Il caso Esposito, alias caso Berlusconi

di Mauro Antonio Miglieruolo
Credo che in merito non si possa dire di più, senza cadere nell’innecessario, di quanto sul “Fatto quotidiano” del 18 settembre dice Marco Travaglio. Qualche riflessione sulle conseguenze a breve e medio termine è comunque possibile effettuare. Vediamole.


Il giudice Esposito viene contattato da un giornalista di Il Mattino per una intervista sulla condanna di Berlusconi. Esposito accetta di concedere l’intervista, limitandone il contenuto alla spiegazione delle motivazioni tecniche che avevano determinato l’assegnazione del processo alla sezione feriale della Cassazione. L’accordo prevedeva che prima della pubblicazione il testo doveva essergli sottoposto per la verifica della correttezza dei contenuti.
Rilasciata l’intervista e esaminato il testo, avendo verificato ch’era in armonia con le proprie dichiarazioni, Esposito dà il via libera. Sul giornale invece l’intervista esce con una frase che non era stata concordata; e le viene anteposto una domanda mai formulata. Nonostante questa manipolazione, il testo comunque restava innocente. Offre solo il destro ai berlusconidi di ricorrere al consueto minestrone di improprietà, dimostrandosi in questo i soliti cuochi insuperabili. Il giudice infatti, se pure avesse anticipato un qualche contenuto della sentenza, errore del quale non si è reso responsabile, non avrebbe comunque commesso alcuna violazione, in quanto il divieto di non parlare delle sentenze riguarda la fase precedente l’emissione delle sentenze; e nel caso Berlusconi questa è già stata emessa. Si limita invece a ricordare l’impossibilità di condannare chicchessia sulla base del teorema “non poteva non sapere”, in quanto occorre la prova che l’imputato è al corrente delle cose di casa sua per poterlo condannare (come ad esempio, esempio di scuola, precisa giustamente Travaglio, il caso in cui alcuni dipendenti – i famosi Tizio, Caio e Sempronio che instancabilmente, tramite la voce di Esposito, i media ripetono – si rechino da lui per debitamente informarlo).
Tutto questo non ha nulla a che vedere con il “caso” Berlusconi; il quale è stato condannato non per il mero essere stato informato, ma in quanto parte direttiva nel reato, essendone “ideatore, organizzatore e beneficiario”.
Perché dunque tutto questo cancan sul caso? Per lo stesso motivo che ha sempre guidato i berlusconidi a inaudite arrampicate di specchi per salvare il “capo” (senza di lui il potere dell’intero gruppo si ridurrebbe rapidamente a nulla). Lo fanno con lo scopo di intimidire i già ben disposti a lasciarsi intimidire “avversari” politici, con i quali intrallazzano allegramente al governo; e confondere le idee a quanti, in buona fede (quelli in cattiva fede assentono e segretamente ridacchiano) vorrebbero capire qualcosa, ma che nel guazzabuglio di non-argomenti, strida, menzogne aperte e alti lai non riescono proprio a orientarsi. Possono solo lasciarsi influenzare.
Una pratica politica questa messa in atto dalla destra che ordinariamente, se si trattasse di politici privi del peso quasi monopolistico che Berlusconi ha sui media, risulterebbe suicida. Ma che nel caso, strano caso, descritto attraverso la ripetizione instancabile di storie che sanno di asini che volano, qualcosa frutta.
Tant’è che sono riusciti pure a disorientare un polemista acuto qual è di solito Massimo Fini (leggere quanto scrive sul “Fatto Quotidiano” dello stesso giorno, in polemica con Travaglio). E se uno come lui, figuriamoci quale l’effetto sulla maggioranza delle madri e padri di famiglia, alle prese con la quotidiana epopea di mettere insieme pane e companatico.
Ma non è questo l’unico obiettivo. L’altro è di guadagnare tempo, sperando di convincere un domani chi di dovere a effettuare quelle torsioni nella norma che gli offrano la tanto sospirata via d’uscita, palesemente impossibile da ottenere oggi. Si tratta inoltre di capitalizzare con il vittimismo quanto più possibile sul piano elettorale.
Ma si tratta anzitutto di far fare la figura degli scemi smidollati ai dirigenti del PD, che peggio di come si trovano sembrerebbe impossibile, ma sono certo che troveranno un peggio ulteriore sul quale attestarsi. Vedi le uscite di Violante and company in proposito. Neppure bambini di tre anni si mostrerebbero tanto ignari, pur non essendo ignoranti.
I pidiellini sono sulla buona strada, dunque.
Così pare.

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *