Un mondo più sano e istruito ma…

… ma lontano dalla giustizia sociale.

di Rita Cantalino (*)

Vignetta di Makkox trovata in rete

 

Viviamo in un mondo più ricco, più sano e istruito di trent’anni fa, ma siamo ben lontani dalla costruzione di una reale giustizia sociale. Se non ce ne fossimo già accorti guardandoci intorno o guardando a quello che succede in tutto il mondo, ce lo confermano i dati e le riflessioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Nel rapporto sullo stato della giustizia sociale, “The state of social justice: A work in progress”, l’ILO traccia un bilancio a trent’anni dal Vertice mondiale per lo sviluppo sociale di Copenhagen. Un bilancio che non possiamo definire positivo. I progressi ottenuti, scrive, sono stati limitati e si sono arrestati negli ultimi anni. Le persistenti disuguaglianze generano una diffusa insoddisfazione, la percezione che gli sforzi fatti non vengano ricompensati e la costante sensazione di promesse tradite. Questo determina, almeno dal 1982, un calo di fiducia nelle istituzioni e mette in pericolo il contratto sociale. Senza un deciso intervento politico sono a rischio la legittimità dei sistemi democratici e la cooperazione globale.

L’analisi – che verrà presentata al secondo Vertice mondiale sullo sviluppo sociale che si terrà a Doha il prossimo novembre – si basa sullo stato di avanzamento della giustizia sociale a partire da interviste condotte in 17 Paesi.  Quattro i “pilastri” fondamentali: diritti umani e capacità fondamentali; accesso equo alle opportunità; distribuzione equa; transizioni eque. E mostra che c’è un problema alla base.

Diritti umani e capacità fondamentali

Il primo pilastro – diritti umani capacità fondamentali – mostra progressi altalenanti. Se da un lato l’incidenza del lavoro minorile è drasticamente calata (dal 20,6% nel 1995 al 7,8% nel 2024) e la mortalità legata al lavoro è diminuita, dall’altro lato il rispetto dei diritti di libertà di associazione e contrattazione collettiva non migliora dal 2015. Intanto il 3,5% della popolazione mondiale è ancora costretta al lavoro forzato. E poi ci sono le zone grigie: il lavoro “informale” che, nel 2025, riguarda ancora il 58% della popolazione mondiale. In vent’anni il tasso di lavoro informale ha perso solo 2 punti percentuali. Un chiaro indicatore del deficit di lavoro dignitoso, per colmare il quale non basta solo la crescita economica. Anzi, negli ultimi dieci anni, il legame tra la crescita dell’1% del Pil e l’aumento dell’occupazione formale è sceso allo 0,38%.

Anche se il tasso di completamento della scuola primaria è cresciuto del 10% e quello della secondaria del 22%, il 71% dei guadagni di una persona è ancora determinato dal Paese in cui nasce e dal sesso. La disparità di genere è ancora profonda: il divario di partecipazione alla forza lavoro, tra donne e uomini, è del 24%. Nel 2005 era del 27%. E l’assunzione delle responsabilità globali di assistenza non retribuita è scaricata per il 76% sulle donne. La disparità salariale si è sì ridotta, ma le donne guadagnano ancora il 78% dei loro colleghi maschi. Se il trend resta questo, scrive l’ILO, ci vorranno tra i 50 e i 100 anni per colmare il divario.

Un’inaccettabile concentrazione di ricchezza

Lo stato della giustizia sociale nel mondo diventa lampante anche quando guardiamo alla distribuzione della ricchezza. I numeri della disuguaglianza, si legge nel rapporto, restano «inaccettabilmente alti». Rispetto a trent’anni fa sono diminuite la povertà (dal 39 al 10%) e la povertà lavorativa, ma l’1% più ricco del mondo continua a detenere il 38% della ricchezza e il 20% del reddito globali. Se guardiamo al 10% più ricco, scopriamo che ha in tasca più della metà del reddito realizzato in tutto il mondo: il 53%.

Un po’ meglio i dati sulla disuguaglianza di reddito tra nazioni, che si è ridotta grazie all’ascesa dei Paesi a reddito medio che, però, restano comunque indietro. Come si inverte la tendenza? L’ILO sottolinea l’efficacia di politiche di distribuzione e redistribuzione: l’aumento dei salari minimi è coinciso con una riduzione della disuguaglianza salariale nei Paesi a reddito medio-alto. Ma la copertura globale della contrattazione collettiva riguarda appena un terzo dei dipendenti. E anche se più della metà della popolazione è coperta da almeno un regime di protezione sociale, l’altra quasi metà ne resta esclusa. In particolare nei Paesi a basso reddito.

Come si fa una transizione giusta?

Come umanità stiamo affrontando tre grandi transizioni simultanee: ambientale, digitale e demografica. La transizione ambientale, in particolare, evidenzia un paradosso di giustizia climatica. Le popolazioni più vulnerabili sopportano il peso maggiore degli effetti dei cambiamenti climatici. Chi percepisce un reddito più basso è responsabile di appena il 12% delle emissioni globali, ma arriverà a subire il 75% delle perdite di reddito a causa della crisi climatica. La conversione energetica che dovremo affrontare, in particolare, avrà impatti occupazionali interessanti da analizzare. Se le stime parlando circa sei milioni di posti di lavoro persi nell’industria dei combustibili fossili, allo stesso tempo prevedono la creazione di 24 milioni di nuove posizioni nelle energie rinnovabili e nei green job. La trasformazione però sarà radicale: almeno 70 milioni di lavoratrici e lavoratori avranno bisogno di acquisire nuove competenze.

Come si costruisce questo cambiamento avendo come faro la giustizia sociale? L’ILO ha elaborato linee guida per una transizione giusta. La ricetta è sempre la stessa: i suoi ingredienti sono lavoro dignitoso, riduzione delle disuguaglianze e tutela dell’ambiente. I suoi esecutori: i governi e i decisori politici a tutti i livelli.  La transizione digitale minaccia di aggravare le disparità nel mondo. L’Intelligenza Artificiale Generativa (AI) è già in grado di trasformare fino a un lavoro su quattro, mettendo a rischio di automazione ruoli come il supporto amministrativo, dove le donne sono più a rischio di perdita di lavoro. Infine, la transizione demografica, caratterizzata dall’invecchiamento e dal calo della fertilità, esercita una pressione crescente sui sistemi pensionistici e sui servizi di assistenza a lungo termine, che già soffrono per salari bassi e carenza di personale.

Come si costruisce la giustizia sociale?

Il rapporto dell’ILO lancia un appello per un rinnovato impegno verso la giustizia sociale. Non basta, spiega il documento, limitarci ad applicare gli strumenti esistenti. Protezione sociale e politiche attive del mercato del lavoro restano fondamentali, ma serve un approccio trasformativo.

Le politiche del lavoro devono guardare all’intera società: alla finanza, all’industria, alla salute della popolazione e alla pianificazione ambientale. Le sfide che stiamo affrontando richiedono risposte olistiche perché riguardano questioni globali interconnesse tra loro. Senza la volontà politica di coordinamento e integrazione, risulta poco credibile la realizzazione dell’obiettivo di una giustizia sociale universale.

(*) Link all’articolo originale: https://valori.it/giustizia-sociale/

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