Troverete un comunicato, due prese di posizione, un appello e un’analisi.
- come punto zero da cui partire è bene dare voce al comunicato della Assemblea Monteverde Antifascista in merito all’attacco alla Sinagoga;
- Poi le valutazioni di Enrico Semprini sulla questione dell’attacco alla Sinagoga;
- Un potente intervento di Stefano Bartolini contro le proposte di legge che si presentano come “contro l’antisemitismo”;
- Un appello tratto da “GLI STATI GENERALI” contro quel decreto da parte di studiose e studiosi, scrittrici e scrittori della storia ebraica;
- L’intervista fatta da Danny Katch a Shane Burley e Ben Lorber autori del libro “Safety Through Solidarity”;
- In coda i nostri link.

E SE NON FOSSE UNA PROVOCAZIONE DELLA POLIZIA…?
di Enrico Semprini
L’azione contro la Sinagoga e la lapide dedicata a un bambino di due anni, Stefano Gaj Taché, fatta in concomitanza del corteo di solidarietà con la Palestina soddisfa talmente tanto le esigenze dell’apparato mediatico e repressivo italiano che la prima reazione nella mia testa è stata di pensare che fosse un gesto organizzato ad arte dai servizi segreti o dalla questura.
Le caratteristiche ci sarebbero tutte: hanno cercato fin dall’inizio, in modo costante e continuativo, di costruire l’abbinamento tra antisionismo ed antisemitismo e l’azione sembrava il compimento dei desideri dei venditori di armi nostrani, dei politici vicini a Netanyahu, di tutti i mass media più importanti. Hanno la necessità, per sentirsi preveggenti, di poter dire che l’ipotesi regge, che è vero che le cose stanno così e che hanno sempre avuto ragione.
Poi mentre facevo la doccia, un brivido raggelante mi ha percorso la schiena: e se dovessi rivolgere l’odio che provo contro i razzisti non ad una persona prezzolata dallo stato, non ad un fascista (pro-sionista nei fatti) ma…a due persone che frequentano davvero i nostri spazi?
Non lo credo possibile ma l’idea è talmente raccapricciante che mi sono sentito nella necessità di ripescare un vecchio scritto e di riproporre un poco di memoria storica per rinfrescare di nuovo a cosa si riaggancia il fare vandalismo su di una Sinagoga e addirittura su di una lapide in memoria di un bambino.
CONTRO IL RAZZISMO SEMPRE!
Siamo contro il sionismo diciamo, perché è una teoria, nonchè pratica, coloniale di insediamento.
Eppure ci chiediamo raramente come sia nato il sionismo.
Nasce come reazione al nazismo?
No, la ipotesi sionista nasce a fine ottocento quando il nazismo non esisteva; il nazismo ha però svolto, nel discorso pubblico, la funzione di legittimare la ipotesi sionista.
Allora perché nasce l’ipotesi sionista?
Per via della più che millenaria persecuzione antigiudaica che caratterizza il mondo cristiano, sia nella sua componente protestante che cattolica.
Si ha notizia di persecuzioni contro gli ebrei anche prima dell’anno 1000 ma certamente la affermazione del cattolicesimo come religione dell’impero romano, vede una progressiva intolleranza verso altre forme di pensiero non cristiano. Potremmo dire che inizia con la chiusura delle scuole filosofiche a far data dal 528 dopo Cristo per ordine di Giustiniano.
Tuttavia il massimo splendore dell’epoca della intolleranza si sviluppa dopo l’anno 1000 con le prime crociate che partono dal 1095. Durante l’assedio di Gerusalemme del 1099 << È stato riportato che durante il massacro di Gerusalemme della Prima crociata i Crociati “[circondarono] l’umanità urlante, torturata dalle fiamme, cantando ‘Cristo noi ti adoriamo!’ sollevando in alto le loro croci.” I musulmani furono uccisi indiscriminatamente e gli ebrei che si erano rifugiati nella loro sinagoga furono uccisi quando questa fu data alle fiamme dai Crociati. >>
Andiamo avanti per sommi capi: il 31 marzo del 1492, all’interno del contesto culturale de “la limpieza de sangre” (“la limpidezza del sangue”) si verifica in Spagna: <<Nel XV secolo i sovrani smisero di proteggere gli ebrei.
Con la fine della Reconquista alla fine del XV secolo la persecuzione diventò espulsione: nell’aprile del 1492 Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona imposero a 200.000 ebrei di lasciare il regno entro il 1° di luglio.
Gli ebrei dovettero lasciare tutti i loro averi o barattarli con altri oggetti, poiché non potevano uscire dal regno con denaro contante; solo i più esperti barattarono i propri averi con titoli validi in tutta Europa.
Nel XVI secolo le persecuzioni si spostarono su tutti quelli che avevano anche solo un antenato ebreo: si riteneva avessero ereditato con il sangue l’odio per Gesù Cristo.
