul ritornello pontista, che la fa assomigliare più a un disco rotto che a un’arena deliberativa, rappresenta un’autodenuncia della sua ignoranza e incapacità. In un recente convegno, in cui parlavamo di valori “intangibili” del territorio dello Stretto, abbiamo ricevuto l’entusiastico plauso di uno tra i più brillanti esponenti della politica locale, convinto che l’allusione fosse all’“aria fresca e pulita” della nostra bella terra. È questa la “politica” che si affida a fantasie morbose e continua a ignorare il problema capitale della non costruibilità; per non parlare delle gravissime negatività territoriali, ambientali, economiche, sociali, trasportistiche emerse in decenni di studi sul progetto.

Il problema, infatti, non sta solo nella infattibilità tecnica del ponte, ma riguarda la sua utilità e la sua funzionalità al modello di sviluppo dell’Area dello Stretto. Una grande area di sostenibilità, oggi più centrale che mai, anche in vista della sempre più urgente “riconversione ecologica”. Piuttosto che chiederci soltanto se sia possibile “fare il Ponte”, perché non ci chiediamo – e non chiediamo a chi lo vuol fare – se e quanto sia necessario farlo? E questo ribaltamento di prospettiva ci porta a concludere che il Ponte è perfettamente inutile: perché tagliare di minuti i tempi di attraversamento dello Stretto, e non di ore i tempi per arrivarci? Perché investire su una tratta sempre meno frequentata da merci e passeggeri? Perché non utilizzare le risorse disponibili per sanare altre e ben più pressanti criticità?

Corriere della Sera, 1985.

Il Ponte è un annuncio perenne, e questo non per caso né per una strategia comunicativa difettosa, ma perché non potrebbe essere nient’altro, perché è questa la sua vera natura: quella di una storiella da raccontare, di una bandierina da sventolare, in mancanza di meglio, per attirarsi simpatie passeggere. 500 milioni di euro buttati al vento in 50 anni, però, sono decisamente troppi per una storiella, quand’anche fosse ben raccontata e verosimile – e questa non lo è affatto. È vero che la politica è “l’arte del possibile”. Ma in questo caso, dopo quel che si è detto, la decisione di impelagarsi di nuovo nelle “procedure per costruire il Ponte” somiglierebbe piuttosto a un “elogio della pazzia”.

alexik

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