Armi, armi, armi

articoli, video, immagini, poesie e canzoni di Marco Aime, Mao Valpiana, Noam Chomsky, Pepe Escobar, Diana Johnstone, Clare Daly, Alberto Negri, Gian Luigi Deiana, Vincenzo Costa, Toni Capuozzo, Mariana, Giorgio Bianchi, Pino Cabras, Francesco Masala, Benedetta Piola Caselli, Ennio Remondino, Raniero La Valle, Michele Zizzari, Andrea Vento, Anpi, Michele Giorgio, Enzo Pellegrin, Antonio Mazzeo, Federico Rucco, Antonio Cipriani, Greg Godels, Pierluigi Fagan, Alberto Capece, Franco Berardi Bifo, Madredeus, Enrico Piovesana, Bertolt Brecht, Giorgio Strehler

 

Lode del dubbio (ricordando Bertolt Brecht) – Francesco Masala

Nel Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu sono rimasti solo il Bhutan e l’isola di Pasqua; o quasi… la satira si sa esagera un poco la realtà.

Matteo Renzi propone come rappresentante per Europa (alle trattative per la pace in Ucraina) un criminale di guerra.

Intanto Ursula Van der Leyen offre a Zelensky uno dei suoi sette figli per partecipare alla guerra dell’Unione Europea contro il nemico russo, affermando che “se vi diamo i cannoni è giusto che offriamo per la nostra comune patria europea anche la carne della nostra carne e il sangue del nostro sangue”.

Boris Johnson fa una proposta che non si può rifiutare, concedere il titolo di baronetto a tutti i componenti del Reggimento Azov, la Regina ancora non ha firmato, non trova la penna stilografica.

In due (non una, ma due!) panchine di piazza Fontana, il 12 dicembre 1969 i servizi segreti italiani e la CIA trovarono dei volantini che dicevano “la bomba l’abbiamo messa noi”, firmato gli anarchici, era tutto chiaro, al di là di ogni ragionevole dubbio.

Colin Powell – che riposi in guerra – ha mostrato all’Onu una provetta con su scritto, con l’inchiostro simpatico, “ecco l’antrace per i bambini dei Paesi democratici – firmato Saddam Hussein” – visto che c’era scritto così la guerra, si può dire invasione? (ha causato da decine di migliaia a svariate centinaia di migliaia di morti, qualcuno stima numeri a sette cifre) era inevitabile; però qualche anno dopo si è scusato. Un errore capita a tutti.

…Nel 1968, a seguito del celebre massacro di My Lai, Colin Powell era stato incaricato di investigare e relazionare sull’accaduto: scrisse che le relazioni tra soldati americani e civili vietnamiti erano eccellenti…(da qui)

Le guerre italiane si chiamano missioni di pace, quelle europee si chiamano European Peace Facility, i bugiardi chiamano diversamente sinceri, i figli di puttana si chiamano sempre così, e Zelensky è il nostro figlio di puttana, dicono i grandi statisti europei.

Nel 2001, dopo gli attentati dell’11 settembre a New York, dopo aver scoperto che gli attentatori erano tutti di origine saudita, sapendo che erano coperti e sostenuti da una rete di agenti sauditi (mettiamo anche Cia e Fbi, per completezza, come scriveva Giulietto Chiesa) il governo degli Usa, – Paese nel quale la geografia si studia poco e male nelle scuole – ha invaso un altro Paese chiamato Afghanistan, per 20 anni, causando milioni di morti e delusi dalla democrazia. Ci sono state scuse?

Qualche giorno fa un missile (del tipo che hanno in dotazione gli ucraini, prima era in dotazione ai russi) ha ucciso decine di persone in una stazione ucraina, sul missile c’era scritto, sembra con la vernice, “per i bambini”, in russo. Se la scritta è in russo è tutto chiaro, al di là di ogni ragionevole dubbio.

 

 

 

Una notizia alla volta – Marco Aime

L’unica spiegazione possibile è che sia un problema di byte, che l’informazione  mainstream italiana disponga di strumenti dalla memoria molto ridotta. Come quelle chiavette usb in cui tocca cancellare ciò che c’è dentro per fare spazio a nuovi file. Deve essere per questo che, per adeguarsi ai nostri media, nel mondo accade una sola cosa alla volta. Non c’è spazio per due eventi, uno esclude necessariamente l’altro. Per un anno e mezzo il coronavirus è stata l’unica cosa di cui valesse la pena parlare e ogni programma o giornale proponeva i propri virologi di fiducia h 24, mentre nel mondo non accadeva più nulla, se non qualcosa che avesse a che vedere con la “nostra” pandemia (per quella che colpiva africani, sudamericani, asiatici non c’era più spazio nella chiavetta).

Si è aperta una breve parentesi a dire il vero, al momento del cambio di governo e dell’annuncio del Pnrr, per cui per un po’ di giorni non si è parlato di virus. Virus che poi però ha ripreso il sopravvento, escludendo ogni altra cosa, fino alle non-elezioni del Presidente della Repubblica. Qui forse, di fronte a una così evidente epidemia di idiozia politica collettiva, è stato proprio il Covid a fare un passo indietro: ubi maior…

Ora c’è la guerra, questa guerra, perché le altre non le possiamo prendere in considerazione: Yemen, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Repubblica centroafricana, Nigeria… Ci spiace, non c’è spazio nella piccola memoria usb. Mi spiace, caro Totò, avevi torto: la morte non è una livella, i morti degli altri contano sempre un po’ meno dei nostri o di quelli che ci interessano per interesse. E l’ambiente? Già, se Greta e i tanti giovani che sfilavano ogni venerdì per i Fridays for Future erano riusciti a guadagnarsi qualche byte nella nostra informazione, ora sono spariti. Il riscaldamento del pianeta? Non rilevato, infatti si riparla di carbone, di nucleare, l’inquinamento è uscito dai radar e persino la farsa italiana della “transizione ecologica”, la cui agenda è dettata dagli industriali, sembra essere scomparsa dagli orizzonti mediatici.

In un’epoca in cui sempre di più sembriamo dipendere dall’infosfera, ci accorgiamo (ce ne accorgiamo?) di essere più che mai disinformati, nel migliore dei casi, se non male informati. E fino a quando le nostre decisioni dipenderanno da questo tipo di informazione, eurocentrica, italocentrica, capitalocentrica, sminuzzata e servita a piccole dosi, mai interconnesse tra di loro e mai contestualizzate nella rete di relazioni che le ha prodotte, saremo vittime non dei sistemi informativi, ma della nostra incapacità o pigrizia di conquistare un pensiero critico. Lo dimostra la tendenza attuale a condannare chiunque provi a ragionare fuori dagli schemi proposti dal pensiero dominante, la schematizzazione e la semplificazione, che riducono a slogan eventi tragici e complessi, che meriterebbero una memoria e una capacità assai più grande di quella della chiavetta che ci propongono.

da qui

 

 

 

 

 

Armi contro armi – Spes contra spem – Mao Valpiana *

La nonviolenza dei se e dei ma

La richiesta del ministro ucraino Kuleba “dateci armi, armi, armi”, mi ha ricordato le parole del maresciallo di Francia Trivulzio al Re Luigi XXII: “per vincere una guerra ci vogliono soldi, soldi, soldi”. Sì, perché la guerra non la vince chi ha ragione (in questo caso l’Ucraina), ma chi ha più capacità distruttiva (vedremo alla fine, quando fine ci sarà, se l’esercito russo o gli armamenti della Nato). Infatti il Segretario generale Stoltenberg ha detto: “Abbiamo dato sostegno per molti anni formando centinaia di migliaia di forze ucraine e ora gli alleati stanno dando equipaggiamenti per sostenervi nella difesa. È urgente un ulteriore sostegno e oggi affronteremo il bisogno di più sistemi di difesa aerea, armi anticarro, armi leggere e pesanti e altro“. Ma al governo ucraino questo non basta ancora e gli ha dato dell’ipocrita: “Chi dice vi do armi difensive ma non offensive è un ipocrita. La differenza tra armi offensive e difensive non dovrebbe avere senso nel mio Paese, perché ogni arma usata in Ucraina dalle forze ucraine contro un aggressore straniero è difensiva per definizione”. In fondo ha ragione, anche l’utilizzo di armi tattiche nucleari, se usate per fermare o rispondere all’aggressore, può essere definito “difensivo”. E così, tolto il velo ipocrita alla distinzione tra armi offensive o difensive, siamo arrivati dritti al punto centrale della questione “à la guerre comme à la guerre”, in una escalation continua, nella guerra giusta, fino alla vittoria contro il nemico infame. È la logica di tutte le guerre, così terribilmente tutte uguali a se stesse, giuste o sbagliate che fossero.

Alla guerra di invasione russa, si poteva rispondere in modo diverso, senza intraprendere una guerra di difesa ucraina? Questo è un punto decisivo della discussione.

Al pacifismo senza se e senza ma, ho sempre preferito la nonviolenza con tanti se e tanti ma. Dunque provo a ragionare utilizzando alcuni di questi se e ma.

Il governo di Zelensky chiede all’Europa più armi per difendersi, dicendo sostanzialmente “se noi fermiamo i russi, ci guadagnate anche voi, altrimenti se noi soccombiamo, poi arriveranno anche a casa vostra”. Dunque pagateci le armi più micidiali possibile, così combattiamo anche per voi. All’Europa non par vero di garantire profitti alle varie industrie belliche nazionali e far combattere una guerra per procura all’Ucraina. Ma in Ucraina non c’è una sola voce. Se il governo chiede armi, armi, armi, altre voci, come la Croce Rossa ucraina, chiedono “cibo, cibo, cibo” e altre ancora, come i pacifisti di Kiev, chiedono “verità, verità, verità”. Dunque non esiste una sola richiesta bellica, e non è vero che c’è identità totale tra il popolo ucraino e il suo esercito, così come non c’è una sola resistenza armata, ma anche una resistenza civile che non vuole partecipare alla guerra, ma vuole difendersi ugualmente. È possibile e realistica una scelta simile? La volontà comune ucraina, espressa in queste drammatiche settimane, di non cedere, di non farsi sottomettere, di resistere, di rifiutare l’invasione, ha colpito il mondo intero. L’identità nazionale, l’orgoglio, il sentimento di essere un popolo unito e forte, è forse ciò che più mi ha impressionato. Se questa forza morale fosse stata usata al posto delle armi, cosa sarebbe accaduto? Se all’entrata dei primi carri armati russi in Ucraina, il governo, con i sindacati, avesse dichiarato immediatamente lo sciopero generale e totale di tutti i lavoratori ucraini, se tutta la popolazione ucraina fosse stata invitata a scendere nelle strade e nelle piazze, con la volontà di bloccare quei carri armati, senza collaborare in alcun modo con le truppe di invasione, chiudendo tutti i servizi pubblici, fermando tutti i mezzi di trasporto, bloccando per uno, due, tre, giorni o mesi tutto il paese, sollecitando la solidarietà internazionale, dicendosi indisponibili a fare la guerra, ma determinati fino alla fine a resistere e non riconoscere in alcun modo l’occupazione, come avrebbero reagito i russi? cosa avrebbe fatto l’esercito invasore? fino a dove sarebbe riuscito ad avanzare? Un popolo indisponibile, pronto a non collaborare in alcun modo con l’invasore, è invincibile. Nessun tiranno riesce a governare un popolo che rifiuta la servitù volontaria, con la resistenza passiva, la disobbedienza civile, la non collaborazione, il boicottaggio e il sabotaggio continuo. Forse proprio in Ucraina c’erano le condizioni storiche, sociali, politiche migliori per attuare questa forma di resistenza nonviolenta; se vi fosse stata una leadership preparata.

Non è utopia, nella storia è già avvenuto. “Cittadini, lavoratori! Sciopero generale contro l’occupazione, contro la guerra, per la salvezza delle nostre terre, delle nostre case, delle nostre officine”, sono le parole del partigiano Sandro Pertini diffuse dalla radio della resistenza italiana; lo stesso Pertini che quando diventò Presidente della Repubblica disse: “Si vuotino gli arsenali, sorgente di morte, si riempiano i granai, sorgente di vita”. Se al posto del nazionalista in tuta mimetica Zelensky, il popolo ucraino fosse stato guidato da un nazionalista spirituale come Gandhi, ma altrettante determinato a salvare il suo popolo, a che punto saremmo oggi? In Ucraina c’è chi ha proposto e tentato questa strada, ci sono gli obiettori di coscienza che resistono senza prendere le armi, ma sono un’infima minoranza, inascoltata, censurata, nascosta. Il governo ucraino ha considerato solo la risposta militare, bellica, di scontro sul campo. Le armi della Nato aumenteranno la potenza di fuoco, a cui la Russia risponderà con nuove stragi e nuovi orrori. Alla fine forse l’Ucraina vincerà, ma a che prezzo? E se perderà? Quali saranno le conseguenze?

Accettare di scendere sul terreno dello scontro armato, della guerra, comporta questi rischi, e alla fine si fa la conta dei morti. Resistere civilmente, con la nonviolenza attiva, è ugualmente rischioso, ma alla fine si fa la conta dei salvati.

* Presidente del Movimento Nonviolento

Esecutivo Rete italiana per la pace

 

Siediti e guarda l’Europa come si suicida – Pepe Escobar

(da The Cradle)

Se l’obiettivo degli Stati Uniti è schiacciare l’economia russa con sanzioni e isolamento, perché l’Europa è invece in caduta libera economica?

Lo straordinario spettacolo dell’Unione Europea (UE) che commette harakiri al rallentatore è qualcosa cche resta per secoli. Come un remake di Kurosawa a buon mercato, il film parla in realtà della demolizione dell’UE fatta esplodere dagli Stati Uniti, completa del reindirizzamento di alcune importanti esportazioni di materie prime russe negli Stati Uniti a spese degli europei.

Aiuta avere una quinta attrice editorialista strategicamente posizionata – in questo caso il capo della Commissione Europea sorprendentemente incompetente Ursula von der Lugen – con il suo annuncio rumoroso di un nuovo pacchetto di sanzioni schiacciante: navi russe bandite dai porti dell’UE; alle società di trasporto su strada dalla Russia e dalla Bielorussia è vietato l’ingresso nell’UE; niente più importazioni di carbone (oltre 4,4 miliardi di euro l’anno).

In pratica, ciò si traduce in Washington che scuote i suoi clienti/burattini occidentali più ricchi. La Russia, ovviamente, è troppo potente per sfidarla direttamente militarmente e gli Stati Uniti hanno un disperato bisogno di alcune delle sue esportazioni chiave, in particolare i minerali. Quindi, gli americani spingeranno invece l’UE a imporre sanzioni sempre crescenti che faranno crollare volontariamente le loro economie nazionali, consentendo al contempo agli Stati Uniti di raccogliere tutto.

Spunto per le imminenti conseguenze economiche catastrofiche subite dagli europei nella loro vita quotidiana (ma non dal cinque per cento più ricco): inflazione che divora salari e risparmi; le bollette dell’energia del prossimo inverno fanno un bel colpo; prodotti che scompaiono dai supermercati; prenotazioni vacanze quasi congelate. Il francese Le Petit Roi Emmanuel Macron – forse di fronte a una brutta sorpresa elettorale – ha persino annunciato: “I buoni pasto come nella seconda guerra mondiale sono possibili”.

Abbiamo la Germania di fronte al ritorno del fantasma dell’iperinflazione di Weimar. Il presidente di BlackRock Rob Kapito ha dichiarato, in Texas, “per la prima volta, questa generazione entrerà in un negozio e non sarà in grado di ottenere ciò che vuole”. Gli agricoltori africani non possono permettersi fertilizzanti quest’anno, riducendo la produzione agricola di una quantità in grado di sfamare 100 milioni di persone.

Zoltan Poszar, ex guru della Fed di New York e del Tesoro degli Stati Uniti, attuale gran visir del Credit Suisse, ha avuto una serie di successi, sottolineando come le riserve di materie prime – e, qui, la Russia non ha rivali – saranno una caratteristica essenziale di ciò che lui chiama Bretton Woods III (sebbene , quello che è stato progettato da Russia, Cina, Iran e Eurasia Economic Union è un post-Bretton Woods).

Poszar osserva che le guerre, storicamente, sono vinte da coloro che hanno più scorte di cibo ed energia, in passato per alimentare cavalli e soldati; oggi per nutrire soldati e serbatoi di carburante e aerei da combattimento. La Cina, per inciso, ha accumulato grandi scorte di praticamente tutto.

Poszar osserva come il nostro attuale sistema di Bretton Woods II abbia un impulso deflazionistico (globalizzazione, commercio aperto, catene di approvvigionamento just-in-time) mentre Bretton Woods 3 fornirà un impulso inflazionistico (de-globalizzazione, autarchia, accaparramento di materie prime) dell’offerta catene e spese militari extra per poter proteggere ciò che rimarrà del commercio marittimo.

Le implicazioni sono ovviamente schiaccianti. Ciò che è implicito, minacciosamente, è che questo stato di cose potrebbe persino portare alla terza guerra mondiale.

Rublegas o GNL americano?

La tavola rotonda russa Valdai Club ha condotto un’essenziale discussione di esperti su ciò che noi di The Cradle abbiamo definito Rublegas , il vero punto di svolta geoeconomico nel cuore dell’era post-petrodollaro. Alexander Losev, membro del Consiglio russo per la politica estera e di difesa, ha offerto i contorni del quadro generale. Ma spettava ad Alexey Gromov, direttore dell’energia dell’Istituto per l’energia e le finanze, trovare un punto cruciale.

La Russia, finora, vendeva all’Europa 155 miliardi di metri cubi di gas all’anno. L’UE promette retoricamente di sbarazzarsene entro il 2027 e di ridurre l’offerta entro la fine del 2022 di 100 miliardi di metri cubi. Gromov ha chiesto “come” e ha osservato “qualsiasi esperto non ha risposta. La maggior parte del gas naturale russo viene spedito tramite gasdotti. Questo non può essere semplicemente sostituito dal gas naturale liquefatto (GNL).”

La risibile risposta europea è stata “iniziare a risparmiare”, come “prepararsi a stare peggio” e “abbassare la temperatura nelle famiglie”. Gromov ha osservato come, in Russia, “da 22 a 25 gradi in inverno è la norma. L’Europa sta promuovendo i 16 gradi come “sani” e indossa maglioni di notte”.

L’UE non potrà ottenere il gas di cui ha bisogno dalla Norvegia o dall’Algeria (che sta privilegiando il consumo interno). L’Azerbaigian sarebbe in grado di fornire al massimo 10 miliardi di metri cubi all’anno, ma “ci vorranno 2 o 3 anni”.

Gromov ha sottolineato come “oggi sul mercato non ci siano eccedenze per gli Stati Uniti e il Qatar GNL” e come i prezzi per i clienti asiatici siano sempre più alti. La conclusione è che “entro la fine del 2022, l’Europa non sarà in grado di ridurre in modo significativo” ciò che acquista dalla Russia: “potrebbero tagliare di 50 miliardi di metri cubi, al massimo”. E i prezzi sul mercato spot saranno più alti, almeno $ 1.300 per metro cubo.

Uno sviluppo importante è che “la Russia ha già cambiato le catene di approvvigionamento logistico verso l’Asia”. Questo vale anche per gas e petrolio: “Puoi imporre sanzioni se c’è un surplus nel mercato. Adesso mancano almeno 1,5 milioni di barili di petrolio al giorno. Invieremo le nostre forniture in Asia, con uno sconto”. Allo stato attuale, l’Asia sta già pagando un premio, da 3 a 5 dollari in più al barile di petrolio.

Sulle spedizioni di petrolio, Gromov ha anche commentato la questione chiave dell’assicurazione: “I premi assicurativi sono più alti. Prima dell’Ucraina, era tutto basato sul sistema Free on Board (FOB). Ora gli acquirenti stanno dicendo “non vogliamo correre il rischio di portare il tuo carico nei nostri porti”. Quindi stanno applicando il sistema Cost, Insurance and Freight (CIF), in cui il venditore deve assicurare e trasportare il carico. Questo ovviamente incide sui ricavi”.

Una questione assolutamente fondamentale per la Russia è come effettuare la transizione verso la Cina come suo principale cliente di gas. Si tratta del Power of Siberia 2, un nuovo gasdotto di 2600 km proveniente dai giacimenti di gas russi Bovanenkovo ??e Kharasavey a Yamal, nel nord-ovest della Siberia, che raggiungerà la piena capacità solo nel 2024. E, in primo luogo, l’interconnessione attraverso la Mongolia deve essere costruito – “abbiamo bisogno di 3 anni per costruire questo gasdotto” – quindi tutto sarà a posto solo intorno al 2025.

Sul gasdotto Yamal, “la maggior parte del gas va in Asia. Se gli europei non acquistano più possiamo reindirizzare”. E poi c’è il progetto Arctic LNG 2, che è persino più grande di Yamal: “la prima fase dovrebbe essere completata presto, è pronta all’80 percento”. Un problema in più potrebbe essere posto dagli “Unfriendly” russi in Asia: Giappone e Corea del Sud. L’infrastruttura GNL prodotta in Russia dipende ancora da tecnologie straniere.

Questo è ciò che porta Gromov a notare che “il modello di economia basata sulla mobilitazione non è così buono”. Ma questo è ciò di cui la Russia deve fare i conti almeno a breve e medio termine.

Gli aspetti positivi sono che il nuovo paradigma consentirà “maggiore cooperazione all’interno dei BRICS (le economie emergenti di Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa che si incontrano ogni anno dal 2009);” l’ampliamento dell’International North South Transportation Corridor (INSTC); e più interazione e integrazione con “Pakistan, India, Afghanistan e Iran”.

Solo per quanto riguarda Iran e Russia, gli scambi nel Mar Caspio sono già in corso, poiché l’Iran produce più del necessario ed è destinato ad aumentare la cooperazione con la Russia nel quadro del loro partenariato strategico rafforzato.

Geoeconomia ipersonica

Spettava all’esperto energetico cinese Fu Chengyu offrire una spiegazione concisa del motivo per cui la spinta dell’UE a sostituire il gas russo con il GNL americano è, beh, un sogno irrealizzabile. In sostanza, l’offerta statunitense è “troppo limitata e troppo costosa”.

Fu Chengyu ha mostrato come un processo lungo e complicato dipenda da quattro contratti: tra lo sviluppatore del gas e la società di GNL; tra la società GNL e la società acquirente; tra l’acquirente di GNL e la società cargo (che costruisce navi); e tra l’acquirente e l’utente finale.

“Ogni contratto”, ha sottolineato, “richiede molto tempo per essere concluso. Senza tutti questi contratti firmati, nessuna parte investirà, che si tratti di investimenti in infrastrutture o di sviluppo di giacimenti di gas”. Quindi la consegna effettiva del GNL americano in Europa presuppone che tutte queste risorse interconnesse siano disponibili e si muovano come un orologio.

Il verdetto di Fu Chengyu è duro: questa ossessione dell’UE sull’abbandono del gas russo provocherà “un impatto sulla crescita economica globale e sulla recessione. Stanno spingendo la propria gente e il mondo. Nel settore energetico, saremo tutti danneggiati”.

È stato abbastanza illuminante giustapporre l’imminente turbolenza geoeconomica – l’ossessione dell’UE di aggirare il gas russo e l’inizio del Rublegas – con le vere ragioni dell’operazione Z in Ucraina, completamente oscurate dai media e dagli analisti occidentali.

Un vecchio professionista del Deep State statunitense, ora in pensione, e abbastanza familiare con i meccanismi interni del vecchio OSS, il precursore della CIA, fino alla demenza neocon di oggi, ha fornito alcune intuizioni che fanno riflettere:

“L’intera questione dell’Ucraina riguarda i missili ipersonici che possono raggiungere Mosca in meno di quattro minuti. Gli Stati Uniti li vogliono lì, in Polonia, Romania, Stati baltici, Svezia, Finlandia. Ciò è in diretta violazione degli accordi del 1991 secondo cui la NATO non si espanderà nell’Europa orientale. Gli Stati Uniti non hanno missili ipersonici ora, ma dovrebbero farlo tra un anno o due. Questa è una minaccia esistenziale per la Russia. Quindi sono andati in Ucraina per fermare questo. Poi ci saranno la Polonia e la Romania, dove i lanciatori sono stati costruiti in Romania e sono in costruzione in Polonia”.

Da una prospettiva geopolitica completamente diversa, ciò che è veramente significativo è che la sua analisi coincide con la geoeconomia di Zoltan Poszar: “Gli Stati Uniti e la NATO sono totalmente bellicosi. Questo rappresenta un vero pericolo per la Russia. L’idea che la guerra nucleare sia impensabile è un mito. Se guardi al bombardamento di Tokyo contro Hiroshima e Nagasaki, a Tokyo sono morte più persone di Hiroshima e Nagasaki. Queste città furono ricostruite. Le radiazioni scompaiono e la vita può ricominciare. La differenza tra bombardamenti incendiari e bombe nucleari è solo l’efficienza. Le provocazioni della NATO sono così estreme che la Russia ha dovuto mettere i propri missili nucleari in stato di allerta. Questa è una questione gravemente seria. Ma gli Stati Uniti l’hanno ignorato”.

da qui

 

Armi all’Ucraina: all’Italia costerà 187,5 milioni – Enrico Piovesana

Il Consiglio d’Europa in queste ore ha annunciato l’aumento delle forniture militari all’Ucraina: dal già confermato miliardo a un miliardo e mezzoMa chi paga per queste armi?

Le spese di questa operazione euro-atlantica sostenute da ogni Stato membro (ad eccezione di Austria, Irlanda e Malta che, per il loro status neutrale e non facendo parte della NATO, hanno potuto esimersi) sono coperte dall’European Peace Facility, strumento finanziario ‘fuori bilancio’ a supporto delle iniziative militari internazionali europee (che per il Trattato UE non possono essere a carico del bilancio dell’Unione).

Istituito il 22 marzo 2021 con una prospettiva settennale e una dotazione previsionale di 5.692 milioni di euro, l’EPF è finanziato dai contributi annuali degli Stati membri dell’UE stabiliti in base al Reddito nazionale lordo. La quota di contribuzione annuale dell’Italia è quindi di circa il 12,5%. Ciò significa che il nostro Paese sta contribuendo al finanziamento dell’operazione di sostegno bellico all’Ucraina, al momento confermata per 1 miliardo di euro complessivo, con circa 125 milioni di euro. Se un’ulteriore tranche di 500 milioni verrà deliberata, come da indiscrezioni delle ultime ore, il contributo totale per l’Italia a questo specifico rimborso legato alle decisioni sul conflitto ucraino salirà a circa 187,5 milioni di euro. Fondi erogati per il controvalore armamenti secondo i meccanismi di funzionamento di questo nuovo strumento legato al Consiglio d’Europa.

Il budget previsionale annuale dell’EPF prevedeva un incremento annuale: 420 milioni di euro nel 2021, 540 milioni nel 2022, 720 milioni nel 2023, 900 milioni nel 2024, 980 milioni nel 2025, 1 miliardo nel 2026 e 1.132 milioni nel 2027.
Il contributo italiano al Fondo è stato di circa 52,5 milioni nel 2021 e avrebbe dovuto essere di circa 67,5 milioni quest’anno.

Nel corso del 2021 sono stati spesi quasi 259 milioni di euro per forniture militari e supporto militare di vario genere a Paesi africani (85 milioni alla Somalia, 44 milioni al Mozambico, 35 milioni al G5 Sahel, 24 milioni al Mali e 10 milioni a Camerun, Chad, Niger e Nigeria), alla Georgia (12,75 milioni), alla Bosnia (10 milioni), alla Moldova (7 milioni) e all’Ucraina (31 milioni in ospedali da campo, sminamento, logistica e cyber-difesa).

Il budget residuo dell’EPF del 2021 (161 milioni euro) e quello previsto per quest’anno (540 milioni) non bastano a coprire l’operazione ‘Armi all’Ucraina’, per la quale sono necessari subito ulteriori 800 milioni di euro complessivi, una cifra cui l’Italia dovrebbe essere chiamata a contribuire con circa 100 milioni di euro in più rispetto al previsto.

E’ doveroso riportare che la decisione del Consiglio UE n. 2022/338 dello scorso 28 febbraio sull’avvio della fornitura di armi letali all’Ucraina, era stata preceduta da una Concept Note, una sorta di Relazione Illustrativa del Segretariato Generale del 27 febbraio, che elencava i rischi di tale decisione sottolineando in particolare che:
1) La fornitura di armi può rafforzare il ciclo della violenza e del conflitto;
2) Le unità supportate possono commettere o essere accusate di violazioni del diritto umanitario internazionale;
3) L’attrezzatura fornita può finire nelle mani sbagliate;
4) La Federazione Russa può rispondere alla fornitura di armi in modo ostile agli interessi dell’UE.

da qui

 

 

 

Per Washington, la guerra non finisce mai – Diana Johnstone*

Continua ancora e ancora. La “guerra per farla finita con tutte le guerre” del 1914-1918 portò alla guerra del 1939-1945, detta Seconda Guerra Mondiale. Questa non è ancora finita, principalmente perché per Washington, è stata una Guerra Buona, è la guerra che ha reso possibile il Secolo Americano: perchè no, ora ad un Millennio Americano?

Il conflitto in Ucraina può essere la scintilla di quello che già adesso si comincia a chiamare la Terza Guerra Mondiale.

Non si tratta di una guerra nuova. È la stessa guerra che abbiamo già visto, un’estensione della Seconda Guerra Mondiale, che non fu la stessa per tutti coloro che ne presero parte.

La guerra russa e la guerra americana furono molto, molto differenti.