Dal 1540, per molte cariche pubbliche e religiose, divenne obbligatorio dimostrare la “purezza di sangue”, la limpieza de sangre appunto, attraverso una certificazione che assicurasse, risalendo fino ai nonni, l’assenza di antenati ebrei. >>
Poi è con l’editto di papa Paolo IV del 14 luglio 1555 che: <<la Chiesa decise di emanare un provvedimento restrittivo per la comunità ebraica dello Stato Pontificio. Inoltre, pareva inaccettabile che si stesse lottando a oltranza contro i protestanti, mentre si tolleravano coloro che negavano la divinità di Cristo.
In particolare, la bolla impose agli ebrei l’obbligo di portare un distintivo turchese (glauci coloris), li escluse dal possesso di beni immobili e vietò ai medici ebrei di curare cristiani. La bolla sancì inoltre la costruzione di appositi ghetti entro i quali gli ebrei avrebbero dovuto vivere e portò alla creazione, fra l’altro, del ghetto di Roma.>>…È la prima delle bolle papali che lo storico Attilio Milano ha qualificato, insieme alla Hebraeorum gens (1569) e alla Caeca et obdurata (1593) come bolle infami… >>
Almeno sin dall’XI secolo, nei casi più estremi e nelle circostanze più tragiche la risposta ebraica alla violenza dei cristiani trova modo di materializzarsi, specialmente nell’area ashkenazita, tramite la pratica del qiddush ha-Shem: ossia nella “santificazione del Nome” (di Dio), che consiste nell’accettare il martirio – spesso tramite il suicidio collettivo – piuttosto che opporre violenza alla violenza, o piegarsi all’apostasia (chiamata per converso chillul ha-Shem, “profanazione del Nome”).
Insomma la storia dell’occidente è storia di oppressione, discriminazione e colonialismo.
E’ solamente attraverso il pensiero rivoluzionario che si instaura un varco per i diritti: è con la rivoluzione francese che viene promulgata nel 1789 la carta dei diritti dell’uomo (sic) e del cittadino. E sono le resistenze anticoloniali e le lotte operaie e femministe a sviluppare una tradizione che riconoscesse i diritti di una fetta sempre più larga di umanità.
Ma ancora alla fine dell’ottocento la persecuzione di un ufficiale francese di nome Alfred Dreyfus stava a dimostrare come l’antisemitismo fosse e restasse una caratteristica peculiare della storia europea. Ed è li che nacque l’idea del sionismo, per la convinzione maturata in ambienti ebraici (la maggioranza dei quali non religiosi) che l’unico modo di preservare i seguaci dell’ebraismo o figli o parenti di essi, dovesse essere quello di costruire un ghetto-nazione in cui preservare la loro vita e la loro dignità.
Pertanto solo chi lotta contro l’intolleranza, contro il razzismo e dunque contro fascismo e nazismo, può legittimamente mettere in dubbio e contestare la legittimità dell’ipotesi sionista: per noi ogni persona seguace, figlio o figlia o anche solo parente di religiosi ebraici DEVE poter sentirsi al sicuro in Europa senza doversi sentire minacciata o minacciato.
Solo chi è contro i pregiudizi di religione, di sesso e di razza può contestare un progetto coloniale che non avrebbe mai dovuto essere concepito da nessuno come necessario.
E’ evidente che esistono antisemiti che vedono di buon occhio il fatto che gli ebrei debbano andarsene dall’Europa per colonizzare la Palestina: noi contestiamo alla radice questo principio.
La libertà di religione deve essere fondamento della società in cui viviamo, così come la libertà di critica di quelle stesse religioni.
I desideri del nemico…
…non sono misteriosi: il governo in carica in Israele necessiterebbe di un rilancio dell’antisemitismo in Europa fatto in stile fascista e nazista, contro persone disarmate alla vigliacca e lo hanno sollecitato continuamente in tutti questi mesi. Spererebbero che si manifestasse in modo significativo anche se hanno il problema che solo i fascisti possono continuare a godere dello spettacolo del genocidio senza battere ciglio e per questo non si muovono.
Nelle nostre file la battaglia contro ogni tentennamento in merito deve essere impietosa: in questo blog cerchiamo di fare la nostra parte per lottare sul piano culturale, della conoscenza e della analisi politica.

Criticare Israele non è antisemita, è antifascista
di Stefano Bartolini
Veniamo direttamente al punto di quanto siano strumentali e vergognose tutte queste proposte di legge sull’antisemitismo basate sulla definizione dell’IRHA. La prendo sul personale. Io sono nato da madre ebrea e sono cresciuto in una famiglia ebraica, con tutto il corollario di pesach con uovo sodo al primogenito maschio da mangiare senza farsi vedere, hanukkah, vagamente rosh hashanah. Famiglia non particolarmente praticante ma credente (io non credo, ma è evidente che l’ebraismo così come non è questione di razza non lo è nemmeno di credo, cosa poi sia è discorso aperto). Per non parlare della memoria delle persecuzioni, da quelle mitologiche dei faraoni a quelle vicine e concrete dei fascisti e della Shoah. Insomma io sono cresciuto da ebreo, con arredi e ninnoli vari in casa e il peso di un nonno partigiano delle Garibaldi che si chiamava niente di meno che Israele (lo trovate sull’home page del sito dedicato agli ebrei resistenti italiani del Cdec). Per mio nonno ho ottenuto postumo dallo Stato italiano il riconoscimento di perseguitato razziale sulla base della documentazione di archivio che ho raccolto. È nella vita da storico ho lavorato tanto sull’antisemitismo, il razzismo, il nazionalismo, il fascismo. Oltretutto si può dire che sono diventato antifascista fin dalla tenera età perché sapevo che ero ebreo, che i fascisti ci avevano sterminato per quel che eravamo e dunque era chiaro che nel fascismo c’è qualcosa di intrinsecamente malvagio.
E poi c’è Israele, lo stato. Con Israele ho dovuto fare un lungo percorso. Non che in casa fossero sionisti (nessuno ha mai fatto l’aliyah) o ferventi sostenitori di Israele, sono sempre stati semmai tutti per lo più indifferenti a quel che succedeva in un posto lontano e esotico mentre erano intenti a fare la cena di natale senza nemmeno un cristiano a tavola. Ma quest’idea che di là dal mediterraneo ci fosse una patria di riserva in cui andare a rifugiarsi qualora avessero iniziato di nuovo a farci fuori te la passano. Forse è come ha detto Tony Judt, ormai noi laici in diaspora non troviamo altro fondamento al nostro essere ebrei se non che i nazisti hanno provato a farci tutti fuori. Quindi partiamo da qui. Poi che è successo?
La “patria di riserva” della quale avrei diritto a chiedere la cittadinanza secondo le sue leggi, crescendo è iniziata a diventare un posto che portava avanti politiche profondamente ingiuste verso gente nativa del posto. Inizialmente è iniziata a essere una “patria di riserva” governata da gente non propriamente lungimirante, che sbagliava tutto (e nel farlo ci metteva di nuovo a rischio). Poi a un certo punto mi sono

ritrovato a ospitare a più riprese in casa mia un moderno Odisseo proveniente da Gaza. Non dimenticherò mai il suo terrore negli occhi la prima volta che entro nella mia casa materna è scopri dagli arredi di essere finito in una casa di ebrei. Mi chiese atterrito se eravamo fanatici. Io scoppiai a ridere e gli dissi tranquillamente mi casa es tu casa. Ma non ho mai smesso di pensarci. Quindi eravamo giunti a questo? Per un palestinese nato e cresciuto a Jabalya il primo tema con un ebreo era appurare se fosse un fascista che aveva in mente di eliminarlo.
A quel punto ho iniziato a pensare che era giunta l’ora di andare a vedere di persona cosa erano Israele e la Palestina. Scelsi di farlo da solo, senza contatti, senza agganci in loco, io e il mio fedele zaino da viaggio. Mia madre insistette perché parlassi prima con un’amica di famiglia che c’era stata molte volte. Questa mi spiego minuziosamente i posti in cui andare e quelli dove non andare. Quelli in cui andare erano quelli sicuri perché “lì c’è pieno di soldati”. Io avevo già fatto tutto il movimento no global, pensai che avevamo un’idea diversa di cosa è la sicurezza. Quindi arrivai a Gerusalemme e come Philip Roth in Operazione Shylock scoprii subito che nella “patria di riserva” non fregava niente a nessuno che ero ebreo. E ci può stare. Fuori dalle fantasticherie dell’aliyah era un po’ come un argentino di cultura italiana che atterra a Roma e dice “io sono italiano”: embè? Dunque me ne andai in tutti i luoghi dove mi era stato sconsigliato di andare e – pericolo assoluto – mi addentrai nei territori occupati, a Betlemme, a Ramallah, nei campi profughi, dove fui accolto da gente ospitale e simpatica. E solo soletto me ne andai a porgere i miei omaggi alla tomba di Yasser Arafat. Ma attraversare quell’inquietante muro di cemento che rende i territori occupati la più grande prigione del mondo – testimonianza concreta della persecuzione – ti ricordava il tuo previlegio di occidentale che se ne può andare in su e giù tranquillamente. E soprattutto ti ricordava con le sue torrette quell’incubo di un campo in Polonia. Non del tutto contento ci tornai due anni dopo, questa volta con alcuni amici e con un appuntamento con Breaking the silence per andare nei campi profughi a sud di Hebron, quelli in cui è girato No other land, passando per qualche colonia israeliana. A quel punto inizi definitivamente a capire. Quella non è una “patria di riserva” che sbaglia. Quello è uno stato razzista e colonialista criminale che fonda su basi razziali la sua cittadinanza e il suo diritto a esistere, tenuto in piedi con la forza del dominio e del sopruso e attraversato da orde di squadristi che si chiamano coloni. È uno stato fascista che si atteggia a democratico attraverso alcune esteriorità occidentali. E che, come facevano i fascisti italiani, pretende che ci sia un’identità tra ebraismo e sionismo, e chi la rigetta è antisemita. Ma io lo sapevo che i fascisti dicevano che erano anti-italiani gli antifascisti. E poi vedi anche che nelle librerie dove vendono libri in inglese – ce ne sono molte – ci sono volumi in bella vista, best seller, dove si spiega che la soluzione finale della questione palestinese è prendersi tutto e fare fuori – in qualsiasi modo – questi scomodi palestinesi.
Ed ora eccoci qui. Davanti a una sequenza di proposte di legge tutte uguali proposte da fascisti o da finti antifascisti che pretendono non solo di dirmi ma di impormi per legge che criticare quello stato è antisemita. Ma questo è falso. Criticare quello stato è antifascista. E su questo sarò chiaro. L’unico stato che conosco che ha diritto a esistere è uno stato democratico, autodeterminatosi, non nazionalista e nemmeno nazionale, con regole di cittadinanza inclusive e non su basi razziali, etniche, nazionaliste, mitologiche, bibliche. Uno stato dove non ci sono cittadini di serie A e di serie C (se non ci fossero nemmeno per classe sarebbe meglio, ma questo sarebbe già quell’altro stato che continuiamo a agognare). Questo Israele non è non potrà mai essere, perché è uno stato che fonda il suo diritto di esistere sulla forza, la violenza, l’apartheid, il sopruso, il dominio, la promessa divina. Di fronte a questo, l’unica proposta democratica è quella di uno stato solo, che si chiami come si è sempre chiamato quel posto, Palestina, dove fino a quando non sono arrivati dei colonialisti occidentali animati da un’ideologia nazionalista e rapace chiamata sionismo si viveva tranquillamente in pace tra ebrei, mussulmani e cristiani di ogni sorta, tutti palestinesi. E dire questo non è assolutamente antisemita, perché io continuerò ad avere i miei ninnoli ebraici in casa, e vorrei semmai poter tornare a mangiare il mio uovo sodo a pesach senza dovermi vergognare per il timore di essere accomunato a una banda di criminali che non mi rappresenta ma che pretende fascisticamente di parlare in mio nome, con l’ausilio dei suoi alleati fascisti e finti antifascisti occidentali. E che mi denuncino pure, zitto non ci sto, né ora né poi. Anzi, mi faranno il piacere di sanzionare per legge che sono un dissidente, elevandomi di status.

“IL DDL contro l’antisemitismo è un attacco alla libertà di legittima critica”
Riceviamo e pubblichiamo un documento di studiosi e studiose e scrittori e scrittrici di storia degli ebrei e dell’antisemitismo contro tutti i DDL che equiparano critica a Israele e antisemitismo, attualmente in discussione al Parlamento italiano. Gli studiosi e scrittori denunciano il rischio dell’uso politico dell’accusa di antisemitismo, quello di repressione della libertà di opinione e parola, a cominiciare dalla legittima critica al governo israeliano, come già avviene negli USA di Trump e in diversi Paesi europei e l’Italia dovrebbe evitare.
Noi, studiosi e studiose di storia degli ebrei e dell’antisemitismo, insieme a scrittori e scrittrici che si occupano di mondo ebraico o che difendono la libertà di parola e di opinione, riteniamo inaccettabili e pericolosi i disegni di legge oggi in discussione sulla prevenzione e il contrasto dell’antisemitismo. Tali proposte recepiscono la controversa definizione di antisemitismo dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), contestata a livello internazionale da molti dei maggiori specialisti di storia dell’antisemitismo e della Shoah, e ignorano la più equilibrata e autorevole Jerusalem Declaration on Antisemitism promossa da questi ultimi. In questo modo si finisce per equiparare qualsiasi critica politica a Israele all’antisemitismo. È questo il presupposto che accomuna i quattro disegni di legge in esame: Romeo (Lega), Scalfarotto (Italia Viva), Graziano Delrio e altri (PD), Gasparri (Forza Italia), quest’ultimo con una proposta che interviene persino in ambito penale.
Queste iniziative legislative da un lato banalizzano l’antisemitismo; dall’altro, come si è visto anche nella recente offensiva del governo Trump contro le principali università americane, usano la lotta all’antisemitismo come strumento politico per limitare la libertà del dibattito pubblico, della ricerca e della critica legittima a Israele, che da anni porta avanti politiche violente, autoritarie e perfino genocidarie contro i palestinesi.
Riteniamo controproducente, ai fini di un efficace contrasto dell’antisemitismo, introdurre leggi speciali che di fatto lo separano dalla lotta contro ogni forma di razzismo. Stabilire un presunto privilegio di esenzione dalla critica politica ed etica “in favore degli ebrei” (e solo di questi) – che nei fatti tutela solo chi sostiene in modo incondizionato le ragioni di Israele – non può che alimentare nuova ostilità e ulteriore antisemitismo. Quest’ultimo certamente è esistente ed esiste ma va sempre contrastato accanto a islamofobia, razzismo ed ogni forma di discriminazione.
