Scor-data: 23 luglio 1993

Raul Gardini si suicida
di Fabrizio Melodia (*)

Un colpo di pistola alla testa, cosi l’imprenditore Raul Gardini mise fine alla sua vita nella sua abitazione a Milano, il settecentesco palazzo storico Belgioioso dopo l’ennesimo “dispiacere” a cui andò incontro per il caso Enimont e molto scosso – pare – per il suicidio (nel carcere di San Vittore) tre giorni prima di Gabriele Cagliari, suo rivale nel caso ma probabilmente anche per la consapevolezza di non poter sfuggire alle maglie strette degli inquirenti, i magistrati Antonio Di Pietro e Francesco Greco. Questi ultimi si precipitarono sul posto, dove una folla di milanesi si era subito assiepata.
Un suicidio annunciato? Parrebbe quasi di sì, pur se alcuni affermano che non fu la sua mano, ma quella di qualche ignoto sicario.
L’imprenditore Raul Gardini si era da sempre distinto come una persona spregiudicata, dalla forte personalità e dagli obiettivi chiari, fin dai tempi in cui muoveva i primi passi nella fonderia di bronzo e ghisa della sua famiglia, in quel di Ravenna.
Gli inizi degli anni ’80 lo vedono affermato imprenditore al centro di alcune chiacchierate ma redditizie operazioni con il gruppo Ferruzzi, di cui ricevette le deleghe grazie agli eredi di Serafino Ferruzzi, morto in un incidente aereo il 10 dicembre 1979.
In pochi anni, dal 1981 al 1986, Raul Gardini trasformò il gruppo agricolo in uno prevalentemente industriale attraverso alcune indovinate politiche di acquisizione, fra cui l’Eridania, maggiore produttore di zucchero italiano, e il suo analogo francese cioè Beghin Say.
Nel 1987 ingloba l’americana CPC per quanto riguardo la sezione amido, per poi impadronirsi del ciclo della lavorazione della soia con la Central Soya e la Leiseur Koipe, per poi acquisire la maggioranza della Montedison gradualmente ma inesorabilmente (tra il 1985 e il 1987) grazie all’aumento del capitale della società in seguito a sapienti investimenti in Borsa, complice anche l’euforia finanziaria dovuta alla nascita dei primi fondi comuni d’investimento.
L’unico inciampo fu il progetto mai andato in porto di sfruttare le eccedenze agricole della Comunità Europea da impiegare per la produzione di etanolo, applicabile come antidetonante per la benzina.
La scalata alla Montedison grazie ai fondi reperiti fu una conquista di tutto rispetto, resa possibile anche dalle operazioni finanziarie dell’amministratore Mario Schimberni, che voleva rendere la Montedison una “public company” indipendente dal controllo di Mediobanca.
Gardini acquistò le azioni di Montedison, con un tacito accordo di Enrico Cuccia, che perse il controllo della società petrolchimica.
I contrasti fra i due divennero violenti e insanabili quando Gardini rifiutò di formare il consiglio di amministrazione secondo i suggerimenti di Cuccia, vendendo persino metà della società Fondiaria (a De Benedetti) di cui poco prima si nominò presidente.
Non contento di questo passo, “il re” volle farsi imperatore: Gardini realizzò un’ambiziosa fusione con l’Eni, fondando l’Enimont, ripartendo le azioni al 40% all’Eni, altro 40% alla Montedison e il restante lasciandolo al libero mercato borsistico.
Inciampò, come ebbe modo di affermare, sull’ostacolo della politica. O. come direbbero altri, della corruzione.
Nonostante avesse ricevuto sufficienti garanzie dall’allora maggioranza (con a capo Ciriaco De Mita) e dall’opposizione (con in testa Achille Occhetto) riguardo agli sgravi fiscali di cui la neonata joint venture Enimont avrebbe dovuto godere, il decreto proposto nel 1988 decadde per due volte.
Niente però doveva mettere i bastoni fra le ruote a Gardini, il quale, infuriato e convinto che la classe politica romana avesse solo intenzione di rilanciare sul prezzo, fece in modo che Gardini riunisse gli industriali del lombardo-veneto nella ferrea scalata all’Enimont. Fu un’impresa epocale per la la chimica italiana, che sembrerà coronata da un successo senza precedenti, tanto da far commentare a Gardini un lapidario: «La chimica sono io».
Purtroppo per lui si mise a rompergli le uova nel paniere il giudice Diego Curtò (a quanto pare, come ebbero modo di appurare in seguito le indagini degli inquirenti, fu corrotto) che mise il fermo provvisorio in vista del ricorso di Eni alla scalata. Nel mentre Gabriele Cagliari, presidente Eni, ruppe tutti i rapporti con Gardini: in questo – così hanno appurato – le indagini successive, su suggerimento del PSI di Bettino Craxi, che voleva impedire tale scalata ad ogni costo.
A questo punto Raul Gardini, preso tra due fuochi, si vide costretto a ritirare la joint venture e, come ciliegina sulla torta, vendette il proprio pacchetto azionario completo (tutto il 40%) proprio all’ni.
Un bello smacco.
