Francia (e non solo): abusi sessuali in parrocchia

articoli di Luigi Zoja e Marco Marzano (ripresi da Micromega e Doppiozero)

Abusi sessuali del clero: altro che mele marce, il problema è strutturale – Marco Marzano

 

La pubblicazione del Rapporto della Commissione Indipendente francese sugli abusi sessuali commessi dal clero cattolico (CIASE) ha fatto molto rumore, almeno per qualche giorno. A essere entrato nella comunicazione pubblica è stato tuttavia un unico dato: quello sul numero di preti abusatori sul totale dei sacerdoti cattolici. Il Rapporto contiene però molti altri elementi interessantissimi che ispirano queste prime considerazioni:

  1. Per far luce sul fenomeno la costituzione di una commissione indipendente (composta da scienziati di diverse discipline) è uno strumento indispensabile e praticamente insostituibile. È stato così ovunque: negli Stati Uniti, in Irlanda, in Australia, in Germania e ora in Francia. Solo le commissioni di inchiesta possono ottenere l’accesso agli archivi parrocchiali e diocesani e sollecitare su larga scala la deposizione delle vittime di ieri e di oggi, conseguendo un formidabile progresso nella conoscenza e nella misurazione del fenomeno. In Francia, la commissione CIASE, in poco più di un anno, ha ricevuto quasi 4000 telefonate e 2800 tra lettere ed email. I membri della commissione hanno incontrato personalmente quasi 200 vittime che hanno accettato di farsi intervistare per molte ore (in media tre per ciascuna intervista audioregistrata). Sono stati ascoltati una moltitudine di esperti e addirittura un piccolo gruppo di abusatori, che si è spontaneamente reso disponibile a raccontare la propria versione. L’inerzia assoluta della Conferenza Episcopale Italiana su questo terreno sconcerta e testimonia ancora una volta il livello di paurosa arretratezza del nostro paese, delle gerarchie ecclesiastiche così come della gran parte della stampa laica, sempre preoccupata di non disturbare le élites vaticane e nei fatti indifferente alle terribili sofferenze di tanti minori.
  2. La questione degli abusi clericali non è affatto risolta, il problema non appartiene in alcun modo al passato. La commissione CIASE ha riconosciuto che la Chiesa ha iniziato, nell’ultimo ventennio, a prendere sul serio la questione, ma lo ha fatto in misura timidissima e quasi mai di propria iniziativa, con molte differenze da diocesi a diocesi, in definitiva in una forma così debole da non impedire, a partire dagli anni Novanta e dopo un periodo di apparente declino, una decisa ripresa del fenomeno, un significativo aumento nel numero di abusi sessuali commessi da membri del clero. E tutto questo, aggiungo io, avviene malgrado il consistente declino nel numero dei sacerdoti e in quello dei frequentatori di parrocchie e oratori. Quindi ci sono meno preti e meno fedeli, ma gli abusi invece che diminuire crescono.
  3. Quello della Chiesa Cattolica si conferma l’ambiente organizzativo più pericoloso per la salute e l’integrità fisica e psichica dei minori, molto più rischioso, secondo i dati del rapporto CIase, dei campi estivi per giovani, delle scuole pubbliche, dei club sportivi, delle istituzioni culturali o artistiche.
  4. Il report francese non manca di indicare anche alcune delle probabili cause degli abusi clericali: il diritto canonico, pensato per proteggere i sacramenti e cambiare l’animo dei peccatori, ma non per riconoscere in alcun modo il dolore delle vittime e per rispettare i loro fondamentali diritti umani; il clericalismo, e cioè l’eccessiva “santificazione” della figura del prete e la sopravvalutazione del suo status di celibe e casto; l’esaltazione delle virtù dell’obbedienza e del valore della gerarchia a discapito di tutti gli altri; una falsa interpretazione delle Scritture in relazione ai temi dell’affettività e della sessualità; l’assenza di qualsiasi forma di separazione tra i poteri.
  5. Nel rapporto CIASE si trovano indicati anche alcuni rimedi suggeriti con forza alla Chiesa francese: dare più spazio ai laici e soprattutto alle donne; ascoltare le vittime; migliorare la valutazione psicologica dei candidati al sacerdozio e incrementare gli insegnamenti delle scienze umane e sociali; assumersi la responsabilità di aver protetto gli abusatori e rendersi non solo disponibile ad avviare processi di giustizia riparativa, ma anche a risarcire le vittime, tutte le vittime, anche quelle di settant’anni fa o i loro eredi. È su quest’ultimo terreno che il Report mostra le sue maggiori debolezze. Sono convinto infatti che le generiche richieste di cambiamento contenute nel rapporto siano del tutto insufficienti a risolvere il problema. L’abuso sessuale è un comportamento strutturalmente legato alla forma attuale del sacerdozio cattolico, ovviamente non nel senso che tutti i sacerdoti siano abusatori, ma che, per coloro che lo sono, siano stati decisivi la formazione seminariale, l’obbligo celibatario, il rapporto con la sessualità e l’affettività imposti dalla Chiesa Cattolica. La teoria delle “mele marce”, cioè dei pedofili che si infiltrano nella Chiesa approfittando della buona fede e delle disattenzioni di vescovi e formatori, è del tutto priva, e da tempo, di ogni solido riscontro scientifico. Se il nodo è strutturale dev’essere affrontato con riforme strutturali, prime fra tutte la chiusura dei seminari e la fine del vincolo celibatario, le uniche vie per raggiungere l’obiettivo auspicato anche dalla commissione Ciase, di “desantificare” i preti.