Promuovono la dichiarazione (in ordine alfabetico):
Anna Foa, Università di Roma La Sapienza
Roberto Della Seta, giornalista e saggista
Helena Janczek, scrittrice
Carlo Ginzburg, Scuola Normale Superiore e UCLA
Lisa Ginzburg, scrittrice
Gad Lerner, giornalista e scrittore
Giovanni Levi, Università Ca’ Foscari Venezia
Stefano Levi Della Torre, scrittore
Simon Levis Sullam, Università Ca’ Foscari Venezia
Bruno Montesano. Università di Torino
Valentina Pisanty (Università di Bergamo)
Roberto Saviano, scrittore

Bisogna conoscere e combattere l’antisemitismo vero e proprio, che è in aumento. E minaccia non solo gli ebrei ma qualsiasi progetto di sinistra
Il Partito repubblicano è in balia della politica nazionalista bianca, che a sua volta è fortemente influenzata da vecchi stereotipi cospirazionisti che tirano in ballo reti ebraiche nascoste e potenti. Sfortunatamente, la maggior parte del discorso pubblico sull’antisemitismo ha poco a che fare con questa tendenza inquietante. Al contrario è quasi interamente diretto a criminalizzare e reprimere le proteste contro il genocidio dei palestinesi da parte di Israele. Mentre la sinistra si difende dalle false accuse di antisemitismo, tuttavia, abbiamo bisogno di chiarezza e di un piano strategico per combattere l’antisemitismo vero e proprio, che è in aumento e minaccia non solo gli ebrei ma qualsiasi progetto di sinistra.
Questo è l’obiettivo di Safety Through Solidarity: A Radical Guide to Fighting Antisemitism. Gli autori, Shane Burley e Ben Lorber, da anni si occupano di estrema destra e lavorano nei movimenti sindacali e di solidarietà con la Palestina. In un momento in cui molti di coloro che accusano gli altri di antisemitismo hanno difficoltà a definire di cosa stiano parlando, al di là dell’opposizione a Israele, Burley e Lorber intervistano decine di studiosi e attivisti ebrei e non ebrei per delineare una chiara storia dell’evoluzione dell’oppressione antiebraica nel corso di duemila anni, insieme a strategie su come la sinistra può identificare e combattere l’antisemitismo oggi.
Il libro sostiene che la sinistra ha bisogno di capire meglio la minaccia dell’antisemitismo. Perché è necessario questo argomento? E in che modo si differenzia dalle affermazioni della destra secondo cui la solidarietà con la Palestina è intrinsecamente antisemita?
Ben Lorber: Shane e io volevamo scrivere questo libro perché la sinistra stava sviluppando un’analisi forte, strutturale e intersezionale di tante altre forme di oppressione, ma c’è ancora questa tendenza a non vedere il ruolo che l’antisemitismo gioca nel sostenere strutture più ampie di ingiustizia. C’è una sorta di pregiudizio per cui l’antisemitismo è effimero o non strutturale per il nostro mondo, forse si ritiene che l’antisemitismo sia un retaggio del passato e che non vale la pena prenderlo sul serio.
Ci sono molti pericoli in questo approccio. Innanzitutto, crea un ostacolo alla trasformazione efficace del mondo, perché l’antisemitismo emerge come una valvola di sfogo specificamente nei momenti di crisi capitalista. I leader autoritari e nazionalisti usano fantasie di complotto per deviare la rabbia popolare dalle cause profonde e indirizzarle verso un capro espiatorio.
Inoltre, se non abbiamo una forte analisi di sinistra, se non parliamo con una voce autentica come persone di sinistra su questo problema, diamo alla destra la possibilità di elaborare la propria narrazione. E la loro narrazione è che solo Israele manterrà gli ebrei al sicuro e che l’antisionismo è antisemitismo.
Shane Burley: Mi sono occupato di estrema destra, e non c’è dubbio che l’antisemitismo giochi un ruolo di primo piano nel nazionalismo bianco. L’antisemitismo è la versione con cui la destra parla un linguaggio di classe, ma attraverso teorie e fantasie cospirative. Dobbiamo essere chiari su questo ed essere in grado di contrastarlo. Ma le istituzioni incaricate di combattere l’antisemitismo travisano la provenienza della minaccia, etichettando erroneamente l’antisionismo come antisemitismo, spostando energie per attaccare le proteste nei campus.
La nostra mancata comprensione dell’antisemitismo di destra crea anche un punto debole nel parlare di antisemitismo di sinistra. Ci sono momenti in cui la sinistra affronta teorie cospirazioniste che sono più ampiamente presenti a destra, ma possono adattarsi alla sinistra quando gli attivisti fanno analisi sbagliate o quando il populismo va oltre la teoria radicale.
L’idea che l’antisemitismo sia effimero o un retaggio del passato mi ricorda il modo in cui il razzismo anti-nero veniva discusso negli anni di Obama. Al contrario, voi sostenete che l’antisemitismo è un elemento strutturale permanente della società, motivo per cui le persone con idee cospirazioniste che non sono intenzionalmente antisemite spesso finiscono per imboccare quella strada. Potete dirci cos’è questo antisemitismo strutturale?
