Alla ricerca della Rivoluzione sandinista perduta

In Nicaragua esiste il tasso più elevato di lavoro informale nell’intera America latina

di Bái Qiú’ēn

La María se lamenta que su vida nunca va a salir de la miseria (Pobre la María, Luis Enrique Mejía Godoy, 1993)

Tornano a galla le bugie / Ma il naso non si allunga mai. (Enzo Jannacci)

All’inizio di febbraio del 1996 l’allora Pontefice venuto dall’Est Europa sbarca per la seconda volta in Nicaragua e il governo neoliberista di Violeta Barrios de Chamorro pensa bene di mostrargli un’incantevole cartolina turistica del Paese, nascondendo sotto il classico tappeto la realtà sempre più generalizzata di miseria e precarietà. Quella dei «chavalos cuidan carros, venden agua, nada comen / Huelen pega y deambulan por las calles de Managua», facendo trasferire al mare su appositi pullmann le migliaia di ragazzini e ragazzine che affollano gli incroci e per sopravvivere vendono di tutto o lavano i vetri dei veicoli.

In quegli anni, un taxista che ci portava nel luogo di un incontro, fermatosi al semaforo rosso di Gancho Camino, preso d’assalto dai ragazzini ci disse sorridendo: «In vita mia, non ho mai avuto i vetri dell’auto così puliti».

Alcuni anni dopo, l’impresario liberale Enrique José Bolaños Geyer, ingegnere industriale e Presidente in carica dal 10 gennaio 2002 che continua a promettere una «Nueva Era», nel contesto di una repressione sistematica, il 16 giugno fa arrestare 364 lavoratori informali, i quali stanno commettendo il gravissimo reato di «svolgere la loro attività in aree pubbliche, ai semafori e alle fermate degli autobus». Dando con ciò un perfetto esempio di come il neoliberismo intende combattere la povertà: eliminando i poveri (o, quanto meno, relegandoli nell’invisibilità) dopo averli creati e moltiplicati con le privatizzazioni.

Vent’anni dopo, poiché la crescita economica e la povertà rimangono questioni cruciali per un Paese che nel frattempo è diventato socialista per grazia di Dio, nel luglio del 2022 il Buon governo del comandante Daniel, ormai da quindici anni al potere, presenta il Plan Nacional de Lucha Contra la pobreza 2022-2026, il quale «contiene politiche, strategie e azioni trasformative che sanciscono il percorso di crescita economica e di difesa e restituzione dei diritti delle famiglie nicaraguensi, con riduzione della povertà e delle disuguaglianze» (riduzione, non eliminazione).

Il documento di quasi 200 pagine è suddiviso in quattro capitoli: «Il Nicaragua oppresso del 1990-2006 con tre governi neoliberisti», «Progressi nella lotta contro la povertà e le diseguaglianze, e trasformazioni rilevanti nel periodo 2007-2020», «Il crudele assalto al Paese con il fallito tentativo di golpe nel 2018, nell’intento di frenare le conquiste del popolo», «Il Piano nazionale di lotta alla povertà e per lo sviluppo umano».

A colpo d’occhio, anche a una lettura superficiale e disattenta, si nota la mancanza di analisi di un periodo storico essenziale per poter valutare con obiettività i progressi compiuti: quello degli anni Ottanta, successivo al trionfo della Rivoluzione Popolare Sandinista aggredita dagli Stati Uniti di Ronald Reagan con il finanziamento della contra e con il blocco economico-commerciale. Quanto meno, da parte nostra lo riteniamo fondamentale per raffrontare il poco o il molto che si fece in una condizione estremamente difficile, quando la maggior parte delle risorse economiche e umane erano destinate alla difesa del Paese e della Rivoluzione stessa, con ciò che si è fatto e si vuole fare in una realtà completamente diversa e assai migliore da tanti punti di vista. Eppure, l’unico riferimento a questo periodo è alla cosiddetta Crociata di Alfabetizzazione del 1980 (pp. 29-30), quando ancora non era iniziata appieno l’aggressione sopra ricordata, per quanto si stessero vivendo le prime tragiche avvisaglie.

Questa mancanza non può essere imputata a una semplice svista o dimenticanza, quanto piuttosto al fatto innegabile che esiste una differenza sostanziale tra l’ieri e l’oggi: negli anni Ottanta, pur con tutte le problematiche allora esistenti, vi era una visione del futuro da parte della popolazione e di un Governo che, tra limiti enormi ed errori forse inevitabili, tentava di risolvere le questioni più gravi lavorando per la costruzione di una nuova società, basandosi su tre cardini essenziali: pluralismo politico e religioso, economia mista, non allineamento. Ovvero, esisteva quella speranza che oggi è del tutto introvabile se non nella facile propaganda demagogico-retorica. Se negli anni Ottanta con la definizione «economia mista» si intendeva il settore privato e quello pubblico, attualmente lo stesso termine è usato per definire un “misto” tra il lavoro formale e quello informale. Un passo decisivo verso il socialismo, senza dubbio!

Un esempio a nostro avviso negativo della situazione attuale e delle politiche future è avvenuto il 24 novembre 2022 quando all’Asamblea Nacional tre allegri deputati del FSLN hanno presentato una proposta di legge per instaurare la «Giornata del lavoratore informale», denominandola ufficialmente ed eufemisticamente «Día de los trabajadores y trabajadoras por cuenta propia» e stabilendola per il 17 giugno, data nella quale gli arrestati del 2002 furono scarcerati, definendola «un omaggio per nobilitare e riconoscere il contributo di questo settore di lavoratori per lo sviluppo e il rilancio dell’economia del nostro Paese» (prima di proseguire, rileggete con attenzione queste parole e tenetele a mente: la “nobilitazione” del lavaggio dei vetri ai semafori contribuisce al rilancio dell’economia!).

Secondo le stime dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO-OIL) nel 2007 il tasso di disoccupazione era del 4,9%, nel 2009 dell’8,2%, nel 2019 del 3,3%, nel 2021 del 6% (il Banco Central conferma una cifra appena superiore al 5%). Tra il 2018 e il 2021, circa 200mila lavoratori sono passati dal lavoro formale a quello informale come unica alternativa alla crescente disoccupazione, con il quale si sopravvive alla giornata o, come si dice da queste parti: coyol quebrado coyol comido.*

D’altro canto, dal 2007 a oggi il settore del lavoro informale è notevolmente aumentato, essendo sempre più scarse le opportunità per quello formale che, peraltro, offre stipendi decisamente insufficienti per vivere dignitosamente (il salario minimo medio non raggiunge i 200 dollari mensili): una pandemia che crea più vittime del Covid-19. Per quanto, stando ai dati disponibili, una parte degli informali guadagnino leggermente di più rispetto ai lavoratori formali non qualificati, definire quella informale come «economia creativa» ci pare una vera e propria presa in giro, soprattutto quando si propaganda e si giustifica un’attività precaria e senza tutele come «opportunità di sviluppo e di prosperità» (pp. 49). La fotografia fornita è: «Questa Maggioranza del Popolo comprende piccoli e medi produttori; i protagonisti dell’economia familiare, creativa, imprenditoriale, popolare e di comunità (gastronomia, piccole imprese e imprenditori)» (p. 63).

Ci vuole parecchia fantasia (malata) nel definire «imprenditore» il carretonero, venditore di frutta e verdura che con il suo carretto tirato o spinto a mano per le strade assolate o piovose (in base alla stagione) de sol a sol dall’alba al tramonto, o la ragazza assunta in una famiglia più o meno acomodada per svolgere le faccende domestiche (con bassi salari e interminabili giornate di lavoro), o il lustrascarpe, o il ragazzino scalzo e malvestito che ai semafori vende cianfrusaglie agli automobilisti di passaggio o lava i vetri delle auto. E, nel documento stesso, si dichiara che tutti costoro sono la «Maggioranza del Popolo» (difficile ignorarlo e pure occultarlo). Lo stesso vale per la definizione di «piccole imprese» per quelle attività personali o familiari di piccolo commercio che non hanno alcuna sicurezza sociale né protezione né alcunché da parte del Buon governo. Il quale, por remate, con la Legge n. 1054 del 17 dicembre 2020 (Ley de Rótulos), pretende il pagamento di una tassa annuale (peraltro non piccola per le tasche di un nicaraguense) pure per l’esposizione di cartelli scritti a mano: «Hay nacatamales», «Hay frijoles cocidos», «Hay hielo», «Hay gaseosa», «Hay guaro»… È del tutto inesistente qualcosa che possa assomigliare al reddito di cittadinanza come pure ai Centri per l’impiego (qualcuno potrebbe sorridere pensando che è meglio non crearli che averli non funzionanti). Altro che «Queremos pan con dignidad», come si cantava negli anni Ottanta…

Abbiamo di recente visto con i nostri occhi un veicolo della polizia con la scritta «Equipo técnico de investigación» dal quale un agente fotografava con cura tutti i cartelli esposti nelle case sul lato sinistro di una strada in un quartiere popolare. Un’indagine poliziesca per individuare i cartelli abusivi che non pagano le dovute tasse. Nel frattempo, sul marciapiede di fronte, un gruppetto di ragazzotti stava tranquillamente spacciando piedra (crack).

Nel Nicaragua di oggi, socialista per definizione propagandistica, dove il 60% della popolazione è in età lavorativa, è assai difficile passare davanti a un’abitazione privata che non esponga un cartello (naturalmente abusivo) nel quale si comunica al passante che «Hay cualquier cosita…». E la maggior parte di quelle che ne sono sprovviste è perché tutti sanno cosa vi possono acquistare. Secondo gli ultimi dati ufficiali del 2011 (aggiornati nel 2013) sono ben 320mila i ragazzini lavoratori informali (minori di 14 anni), per quanto la Costituzione proibisca il lavoro minorile (art. 84) e l’OIL abbia determinato in modo chiaro e incontrovertibile che qualsiasi attività lavorativa priva il minore della propria infanzia, rovina gravemente la sua dignità e danneggia il suo sviluppo sia fisico sia mentale. In questo panorama economico-sociale, che a dir poco è desolante, l’economia informale rappresenta un terzo del Prodotto Interno Lordo del Paese. Sarà pure socialismo, ma a tutti gli effetti si tratta più di una socializzazione della miseria, con un drammatico incremento del fenomeno delle diseguaglianze.

Definire con esattezza cosa sia il lavoro informale non è semplice, data la complessità del fenomeno e anche equipararlo al nostro lavoro nero non sarebbe del tutto corretto, poiché pure lo spaccio di droga e l’usura, a tutti gli effetti, ne fanno parte. Del resto, non esiste alcuna legge che ne stabilisca i criteri né lo regolamenti. Se in genere è visto e vissuto come una soluzione temporanea, a tutti gli effetti diventa stabile in mancanza di qualunque possibilità di un lavoro formale.

Svariati studi segnalano che in Nicaragua esiste il tasso più elevato di lavoro informale nell’intera America latina, ma nessuno pensa di istituire quanto meno un registro nazionale, che sarebbe il primo passo per la valutazione quanti-qualitativa del problema e per l’avvio di questi lavoratori verso un’attività formale. Nel 2004, all’epoca del governo Bolaños, alcuni indicavano il 72,4%; nel 2014, già con Daniel (dopo sette anni di Buon governo), era salito al 74,9%. Secondo i dati ufficiali del Banco Central, nel 2020 su 2,3 milioni di Popolazione economicamente attiva, ben 1,3 milioni erano nel settore informale (il 56,5%), ma in realtà nessuno ha mai fatto un censimento serio e attendibile di questo settore economico, se non inchieste parziali, assai limitate e sostanzialmente inutili per fotografare il fenomeno. Un dato indicativo è che l’organizzazione sindacale Confederación de los Trabajadores por Cuenta Propia (CTCP-FNT), sorta dall’originaria Asociación de Trabajadores de los Semáforos, raggruppa oltre 85mila lavoratori dei vari settori informali ed è la più grande del Nicaragua. Non c’è che dire: pure l’informalità può essere sindacalizzata, ma non eliminata poiché fa parte integrante dell’economia nazionale e contribuisce allo sviluppo del Paese. Lo stesso si potrebbe dire dello spaccio, dell’usura e di tante altre forme di “sviluppo” economico, ritenute però illegali (ma non tanto illegali quanto i cartelli abusivi).

Per fare un semplice raffronto, in base ai dati ufficiali dell’INSS (istituto di previdenza), nel 2022 hanno versato i loro contributi previdenziali: 67mila lavoratori nel settore agricolo, e 182mila nel settore industriale.

Nel documento si parla spesso del ripristino della pace sociale dopo le proteste del 2018, alla quale è strettamente connesso il buon funzionamento dell’economia ma, per quanto si provi a cercare riferimenti alla creazione di nuove attività non precarie o a meccanizzazioni nel settore rurale (dove pure è alto il tasso di lavoratori informali), in questo Plan nacional de lucha contra la pobreza 2022-2026 non si trova un solo accenno. A tutti gli effetti, il lavoro in Nicaragua era e resta a la buena de Dios. Tanto che il tasso di povertà è salito dal 13,5% del 2019 al 14,6% del 2021.

Con la scusa di aver recuperato la stabilità economica dopo la “scossa” del 2018, il Buon Governo ha deciso di ridurre (da questo febbraio 2023) all’1% l’aumento annuale del cambio ufficiale con il dollaro. Il che significa un impatto notevole sul potere d’acquisto di migliaia di famiglie. Nel 2019 l’aveva già ridotto dal 5% (vigente dal 2004) al 3%, dal 1° dicembre 2020 dal 3% al 2%. È probabile che con ciò si riduca un po’ l’inflazione, ma di certo chi campa con le rimesse dall’estero (buona parte delle famiglie), riceverà meno pesos in cambio del dollaro, diminuendo il proprio potere d’acquisto e la propria qualità di vita.

A causa della pandemia, si calcola che nel biennio 2020-2021 almeno il 10% dei lavoratori formali siano passati a un’attività informale: il Nicaragua rimane uno dei Paesi meno sviluppati dell’America Latina, dove l’accesso ai servizi di base è una sfida quotidiana: un vicino di casa, ricoverato in un ospedale, è stato lasciato a digiuno per esami per ben cinque giorni, a causa del macchinario non funzionante. Oltre alle patologie delle quali soffre, ha la veneranda età di 94 anni e qualche anima pia si è resa conto che non aveva senso lasciarlo senza cibo finché il macchinario non fosse stato aggiustato. Per non sapere né leggere né scrivere, i familiari hanno firmato per riportarlo a casa.

Un dato che indica il calo dell’occupazione formale è che, sempre secondo i dati ufficiali, tra marzo e settembre del 2022 i lavoratori che effettuavano versamenti all’INSS erano scesi di oltre 4mila unità nel settore industriale e ancora di più in quello agricolo. Tutti costoro sono passati al settore informale o sono fuggiti dal Paese in cerca di una migliore sistemazione (nel 2018 le richieste di asilo politico in Spagna, Costa Rica e Stati Uniti furono 27.726; nel 2021 erano salite a 141.686: dato che mostra con tutta evidenza il degrado delle condizioni socio-economiche del Paese (oltreché di quelle politiche). Aggiungendo coloro che non hanno richiesto l’asilo politico, si arriva a 300-350mila persone (circa il 5% della popolazione, in buona parte giovani: il futuro del Paese).