 

La Seconda Guerra Mondiale della Russia

Per i russi, la guerra fu un’esperienza di gigantesche sofferenze, lutti e distruzioni. L’invasione nazista dell’Unione Sovietica fu spietata in modo estremo, spinta da un’ideologia razzista di spregio per gli slavi e di odio nei confronti dei “bolscevichi ebrei”. Si stimano in 27 milioni le vittime russe di quel conflitto, due terzi delle quali civili. Nonostante soverchianti perdite e patimenti, l’Armata Rossa riuscì a rovesciare la direzione di marcia della marea nazista che aveva ormai soggiogato gran parte dell’Europa.

La gigantesca lotta per spingere gli invasori tedeschi fuori dalle loro terre è conosciuta dai russi come la Grande Guerra Patriottica ed ha alimentato un orgoglio nazionale che ha aiutato il popolo a consolarsi delle terribili vicende che era stato costretto ad attraversare. Nonostante l’orgoglio per la vittoria, gli orrori della guerra ispirarono al paese un sincero desiderio di pace.

 

La Seconda Guerra Mondiale dell’America

La Seconda Guerra Mondiale per l’America (come d’altronde la Prima Guerra Mondiale) è qualcosa che è avvenuto da qualche altra parte. Questa è una grande differenza. La guerra rese possibile agli Stati Uniti di emergere come lo stato più ricco e potente della terra. Agli americani venne detto di non scendere mai a compromessi, né per prevenire una guerra (“Monaco”) né per concluderla (“resa incondizionata” era la formula americana). L’intransigenza virtuosa era l’atteggiamento adeguato alla battaglia del Bene contro il Male.

L’economia di guerra portò gli Stati Uniti fuori dalla Depressione. Il Keynesismo militare emerse come chiave per la prosperità. Era nato il Complesso Militare-Industriale. Per continuare a consentire al Pentagono di stilare sempre nuovi contratti, promossi da ogni gruppo presente al Congresso e garantire i profitti agli investitori di Wall Street, c’era bisogno di un nuovo nemico. La paura dei comunisti – esattamente la stessa paura che aveva contribuito a creare il fascismo – riuscì a produrre questo nemico.

 

La Guerra Fredda : il proseguimento della Seconda Guerra Mondiale

In breve, dopo il 1945, per la Russia la Seconda Guerra Mondiale era finita. Non per gli Stati Uniti. Quella che chiamiamo Guerra Fredda ne fu il proseguimento per volontà dei dirigenti di Washington. Fu resa permanente dalla teoria che la “Cortina di Ferro” difensiva della Russia costituiva una minaccia militare per il resto dell’Europa.

Alla fine della guerra, la preoccupazione principale di Stalin era di prevenire che un’invasione come quella subita potesse verificarsi di nuovo. Contrariamente alle interpretazioni occidentali, il costante controllo esercitato da Mosca sui paesi dell’Europa orientale, che aveva occupato nel percorso che l’aveva condotta alla vittoria a Berlino, non era tanto ispirata dall’ideologia comunista quanto dalla determinazione di creare una zona cuscinetto come ostacolo ad ogni eventuale ripetizione del tentativo di invasione della Russia da ovest.

Stalin rispettò le linee tra Est ed Ovest concordate a Yalta e rifiutò di sostenere la lotta per la vita o la morte dei comunisti greci. Mosca raccomandò ai grandi partiti comunisti dell’Europa Occidentale di astenersi dalle rivoluzioni e di attenersi alle regole del gioco della democrazia borghese. L’occupazione sovietica può essere stata brutale ma era decisamente difensiva. L’appoggio sovietico ai movimenti per la pace fu assolutamente sincero.

La costituzione dell’Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico (NATO) e il riarmo della Germania confermò che per gli Stati Uniti la guerra in Europa non era del tutto terminata. La svogliata “de-nazificazione” Usa del suo settore nella Germania occupata fu accompagnata da un massiccio trasferimento organizzato di cervelli dalla Germania agli Stati Uniti ritenuti utili al suo riarmo e al suo spionaggio (da Wernher von Braun a Reinhard Gehlen).

 

La vittoria ideologica dell’America

Durante tutto il corso della Guerra Fredda, gli Stati Uniti hanno impegnato la loro scienza e la loro industria nella costruzione di un gigantesco arsenale di armi letali, che hanno provocato devastazioni senza portare gli Usa alla vittoria né in Corea né nel Vietnam. La sconfitta militare, tuttavia, non ha cancellato la vittoria ideologica dell’America.

Il più grande trionfo dell’imperialismo americano è stato raggiunto con la diffusione delle sue immagini auto-giustificatorie e della sua ideologia, soprattutto in Europa. Il predominio dell’industria americana dell’intrattenimento ha propagato nel mondo una particolare combinazione di auto-indulgenza e dualismo morale, soprattutto tra i giovani. Hollywood ha convinto l’Occidente che la Seconda Guerra Mondiale fu sostanzialmente vinta dalle forze Usa e dai suoi alleati con lo sbarco in Normandia.

L’America ha presentato se stessa (ed è stata convincente) come l’ultima e definitiva forza del Bene e come l’unico posto in cui vivere è divertente. I russi erano tetri e sinistri.

Nella stessa Unione Sovietica, molte persone non furono immuni alle attrattive con cui l’America si auto-glorificava. Alcuni parvero persino pensare che la Guerra Fredda fosse tutto un grande malinteso e che, se si fossero comportati in modo simpatico e amichevole, l’Occidente avrebbe fatto lo stesso. Mikhail Gorbaciov era ben disposto nei confronti di questo ottimismo.

L’ex-ambasciatore americano a Mosca, Jack Matlock, riferisce che il desiderio di liberare la Russia da quello che si percepiva come zavorra dell’Unione Sovietica era assai diffuso nell’èlite russa nel corso degli anni Ottanta. Furono i dirigenti più che le masse a portare a realizzazione l’auto-distruzione dell’Unione Sovietica, mettendo alla guida dello stato che le sarebbe succeduto – la Russia, con le armi nucleari e il diritto di veto all’ONU – Boris Yeltsin, perso nelle sue nebbie alcooliche, e la preponderante influenza Usa nel corso di tutti gli anni Novanta.

 

La nuova NATO

La modernizzazione della Russia, negli ultimi tre secoli, fu caratterizzata da controversie tra gli “occidentalisti” – quelli che vedevano il progresso della Russia in una emulazione del più progredito Occidente – e gli “slavofili”, che consideravano che l’arretratezza materiale dello stato fosse compensata da una sorta di superiorità culturale, forse fondata sulla semplice democrazia del villaggio tradizionale.

In Russia, il marxismo era un concetto occidentalizzante. Il marxismo ufficiale, comunque, non cancellava l’ammirazione per l’Occidente “capitalista” e in particolare per l’America. Gorbaciov sognava la “nostra comune casa europea” prefigurando una qualche specie di socialdemocrazia. Negli anni Novanta, la Russia chiedeva solamente di essere parte dell’Occidente.

Quel che successe in seguito dimostrò solo che tutta la “paura del comunismo” spacciata come giustificazione della Guerra Fredda era stata una fabbricazione falsa. Un pretesto. Un falso destinato a perpetuare il keynesismo militare e la guerra speciale dell’America per perpetuare la propria ideologia economica e ideologica.

Non c’era più l’Unione Sovietica. Non c’era più il comunismo sovietico, né il blocco sovietico o il Patto di Varsavia. La Nato non aveva più alcuna ragione per continuare ad esistere.

Nel 1999, tuttavia, la Nato celebrò il suo cinquantesimo anniversario bombardando la Yugoslavia e trasformandosi da alleanza difensiva in una militarmente aggressiva. La Yugoslavia era un paese non allineato, che non aveva aderito né alla Nato né al Patto di Varsavia. Non minacciava nessun paese. Senza autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza né giustificazione di auto-difesa, l’aggressione Nato violava la legge internazionale.

Quasi contemporaneamente, in violazione di promesse diplomatiche non scritte ma assidue e calorose ai dirigenti russi, la Nato diede il benvenuto a nuovi membri come la Polonia, l’Ungheria, e la Repubblica Ceca. Cinque anni più tardi, nel 2004, la Nato accolse la Romania, la Bulgaria, la Slovacchia, la Slovenia e le tre repubbliche baltiche. Nel frattempo i membri della Nato vennero arruolati nella guerra contro l’Afghanistan, la prima e unica guerra in “difesa di uno stato membro” – in questo caso, gli Stati Uniti.

 

Capire Putin – o no

Nel frattempo, Vladimir Putin era stato scelto da Yeltsin come suo successore, in parte indubbiamente perché, in quanto ex-ufficiale del KGB in Germania Orientale, aveva una qualche conoscenza e comprensione dell’Occidente. Putin tirò la Russia fuori dal caos provocato dal trattamento shock, progettato dagli americani ma accettato da Yeltsin, imposto all’economia russa.

Putin mise anche un fermo alle truffe più eclatanti, suscitando la collera degli oligarchi esautorati che utilizzarono i loro problemi con la legge per convincere l’Occidente di essere stati vittime di persecuzione (esempio : il ridicolo Magnitsky Act).

L’11 febbraio 2007, l’occidentalizzante Putin si presentò a un centro del potere occidentale, la Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, e chiese di essere compreso dall’Occidente. Capire è facile, se lo si vuole. Putin contestava la concezione di un “mondo unipolare” che veniva imposo dagli Stati Uniti e sottolineava il desiderio della Russia di “interagire con partner responsabili e indipendenti con i quali noi possiamo collaborare per costruire un ordine mondiale equo e democratico che potrebbe assicurare sicurezza e prosperità non solo per pochi fortunati, ma per tutti.”

I principali leader dell’Occidente reagirono con un rifiuto sdegnato e con una campagna sui media che dura da quindici anni in cui Putin viene dipinto come una specie di creatura demoniaca.

In effetti, a partire da quel discorso non ci sono stati limiti negli insulti dei media occidentali nei confronti di Putin e della Russia. Fu nel corso di questo sprezzante trattamento che emersero due versioni della Seconda Guerra Mondiale. Nel 2014, i leader mondiali si ritrovarono in Normandia per commemorare il settantesimo anniversario del D-Day, ossia dello sbarco in Francia delle forze americane e inglesi.

Nei fatti, quell’invasione del 1944 incorse subito in difficoltà, anche se le forze tedesche erano principalmente sul fronte orientale dove stavano perdendo la guerra contro l’Armata Rossa. Mosca lanciò un’operazione speciale proprio per sottrarre forze tedesche dal fronte della Normandia. Nonostante ciò, l’avanzata alleata non riuscì a battere l’Armata Rossa nella corsa verso Berlino.

Grazie a Hollywood, tuttavia, molti in Occidente considerano che il D-Day sia stata l’operazione decisiva della Seconda Guerra Mondiale. Per onorare l’evento Vladimir Putin fu tra i presenti, come anche Angela Merkel, Cancelliere della Germania.

Nell’anno che seguì, i leader del mondo vennero invitati ad una grandiosa parata per la vittoria sul nazismo che si sarebbe tenuta a Mosca per celebrare il settantesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale. I leader di Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania scelsero di non partecipare.

La scelta era coerente con una serie infinita di gesti occidentali di spregio nei confronti della Russia e del contributo decisivo che questa aveva portato per la sconfitta della Germania (con la distruzione del’80 per cento della Wehrmacht.) Il 19 aprile 2019 il Parlamento Europeo adottò una risoluzione sulla “importanza del ricordo europeo per il futuro dell’Europa” che accusava congiuntamente l’Unione Sovietica e la Germania nazista di avere scatenato la Seconda Guerra Mondiale.

Vladimir Putin rispose a questo affronto gratuito con un lungo articolo intitolato “Le lezioni della Seconda Guerra Mondiale” pubblicato in inglese su The National Interest in occasione del settantacinquesimo anniversario della fine della guerra. Putin rispose con un’accurata analisi delle cause della guerra e del profondo effetto che ebbe sulle vite delle persone intrappolate nel criminale assedio nazista (durato 872 giorni) di Leningrado (ora San Pietroburgo), tra le quali i suoi genitori che ebbero un loro figlio di due anni tra le 800.000 vittime.

Chiaramente, Putin si sentì profondamente offeso dal continuo rifiuto occidentale di riconoscere il significato della guerra per la Russia. “La profanazione e l’insulto alla memoria è significativo,” scrisse Putin. “La cattiveria può essere deliberata, ipocrita e sostanzialmente intenzionale come ad esempio nell’occasionee delle dichiarazioni commemorative del settantacinquesimo anniversario della fine della Seconda Guerra Mondiale nelle quali vengono menzionati tutti partecipanti alla coalizione anti-hitleriana fuorchè l’Unione Sovietica.”

Per tutto questo tempo, la Nato continuò nella sua espansione verso est, più o meno apertamente rivolgendo contro i confini di terra e di mare russi le sue imponenti esercitazioni militari.

 

La presa americana dell’Ucraina

L’accerchiamento della Russia ha fatto un salto qualitativo in avanti nel 2014 con la presa dell’Ucraina da parte dgli Stati Uniti. I media occidentali hanno raccontato questo complesso evento come una sollevazione popolare, ma le sollevazioni popolari possono essere prese sotto il controllo di forze che hanno i loro propri obiettivi, come fu in questo caso. Il presidente eletto Viktor Yanukovich venne deposto con la violenza il giorno dopo avere concordato elezioni anticipate in un accordo con i leader europei.

Miliardi di dollari statunitensi e sanguinose sparatorie messe in atto da militanti di estrema destra imposero un cambio di regime palesemente diretto dall’Assistente Segretario di Stato degli Stati Uniti (“Che l’EU si fotta !”) che produsse a Kiev un governo in gran parte selezionato a Washington, e ansioso di aderire alla Nato.

Per la fine dell’anno, il governo della“democratica Ucraina” era per lo più in mano a stranieri che avevano avuto l’approvazione di Washington. Il nuovo ministro delle finanze era un cittadino americano di origini ucraine, Natalia Jaresko, che aveva lavorato per il Dipartimento di Stato prima di impegnarsi nel settore privato. Il ministro dell’economia era un lituano, Aïvaras Arbomavitchous, un ex campione di basket. Il posto di ministro della sanità venne occupato da un ex-ministro georgiano del lavoro e della salute, Sandro Kvitachvili.

Successivamente, il decaduto ex-presidente della Georgia Mikkheil Saakashvili venne incaricato di sovrintendere il porto di Odessa, travagliato da problemi. Il vice-presidente Joe Biden fu direttamente coinvolto in questo rimescolamento governativo a Kiev e a suo figlio, Hunter Biden, venne garantita una lucrosa posizione nella compagnia ucraina del gas Barisma.

L’orientamento violentemente anti-russo di questo cambio di regime suscitò la resistenza delle regioni sud-orientali del paese, abitate in larga maggioranza da popolazione di etnia russa. Otto giorni dopo che più di 40 dimostranti che si opponevano a questo rivolgimento vennero bruciati vivi ad Odessa, le province di Lugansk e Donetsk promossero una secessione come resistenza al colpo di stato.