Ben Lorber: Per i sinistrorsi può essere difficile capirci qualcosa. Quando parliamo di oppressione strutturale, pensiamo alle politiche statali o alle disuguaglianze insite nell’economia o nell’edilizia abitativa. E ciò può certamente presentarsi in alcune forme di antisemitismo. Ma è più utile pensare all’antisemitismo, se si vogliono usare termini marxisti, nella sovrastruttura.
È un’ideologia che proviene principalmente dall’Europa cristiana. Circolavano questi tropi che demonizzavano gli ebrei in quanto altro dal cristianesimo. Gli ebrei venivano considerati capri espiatori come il male assoluto, come veri e propri diavoli, come predatori che predavano i bambini. Gli ebrei venivano incastrati in determinati ruoli economici e poi considerati capri espiatori come sfruttatori economici. Nel tempo, queste storie cristiane sugli ebrei nell’era moderna hanno costituito la base delle teorie cospirative di natura demonologica. Gli ebrei sono identificati in questo tipo di cospirazione globale immensamente potente e astrattamente intangibile che è letteralmente demoniaca.
Shane Burley: È stato incorporato nel pensiero occidentale, in particolare nel pensiero economico occidentale, che nasconde il processo produttivo nel capitalismo e porta le persone a teorie cospirazioniste su come risolvere le gravi questioni di classe. Anche se le persone non pensano consapevolmente che «gli ebrei controllano le banche» esistono questi luoghi comuni, questi metodi di pensiero che attingono a quella memoria collettiva. Perché l’antisemitismo ritorna? Perché è radicato nel concetto occidentale di come affrontare la crisi economica e sociale e di come rispondere alle condizioni che la disuguaglianza economica ha creato. Questo è parte di ciò di cui parliamo quando parliamo di antisemitismo strutturale: una falsa narrazione su come risolvere la stratificazione sociale e l’alienazione causate dal capitalismo.
L’antisemitismo strutturale esiste anche in modi che rispecchiano altri tipi di oppressione strutturale, sebbene non così endemici come l’anti-blackness o altre manifestazioni di supremazia bianca negli Stati uniti. Quindi, ad esempio, gli ebrei ortodossi hanno alti tassi di povertà, segnalano tassi sproporzionatamente alti di violenza della polizia e affrontano tassi più elevati di discriminazione sul posto di lavoro e negli alloggi. Ci sono manifestazioni di antisemitismo insite nelle strutture sociali.
Ben Lorber: Nel libro, abbiamo consigli pratici per gli attivisti che potrebbero incontrare questi luoghi comuni nel loro posto di lavoro. Ad esempio, abbiamo intervistato un sindacalista degli inquilini che racconta di andare porta a porta e sentirsi dire essenzialmente: «Il mio padrone di bassifondi è un padrone di bassifondi perché è ebreo». L’attivista discute di come questi luoghi comuni ostacolino un’analisi significativa del mercato immobiliare capitalista e della gentrificazione. Il nostro obiettivo è aiutare gli attivisti a contrastare questi cospirazionismi e condurre le persone invece a un’analisi strutturale.
Sono passati quasi dieci anni da quando [Donald] Trump ha vinto le elezioni, ma molti progressisti rimangono disorientati dalla modalità di destra di cospirazionismi e panici senza fine. La mancanza di chiarezza sull’antisemitismo moderno ha indebolito la capacità delle persone di comprendere i frame che animano gran parte della politica di destra?
Shane Burley: L’antisemitismo fa parte dell’impalcatura intellettuale che tiene insieme le idee di estrema destra, trasforma il loro razzismo gutturale in un’ideologia e in una visione del mondo. Eric Ward, che abbiamo intervistato nel libro, afferma che è così che i nazionalisti bianchi spiegano le lotte per la libertà dei neri: se i neri sono così «incapaci» (secondo loro), allora come hanno vinto su questioni importanti e creato grandi movimenti sociali? Devono essere stati questi ricchi e intelligenti ebrei ashkenaziti a orchestrare questo attacco ai gentili non ebrei. Allo stesso modo, con l’assistenza sanitaria per le persone trans, non può essere solo che ora stiamo affermando l’identità trans: deve essere che i Rothschild o George Soros o qualche tipo di cabala globalista stiano riprogettando i giovani.
Ben Lorber: Non è sempre esplicitamente antisemitismo. Ci sono molti esponenti della destra che, quando parlano di «globalisti», non pensano agli ebrei. Ma stiamo assistendo a un antisemitismo implicito che diventa più esplicito. Importanti figure di destra come Elon Musk fanno quel passo in più e dicono esplicitamente che è un dato di fatto che dietro l’odio contro i bianchi ci siano gli ebrei. Quindi stiamo assistendo a un antisemitismo esplicito dei nazionalisti bianchi che ha davvero fatto breccia nel mainstream.