Tutto il resto, l’aumento delle ore di insegnamento delle scienze umane, gli appelli a diminuire il clericalismo e ad aprire le donne, eccetera, è al più un modesto palliativo, inutile nella sostanza e adatto nella forma solo a dare l’impressione che la Chiesa Cattolica si muova mentre invece rimane completamente immobile. Il papa tuona contro il clericalismo da anni, ma gli effetti sulla struttura sono stati praticamente insignificanti. È venuto il momento di esigere di più, di non accontentarsi delle buone intenzioni e dei proclami. Lo dobbiamo alle bimbe e ai bimbi, ai ragazzi e alle ragazze di domani alle quali dobbiamo offrire un mondo diverso e migliore.

Marco Marzano è autore de “La casta dei casti“, Bompiani, 2021.

da qui

 

 

Abusi sessuali – Luigi Zoja

 

Psicoanalisi e Chiesa Cattolica

 

La storia della psicoanalisi ci consegna un problema etico, che contiene – fatte le inevitabili differenze – paradigmi utili anche per la Chiesa Cattolica: la quale, in forma ricorrente, deve affrontare i casi di abuso commessi da sacerdoti.

Nelle prime generazioni, gli analisti erano prevalentemente uomini e le pazienti donne. In alcune occasioni, l’estrema intimità che si crea nel processo analitico è divenuta anche sessuale. Come la Chiesa, le società analitiche hanno cercato di affrontare questi problemi con procedure interne. Come per la Chiesa, questo ha due implicazioni: da un lato, permette che l’estrema delicatezza delle rispettive materie (l’educazione religiosa e il processo psicanalitico) non venga affidata a un apparato giuridico impersonale e impreparato. Dall’altro, sia le società analitiche sia le istituzioni ecclesiastiche hanno seguito questa strada anche per proteggersi dallo scandalo pubblico.

 

Libertà e abuso

 

La valutazione di un rapporto sessuale come atto libero o abuso varia, prima di tutto, con l’età del presunto abusato: questo è un fatto assolutamente naturale, legato alla crescita. Un bambino desidera sia abbracci sia dolciumi. Può lasciarsi sedurre. Crescendo, potrà capire che quell’adulto, il quale dava a lui caramelle e affetto, in realtà prendeva per sé. Travalicare i limiti dell’intimità durante lo sviluppo psichico porta al formarsi di un Io che può rimanere, anche da adulto, permeabile, fragile, impaurito. Questo complica le terapie con cui si cercherà di rimediare alla violenza. Dall’altra parte, però, spesso chi è stato vittima di abuso matura nel tempo una particolare profondità morale, non così diversamente da chi ha superato esperienze di guerra o di internamento: in un certo senso, è anche lui un sopravvissuto.

 

Relatività storica e culturale dell’abuso

 

Ancora più evidente è la variabilità storica dell’abuso. La definizione di molti crimini – per esempio il furto – cambia poco nei millenni. Invece, fino alla seconda metà del secolo XIX in diversi paesi esisteva la schiavitù: quella che oggi appare forma più che ovvia di ab-uso – il rapporto sessuale del padrone con una schiava – era uso. Lo schiavo, infatti, era una proprietà. In Europa esiste poca consapevolezza di quello che, in ogni senso, è stato un cuore nero d’America: nel Vecchio Continente le proteste degli afro-americani giungono soprattutto come lontana eco di rivendicazioni socio-economiche, espresse oggi dal gruppo più povero dei ricchi Stati Uniti. Ma sono ben di più. Da quando esiste la genetica, tutte le analisi hanno confermato che, oltre a un’ovvia maggioranza di caratteri provenienti dall’Africa Occidentale, nel sangue degli afro-americani c’è anche tra un’altissima percentuale (circa un quarto) di traccia genetica trasmessa da maschi bianchi. Un gigantesco stupro, trauma storico di cui nessun libro aveva parlato, viene alla luce con un secolo e mezzo di ritardo. Decine di milioni di persone sono sconvolte da questa immagine, nuova ma vera: esse esistono, sono in vita, perché è stata commessa – nel silenzio, nella completa impunità – una violenza sessuale vasta come un continente.

Per non essere abuso, un rapporto sessuale deve avere il suo posto nelle leggi in vigore e nella mentalità prevalente: questo però è variabile. La valutazione dei reati sessuali è radicalmente cambiata non solo dall’abolizione della schiavitù, ma durante l’ultimo mezzo secolo, attraverso la clinica psicoanalitica e psicoterapeutica.

 

Spesso si pensa, soprattutto in Italia, che la cresciuta sensibilità verso ogni abuso sessuale abbia origine negli USA (o nei paesi anglosassoni) e derivi dall’importanza del “politicamente corretto”. Invece, il radicale cambio di prospettiva non proviene da nuove tendenze politiche o giuridiche, ma dagli studi clinici sugli effetti del trauma. Essi si sono estremamente differenziati e raffinati, in ogni direzione. Nell’individuo, le conseguenze di un serio evento traumatico restano identificabili per tutta la vita: e la violenza sessuale, che include la categoria di abuso, è fra i traumi gravi. Con gli ultimi decenni si è sviluppata inoltre una vasta letteratura sulla permanenza di cicatrici psichiche non solo durante la vita della vittima, ma anche attraverso le generazioni: in Europa, fra i discendenti dei sopravvissuti al genocidio ebraico; mentre negli Stati Uniti riguarda proprio la persistenza di sofferenze ereditate dalla schiavitù.

 

La contagiosità psichica dell’abuso

 

La permanenza dei traumi da abuso sessuale è legata anche a un circolo vizioso non sufficientemente noto. L’abuso è così difficile da estirpare perché, se scaviamo nel passato di un abusatore, quasi sempre scopriamo che egli è stato a sua volta abusato, soprattutto nell’infanzia. L’abuso, dunque, è auto-perpetuante. Purtroppo, il nostro Occidente è individualista. È normale che ci si interessi a simili problemi soprattutto quando qualcuno reclama un danno personale. Così, quello di cui stiamo discutendo si affronta nel singolo caso: con una terapia, a sua volta individuale. Alla sua base sta un crimine (il quale rimane tale anche quando si manifesta in forme indirette e subdole di seduzione) che ha radici sia in una patologia personale sia in una degenerazione di costume più vasta di quanto appaia.

Naturalmente, classificare chi commette un crimine come malato introduce un’attenuante. Questa, però, può esser fatta valere se il pedofilo si riconosce responsabile e malato insieme, facendosi curare. Il che apre un delicato capitolo su efficacia e sincerità di psicoterapie ricercate per mitigare dei castighi.