Men che meno gli allegri tre deputati del gruppo orteguista che hanno proposto l’istituzione della giornata dedicata ai lavoratori informali (Milciades Adrián Martínez Rodríguez, Flor de María Avellán Martínez e Rubén de Jesús Gómez Suárez) si sono posti il problema di risolvere questa situazione ormai incancrenita, o quanto meno avviare una politica di riduzione con quelle che da noi si chiamano pomposamente «politiche attive del lavoro». Al di là del facile populismo, a livello simbolico potrà anche avere un senso, ma nel concreto otterrà lo stesso effetto della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne (fisica e psicologica), istituita dall’Assemblea generale dell’ONU con la risoluzione 54/134 del 17 dicembre 1999, senza riuscire a farla diminuire: ogni giorno nel mondo si verificano 137 femminicidi (48 in Nicaragua nel corso del 2022), senza contare le altre forme di violenza, tutte egualmente esecrabili.

Inutile ricordare che nel Programa histórico del Frente Sandinista era prevista «L’eliminazione della piaga della disoccupazione», causa prima della povertà e del lavoro informale per sopravvivere alla meno peggio. Iniziare a eliminare la disoccupazione con la creazione di posti di lavoro dignitosi e stabili che sostengano davvero lo sviluppo non solo economico della società è una cosa ben diversa dall’istituire una Giornata del lavoro informale (o, eufemisticamente, del lavoro in proprio), continuando a mantenerlo senza regole né tutele, definendolo fantasiosamente «economia creativa», mutuando una definizione che descrive una condizione assai diversa dal lavoro improvvisato e informale, poiché si basa sull’interazione tra creatività e idee, proprietà intellettuale, conoscenza e tecnologia (quelle che da noi si chiamano «startup»). Sarà disattenzione da parte nostra, ma non ci risulta l’esistenza di un venditore di nacatamales, di fagioli cotti o di quajada con il suo bel sito Internet sul modello Amazon, Walmart o Alibaba. O, forse, sarà che una caratteristica comune e indiscutibile di tutte le attività informali è la bassa produttività, dovuta all’uso di tecnologie obsolete (o nessuna) e al lavoro non qualificato. Oltre a ciò, l’informalità è sinonimo di assenza di diritti, reddito precario e protezione sociale inesistente.

In un documento ufficiale del Banco Central de Nicaragua (BCN), pubblicato dopo nove anni di presidenza Ortega, si legge: «Uno dei costi più importanti dell’informalità citati in letteratura è l’esclusione sociale. Di conseguenza, molte persone che sono ai margini della società, poiché il loro capitale umano è basso, sono inclini a credere che, nonostante i loro sforzi, né loro né i loro discendenti avranno l’opportunità di ascendere. Questa convinzione può impedire alle persone di fare investimenti significativi nel capitale umano delle generazioni future, vedendo poca ricompensa potenziale. Di conseguenza, l’effetto dell’emarginazione può potenzialmente estendersi attraverso le generazioni» (Determinantes de la informalidad ed Nicaragua, Revista de Economía y Finanzas BCN, novembre 2016. p. 213).

Inutile ricordare che l’art. 80 della Costituzione afferma che «Il lavoro è un diritto e una responsabilità sociale. Il lavoro dei nicaraguensi è il mezzo fondamentale per soddisfare i bisogni della società, del popolo ed è fonte di ricchezza e prosperità per la nazione. Lo Stato cercherà il pieno e produttivo impiego di tutti i nicaraguensi, in condizioni che garantiscano i diritti fondamentali della persona». Belle parole ma, come da noi, del tutto ignorate (artt. 3 e 4 della nostra Costituzione). Se la povertà sparisse da un giorno all’altro con un colpo di bacchetta magica, come si potrebbe continuare a propagandare un futuro di rose e fiori, con «caudalosos ríos de leche y miel»?