Il regime installato a Kiev dagli Stati Uniti lanciò allora una guerra contro queste province che continuò per otto anni, provocando la morte di migliaia di civili.

Successivamente un referendum decise il ritorno della Crimea alla Russia. Questo pacifico ritorno era ovviamente vitale per preservare la principale base navale russa di Sebastopoli dalla minaccia di una sua acquisizione da parte della Nato. E, dal momento che la popolazione non aveva mai approvato il trasferimento della penisola all’Ucraina, decretato da Nikita Krusciov nel 1954, il ritorno avvenne con l’avallo di un voto democratico, senza alcun spargimento di sangue. Ciò in lampante contrasto rispetto al distacco della provincia del Kosovo dalla Serbia, realizzato nel 1999 al prezzo di settimane di bombardamenti Nato.

Per gli Stati Uniti e gran parte dell’Occidente, tuttavia, quello che era stato un’operazione umanitaria per il Kosovo divenne un’imperdonabile aggressione in Crimea.

 

L’Ufficio Ovale ha una porta sul retro che lo mette in comunicazione con la Nato

La Russia continuò a mettere in guardia la Nato perchè il suo allargamento non includesse l’Ucraina. I leader occidentali oscillavano dalla affermazione del “diritto” dell’Ucraina di aderire a qualsiasi alleanza volesse scegliere al dire che comunque ciò non sarebbe avvenuto subito. Si sottolineava inoltre che era sempre possibile che all’adesione dell’Ucraina venisse posto il veto da parte di qualche paese membro, forse la Francia o persino la Germania.

Nel frattempo, l’1 settembre 2021, l’Ucraina venne adottata dalla Casa Bianca come speciale nazione geo-strategica favorita di Washington. L’adesione alla Nato in quanto membro venne ridotta a una formalità successiva. Una Dichiarazione Congiunta sulla Partnership Strategica tra Stati Uniti e Ucraina rilasciata dalla Casa Bianca annunciava che “il successo dell’Ucraina è elemento centrale nella battaglia globale tra democrazia e autocrazia” – l’attuale dualismo ideologico auto-giustificatorio di Washington che sostituiva quello precedente del Mondo Libero contro il Comunismo.

E continuava a chiarire il motivo di un casus belli permanente contro la Russia.

“Nel XXI secolo, non è concesso agli stati di ritracciare i loro confini con la forza. La Russia ha violato in Ucraina questa regola basilare. Gli stati sovrani hanno il diritto di prendere le proprie decisioni e scegliere le loro alleanze. Gli Stati Uniti sono a fianco dell’Ucraina e continueranno a lavorare per inchiodare la Russia alle responsabilità della sua aggressione. Il sostegno americano per la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina è irremovibile.”

La Dichiarazione inoltre descriveva la guerra di Kiev contro il Donbass come “un’aggressione russa”. E faceva questa intransigente affermazione : “Gli Stati Uniti non riconoscono e non riconosceranno mai la pretesa annessione della Crimea da parte della Russia …” (mia sottolineatura). A questa seguivano le promesse di rinforzare le capacità militari dell’Ucraina, chiaramente in vista di un recupero del Donbass e della Crimea.

A partire dal 2014, Stati Uniti e Gran Bretagna hanno sotterraneamente trasformato l’Ucraina in uno stato ausiliario della Nato, psicologicamente e militarmente rivolto contro la Russia. Comunque questo sembri a noi, ai dirigenti russi è sempre più apparso come nient’altro che una preparazione ad un assalto militare totale alla Russia, una nuova Operazione Barbarossa. Molti di noi che hanno tentato di “capire Putin” non hanno previsto l’attacco russo all’Ucraina per il semplice motivo che non abbiamo creduto che questo fosse nell’interesse della Russia. Tuttora non lo crediamo. A Mosca hanno visto il conflitto come inevitabile e hanno scelto il momento.

 

Echi ambigui

Putin ha giustificato “l’operazione” del febbraio 2022 della Russia in Ucraina come necessaria per fermare il genocidio a Lugansk e Donetsk. Questo riecheggiava la dottrina promossa dagli Stati Uniti R2P, Responsability to Protect (Responsabilità di proteggere), segnatamente del bombardamento della Jugoslavia, asseritamente per prevenire un “genocidio” in Kosovo. In realtà, la situazione, sia legale e specialmente umanitaria, è decisamente molto più disastrosa nel Donbass di quanto sia mai stata in Kosovo. Comunque, in Occidente, ogni tentativo di confronto tra il Donbass e il Kosovo viene denunciata come “falsa equivalenza”.

La guerra del Kosovo, tuttavia, è molto di più che un’analogia con l’invasione russa del Donbass : ne è una causa.

Soprattutto, la guerra del Kosovo ha chiarito che la Nato non era più un’alleanza difensiva. Era, invece, diventata una forza offensiva, sotto comando Usa, che poteva autorizzare sè stessa a bombardare, invadere o distruggere ogni paese su cui cadeva la sua scelta. Il pretesto poteva sempre essere inventato : il pericolo di un genocidio, una violazione dei diritti umani, un leader che minacciava di “uccidere il suo stesso popoplo”. Qualsiasi bugia inscenata poteva andare bene. La Libia fu il secondo esempio.

Anche sull’obiettivo della “denazificazione” annunciato da Putin ci si poteva aspettare che anche in Occidente si avvertisse un segnale d’allarme. Nulla.

E ciò denuncia il fatto che “nazista” non ha più lo stesso senso in Oriente e in Occidente. Nei paesi occidentali, Germania o Stati Uniti, “nazista” è diventato un termine che equivale primariamente ad anti-semita. Il razzismo nazista si rivolge contro ebrei, zingari e forse gli omosessuali.

Per i nazisti ucraini, il razzismo si rivolge contro i russi. Il razzismo del Battaglione Azov, che è stato incorporato nelle forze di sicurezza ucraine, armato e addestrato da americani e inglesi, riecheggia quello dei nazisti : i russi sono una razza mista, in parte “asiatica”, dovuta alla conquista medievale da parte dei mongoli, mentre gli ucraini sono pura razza bianca europea.

Alcuni di questi fanatici proclamano che la loro missione è distruggere la Russia. In Afghanistan e in altri posti , gli Stati Uniti hanno sostenuto fanatici islamisti, in Kosovo dei gangster. Chi importanza ha quel che pensano se combattono dalla nostra parte contro gli slavi ?

 

Obiettivi di guerra in conflitto 

 Per i dirigenti russi, scopo della loro “operazione” militare è prevenire l’invasione occidentale che temono. Tuttora vogliono negoziare la neutralità dell’Ucraina. Per gli americani, il cui stratega Zbigniew Brzezinski si vantava di aver attirato i russi nella trappola afghana (regalandogli il “loro Vietnam”), questa è una vittoria psicologica nella loro guerra infinita. Il mondo occidentale è unito come non mai nell’odio contro Putin. Propaganda e censura sorpassano ormai il livello raggiunto nelle due guerre mondiali. I russi certamente vogliono che questa “operazione” finisca presto, dato che è costosa per loro sotto molteplici aspetti. Gli americani hanno rifiutato ogni sforzo per prevenirla, hanno fatto di tutto per provocarla ed estrarranno ogni possibile vantaggio dalla sua continuazione.

L’obiettivo degli americani non è risparmiare sofferenze agli ucraini, ma rovinare la Russia. E per questo ci vuole tempo.

Il pericolo è che i russi non siano in grado di far finire questa guerra e che gli americani facciano tutto il possibile per farla continuare.

* Parigi, 16 marzo 2022. Pubblicato da Consortium News : https://consortiumnews.com/2022/03/16/diana-johnstone-for-washington-war-never-ends/ (traduzione Silvio Calzavarini)

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Intervista a Benedetta Piola Caselli: “I dati sui profughi ucraini sono impossibili da un punto di vista logico”

(di Francesco Santoianni)

Ucraina: basta con il giornalismo di guerra ridotto a mera propaganda! È il sorprendente appello di dodici corrispondenti di guerra italiani (tutti provenienti da media mainstream) pure loro verosimilmente inorriditi dai reportages di tanti giornalisti italiani diventati meri cantori della narrativa atlantista.

Tra i pochi che sono sfuggiti a questo destino, Benedetta Piola Caselli, avvocato di Roma che, con le credenziali di un quotidiano nazionale, si è recata due volte in Ucraina realizzando video-reportages tutti pubblicati sul suo profilo Facebook. Video da vedere assolutamente anche perché costituiscono uno dei rari esempi di giornalismo teso a capire, dietro la propaganda, cosa sta veramente succedendo. L’abbiamo intervistata.

<<La situazione che ho trovato è stata totalmente diversa da quella che credevo di trovare, e che avevo immaginato guardando la televisione e leggendo i giornali. Innanzitutto, io avevo capito che gli ucraini fossero tutti impegnati in guerra. In realtà, anche se tutti gli uomini fra il 18 e i 60 anni non possono lasciare il paese, solo l’esercito professionale e i volontari stanno combattendo, mentre gli altri sono ancora coinvolti nella gestione normale del paese. 

Nessuna coscrizione obbligatoria è ancora in atto, perché la legge prevede quattro livelli di mobilitazione (esercito, riserva, carcerati, mobilitazione generale) e siamo ancora al livello 1.

Oltre a questo, salvo che sulle linee del fronte, la vita continua normalmente con le due eccezioni del coprifuoco e delle sirene antiaeree, che suonano continuamente.

I corrispondenti spesso confondono le sirene con i raid, ma sono cose molto diverse. Per esempio, a Leopoli dal 26 febbraio ad oggi gli allarmi antiaerei sono suonati 74 volte, ma i raid sono stati 3 e tutti su obiettivi militari. C’è da chiedersi perché le fanno suonare così tanto in assenza di pericolo, e se non sia una strategia per mantenere alta la tensione, peraltro con conseguenze pericolose: ho filmato come la gente non ci creda più e continui normalmente la sua vita, senza ripararsi. 

Il giorno che ce ne fosse bisogno davvero, sarebbe una strage.>>

 

Ma come si vive a Leopoli?

<<Normalmente: si paga con il bancomat, i negozi sono pieni, tutti i servizi funzionano, la gente è per le strade e nelle piazze… Ho girato vari video sulla vita di Leopoli, che pure era descritta come una città in guerra. E’ vero però che c’è una situazione come di attesa, ci si aspetta sempre che gli eventi possano precipitare.>>

 

Cosa puoi dirci sulla libertà di stampa ed espressione del pensiero?

<<L’Ucraina è un paese in guerra e quindi, chiaramente, non c’è. Ad esempio, c’è un solo canale televisivo attivo, e io non riuscivo a collegarmi con nessuna agenzia russa per controllare anche la versione “nemica” degli avvenimenti. Detto questo, i media occidentali sono più realisti del re, perché non solo prendono per oro colato la propaganda bellica anche quando è palesemente ridicola, ma addirittura la superano. L’esempio delle storie delle mamme con il cuore spezzato per i figli diciottenni al fronte è una balla tutta italiana, perché gli ucraini sanno benissimo che stanno combattendo sono soldati professionisti e volontari; oppure la scemenza della nonnina che ammazza otto russi con la torta allo zinco, che era una traduzione sbagliata; o quella del volontario senza gambe…si potrebbe continuare per chissà quanto. Anche le coreografie con giubbetti antiproiettile, elmetti, sacchetti di sabbia e cavalli di frisia da zone tranquillissime, sono una buffonata tutta straniera, e non passerebbe mai fra gli ucraini che sanno benissimo dove si combatte e dove no. Ho scattato varie foto di reporter agghindati di tutto punto che descrivevano la “zona di guerra”, mentre erano di fronte a me che prendevo caffè e torta di fragole seduta al bar, con i ragazzini che mi giocavano a pallone a dieci metri.>>…

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Ucraina. L’eurodeputata Clare Daly: “Più armi significa più morti. La guerra così non si ferma”

 

Quei rarissimi momenti in cui quel mostro noto come Parlamento europeo assume un senso.

L’Intervento, straordinario, dell’eurodeputata irlandese Clare Daly del gruppo GUE/NGL.

Un minuto di verità, giustizia, pace, dignità contro ogni ipocrisia guerrafondaia…

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BUCHA, UN MASSACRO SIMBOLO DI UNA SCONFITTA – Alberto Negri

Cadono le maschere. Quella indossata da Putin, padrino di un massacro e di crimini di guerra a ripetizione. Mosca sta conducendo una guerra totale, di annientamento. Non c’è un obiettivo politico o di governo del territorio ucraino come poteva sembrare all’inizio (e come dichiarava lo stesso Putin) ma l’intenzione di lasciare terra bruciata e di ottenere al massimo il controllo, se riesce, del collegamento via terra della Crimea al Donbass.

Ma è caduta anche la maschera della Nato dove gli Usa sul campo di battaglia europeo conducono le danze per assestare alla Russia una sconfitta epocale con una guerra per procura usando gli ucraini come la loro fanteria. L’idea di fare dell’Ucraina, giorno dopo giorno, l’Afghanistan di Putin sembra sempre più concreta. I civili, in questa ottica di scontro strategico per la supremazia, sono le vittime «collaterali» di questo gioco

al massacro, come del resto abbiamo visto in passato dall’Afghanistan, all’Iraq, dalla Libia alla Siria, dalla Palestina allo Yemen. La differenza questa volta è che le vittime le facciamo entrare in casa, prima, come sottolineava ieri nel suo editoriale sul manifesto Norma Rangeri, le tenevamo fuori anche se erano i profughi delle «nostre» guerre, americane e della Nato.

Il massimo che si può sperare, dopo Bucha, è una tregua armata, non la pace. E il dopo Bucha, in attesa di video, foto e testimonianze di altri massacri, peserà assai, in una guerra che come spesso accade non ha una sola verità. In otto anni di relativa calma – tra la guerra del 2014, l’annessione russa della Crimea e il 2022 – nessuna sensata proposta di pacificazione dell’Ucraina, da Minsk in poi, ha avuto il minimo successo o riscontro, figuriamoci adesso.

Ricordiamoci che alla vigilia della guerra abbiamo visto un corteo di presidenti, primi ministri, cancellieri, capi della diplomazia, arrivare a Mosca: un numero di visite pari ai fallimenti ottenuti perché un compromesso geopolitico e diplomatico era ormai irraggiungibile. Oggi nessuno, almeno sembra, ha intenzione di andare al Cremlino, lo stesso Putin ha sbarrato la porta e le espulsioni dei diplomatici, da una parte e dall’altra, sono un segnale evidente che lo strumento negoziale è in coma.
La sensazione è che ci attendono tempi pericolosi. Erdogan si dà da fare per una mediazione ma Israele – preso dai suoi guai («terrorismo») – è caduto in un silenzio preoccupante perché probabilmente più dei turchi conosce Putin e soprattutto gli americani. L’ex capo del Mossad Eprhaim Halevi all’inizio della guerra scriveva su Haaretz che bisognava salvare la faccia a Putin: conosceva sicuramente più di noi le capacità, anche militari, di resistenza degli ucraini e la determinazione degli americani di punire Putin…

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INCONCEPIBILE, MA REALE – Gian Luigi Deiana

 

psicoanalisi dell’ autodistruzione

 

ancora una volta siamo giunti alla soglia decisiva per la ragione umana, quella in cui è definitivamente stupido chiudere gli occhi: si tratta di comprendere se la guerra presente, come tutte le guerre di prima ma fattualmente peggio, sia giunta o no all’essenza di ciò che chiamiamo guerra: la disposizione controllata alla distruttività come disposizione incontrollata all’autodistruzione;

si tratta dell’ enigma estremo, quello in cui la ragione approda senza accorgersi al proprio scacco terminale; essa continua a muoversi sulla persuasione che la distruzione mossa contro il nemico possa procedere secondo la misura stabilita, e possa essere accelerata o frenata o fermata in relazione alle circostanze date: possa quindi soggiacere a un limite razionalmente concepibile;

e invece no: è in agguato il momento in cui l’inconcepibile si fa reale; in quanto “fatto” esso non può essere negato, poichè i fatti sono come tali incontrovertibili per la ragione empirica; e tuttavia la ragione concettuale non è in grado di concepirli; si verifica la condizione cieca nella quale il fatto si fa reale senza che ne sia possibile il concetto, e dunque il farsi della realtà si sottrae alla ragione stessa; sotto traccia, ciò comporta che il fatto di distruzione sia mosso sulla pulsione all’autodistruzione, e quindi si giustifichi anche in termini di prezzo: mors tua = mors mea?

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scrive Vincenzo Costa

 

Ho visto un video, che allego. Arriva l’esercito ucraino in una povera fattoria. Alla loro vista il contadino è terrorizzato, si rifiuta di parlare, ha paura. Una signora molto anziana crede siano i russi e tira fuori una vecchia bandiera rossa della seconda guerra mondiale, che univa russi e ucraini contro i nazisti. Volendo dire: siamo un unico popolo, abbiamo una storia comune.

Il soldato ucraino le prende la bandiera, la butta per terra e inizia a calpestarla con disprezzo. E le da una busta con del cibo. La vecchia prima la prende, poi non sa che farsene e dice: per quella bandiera sono morti i miei genitori. E lo guarda con disprezzo.

Ho visto nascere in me un sentimento strano. Non tanto per la bandiera calpestata, ma per il disprezzo verso quella donna, verso la sua storia. Un sentimento di odio.

No, quei soldati non lottano per la mia libertà, non mi sono simili.

E subito ho pensato: devo reagire a questo sentimento di odio, appartengo alla tradizione europea, illuminista, cristiana. Mi sono ricordato di horkheimer;

“aver fede nella filosofia significa non permettere alla paura (e alle emozioni aggiungo) di diminuire la nostra capacità di pensare”.

Bisogna rimanere lucidi, analizzare, capire, cercare soluzioni, per impedire che i nostri peggiori sentimenti si impadroniscano della nostra vita e della nostra storia.

È forse la più grande sfida esistenziale ed intellettuale che questa guerra ci pone davanti

da qui

 

 

 

scrive Toni Capuozzo

 

C’ è la guerra, al telefono

Sto vedendo video sanguinosi, ma questo, senza una goccia di sangue, è peggio. In guerra le persone danno il peggio e il meglio di sé. Questo soldato ucraino mostra il peggio, utilizzando il telefonino di un soldato russo ucciso.

Ve lo racconto: la mamma del soldato russo riceve la videochiamata, appare il suo volto, lei crede che sia il figlio e pronuncia il suo nome “Iliusha, Iliusha” (diminutivo di Ilija) con tono allarmato.

Il militare ucraino ride e dice “Slava Ucraina”, “Gloria all’Ucraina”.

La mamma dice “non c’è Iliusha?”.

Lui risponde. “E’ morto. Ha fatto tre errori: si è perso, si è perso in Ucraina, è morto come un cane”. E ride.

Si vede il volto della madre impietrita che inizia a tremare. Lui dice: “cosa ti succede, perché ti tremano le labbra?”.

La mamma, con un altro telefonino, chiama una ragazza, probabilmente la fidanzata del figlio. E’ la ragazza a continuare a parlare con il militare ucraino. La ragazza dice alla madre: “Questo è un bastardo”. Poi rivolta al soldato: “Non crediamo a quello che dici. Facci vedere il nostro ragazzo”.

Lui risponde: “Non è rimasto niente di questo qui, è rimasto solo il culo, la gamba è staccata dal corpo, per fortuna è rimasto solo il telefono per chiamarvi e dirvi che lo stronzo fottuto non c’è più”.

La ragazza dice: “Sei tu che al posto della testa hai il culo”.

Lui ride: “E’ il vostro ragazzo che dove aveva la testa adesso ha il culo, grazie all’artiglieria ucraina”.

Si sente il pianto disperato della madre.

La ragazza dice: “Facci vedere il nostro ragazzo”.

Lui dice: “Cosa devo farvi vedere che lo stanno mangiando i cani, non abbiamo tempo per seppellire i vostri russi, li lasciamo finire ai cani, da un lato c’è la gamba, dall’altro la testa, è tutto sparso”.

La madre piange e chiude la conversazione.

Il soldato ucraino ride.

Non è propaganda russa, è girato dalla parte ucraina, da qualcuno che riteneva di potersene vantare. Eh, vabbè, ma hai presente cosa fanno i russi, è normale reagire così, fa quello che ha già indossato la mimetica dell’odio. Avrebbe potuto essere lo stesso a ruoli inversi ? Credo di sì, La guerra è anche questo, non è mai il Bene contro il Male, è il male che contagia. Sarebbe meglio, certo, se le linee fossero nette, se potessimo imbarcarci in una guerra per salvare bambini e donne, come angeli vendicatori, siamo la civiltà, il diritto, la democrazia, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, dalla Jugoslavia all’Ucraina. Qui c’è un invaso e un invasore, e questo non va mai dimenticato, ma da lì ad armare una guerra santa, pulita e trasparente, ne passa.

Guai ad avere dubbi, nelle ore supreme. Non è il malanimo dei professionisti dell’informazione o della politica a stupirmi, quando sospettano nelle critiche un fiancheggiamento di Putin, evitando così di rispondere alle domande. Mi colpisce l’accorato messaggio di persone semplici: “così semina confusione”, E’ vero, così si tolgono certezze. Una è incrollabile: la Russia ha invaso. La seconda, per me, è altrettanto solida: la guerra è essa stessa un crimine e in guerra i crimini sono pane quotidiano. Però veniamo messi al riparo da un versione confortante: i mostri sono i russi, e solo i russi, La loro guerra è stupri, violenze sui civili, saccheggi, non lo vedi ? Questo messaggio porta a ritenere la guerra come una scelta inevitabile, come un sacrificio economico e morale cui non ci si può sottrarre: ti pare che si possa trattare ? Negoziare è cedere, dobbiamo stare uniti, ripetono i politici. E in effetti, loro lo sono, tutti. Sotto l’ala di Washington e di Londra, Nato e Unione Europea rivelano piccole crepe solo sulle sanzioni. Ma il segretario generale della Nato dice che l’alleanza ha le porte aperte, e la guerra sarà lunga. Io mi disunisco, se la guerra chiama, non ci sono. Sono per negoziare, per trattare, per fermare la guerra. Ah, dite che voglio salvare Putin dalla inevitabile sconfitta ? Vi stanno accompagnando in guerra per mano. “Chi dubita sarà sconfitto. Forse” diceva Rat-Man. Mi tengo il “forse”. L’Occidente di cui tanto si riempiono la bocca ha vinto, quando ha vinto, grazie alle idee, agli stili di vita, alla seduzione della libertà: il muro di Berlino non l’hanno abbattuto i carrarmati. Quando abbiamo usato la forza, abbiamo lasciato il deserto dietro di noi. Draghi dice “Pace o condizionatore”. Non è così, avrebbe dovuto dire “Vittoria o condizionatore”, perché questo ci stanno chiedendo. Chi dubita sogna pace e condizionatore insieme, ma si accontenta di poter risparmiare qualche vita, di non allungare la guerra, e con essa gli odi. Altrimenti avanti, tra allegri ragazzi morti.

da qui

 

 

 

Mariana, la ragazza simbolo della tragedia dell’ospedale di Mariupol, intervistata da Giorgio Bianchi, spiega come mai in poco tempo, sia passata dall’essere un’icona della resistenza ucraina ad una rinnegata.

Per gettare ombre sulla sua versione dei fatti, hanno tentato di farla passare anche per un’ostaggio dei russi.

qui un interessante commento di Pino Cabras

 

 

 

La guerra che sta rovesciando il mondo. Nulla più come prima – Ennio Remondino

 

La Grande Politica di ieri ridotta alla sua reale dimensione di politichetta e relativi leader spesso svelati come caricature. Personaggi di casa, facile, ma tutto il mondo a catena, a far risaltare le contraddizioni di valutazioni politiche e personali del recente passato. La Germania in recessione economica, Macron quasi certamente rieletto, Orban probabilmente a casa, e la Polonia cattolica dei muri, costretta a pentirsi. Putin irrimediabilmente screditato, Trump che inciampa su Putin, Biden che forse perderà meno alle imminenti elezioni di medio termine, e la Cina di Xi che ora tratta alla pari con gli Stati Uniti. L’Europa sino a ieri spezzettata e critica verso la Nato spinta ancora più a Ovest attraverso un Atlantico sempre più piccolo e meno importante, la Russia verso l’Asia e la Cina, la sfida strategica tra regimi autoritari e democrazie incerte trasferita sul fronte del Pacifico. Con l’intero assetto politico economico del prossimo futuro assolutamente incerto. Il macello in Ucraina che non si sa quando e come andrà a finire, e tutto il resto attorno. Due spunti che a noi sembrano emblematici.

L’America solo ora oltre Trump

«I nervi a pezzi dei trumpiani»,  titola il Foglio, non accusabile di partigianeria di sinistra. Per contrastare Biden, i repubblicani inciampano nella loro stessa ideologia. Una trentina di deputati repubblicani americani hanno votato contro lo stanziamento di 13,6 miliardi di dollari in aiuto umanitario e militare all’Ucraina. «Questi stessi repubblicani che dicono che bisogna fare di più per sostenere l’Ucraina, che Joe Biden è debole e in ritardo». Ora la Casa Bianca ha gioco facile a rispondere, anche se in quei 1500 miliardi per ristrutturare l’America post pandemia, gli aiuti all’Ucraina erano solo di abbellimento.

Crisi repubblicana e autoritarismi

«I repubblicani in realtà attraversano una crisi più profonda», costretti a condividere oggi la politica di Biden rinnegando quasi tutta la politica estera trumpiana: «togliere fondi alla Nato, credere più a Putin che alla propria stessa intelligence, considerare Crimea e Donbas territori russi. Questo è quel che ha fatto Trump quando era presidente, e pure se tra i repubblicani il filoputinismo alimentato dal loro ultimo presidente è pressoché finito». Ora costretti a  decidere se fare opposizione a Biden perché è troppo cauto contro Putin «o se sostenere Biden nella sua politica di soffocamento economico di Putin».

Raniero La Valle sul Manifesto

«Se le cose stanno come vengono oggi spiegate, per l’Ucraina e la Russia è in gioco la sopravvivenza, per l’una ad opera della Russia, per l’altra ad opera degli Stati Uniti», sostiene Raniero La Valle, «è fuori della realtà che Zelensky e Putin si siedano a un tavolo e aggiustino la guerra e il mondo». Inverosimile, salvo che al tavolo si siedano Putin e Biden. «Anzi è tanto verosimile che già ci stanno, anche se virtualmente per uccidersi». «Se vogliamo tornare a una realtà non virtuale bisogna abbandonare quel racconto della guerra in cui tutti fanno finta di credere e che non è quello vero e unico».

Le responsabilità del giornalismo

«I giornalisti che dovrebbero capire e spiegare i fatti come sono veramente», insiste il pensatore cattolico, senza tifoserie di appartenenza (e senza Mosca vietata dalla Rai, Ndr). «La guerra non è tra Russia e Ucraina. La guerra è tra la Russia e gli Stati Uniti, anzi per essere ancora più veri è tra lo schieramento dei partecipi alle sanzioni sotto la guida americana e la Russia».

Dentro ci siamo anche noi

«In ballo c’è l’assetto del mondo, dopo l’uso perverso della fine dei blocchi, tra gli Stati Uniti che vogliono il comando e tutto “il secolo americano” per sé, la Russia che non vuole essere messa ai margini o esclusa addirittura dal mondo e dalla storia, e la Cina che aspetta. L’Ucraina non c’entra niente anche se oggi paga per tutti e questa è la ragione principale della nostra pietà e del nostro dolore per lei, che è stata gettata da tutte le parti nella fornace senza alcun bisogno».

da qui

 

 

UN POLO BELLICO NATO A TORINO? NO, GRAZIE!

SABATO 9 APRILE, RIFONDAZIONE COMUNISTA MANIFESTERÀ CONTRO IL POLO BELLICO AEROSPAZIALE (D.I.A.N.A.) A TORINO. SARÀ PRESENTE ALLA MANIFESTAZIONE  IL SEGRETARIO NAZIONALE  PRC-SE  MAURIZIO ACERBO.

LA MANIFESTAZIONE È INDETTA DAL COORDINAMENTO TORINESE CONTRO LA GUERRA E CHI LA ARMA.

APPUNTAMENTO A TORINO, ORE 14,30 IN PIAZZA BORGO DORA.

 

D.I.A.N.A. è l’acronimo di Defence Innovation Accelerator for North Atlantic, ossia “Acceleratore di innovazione destinata alla Difesa per il Nord Atlantico”, il cui Ufficio Regionale per l’Europa dovrebbe aver sede presso la cosiddetta “Città dell’Aerospazio”, nell’area compresa fra corso Marche e corso Francia.

L’idea di questo progetto, che sta procedendo nel silenzio totale dei mezzi di informazione, è nata a Bruxelles nel giugno 2021, nell’ambito dell’”Agenda NATO 2030”. La candidatura di Torino a diventare sede della struttura è stata presentata il 20 gennaio scorso, in un vertice con le autorità militari, dal presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio e dal sindaco di Torino Stefano Lo Russo.

Ad una Torino gravemente colpita da povertà e desertificazione produttiva, si prospetta quindi, dietro l’immagine evocativa del termine “aerospaziale”, uno sviluppo legato in realtà all’industria bellica degli armamenti. Lo scopo dichiarato è proprio quello di supportare la NATO nell’innovazione tecnologica, in sinergia fra Pubblico e Privato, coinvolgendo Industria, Difesa e mondo accademico.

È un’operazione assai rilevante, nel momento in cui si prevede la nascita di  un Centro D.I.A.N.A. in Europa (a Torino!) e solo un altro, analogo, negli USA.

Principali promotori industriali dell’iniziativa sono Leonardo (azienda a partecipazione statale) e Avio Aero. Dal canto suo, il Politecnico di Torino ha già stipulato un accordo con Leonardo per realizzare una struttura il cui avvio dei lavori è previsto entro il 2022: continua, in questo modo, il coinvolgimento del Politecnico torinese in operazioni inaccettabili, come già avvenuto per la consulenza logistica anti-immigrazione nell’ambito del  progetto Frontex.

I soggetti coinvolti, pubblici e privati, sono, oltre a Regione Piemonte  e Comune di Torino, Politecnico e Università, Camera di Commercio, Unione Industriale, API, CIM 4.0, Distretto Aerospaziale del Piemonte, TNE.

La scelta di Torino non è casuale, poiché già oggi gran parte della produzione aerospaziale e bellica italiana ha sede in Piemonte (a Cameri, presso Novara, si producono ad esempio gli F35), con un giro di affari stimato in 5 miliardi di euro. La realizzazione del Polo rappresenterebbe un ulteriore salto qualitativo, coinvolgendo, oltre alle già citate Leonardo e Avio Aero, industrie come Collins Aerospace, Thales Alenia Space, Altec.

Questa è l’idea di sviluppo che il “Sistema Torino” ha elaborato per la Città: produzione di armi, cioè distruzione di vite umane, case, scuole, ospedali, città. Non a caso ciò avviene nel momento in cui le reciproche tensioni imperialistiche riportano (dopo il tragico precedente dell’ex Jugoslavia) la guerra anche in Europa.

E’ un’operazione che deve assolutamente essere sconfitta, per opporsi concretamente a una guerra che trova origine proprio nel grande mercato degli armamenti e  per un diverso progetto di Città, orientato verso produzioni non inquinanti, utili per la popolazione e per  la cura delle persone e del territorio. Occorre battersi, insieme ai lavoratori coinvolti, per progetti concreti di riconversione, per costruire un’alternativa alle produzioni di morte!

Alberto Deambrogio (segretario PRC-SE Piemonte)

Fausto Cristofari (segretario PRC-SE Torino)

 

 

Il Sussidiario – Michele Zizzari

 

Ho cominciato a capire più o meno come va il mondo sin dall’adolescenza.

L’ho imparato da quel che accadeva nel quartiere, nella strada, nella mia città, a Castellammare di Stabia, popoloso centro turistico e industriale della provincia di Napoli, un concentrato di tutte le contraddizioni sociali, economiche e politiche del Bel Paese e delle nostre società occidentali cosiddette democratiche e avanzate: urbanizzazione selvaggia, speculazione, corruzione, spregiudicata ambiguità della politica, criminalità, precarietà e disoccupazione cronica, evasione scolastica, emarginazione e discriminazione sociale, eccetera. Un luogo del Sud, un punto di osservazione della e sulla realtà che dà poco spazio agli equivoci e alle apparenze.

L’ho imparato a scuola, crescendo, leggendo e studiando la storia, la letteratura e la filosofia, la sociologia e la critica dell’economia. L’ho imparato seguendo la cronaca dei fatti, l’attualità, quello che accadeva, sviluppando un mio libero pensiero critico.

Ma una certa idea del mondo me l’ero già fatta leggendo le pagine di storia del sussidiario e dei testi delle Scuole Medie. Pagine che raccontavano “chi eravamo”, e forse quello che – facendo le debite differenze e comparazioni storiche e di contesto – “chi siamo” in realtà anche oggi. “Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo…”.

Lo sosteneva Quasimodo, dopo aver visto la Grande Guerra e non solo.

Eredi di cinici conquistatori, assetati di territori, di sangue, ossa e potere, sempre pronti a mettere le mani sulle risorse altrui e dominare. Penso all’Impero Romano, all’ambizione imperialista che lo portò a dominare l’Europa, tutto il Nord Africa, il Medio Oriente e altro ancora. Conquiste ottenute con invasioni e guerre sanguinose (in cui il saccheggio, lo stupro e i massacri di massa sono la norma), con l’impietosa e forzata sottomissione di quei popoli. Spesso suscitando la loro reazione e nuove guerre, come quelle coi Persiani, coi Cartaginesi di Annibale e coi popoli cosiddetti barbari, ovviamente tutti dipinti come incivili, mostruosi nemici da sconfiggere, almeno fino a nuove alleanze e inattese sconfitte.

Poi, dopo secoli di guerre fratricide tra i grandi regni d’Europa, siamo andati a estendere il dominio oltre gli oceani, i deserti e le grandi montagne.

Una colonizzazione a tappeto delle Americhe, dell’Asia e dell’Africa e il saccheggio generalizzato delle risorse perpetrati con lo sterminio, con la riduzione in schiavitù, col genocidio di interi popoli e di numerose culture e civiltà indigene. Coi cannoni, la corruzione e la Bibbia in mano. Anche allora si disse, per portare progresso e civiltà a popoli selvaggi e senza dio. Così scrivevano i giornali e proclamavano i governi delle grandi potenze economiche europee. La propaganda dominante. In realtà i selvaggi erano i conquistatori. Ma per anni l’epopea dei film western e dell’avventurosa conquista del West – che ha dato forse inizio al mito del sogno americano – ci ha fatto credere che i cattivi erano i pellerossa, feroci selvaggi scuoiatori di scalpi.

E per far crescere velocemente le messi, per sviluppare i grandi allevamenti, le coltivazioni sempre più intensive, le attività minerarie e di sfruttamento del suolo, le infrastrutture, le manifatture, le industrie e le città del Nuovo Impero di un Occidente migrato e trapiantato oltre oceano senza più vincoli di sorta, si scelse di ridurre e tradurre in schiavitù milioni e milioni di africani e non solo. Una dominazione apartheid su scala mondiale operata dalle potenze europee e dai Nuovi Stati d’America. Giusto per capirci: tutti conoscono la ferocia della dominazione belga di re Leopoldo in Congo, di quella inglese in India e po’ ovunque nel mondo, di quella francese (e anche italiana) in Africa.

E gli USA, nuova potenza mondiale d’oltre oceano, nata e pasciuta con la violenza ed erede di quella, non sarebbe stata da meno. Guerra contro la Spagna, occupazione e annessione di numerosi e vasti stati del Messico. Invasioni e pesanti ingerenze su tutti i paesi del continente americano. Colpi di stato, appoggio economico e militare a dittature criminali, sovvertimento di governi democratici. In Asia, guerra in Corea, in Vietnam e in tutto il Sud Est Asiatico. E in Africa, ancora per sovvertire democrazie nascenti, come quella della Repubblica Democratica del Congo di Lumumba, la grande speranza democratica africana assassinata per volere della nuova Superpotenza mondiale.

Dopo la Seconda guerra mondiale, che aveva visto il tentativo folle da parte della Germania nazista di Hitler di conquistare quasi tutta l’Europa e perfino la Russia – forse come riconoscenza per l’impegno militare ed economico che aveva sconfitto il Terzo Reich (ma si dimentica l’intervento decisivo dei russi, con un tributo di 20 milioni di morti) – l’Italia e l’Europa Occidentale scelsero di asservirsi agli USA, aderendo alla Nato e al Patto Atlantico, manco a dirlo in funzione antirussa. Di qui la Guerra fredda. In realtà sempre stata in corso fino a oggi e alla questione ucraina. Una guerra mai finita, sottesa e costantemente alimentata dagli USA, anche quando Gorbaciov iniziò un programma unilaterale di distensione e di disarmo, che portò alla caduta del Muro di Berlino e all’indipendenza di quasi 20 stati dell’ex area sovietica, a patto che quei paesi non entrassero nella Nato e non ospitassero basi militari Nato.

Manco a dirlo, accordo mai rispettato dagli USA e dall’Europa.

A seguire gli Usa (non contenti dei massacri perpretrati in Corea, in Vietnam e nel Sud Est Asiatico) e pensando che il gigante russo fosse ormai fuori gioco e fiaccato, scatenano una nuova serie di guerre per il dominio geopolitico del mondo in diversi paesi definiti “canaglia” dai signori della guerra USA.

“Canaglia” perché (così dice la propaganda) chi artefice del “terrorismo internazionale” e chi responsabile di gravissime violazioni del Diritto internazionale, in realtà dell’Ordine mondiale a comando USA. E via a bombardare Afganistan, Somalia, ex Jugoslavia, Iraq, Libia, Siria e via di questo passo. Morte e distruzione, e insieme accaparramento di risorse e grandi affari. Il tutto sempre a suon di bombe, ma con lo scopo umanitario di capovolgere feroci dittature e di esportare civiltà, libertà, democrazia e progresso.

Peccato che a distanza di decenni da quelle guerre di questi buoni propositi non se ne vede realizzato nessuno, e quel che resta sono soltanto macerie (materiali, umane e valoriali), odio e sete di vendetta.

Ora questi governanti russi e Putin non sono certo santi, anzi tutt’altro, ma i governi d’Occidente (USA in testa) sono stati e sono anche peggio. Se quello di Putin è un regime criminale, lo sono anche gli USA, la Nato e i Paesi europei, anch’essi complici di atrocità contro l’umanità. Se si condanna e si sanziona la Russia, allora bisogna anche condannare e sanzionare gli USA, la Nato, i Paesi europei e Israele (che da lungo tempo – violando decine e decine di risoluzioni dell’Onu – tiene sotto una disumana occupazione il popolo palestinese). Come andrebbero condannati e sanzionati paesi come l’Arabia Saudita e la Turchia, che sono regimi che definire oppressivi suona come un complimento, ma che non vengono toccati perché alleati degli USA o membri della Nato.

Sin da ragazzo avevo capito anche questo, che il doppio diritto e la doppia morale che il potere, la ricchezza e la legge del più forte impongono ai poveri e alle classi subalterne nelle nostre finte democrazie è la medesima che viene imposta dalle alleanze tra i più forti anche a livello geopolitico e globale.

Non ho mai avuto la percezione di vivere realmente in una democrazia, diciamo almeno accettabile. Non ne ho mai avuto prova, anzi, il contrario. Se si potesse misurare adeguatamente il grado di democraticità di un paese, quello dell’Italia (come quello di tanti altri stati europei e degli USA) risulterebbe molto al di sotto della sufficienza.

Altrimenti non sarei stato costretto a un’adolescenza infernale, a sopravvivere per una vita di lavoro nero e precario e di angosce senza fine, semplicemente per sbarcare il lunario… non avrei subito da padroni, dallo Stato, dai suoi corrotti funzionari, dalle sue sclerotiche istituzioni e dalla sua burocrazia classista – fatta apposta per favorire i più forti ed escludere i più fragili e che al contrario avrebbero dovuto tutelarci – tutti i soprusi e le ingiustizie che io, la mia famiglia e la gran parte della gente del Sud hanno subito.

Come non ho potuto esprimere le mie opinioni senza subirne conseguenze e processi di marginalizzazione e di esclusione. L’Italia non è mai stato un Paese sovrano, perché tutta la sua storia politica, economica, delle relazioni internazionali, sociale e perfino culturale, è stata pesantemente condizionata dall’ingerenza politica, economica e culturale degli USA e dalle trame oscure di poteri nel potere, lobby, logge massoniche, enclavi neofasciste, servizi segreti, politici e grandi gruppi economici corrotti, in combutta con organizzazioni criminali che continuano a funzionare come stati nello Stato; e per moltissimo tempo anche da un altro piccolissimo Stato estero, il Vaticano. E come l’Italia, non è mai stata sovrana neppure l’Ucraina, ora sedotta dalle sirene d’Occidente, dove – dinanzi a una sorda e cieca Europa, anch’essa tutt’altro che sovrana – è stata fatta scoppiare, dopo averla alimentata per anni, una guerra eterodiretta… che nessuno ha provato a evitare, eppur si poteva.

L’ho imparato dal sussidiario.

 

 

 

 

Il ruolo della geopolitica nelle crisi internazionali. Il caso dell’Ucraina – Andrea Vento

 

L’escalation del conflitto in Ucraina, provocata dall’invasione russa iniziata il 24 febbraio 2022, ha costretto analisti e studiosi a riprendere in mano il “dossier Ucraina”, già in precedenza salito alla ribalta dopo il colpo di stato di piazza Maidan del febbraio 2014 ai danni del russofono Yanukovich. Il nuovo governo, a seguito dello spostamento a destra dell’asse politico e del riposizionamento geopolitico filoccidentale, finì per innescare, nei mesi successivi, la repressione della popolazione russofona dell’est del Paese da parte dei nazionalisti ucraini, l’annessione russa della Crimea e lo scoppio della guerra nel Donbass contro le auto-proclamate Repubbliche Popolari di Donestk e Lugansk. Una guerra terminata con gli accordi di Minsk 2 del febbraio 2015 che, nonostante la scarsa copertura mediatica occidentale, ha provocato gravi distruzioni e la morte di 13.000 civili ucraini di lingua russa.

Il Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati, che all’epoca aveva cercato di comprendere radici e sviluppi della crisi ucraina tramite l’analisi delle sue vicende geopolitiche e la pubblicazione di un’agile dispensa dall’eloquente titolo Ucraina, il boomerang delle sanzioni europee, aveva indagato il diverso impatto prodotto, sulle due aree geo-economiche occidentali, dalle sanzioni economiche imposte dagli Usa alla Russia, e, obtorto collo, adottate anche dai loro subordinati europei.

A conclusione della dispensa[1] avevamo anche provato ad elaborare una proposta di risoluzione del conflitto i cui principi, da un lato, avrebbe garantito sia i diritti della popolazione russofona che l’integrità territoriale dell’Ucraina, tramite la trasformazione della stessa in uno Stato federale e, dall’altro, il conseguimento dello “status” di neutralità del Paese, rispetto ai blocchi militari contrapposti, avrebbe risolto pacificamente il conflitto interno e, in prospettiva, evitato ulteriori sviluppi militari internazionali che, invece, si sono purtroppo verificati.

La geopolitica persegue il non agevole compito di studiare le relazioni internazionali, di analizzare le aree di crisi e di proporre indicazioni per la risoluzione diplomatica dei conflitti, tenendo in debita considerazione i diritti di tutti i popoli senza, peraltro, trascurare le esigenze di sicurezza e le specificità dei singoli Stati. Tuttavia, la logica unilaterale di potenza che sta dominando le relazioni internazionali dalla fine del Bipolarismo cerca pervicacemente di continuare a prevalere sulla prospettiva di un nuovo ordine mondiale basato sul coinvolgimento multilaterale che, invece, garantirebbe la partecipazione, quantomeno delle principali potenze mondiali e regionali, alla definizione degli equilibri internazionali.

A tal proposito, riproponiamo quanto da noi elaborato 8 anni or sono, da un lato, con il conforto generato dal fatto che la nostra proposta, seppur al netto delle contingenze geopolitiche ormai superate, risulta ancora oggi di calzante attualità per la risoluzione del conflitto. Mentre, dall’altro, non possiamo nascondere il rammarico per il quadro di risoluzione che si sta delineando a seguito dell’azione diplomatica degli ultimi giorni.

La risoluzione finale del conflitto, oltre alla neutralità militare dell’Ucraina, avrà probabilmente come orizzonte la spartizione territoriale del Paese con l’aggravante che a ciò si arriverà al termine di un aspro conflitto che avrà provocato decine di migliaia di vittime da ambo le parti, distruzioni e gravi sofferenze per i civili che, ancora una volta subiranno le conseguenze maggiori.

Inevitabilmente su questo aspetto, una volta definito il quadro negoziale dell’accordo che porterà alla fine della guerra, dovremmo chieder conto ai nostri leader politici: “forse gli stessi risultati si potevano conseguire evitando la guerra…?”. Con una buona dose di sano pragmatismo geopolitico, probabilmente sì… ma in tal caso gli arsenali sarebbero rimasti pieni e non sarebbe scattata la corsa al riarmo, anche per il nostro Paese.

Andrea Vento – 31 marzo 2022

Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati 

Crisi ucraina: l’impervia via d’uscita ‘finlandese’…

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Di qua e di là del fronte, i gruppi armati neonazisti di Ucraina e di Russia – Gruppo di lavoro Patria su neofascismo e web

 

…Nazisti ucraini contro nazisti russi. Il presidente ucraino – ed ebreo – che glorifica un reparto nazista e negli stessi giorni il presidente russo – che vuole “denazificare l’Ucraina” – che ne glorifica un altro, nazista anch’esso.

Le contraddizioni sembrano irrisolvibili.

Per cercare di mettere un minimo di ordine è necessario inquadrare il senso delle parole e dei simboli che vengono usati da una parte e dall’altra.

Nazionalsocialismo, come il figlioccio nazionalbolscevismo, è prima di tutto un nazionalismo, estremo e violento. La linea attraverso la quale si orienta la conflittualità è quella del confine nazionale, delle appartenenza culturali. Si è di qua o di là, ci si spara, si determinano equilibri di potere attraverso la violenza. Dunque nessuna sorpresa nel vedere nazisti contro nazisti.

E la presenza di questi gruppi armati innestati di nazismo in una situazione di guerra è questione di pragmatismo, da entrambi i lati. Né Ucraina né Federazione Russa sono naziste di per sé. Però, se da lato ucraino celebrare Stepan Bandera ha funzione primariamente antirussa, l’effetto secondario di celebrare l’ultranazionalista alleato di Hitler è una pesante ferita alla giovane e, per certi versi, ancora incerta democrazia di quella Repubblica. Il clima di guerra in Russia devasta il campo già agonizzante della libertà di espressione, impone il regresso e l’isolamento del Paese nel consesso internazionale e il regresso e l’isolamento della parte più aperta, pacifica e moderna della società russa dalla società russa nel suo complesso.

In fin dei conti ciò che a nostro avviso deve maggiormente preoccupare non sono tanto le opposte propagande di guerra, né – per quanto importanti – i simboli e le parole esplicitamente naziste usate, ma le prospettive che queste e altre situazioni determineranno nel futuro. Inoltre non è da sottovalutare la capacità di contagio anche in realtà distanti dal contesto culturale europeo, come le repubbliche asiatiche dell’ex Unione Sovietica. Analoga preoccupazione è presente per le repubbliche caucasiche, come Georgia e Armenia, dove l’influenza di gruppi estremisti filo-russi è in crescita.

In Ucraina il conflitto porterà ulteriore prestigio al Reggimento Azov. Un prestigio che, come già abbiamo visto, il Reggimento desidera reinvestire per influenzare la politica del proprio paese. E questa è solo la prospettiva meno preoccupante. Come ha sottolineato Amnesty International, la domanda vera è cosa succederà dopo la guerra, dove finiranno le armi che adesso sono nelle mani di questi gruppi politicamente legati al nazismo? Gruppi noti per le violenze verso “donne e attivisti dei diritti LGBTQI+, attivisti di sinistra, famiglie Rom” e che negli anni i governi ucraini non hanno saputo ostacolare efficacemente. Ed è bene sottolineare con forza che questi gruppi hanno fra le mani anche le armi inviate dall’Italia. E ancora, neonazisti armati, addestrati e rotti alla violenza della guerra: questo che valenza ha nella prospettiva di un’inclusione dell’Ucraina nell’Unione Europea? Per non dire – ma lo diremo nella seconda parte di questo articolo, di prossima pubblicazione – di come questo si inquadra nelle relazioni internazionali con le formazioni di estrema destra europee e italiane.

In Russia la questione è evidentemente almeno in parte analoga. Ma da quella parte del fronte ciò che è maggiormente rilevante è la rotta politica – come si vedrà nella seconda parte di questo articolo – determinata dalla guerra di Vladimir Putin, ovvero di quella figura che ha realizzato un modello di narrazione statuale e più in generale politica e sociale ostile al “mondo moderno” e alla democrazia, che rimane un riferimento per gran parte dell’estrema destra occidentale.

Infine, per avere una percezione corretta dei fenomeni descritti fino ad adesso, è bene sottolineare che le maggiori formazioni militari descritte di entrambe le parti – come Azov, Sparta e Oplot – sono piccolissima parte dei rispettivi eserciti e pur avendo forti notazioni politiche costituiscono un’attrattiva soprattutto per il loro prestigio militare. Chi si arruola, nella gran parte dei casi, non le sceglie tanto per la loro connotazione ideologica, né poi viene selezionato sulla base di simpatie politiche di estrema destra, ma su questioni decisamente più pratiche, quali addestramento e motivazione bellica. La dimostrazione di questo è il debolissimo credito politico diretto che i partiti vicini al Reggimento Azov in Ucraina e al nazionalbolscevismo in Russia hanno ricevuto fino a ora.
In maniera simmetrica al nazionalismo ucraino che rispolvera Bandera e le formazioni che affiancarono il nazismo storico va considerato criticamente anche il valore antifascista e antinazista della retorica russa. Quell’antifascismo è in parte diverso da quello italiano e su alcuni temi decisamente opposto: qui da noi l’antifascismo è stato lo strumento di transizione fra dittatura e democrazia, in Russia invece è l’orgoglio – il giusto orgoglio – associato alla guerra patriottica che sconfigge l’invasore, ha cioè connotati nazionalistici decisamente più spiccati che in Italia e per questo è utilizzabile da chi con la democrazia ha ben poco a che spartire.

da qui

 

 

 

RUSSIA-UCRAINA. La crisi vista dalla Palestina dove la molotov è «terrorista» – Michele Giorgio

 

Non è semplice, dopo oltre un mese, rappresentare la posizione dei palestinesi nei confronti della decisione di Vladimir Putin di scegliere la via militare e di attaccare l’Ucraina. Il primo fattore da considerare è la differenza esistente tra la linea del silenzio scelta dall’Anp di Abu Mazen e dal movimento islamico Hamas, per non compromettere i rapporti con Mosca, e quella della popolazione o almeno di una parte di essa più incline a solidarizzare con Kiev. L’atteggiamento della gente comune però sta mutando. È passato dalla solidarietà ai civili ucraini colpiti dall’invasione dall’esercito russo – per giorni sui social tanti hanno postato foto di edifici e infrastrutture in Ucraina colpiti da missili e dei profughi in fuga dalla guerra, assieme a quelli di Gaza distrutti da attacchi israeliani – a una posizione più neutrale, figlia del disappunto generato dall’«ipocrisia degli occidentali». È passato dalla solidarietà ai civili ucraini colpiti dall’invasione dall’esercito russo – per giorni sui social tanti hanno postato foto di edifici e infrastrutture in Ucraina colpiti da missili e dei profughi in fuga dalla guerra, assieme a quelli di Gaza distrutti da attacchi israeliani – a una posizione più neutrale, figlia del disappunto generato dall’«ipocrisia degli occidentali»…

continua qui

 

 

 

 

 

Difendere la democrazia attraverso un nazionalismo fascista e una spesa militare suicida? No grazie – Enzo Pellegrin

 

Se Ennio Flaiano fosse chiamato oggi a pronunciarsi sul mainstream italiano in argomento guerra, ne uscirebbe sicuramente con uno dei suoi paradossi ad effetto “Non è tanto quel che vedo o leggo a farmi impressione, ma quel che sento: quell’insopportabile rumore delle unghie che si arrampicano al vetro”.

Sugli altoparlanti dell’egemonia mediatica è andata in onda a reti unificate la difesa ad ogni costo delle parole ed opere del governo ucraino, quali che fossero i mezzi da questo utilizzati, il tutto in vista di una costosa militarizzazione dell’intera Europa, già con l’acqua alla gola per la crisi economica.

La gustosa intervista ad un comandante del Battaglione Azov – composto da nazionalisti dell’ultradestra ucraina, che confessa di “leggere  Kant” ai propri soldati, la comparsata della band di “Kiev calling” che canta con le magliette di Banderas, hanno scoperto più di un nervo della narrativa dominante. Una volta emerso che il cavallo politico su cui si era contato consentiva un’agibilità senza paragoni ad organizzazioni ispirate al nazismo, al nazionalismo etnico, ai collaborazionisti del Terzo Reich venerati come “eroi nazionali” con tanto di monumenti, è partita la corsa a negare l’evidenza, a ridimensionare un fenomeno che il governo ucraino per primo si rifiuta di ridimensionare, oppure ad utilizzare narrazioni consolatorie e giustificazioniste, slegate dalla realtà, come quella per cui “i nazisti esistono su entrambi i fronti”.

Va fatta la solita premessa, d’obbligo di questi tempi per non vedere il proprio ragionare delegittimato a tifo: la natura della Russia governata da Putin è di tutta evidenza un regime oligarchico nel quale il blocco storico dominante (composto da un blocco politico alleato a precisi blocchi economici privati e controllati dallo Stato) utilizza tutti gli strumenti della propaganda, della gestione sociale e della repressione per la perpetuazione del potere. Non vi è chi possa negare che ogni forma di alternativa politica vada incontro a una decisa repressione, anche quando si tratti di rivendicare semplice agibilità democratica.

Sennonché, si potrebbe dire, un tale corso autoritario non è al giorno d’oggi funzionante solo in Russia, ma da molto tempo caratterizza quasi tutte le nazioni dell’Occidente, che pretenderebbero di censurarla. Anche nei nostri lidi alberga un potere gestito in modo sempre più indipendente da reali meccanismi democratici, che si tratti di uomini – o clan – forti, come in Ungheria, Polonia, Bulgaria, Romania, di pilastri plutocratici ed oligarchici come in Usa, di elites tecnocratiche come in Italia. Se la Russia sfoggia un impresentabile Khadirov in Cecenia, ci si deve chiedere se i clan del Kosovo, Orban o Erdogan non siano altrettanto impresentabili. E si potrebbe continuare…

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L’Italia è in guerra già da tempo – Antonio Mazzeo

Intervento di Antonio Mazzeo al Convegno “Dalle Università ai Teatri di Guerra blocchiamo la Filiera della Morte“, Torino, 18 marzo 2022, organizzato dal collettivo Cambiare Rotta Torino nell’ambito del Sottosopra fest V Edizione – Contro la guerra e il riarmo!

Non vorrei essere pessimista ma in tutta sincerità, ogni giorno che passa, vivo in prima persona la profonda preoccupazione di un conflitto che si sta estendendo. E un conflitto che può diventare veramente totale e globale, oltre che ovviamente nucleare.

Un conflitto che ci vede già in prima linea. L’Italia è in guerra. E non siamo in guerra soltanto perché quotidianamente da Pratica di Mare o da Pisa partono quei cargo pieni di armi, che verranno consegnati non sappiamo in che modo e a chi – accontentandoci di sapere che sono indirizzati in Ukraina, ma sapendo che contribuiranno ad estendere e ulteriormente infiammare la gravità della situazione.

Siamo in guerra perché le forze armate italiane e il territorio italiano è già, in questo momento, un territorio di guerra. E un territorio da dove continuamente partono operazioni che sono di provocazione e che contribuiscono ad aggravare le situazioni di conflitto.

I compagni portuali che hanno parlato prima in questo convegno, sanno benissimo il ruolo che Genova, Livorno, La Spezia. Trieste, Pisa, hanno avuto in questi anni nell’armare i conflitti, principalmente nell’area medio orientale. Da parte nostra come Movimento NoMUOS ci siamo dati appuntamento prima a Niscemi (sabato 12 marzo) e poi a Sigonella (domenica 20 marzo) due luoghi che, come nel caso della Val di Susa, sono proprio il simbolo della condanna dei territori, che vengono espropriati e direi stuprati per finalità di morte e distruzione. Siamo stati a Niscemi perché all’interno di una riserva naturale, una delle aree più belle della Sicilia, è stato realizzato uno dei quattro terminali terrestri del MUOS, il sistema di telecomunicazioni satellitari ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi.

Chiariamo subito che non è un progetto NATO e non è neanche un radar, è un sistema di telecomunicazioni che ha proprio il compito di far transitare dati, comandi e attività di intelligence. Non c’è utente delle forze armate americane, non c’è sottomarino, missile balistico nucleare, portaerei, cacciabombardiere, unità navale, non c’è un singolo militare o reparto che non faccia circolare le informazioni, le immagini, i comandi all’interno di questo sistema satellitare. Sono stati realizzati quattro terminali terrestri di questo tipo, uno alle Hawaii, uno in Australia, uno direttamente in Virginia e uno in Sicilia, a dimostrazione di come l’Isola abbia un ruolo geostrategico globale nelle operazioni di guerra. Per questo siamo stati a Niscemi perché sappiamo che ogni attività di comando, ogni decisione che può eventualmente alzare l’asticella di questo conflitto, passerà dal territorio italiano: passerà dal territorio siciliano e dalla riserva naturale di Niscemi.

E poi Sigonella, che negli ultimi 40 anni ha avuto un ruolo direi centrale in tutti i conflitti, dalla guerra dello Yom Kippur nel 1973 con Israele, alla prima e seconda guerra nel Golfo, e poi le operazioni di guerra in Afghanistan, quelle del 2011 rispetto alla Libia… Da Sigonella decollano quotidianamente i droni della marina militare statunitense e i droni AGS della NATO, per tutte quelle operazioni di provocazione al confine con la Russia, con la Bielorussia, in Ukraina, sorvolando il Mar Nero e la Crimea. Sono attività d’intelligence fondamentali che deliberatamente accentuano il braccio di ferro con la Russia. Per il fatto di accentuare ulteriormente la situazione di crisi e di conflitto, impediscono scelte di diplomazia che sarebbero le sole in grado di imporre alle parti di sedersi al tavolo dei negoziati, o come minimo tentare di ottenere un cessate il fuoco in nome del diritto alla vita per le popolazioni dell’Ukraina e ovviamente del Donbass.

