L’Italia spende 1 miliardo e 322 milioni contro i migranti

di Gianluca Cicinelli

L’Italia ha destinato una parte considerevole dei fondi ricevuti dall’Unione Europea nel tentativo di bloccare i migranti provenienti dall’Africa tra il 2015 e il 2020. Soltanto 15 milioni di euro la cifra spesa per i progetti d’ingresso legale, i cosiddetti corridoi umanitari. Ce lo racconta un’inchiesta dettagliata svolta da ActionAid,  che specifica come nello stesso periodo nel mare compreso fra Tunisia, Libia, Egitto e Italia siano annegati 14.142 migranti; poi bisognerebbe contare (ma è+ impossibiule) i morti nel tentativo di raggiungere i Paesi africani da cui i migranti partono per raggiungere l’Italia. Durante il periodo preso in esame si sono succeduti nel nostro Paese governi guidati da Renzi, Gentiloni, Conte con la Lega e Conte con il Pd, per ultimo il governo Draghi.

Il paradosso, analizzando le cifre tra il 1998 e il 2008 è che il Governo stabiliva il numero di migranti che potevano venire in Italia tramite il canale legale della richiesta per lavoro,  arrivando in media a 136 mila permessi l’anno, mentre dal 2009 in poi sono stati concessi permessi soltanto agli stagionali dell’agricoltura e del turismo con una diminuzione progressiva dagli 80 mila (di 2009 e 2010) ai 10 mila del 2014 fino ai 13 mila del 2015. La stretta inizia appunto nel 2009 – governo Berlusconi con Maroni (Lega) ministro dell’Interno – quando furono approvate una serie di norme che rendevano reato l’ingresso e il soggiorno clandestino, così come divenne reato affittare casa a un “irregolare” e aggiungendo l’aggravante della “clandestinità” a una serie di reati. Questo non ha impedito l’afflusso di immigrati rendendoli però automaticamente fuori legge, favorendo da una parte il lavoro nero e dall’altra facendo perdere allo Stato i benefici come il pagamento delle tasse e il versamento di contributi all’Inps.

Il fenomeno quindi non è diminuito ma è diventato semplicemente illegale con un colpo di matita, perchè gli immigrati “non regolari” sono andati aumentando da 300 mila nel 2013 agli attuali 650 mila secondo le stime dell’Ispi, che ha anche calcolato che nel 2018 la sola abolizione della protezione umanitaria – primo governo Conte, con ministro dell’Interno Salvini – ha determinato un aumento di 70 mila stranieri irregolari. Eppure l’Inps, cifre alla mano, ci dice che il mercato del lavoro dell’Italia ha bisogno ogni anno di almeno 200 mila stranieri, per compensare il calo demografico e l’invecchiamento della popolazione.

Veniamo adesso a come sono stati spesi 1 miliardo e 322 milioni di euro per fermare i migranti. Cominciamo dai fuoristrada e altri veicoli militari donati a Libia, Tunisia e Niger. Troviamo poi nella lista l’acquisto di droni e il pagamento di società che gestiscono anche satelliti per controllare l’afflusso. Ci sono naturalmente – parte ingente della spesa – i corsi di addestramento per polizia e militari dei vari Paesi africani. Una parte è stata usata per le spese di viaggio del rimpatrio in aereo per riportare i migranti in Libia. Ci sono (sarebbe ridicolo se non fosse tragico) milioni di euro spesi per produrre video e spot radiotelevisivi per scoraggiare la migrazione e convincere gli africani a restare nel loro continente. Infine la gran parte del denaro è stata data alle milizie libiche e ai governi del Niger, del Sudan, dell’Etiopia e del Ciad affinchè trattengano sul proprio territorio chi vorrebbe raggiungere l’Italia. Sappiamo bene cosa accade nei centri di detenzione di questi Paesi.

Per fare un esempio del nostro contributo ai “diritti umani” l’Italia nel 2016 (l’anno della morte di Giulio Regeni) ha fornito alla polizia egiziana materiale e personale per l’accademia di polizia de Il Cairo, oltre a una fornitura e consulenza per il software destinato al rilevamento delle impronte digitali.
Un altro esempio è costituito dai 5 milioni di euro dati dall’Italia alla milizia libica di Sabratha, la Brigata Anas Al-Dabbashi, per fermare le partenze dalla città costiera, nonostante il gruppo sia stato riconosciuto dall’Onu come una banda di trafficanti di persone.