Si sa che dove gira molto denaro, vi sono predatori affamati a contenderselo. Tutto questo afflusso di denaro nella casse dell’Eni servì in parte a versare ingenti somme di tangenti alla politica, per fare in modo che il decreto di defiscalizzazione delle plusvalenze della società fosse effettivamente fatto passare senza intoppi. Tale operazione fu orchestrata da Carlo Sama, Giuseppe Garofano, Luigi Bisignani e Sergio Cusani, tramite lo Ior del Vaticano, gestito dal prelato Donato de Bonis.
A quanto sembra il timore di essere processato per le tangenti avrebbe spinto Gardini a compiere l’estremo gesto, ma può aver pesato anche il mancato benestare della famiglia al suo tentativo di riappropriarsi del pacchetto azionario Montedison.
Vistosi abbandonato anche dalla moglie Idina (la quale venderà anche le sue azioni del gruppo Ferruzzi) Gardini sceglie una plateale uscita di scena. Però certa stampa molto ben informata riportò la notizia che la pistola con cui Gardini si era sparato era posata sul comodino del letto e che il cuscino su cui poggiava la testa del cadavere non era macchiato di sangue nella misura in cui sarebbe dovuto essere.
Forse non sapremo mai la verità: di certo, l’uscita di scena di Gardini fu una boccata d’aria per molti.
PER APPROFONDIRE:
Franco Briatico, “Ascesa e declino del capitale pubblico in Italia. Vicende e protagonisti”, Il Mulino, 2004.
Gianni Baldi, “I potenti del sistema”, Arnoldo Mondadori, 1976.
Giorgio Galli, “Il padrone dei padroni. Enrico Cuccia, il potere di Mediobanca e i capitalismo italiano”, Garzanti Editore, 1995.
A. Marchi, R. Mirchionatti, “Montedison 1966-1989. L’evoluzione di una grande impresa tra pubblico e privato”, Franco Angeli, 1992.
Massimo Muchetti, “Licenziare i padroni?”, Feltrinelli, 2004.
Si vedano inoltre questi articoli di giornale:
Marco Magrini, “Gardini, i giorni del silenzio”, Il sole 24 Ore, 22 luglio 2003.
Fabrizio Gatti, “Garofano ha parlato e Gardini sbianca in volto”, Corriere della Sera, 24 luglio 1993.
Flavio Corazza, “Il suicidio nel Palazzo Belgioioso. Un biglietto per i familiari: “Grazie a tutti”. I giornali in mano, un foro nella tempia. E’ stato il maggiordomo a trovare Gardini morente”, La Stampa, 24 luglio 1993.
(*) Fra i tantissimi libri che affrontano la morte di Raul Gardini merita una citazione anche «Tre suicidi eccellenti: Gardini, Cagliari, Castellari», uscito nel 2009, di Mario Almerighi, un magistrato. Uno dei meriti di quel libro è partire dall’altissimo «tasso di illegalità» che si incontrava nell’Italia di quegli anni (e purtroppo di quella successiva). Per capirsi: «Craxi: circa 11 miliardi; Citaristi e Forlani: 8 miliardi; Pomicino: 5 miliardi e mezzo; Martelli: 500 milioni» e così via fino ai 200 milioni per Umberto Bossi. Ed è solo un elenco di alcuni pagamenti, il totale è ben maggiore… Per completare ogni biografia su Gardini certo bisogna raccontare anche l’uomo: “bello e dannato”, appassionato di barche a vela. Ma la questione decisiva è economico-politica: l’Enimont è «la madre di tutte le tangenti», il peggior cancro che si allunga su politici e giornalisti, presente in tutti i malaffari fino al punto da costruire in Sicilia buoni rapporti con la mafia. C’era e c’è sempre qualcuno pronto a lamentarsi se un potente soffriva di una carcerazione preventiva “troppo lunga” (4 mesi e mezzo) pur se prevista dalle leggi. Gardini non fu certo un perseguitato dai giudici ma un corruttore, provatamente colpevole di gravi crimini. Dopodichè invece di combattere i reati dei padroni e dei “colletti bianchi” le istituzioni italiane hanno scritto leggi per agevolarli… ma questa è un’altra storia.
Ricordo – per chi si trovasse a passare da qui per la prima volta – il senso di questo appuntamento quotidiano in blog. Dall’11 gennaio 2013, ogni giorno (salvo contrattempi sempre possibili) troverete in blog a mezzanotte e un minuto una «scordata» – qualche volta raddoppia o triplica, pochi minuti dopo – postata di solito con 24 ore circa di anticipo sull’anniversario. Per «scor-data» si intende il rimando a una persona o a un evento che per qualche ragione il pensiero dominante e l’ignoranza che l’accompagna dimenticano o rammentano “a rovescio”.
Molti i temi possibili. Molte le firme (non abbastanza forse per questo impegno quotidiano) e assai diversi gli stili e le scelte; a volte troverete post brevi: magari solo una citazione, una foto o un disegno. Se l’idea vi piace fate circolare le «scordate» o linkatele ma ovviamente citate la fonte. Se vi va di collaborare – ribadisco: ne abbiamo bisogno – mettetevi in contatto (pkdick@fastmail.it ) con me e con il piccolo gruppo intorno a quest’idea, di un lavoro contro la memoria “a gruviera”.
Ogni sabato (o quasi) c’è un riassunto di «scor-date» su Radiazione (ascoltabile anche in streaming) ovvero, per chi non sta a Padova, su http://www.radiazione.info .
Stiamo lavorando al primo libro (e-book e cartaceo) di «scor-date»… è un’impresa più complicata del previsto, vi aggiorneremo. (db)

Redazione
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