 

Individuo e società

 

Se l’abuso non nasce nell’individuo isolato ma per “etero-infezione”, riguarda la collettività. Avendo un corpo frutto della evoluzione, l’uomo è anche un animale e non riesce mai a liberarsi completamente dall’istinto. Lo studio delle pulsioni nella specie homo ci dice che, in senso lato, il “contagio psichico” della sopraffazione e della violenza si trasmette con facilità all’interno di molti gruppi umani. Lo dimostrano fenomeni non appresi, ma in gran parte “spontanei” quali il pogrom o il linciaggio: amplificazioni di un impulso animale ad aggredire collettivamente, scatenate soprattutto da situazioni di disagio sociale presso i gruppo più rozzi. Non a caso, la divulgazione parla spesso di comportamenti “da branco”: il fatto che tutti partecipino al crimine fa perdere la coscienza della sua im-moralità (dal latino mores, costumi prevalenti). Una ulteriore estensione di questo istinto a masse sempre più grandi è rappresentata dalle violenze politiche del XX Secolo. Intere nazioni civili possono trasformarsi in “branchi”. Purtroppo, nessuna clinica, nessun Ministero della Salute se ne occupa. La patologia psichica è lasciata ai trattamenti individuali.

 

Etica 

 

Torniamo ora alla mia professione. Durante una lunga presidenza del Comitato Etico Internazionale di psicologia analitica, ho incontrato la difficoltà di trattare adeguatamente l’abuso sessuale. Esso ha infatti zone di sovrapposizione con Eros e affettività, qualità ben difficili da definire e, al tempo stesso, irrinunciabili. È quasi superfluo aggiungere che una simile, lacerante confusione riguarda spessissimo anche il compito del sacerdote. Dall’altra parte, ho anche appreso quanto una sua prevenzione possa poggiare su una base semplice: si tratta prima di tutto di spezzare la catena del contagio che si auto-alimenta. Nelle società psicoanalitiche, decenni di dibattiti hanno portato a una maggior consapevolezza dei traumi, conseguenti al trasformarsi (per definizione, mai del tutto libero) di certi rapporti professionali in intimità anche fisica; si sono istituiti comitati etici, corpi giudicanti, codici che prevedono serie punizioni. È stata rotta la frequente, originaria collusione di quando le associazioni psicoanalitiché erano nuclei autocratici e lo studio del trauma restava un campo quasi ignoto.

 

La psicoanalisi ha argomentato che un paziente in terapia si trova, per diversi aspetti, nella condizione di “minorenne” di fronte all’analista. Se vi è un abuso, difficilmente potrà denunciarlo subito. Spesso cercherà, con fatica, un altro analista, tentando di nuovo un percorso psicologico. Solo al compimento di questo ulteriore lavoro, tornato in un più vasto senso “maggiorenne”, potrà decidere se denunciare il trasgressore. Ma qualunque vittima di un abuso sessuale continuato si troverà in simili condizioni. Di nuovo siamo di fronte a un’analogia con l’abuso ecclesiastico. Le vittime dei religiosi, persone educate e condizionate a non metter in discussione l’autorità del clero, sono spesso, di fronte ad essa, “minorenni”, indipendentemente dalla loro età. Inoltre, mentre chi ricorre allo psicoanalista dispone in genere di una certa cultura, l’aiuto ecclesiatico può esser ricercato anche dalle persone più semplici, culturalmente indifese e più manipolabili: una fragilità costituzionale che rende particolarmente immorale chi ne approfitta.

 

Permanenza delle ferite psichiche

 

Perché i tempi di prescrizione sono essenziali? Usciamo dal campo psicoanalitico, guardando all’abuso in senso lato.

Per ogni crimine esistono tempi-limite per chiedere la punizione. Nel caso di abuso su minori, però, i tempi sono particolarmente lunghi: per definizione, le vittime possono prendere piena coscienza del sopruso solo quando la loro mente è diventata autonoma, cioè a partire dalla loro maggiore età. Per chi era stato abusato a dieci anni, tradizionalmente si attendeva che raggiungesse i 18 anni e solo da allora si cominciavano a contare gli anni entro i quali poteva sporgere denuncia. Ma anche questo non è sufficiente, se non è stato interrotto il rapporto di sottomissione dove l’evento ha preso corpo: questa “minorità psicologica” si trasforma in una vera maggiore età solo quando la vittima diviene sotto ogni aspetto indipendente. La particolare gravità dell’abuso sta proprio nel suo approfittare della debolezza di chi è affidato, in qualunque senso, a una cura; e, contemporaneamente, di inibire la sua crescita naturale verso la maggiore età.