Siamo ben coscienti che la formulazione di politiche pubbliche tendenti a ridurre l’informalità è un compito complesso che parte dall’industrializzazione in grado di assorbire questo enorme «esercito industriale di riserva» (terminologia vetero-marxiana) e contribuire alla reale indipendenza del Paese non dipendendo dalle importazioni; ma, a quanto pare, per i tre deputati pseudo-sandinisti «il pieno e produttivo impiego di tutti i nicaraguensi» lo si raggiunge istituendo una Giornata dedicata al lavoro informale: un passo decisivo verso il progresso dell’intero Paese e delle condizioni di lavoro di questi iper-precari che tentano di sopravvivere alla meno peggio. Non occorre essere laureati in economia per comprendere una semplice equazione: la povertà è uno dei fattori alla base della crescita dell’economia informale e il basso reddito guadagnato che si ottiene con questi lavori crea un circolo vizioso di povertà.

Certamente, se tornasse il neoliberismo la situazione sarebbe assai peggiore dell’attuale, per questo è auspicabile da parte del Buon governo di almeno un minimo di concretezza (ma non esiste alcuna politica pubblica di promozione dell’impiego formale, avendo per anni lasciato il mercato del lavoro nelle mani degli industiali locali e stranieri, lasciandogli fare il bello e il cattivo tempo). Se davvero si vuole far uscire il Paese dall’arretratezza congenita che lo attanaglia occorre quanto meno realizzare un’industria di trasformazione gestita cooperativamente con l’aiuto dello Stato, che genererebbe una maggiore entrata per es. esportando cioccolato invece di cacao (ossia di un prodotto lavorato, con valore aggiunto). Ciò, però, non rientra nei piani di sviluppo del Buon governo. Purtroppo, pare che in Nicaragua il sottosviluppo non sia una questione prettamente economica, bensì mentale, che non sia nell’economia bensì nei cervelli (soprattutto di coloro che stanno in alto e forniscono pessimi esempi a chi sta in basso). Non stiamo esagerando: il presunto Buon governo che, nella pratica politico-economica è sostanzialmente neoliberista, neppure è capace di copiare e adattare alla realtà nicaraguense la legislazione cubana sul trabajo por cuenta propia (2011-2021). Forse, il problema è che i cuentapropistas cubani sono una cosa ben diversa dai lavoratori informali del Nicaragua (se a Cuba c’è povertà, in Nicaragua c’è miseria) e, soprattutto, il Governo cubano fa meno demagogia e più azioni concrete (o, quanto meno, ci prova).

Se la medesima situazione è vissuta da almeno 140 milioni di latinoamericani su 650, ciò non significa che il mal comune… significa che in Nicaragua c’è ben poco di socialismo e parecchio di capitalismo straccione, appena un po’ più moderno del feudalesimo. Con un mercato del lavoro intrappolato nella precarietà a vita pure per le generazioni future.

In conclusione, una domanda cattivella sorge spontanea: cosa faranno le migliaia e migliaia di creativi lavoratori informali nella Giornata a loro dedicata, il prossimo 17 giugno? Se ne staranno in panciolle dondolandosi su una creativa amaca sotto l’ombra di un frondoso e creativo madroño, ascoltando il melodioso canto di un creativo guardabarranco e aspettando che qualche creativo peso cada dal creativo Cielo per volere di un creativo Dio o faranno, creativamente, la stessa cosa degli altri 364 giorni dell’anno?

* Il coyol (Acrocomia aculeata) è un frutto commestibile conosciuto fin dall’epoca precolombiana. La frase significa sopravvivere alla giornata, spendendo ogni giorno i propri guadagni fino all’ultimo centesimo: quando non si ha un reddito fisso o questo è insufficiente a coprire tutte le spese, le possibilità di risparmiare per il futuro (il puro e semplice domani) sono pressoché nulle.

Redazione
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