Il movimento di solidarietà con la Palestina ha fermamente respinto l’antisemitismo, ma mentre il genocidio a Gaza continua, ci sono segnali preoccupanti (almeno online) che alcuni stanno deviando verso spiegazioni cospirazioniste antisemite sul perché le principali potenze mondiali continuano a sostenere Israele. La sinistra sta cercando di costruire mobilitazione tra l’incudine del crescente antisemitismo di estrema destra e il duro posto di quello che potremmo chiamare «filosemitismo imperiale»: il sostegno a Israele che è guidato dalla geopolitica e dalla teologia cristiana ma che si maschera da amore per uno Stato ebraico. Come possiamo aiutare le persone a vedere chiaramente quando entrambe le parti insistono sul fatto che c’è qualcosa di misteriosamente eccezionale nell’ebraismo?
Shane Burley: Siamo di fronte a un genocidio senza precedenti a Gaza, i media e la classe politica degli Stati uniti sono complici e organizzazioni pro-Israele su larga scala come l’Aipac [American Israel Public Affairs Committee] hanno influenzato le elezioni, sconfiggendo progressisti come Jamaal Bowman e Cori Bush. Quindi c’è la sensazione comprensibile che persone potenti stiano controllando la nostra situazione politica e sociale, accreditando l’idea che non possiamo fidarci delle narrazioni consolidate offerte dalle fonti tradizionali.
Ma la realtà è che un’analisi più ampia del capitalismo, dell’imperialismo e del colonialismo spiega ciò che sta accadendo con grande chiarezza. E questo tipo di analisi non vede Israele come qualcosa di completamente straordinario e separato dai più ampi sistemi sociali di dominio. Il comportamento di Israele è solo un pezzo del più ampio sistema capitalista coloniale occidentale.
Non parliamo abbastanza di ciò che la classe dirigente statunitense ha da guadagnare dall’avere un Israele militarizzato di estrema destra in Medio Oriente, dei vantaggi conferiti dal nascondersi dietro la presunta chiarezza morale dello Stato ebraico dopo l’Olocausto. Non si tratta di leader oscuri o di cabale distinte. Sono sistemi di potere che abbiamo imparato a conoscere e comprendere a sinistra, e dobbiamo collocare Israele come un pezzo di quella rete più ampia.
Significa anche capire come possono apparire le critiche reazionarie al potere e come differiscono dalle critiche che formuliamo da sinistra. Di recente c’è stata questa controversia sul fatto che sia giusto chiamare gli Stati uniti un «governo occupato dai sionisti». È una definizione neonazista, dove sionismo significa specificamente ebreo, e deriva da una traiettoria nazionalista bianca molto particolare. Non c’entra nulla con l’antisionismo che viene da sinistra, che dovrebbe essere motivato da un desiderio di liberazione universale.
La lotta contro il colonialismo in Israele è parte di una lotta più ampia contro questi sistemi di oppressione, non un qualche tipo di odio eccezionale per una sola manifestazione o opposizione particolare basata sul suo presunto «carattere ebraico». Dobbiamo ricordarcelo ogni volta che facciamo delle scelte di messaggi o tattiche: che tipo di antisionismo ci porterà ai più grandi obiettivi della sinistra?
Un gran numero di ebrei americani si è unito al movimento di solidarietà con la Palestina, ma la maggioranza rimane solidale con il sionismo. Sostieni che prendere sul serio l’antisemitismo richiede di non considerare tutti i sostenitori di Israele, che siano produttori di armi, sopravvissuti all’Olocausto o ebrei mizrahi, come oppressori sionisti. Perché sostieni un approccio più sfumato?
Ben Lorber: La politologa Mira Sucharov ha condotto uno studio che dimostra che la maggior parte degli ebrei americani si identifica ancora come sionisti, ma che se si chiede loro cosa significhi, se si chiede loro se sostengono uno status quo in Israele in cui i palestinesi affrontano disuguaglianze strutturali, molti rinnegano quella concezione del sionismo. Risultati di sondaggi come questo dovrebbero davvero farci riflettere.
A uno dei nostri eventi letterari, qualcuno ha detto: «Sono offeso da tutti questi discorsi sull’antisionismo. Sono sionista e per me sionismo significa piena uguaglianza tra ebrei e palestinesi in Terra santa». Ho risposto: «Be’, ok, per me antisionismo significa la stessa cosa. Quindi forse smettiamola di discutere sulla parola sionismo».
Di certo non vogliamo dare a nessuno un lasciapassare per il sostegno al genocidio di Israele. Allo stesso tempo, essere più attenti alle sfumature è importante per avere il consenso di altri ebrei americani, per i quali la definizione di sionismo potrebbe non significare realmente sostegno a uno Stato etnico. Potrebbe essere più un’identità, che significa più o meno orgoglio ebraico.
Ci sono molte ragioni per cui ciò è accaduto nell’identità ebraica americana, ma quando rendiamo la lotta sui sionisti in un modo tale da portarci a ignorare le formazioni identitarie di ampie fasce di ebrei americani liberali, stiamo allontanando molti potenziali alleati. In definitiva, penso che la nostra energia sarebbe spesa molto meglio organizzandoci contro Boeing o Raytheon o i politici filo-israeliani.