Omer Shatz, docente di diritto internazionale dell’Università di Parigi, ha pubblicato uno studio sulle conseguenze in termini di vite umane perse delle politiche di contrasto alle migrazioni praticate dall’Italia, inviando il dossier sotto forma di denuncia alla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità. Va rilevato che nonostante la Corte nel 95% dei casi respinga senza dare seguito legale alle denunce, in questo caso l’ha accolta e il fascicolo è ora sotto il suo esame. Per Shatz questa è la prima volta dopo i processi di Norimberga che l’Europa compie crimini di una tale entità, al di fuori di un conflitto armato. “All’inizio – scrive Shatz nel suo rapporto – pensavamo che Ue e Italia stessero esternalizzando, appaltando alla Libia il lavoro sporco per bloccare le persone, quello che in gergo si chiama concorso e favoreggiamento nel compimento di un reato, poi abbiamo capito che erano proprio gli europei i direttori d’orchestra, mentre i libici eseguivano”.

ciuoti

2 commenti

  • Sabato 2 ottobre alle 17.30 in occasione dell’Assemblea Generale di MEDU (Medici per i diritti umani) presso il circolo ARCI di Peretola, si terrà il dibattito “Rotte migratorie e canali umanitari: quali risposte dall’Africa sub sahariana alla crisi afghana”.
    Da alcuni anni l’Assemblea annuale di MEDU si chiude con un dibattito pubblico, momento di riflessione sui temi che riguardano il diritto alla salute e i diritti umani in generale. Quest’anno la nuova crisi afghana riporta alla ribalta questioni che ciclicamente, come operatori del terzo settore, chiediamo di affrontare nelle agende politiche nazionali e internazionali.
    Le crisi umanitarie dell’Africa Sub-Sahariana hanno molteplici cause: il cambiamento climatico, le guerre, le crisi economiche, i cambi di regime. Nel lavoro di MEDU in Italia, ma anche all’estero, lungo le rotte migratorie, ascoltiamo, curiamo e orientiamo persone che fuggono da queste calamità ormai da anni.
    Se per l’ultima crisi afghana assistiamo ad un’ondata di empatia verso i rifugiati, quantomeno donne e bambini, con la tempestiva apertura di canali umanitari e di percorsi di accoglienza, in situazioni simili questo non accade obbligando le persone in fuga a viaggi drammatici che durano mesi o anni e in cui si subiscono violenze indicibili.
    Nel corso del dibattito rifletteremo assieme sul modo di comunicare le migrazioni, sul contesto storico non di emergenza, ma di consuetudine in cui le migrazioni da sempre esistono e sulle politiche securitarie ed emergenziali che invece di agevolare percorsi di accoglienza sicuri e positivi, consegnano i migranti nelle mani della discutibile guardia costiera libica, ai carcerieri nelle sponde sud del Mediterraneo e al tentativo di attraversare il più pericoloso tratto di mare del nostro tempo alla ricerca di una vita migliore.
    Il dibattito sarà visibile anche sulla pagina Facebook di MEDU poiché posti in sala sono contingentati in ottemperanza alle normative anti-Covid. È possibile verificare se ci sono ancora posti disponibili e riservarne uno scrivendo all’indirizzo co-firenze@mediciperidirittiumani.org
    Parteciperanno:
    – Anna Meli, Responsabile comunicazione e raccolta fondi COSPE
    – Luciano Griso, Responsabile progetto “Corridoi Umanitari in Libano” per Mediterranean Hope – FCEI (federazione chiese evangeliche d’Italia)
    – Alberto Guariso, avvocato, membro del Consiglio Direttivo di RESQ
    – Prof. Antonio Ciniero, docente di globalizzazione dei fenomeni migratori presso l’Universita’ del Salento;
    Modera: Marie-Aude Tavoso, Presidente MEDU
    comunicazione@mediciperidirittiumani.org
    contatto telefonico 06/97844892

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