 

Secondo un luogo comune la tolleranza verso gli abusanti sarebbe maggiore nei paesi latini, per via di un secolare maschilismo. L’allargarsi delle conoscenze sugli effetti a lungo termine dei traumi sta però rimescolando le carte: di recente la Spagna ha elevato in modo radicale l’età – attenzione! – non di prescrizione, ma a partire da cui si può iniziar a conteggiare il tempo della prescrizione stessa per sporgere denuncia: dai 18 anni (maggiore età, come in Italia) l’ha portato a 35. In Italia gli anni necessari alla prescrizione possono essere più di 10. Sommando le cifre, intuiamo come leggi di questo tipo rendano possibili accuse per eventi avvenuti una generazione prima. Una severità, purtoppo, in sé non esegarata: perché il principale problema è dato dalla frequenza di pedofili seriali, per giunta recidivi nei decenni, proprio come nei decenni permangono le conseguenze del trauma.

Questo aspetto riguarda in particolare la Chiesa: come ha portato alla luce un’indagine commissionata da quella francese, senza precedenti sia per le dimensioni, sia per la pubblicità ricevuta.

 

Il CIASE

 

Nell’ambito della Chiesa Cattolica, prevenzione e punizione sembrano dipendere in buona parte dalle Conferenze Episcopali dei singoli paesi. Quella francese ha messo in moto il CIASE (Commission Independante sur les Abus Sexuels dans l’Eglise). Ha poi partecipato ai suoi studi e li ha divulgati. Il loro Riassunto è scaricabile da internet in francese e inglese. Nel periodo 1950 – 2020 i minorenni vittime dirette di abuso da parte di sacerdoti sono valutati intorno ai 216.000 fra la popolazione francese maggiorenne: escludendo quindi i minori possibilmente ancor oggi abusati (Riassunto Rapporto CIASE, p. 4). Salgono a 330.000 se fra i perpetratori si include il personale laico di istituzioni religiose (ibidem, p. 14). Il silenzio e la negazione sono stati la regola negli anni 1950–70, durante cui il fenomeno ha toccato il culmine, per poi rifluire nel periodo 1970 – 90 e apparentemente tornar a crescere in seguito (ibidem, pp. 12 e 16). I pedofili responsabili sono valutati come minimo tra 2.900 e 3.200. Questo fa sì che, in Francia, la Chiesa cattolica sia l’ambito più vasto in cui si commettono violenze sessuali: dopo la famiglia, che in ogni paese detiene il primo posto (ibidem, p. 15).

 

Complessivamente, però, negli ultimi anni sono molto cresciuti la consapevolezza del problema e gli studi su di esso. Ho potuto verificarlo nel 2017, quando sono stato invitato a Parigi per un convegno Liberté et autorité, in cui si confrontavano giuristi e religiosi. Vi ho partecipato perché simile è il dibattito su responsabilità e libertà nell’esercizio della psicoanalisi (che ho trattato nel testo Al di là delle intenzioni, Bollati Boringhieri). E in Italia? Malgrado uno psicoanalista abbia un numero limitato di pazienti, in oltre 50 anni di lavoro mi è capitato che fra le loro sofferenze ci fosse anche l’abuso da parte di sacerdoti. Non sono, però, venuto a conoscenza di denunce che abbiano portato a indagini, a punizioni, o a pubblici convegni sul tema.

 

Una confessione: fatta allo psicoanalista

 

Nella mia professione si invita spesso il paziente a esprimersi con scritti, disegni o altro, per cercare di estendere il lavoro di scavo psicologico fuori dalla seduta, nella vita quotidiana.

Il tema abuso ha una grande importanza per tutta la società italiana, dove la Chiesa continua a nutrire radici ed esercitare influenza, non estranea a meriti storici. Ho avuto il permesso di citare, preservandone l’anonimato, il tormentato scritto che un paziente di professione sacerdote mi ha di recente affidato…

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LA BOTTEGA SEGNALA : Grazie a Dio, di François Ozon, un (bel) film del 2019

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