Shane Burley: Qualche mese fa ho partecipato a un evento in un centro comunitario ebraico per ascoltare due autori ebrei antisionisti. Conoscevo il tizio che gestiva il centro. Mi ha fermato per chiedermi se mi fosse piaciuto l’evento: il Jewish United Fund locale non aveva gradito la sua scelta di ospitare i relatori, ma a lui è piaciuto comunque. Ha detto: «Shane, sono antisionisti, ma cosa intendono con questo?». Così gliel’ho spiegato e lui è sembrato sorpreso, come se non avesse mai imparato cosa significasse questo termine. Era un professionista ebreo cinquantenne che non aveva un’idea chiara di cosa fosse l’antisionismo.
C’è una strana mancanza di chiarezza su ciò che le persone vogliono. Penso che sia fondamentale spiegare chiaramente per cosa sta lottando la sinistra antisionista e come si presentano realmente la decolonizzazione e una Palestina libera. Questi termini spesso spaventano le comunità ebraiche, ma quando si analizza in dettaglio questa visione, si nota che molte persone cambiano la loro posizione politica.
Mi piacerebbe vedere la sinistra passare all’offensiva sugli elementi antisemiti nel sionismo americano. Questo è un paese imperialista a maggioranza cristiana che usa gli ebrei come volto di una politica impopolare, in questo caso l’omicidio di massa, un ruolo che gli ebrei sono stati a lungo costretti a svolgere in Occidente. Allo stesso tempo, siamo in un movimento di solidarietà con i palestinesi, che sono costantemente sottoposti a cancellazione. È possibile evidenziare questo antisemitismo senza ridurre l’attenzione sulla Palestina e sui palestinesi?
Ben Lorber: È una domanda molto importante. Stiamo operando su un terreno in cui i media amano fissarsi su questioni di possibile antisemitismo della sinistra e, francamente, sul trauma ebraico. Ma non possiamo lasciare quel terreno alla destra, che continuerà a usare il discorso sull’antisemitismo per attaccare il movimento per i diritti dei palestinesi. Le persone di sinistra devono articolare l’analisi dell’antisemitismo. Il modo per farlo è dire che gli ebrei non saranno al sicuro nel mondo finché i palestinesi e tutte le persone non saranno al sicuro. Possiamo rigettare la mentalità ristretta e allo stesso tempo combattere molteplici forme di oppressione.
Shane Burley: Nel libro parliamo di antisemitismo nel sionismo, che si tratti di sionismo cristiano, del giudeo-pessimismo del primo movimento sionista che denigrava la diaspora, o di elementi della destra che sono pro-Israele da un lato ma sostengono teorie cospirazioniste antisemite dall’altro. Penso che queste cose siano importanti, ma è meglio articolarle quando arrivano con un impegno sincero a combattere l’antisemitismo.
Uno dei più grandi ostacoli a una sfida efficace al vero antisemitismo è che molte accuse di antisemitismo sono francamente false. Ma poiché vengono mosse con tanta forza, gli antisionisti sono costretti a rispondere. Ma in definitiva è più efficace partecipare a progetti per affrontare il vero antisemitismo, come collaborare con gruppi antifascisti che combattono la crescita del nazionalismo bianco o sviluppare competenze interne per affrontare rapidamente l’antisemitismo all’interno dei nostri movimenti quando si manifesta. Rafforzare la nostra capacità di combattere l’antisemitismo sarà sempre la prova più efficace che le accuse di antisemitismo sistemico nel movimento di solidarietà con la Palestina sono false.
Ho visto alcune organizzazioni antisioniste cercare di combattere la destra filo-israeliana sottolineando l’antisemitismo che spesso deriva dai sionisti cristiani e da altri, ma non mi è mai stato chiaro se questa sia o meno una decisione strategica efficace a cui dovremmo dare priorità. Ciò che ritengo sia strategicamente valido è assicurarsi che le organizzazioni, sia nel movimento di solidarietà con la Palestina che nella sinistra più ampia, abbiano una buona analisi dell’antisemitismo. Dobbiamo sviluppare la capacità di vedere e affrontare l’antisemitismo ovunque si verifichi con una visione politica che mantenga i nostri valori al centro di ogni mossa tattica.
*Shane Burley è l’autore di Fascism Today: What it Is and How to Stop It. Ben Lorber è un ex dipendente di Jewish Voice for Peace e membro dei Democratic Socialists of America. Vive a Chicago e scrive sul blog doikayt.com. Danny Katch è l’autore di Socialism… Seriously. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
In “bottega” cfr Il Pd e l’antisemitismo di Sergio Sinigaglia, «Ddl antisemitismo» ovvero: bavaglio a chi pensa di Girolamo de Michele ma anche “Tracciare un confronto tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti” è antisemitismo? di Moshé Machover e Vuoti di memoria di Associazione Madiba Sinna