Ma da Sigonella non partono soltanto gli aerei che fanno operazioni d’intelligence, partono anche gli aerei che hanno una funziona di guerra elettronica, che è il primo passo di un’escalation armata: prima accechi i sistemi radar e i sistemi di telecomunicazione degli avversari, poi scateni i bombardamenti con sistemi missilistici, con armi nucleari, con i cacciabombardieri eccetera. Quotidianamente i pattugliatori Poseidon della Marina militare statunitense decollano da Sigonella e fanno lo stesso tragitto dei droni, sorvolando a poche miglia di distanza il confine con la Russia. Il ruolo dell’Italia anche in questo caso non è indifferente: da Sigonella partono infatti anche i pattugliatori dell’aeronautica italiana con la funzione di controllo di tutto lo specchio del Mediterraneo, sorvolano particolarmente la Siria dove c’è la base strategica della flotta russa. E raggiungono e sorvolano poi il Mar Nero…

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Bucha: un crimine di guerra o una operazione Psyop? – Federico Rucco

 

…Nel pomeriggio di ieri è poi circolata una decostruzione diffusa da Intel Slava, un aggregatore russo di notizie dal fronte militare, secondo cui “tutti i media del mondo stanno replicando le riprese inscenate dell’unità ‘Psyop’ (1) ucraina di Bucha“, dove viene sostenuto che i militari russi avrebbero massacrato i civili.

Intel Slava pubblica su Telegram il video (quello delle forze armate ucraine in transito a Bucha, ndr) in cui si afferma che si può vedere uno dei cadaveri che alza la mano, e poi nello specchietto retrovisore, si intravede un altro “cadavere” rialzarsi.

Il video diffuso da Intel Slavahttps://t.me/intelslava/24269 è lo stesso fornito dalle forze armate ucraine alla stampa internazionale.

Qui ad esempio il video diffuso da Rainews 24 https://www.rainews.it/video/2022/04/lesercito-ucraino-entra-a-bucha-le-immagini-sono-terribili-d847ce8e-ac7b-44aa-a7e5-071fdb1ac4e1.html

Il video usato da Intel Slava è al rallentatore per segnalare i dettagli prima segnalati. Questa versione richiama all’attenzione però una sigla che merita di essere conosciuta e spiegata.

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Cosa sono le unità Psyops?

“L’esigenza di dotarsi di un’unità PSYOPS è nata, in seno alla Nato, dalla convinzione che l’uso programmato delle comunicazioni di massa rivolte a gruppi di individui possa influenzare, anche in modo decisivo, l’esito di un conflitto. Il dominio delle informazioni è sempre più una dimensione fondamentale del moderno campo di battaglia”, spiega l’Archivio Disarmo.

Una pubblicazione ufficiale del Ministero della Difesa italiano, spiega così la funzione delle unità PSYOPS:  “sempre più, ci si dovrà confrontare con una miriade di entità internazionali neutrali se si vorrà “agganciare” l’attenzione della target audience da influenzare. Vivendo nella cosiddetta Information Age, si osserva incessante l’insorgere di mezzi sempre più sofisticati per la disseminazione mediatica, spesso sempre più vicina al “tempo reale”. La conclusione che se ne trae è semplice: dare, o negare, informazioni è fonte di enorme potere”.

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Come sempre in questi casi è e sarà difficilissimo districarsi tra verità e manipolazioni, queste ultime – quando tali – emergono sempre a conflitto finito e quindi ormai depotenziate.

La propaganda di guerra maistream – in cui spiccano i soliti noti – ci ha già abituato a operazioni simili a questa (vedi le false fosse comuni in Kosovo e Libia), e le unità “Psyop” non sono una invenzione ma sono unità speciali che hanno il compito di costruire proprio tali operazioni.

Ci auguriamo che ci sia effettivamente una commissione di indagine indipendente su quanto accaduto a Bucha, magari non solo con periti ed esperti forensi dei paesi della Nato. L’ha chiesta il Segretario dell’Onu e l’ha chiesto anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, se fosse così e se fosse tale, per una volta saremmo d’accordo con lei.

Il dato certo è che i civili trovati morti a Bucha, sono diventati immediatamente il detonatore per tutti gli interventisti e i guerrafondai per alzare i toni verso l’escalation e mettere a tacere chi si oppone alla guerra. Come avvenuto in passato, serviva “un fatto traumatico” al quale sia impossibile replicare.

Impossibile non rammentare il falso massacro di Racak che fu l’evento scatenante per i bombardamenti Nato su Belgrado. O quello altrettanto falso di Timisoara, che giustificò – per l’opinione pubblica occidentale – la caduta di Ceausescu in Romania. Impressionante come le scene “descritte” dai giornali d’allora siano identiche a quelle di oggi (e anche i giornali sono gli stessi…).

Resta il fatto che la guerra è un orrore che si nutre di orrori, sempre. Sul campo e nella mente di ogni essere umano, con i fatti e con le “narrazioni”.

Per questo vanno impedite quelle future e vanno fermate quelle in corso. Con ogni mezzo necessario…

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Le ragioni degli altri, il dubbio e la paura – Antonio Cipriani

In punta di piedi, con gentilezza e senza turbare certezze assolute di amici o conoscenti e neanche di lettori intercettati in giro, mi permetto di esprimere un parere che non tiene conto della furia comunicativa dell’epoca che divide il mondo in due: bianco o nero, chi è pro e chi è contro, buoni e cattivi, o da una parte o dall’altra, anti qua e anti là.

 

Anzi, rettifico, neanche di un parere si tratta, ma di dubbi. Di qualcosa che mi aiuta a pensare e che mi fa soffrire, nello stesso tempo.

È davvero così sbagliato non avere una posizione dogmatica, in un senso o nell’altro? È davvero così sbagliato non indossare l’elmetto per difendere fino all’insulto, fino al ridicolo, posizioni scolpite sulla pietra del sentito dire?

Èpossibile sottrarsi dalla propaganda militare-mediatica così furente su ogni fronte e recuperare spazi temporaneamente liberi dove ragionare senza paure, cogliendo anche le contraddizioni che inesorabili disegnano la nostra realtà, senza doversi giustificare nel farlo, senza dover sempre chiedere scusa prima di dire un’ovvietà dal vago sapore etico. Senza dover ascoltare un “sì però” continuo e fastidioso, senza dover accettare per buone le tesi più ovvie e conformiste di chi non ha mai letto un libro di storia, un documento degli archivi storici, un trattato, un manuale di strategia militare o di guerra psicologica.

Èpossibile che i nostri giornalisti televisivi possano porre domande, ascoltare idee e analisi diverse, esperti che citano documenti e circostanze scientificamente provate, senza sentire costantemente il desiderio che si fa diritto di interrompere e banalizzare?

Èpossibile ascoltare un tg senza essere investiti dalla ripetizione costante dell’intercalare “di fatto” o cercare di uscire dal seminato dell’emergenzialismo che si fa ogni volta di più trincea culturale e politica?

Èpossibile essere per un’Europa unita e politica che possa avere un ruolo vero internazionale e nel contempo essere – per mille ragioni storiche – contro le attività belliche della Nato? Amare la cultura americana così come quella russa senza doversi nascondere dal maccartismo d’accatto? Detestare da sempre Putin senza dover firmare col sangue la dichiarazione che solo Putin vada detestato e non lui in compagnia degli altri bastardi e tagliagole che ammazzano e progettano guerre a destra e a manca e che non ci fanno mancare stragi, lutti ed efferatezze?…

da qui

 

 

 

 

Guerra in Ucraina: Ci sarà un vincitore? – Greg Godels

 

(zzs-blg.blogspot.com Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare)

 

Mentre infuria improduttivamente il dibattito su quale parte sostenere nella guerra in Ucraina, iniziano ad acclararsi le questioni più ampie su chi trarrà vantaggi e chi perderà alla fine del conflitto.

A rendere le cose più difficili è la cortina di disinformazione manipolata che si leva da tutte le parti, ricordandoci come il capitalismo abbia corrotto, volgarizzato e reso puerile il mestiere del giornalismo.

Talvolta nel ventesimo secolo una piccola cellula elitaria di giornalisti ardimentosi traeva soddisfazione nel rischiare la vita o quantomeno la propria incolumità per offrire resoconti di testimonianze oculari contrarie alla narrazione ufficiale. Un lettore attento facendo la tara ai pregiudizi di classe, all’ingerenza editoriale e all’uso di eufemismi poteva ricostruire un quadro credibile e indipendente di eventi o incidenti.

Oggi il numero di giornalisti indipendenti di quella tradizione si può contare sulla punta delle dita.

Nessuno si introduce a Mariupol per controllare le denunce di atrocità ucraine o verificare i comunicati russi sulle vittime e sfidare i numeri ufficiali. I resoconti degli scontri militari sono semplicemente presi dai comunicati stampa governativi o dalle conferenze stampa dei ministeri ucraini, della NATO o del Ministero della Difesa russo. Nessun giornalista alla Seymour Hersh o David Halberstram emerge dai media mainstream e se lo fosse sarebbe bandito. Di conseguenza, di ciò che viene riportato poco è certo: né di atrocità e né di eroico.

A peggiorare le cose, lo sciame di commentatori “esperti” fa poco sforzo per collocare gli eventi in qualsiasi contesto, storico o altro. Non sappiamo a quale livello siano i combattimenti, il progresso e la competenza militare, le vittime civili o la distruzione fisica in relazione ad altre guerre o scontri recenti (per esempio, le guerre degli USA o della NATO) o in relazione a ragionevoli aspettative. Abbiamo solo notizie generiche non supportate e accuse emotive e non verificate di “genocidio”, “brutalità” o “crimini di guerra”.

Ciononostante, possiamo evitare di soccombere alle esagerazioni selvagge dei media e allo stesso tempo trarre alcune conclusioni utili da fatti che sono incontestati.

È incontestato che la Russia, dopo un mese di combattimenti, ha rivisto il suo piano, ridimensionando i suoi obiettivi. Il governo russo lo ha dichiarato. Questo fatto implica che il suo piano iniziale non ha avuto successo e ne consegue a sua volta, che il governo ha giudicato male l’equilibrio delle forze militari. La resistenza ucraina era più forte, gli attaccanti russi erano più deboli, o entrambe le cose.

Possiamo solo ipotizzare che i capi militari russi pensavano che sarebbero stati accolti come liberatori, che gli alleati interni sarebbero insorti, che l’Occidente non avrebbe offerto assistenza o che l’esercito ucraino fosse decisamente più debole di quanto si è dimostrato. In ogni caso la guerra continua, con migliaia, forse decine di migliaia, di morti e milioni di persone cacciate dalle loro case.

Non occorre cadere nel circo mediatico occidentale che, come l’abile propaganda britannica della guerra del 1914, dipinge gli avversari come stupratori sanguinari, saccheggiatori e assassini di bambini, per riconoscere che la campagna di comunicazione per i cuori e le menti dell’Occidente è stata vinta dagli USA, dalla NATO e dall’Ucraina.

Il Dipartimento di Stato di Blinken/Nuland ha usato con successo il sistema compiacente dei media per spingere i politici più equilibrati, pratici ed esitanti in Germania, Francia e Italia ad unirsi agli ultra-nazionalisti dell’Europa orientale che odiano la Russia in una crociata contro la Russia. L’Europa è ora allineata in modo più militante contro la Russia che in qualsiasi momento dall’apice della Guerra Fredda. I budget militari si stanno gonfiando e i legami economici, sociali e diplomatici con la Russia sono stati recisi, con il settore energetico e l’industria bellica degli Stati Uniti a trarre i maggiori vantaggi.

Se la politica degli Stati Uniti era quella di attirare la Russia in un intervento – e credo che lo fosse – allora la trappola è riuscita.

Qualsiasi obiettivo di sicurezza cercasse il governo russo, ciò che otterrà nel migliore dei casi è la garanzia di trattati che non avranno maggior forza con i successivi governi ucraini delle vaghe assicurazioni del passato. Un paese povero armato di vecchie armi sovietiche è ora armato fino ai denti con molti degli ultimi e più efficaci strumenti di guerra della NATO.

Le comprensibili preoccupazioni per la crescente influenza degli ammiratori ultra-nazionalisti di Stepan Bandera e dei teppisti e delle bande che sposano la collaborazione nazista della Seconda Guerra Mondiale di Bandera non potranno che crescere con la loro ulteriore accettazione e integrazione nella resistenza ucraina all’invasione. L’invasione ha effettivamente legittimato il loro ruolo nella lotta contro gli invasori russi, smarcandoli dalla loro storia di terrorismo: il risultato opposto a quello ricercato dal governo russo nelle sue spiegazioni.

Con una democrazia già dubbia, l’Ucraina ha fatto un passo indietro, mettendo fuori legge undici partiti di opposizione, incluso il Partito Comunista. Ha legittimato la persecuzione dei russofoni, accusando molti di sabotaggio e tradimento.

La guerra ha eroso anche le libertà civili russe, con attivisti contro la guerra perseguiti e arrestati.

La strategia preferita dagli Stati Uniti per condurre la guerra con altri mezzi – le sanzioni globali – è costata cara alla Russia, a cominciare dalla soppressione del gasdotto Nord Stream II. Utilizzare come arma le sanzioni per realizzare obiettivi di politica estera è diventato un modo molto efficace per gli USA di imporre la propria volontà. Il governo statunitense fabbrica mandati per sanzioni con motivazioni spesso oltre il ridicolo (l’accusa di “terrorismo”, per esempio, fatta e ritirata all’istante senza alcuna prova di una modifica di comportamento). Le persone sanzionate possono persino estendersi ai genitori o ai figli dei “cattivi”, con la crudele applicazione di una punizione sui parenti stretti.

Ciò che è veramente sorprendente è come l’amministrazione statunitense si sia assicurata la collaborazione dei leader europei nell’approvare sanzioni contro la Russia che in realtà danneggiano l’Europa più della Russia! Indubbiamente questo tipo di “unità” distorta si ripercuoterà negativamente sia sugli USA che sull’UE.

Bisogna notare che la guerra imperialista avvantaggia sempre immediatamente i leader partecipanti distraendo l’opinione pubblica interna dai loro fallimenti e raccogliendo il sostegno intorno ad appelli patriottici. A questo proposito, Putin, Zalensky, Biden e gli altri leader della NATO hanno tutti bevuto dalla tazza dell’opportunismo imperialista.

Nel breve termine, Putin appare come il difensore determinato degli interessi della Grande Russia, Zalensky l’eroe sfavorito che affronta l’Orso russo e Biden l’indignato difensore della causa dell’autodeterminazione. Ma Putin e Zalensky sono esposti a perdite crescenti, il che rende necessaria una soluzione finale prima che le perdite, i costi o l’opposizione crescano troppo. Solo Biden beneficia di una guerra prolungata, anche se i suoi alleati della NATO potrebbero accorgersi dei loro sacrifici per gli obiettivi di politica estera degli USA.

Mentre un’ondata d’inflazione segue l’ultima ondata di COVID, minacciando di martellare ulteriormente l’economia globale e di erodere ulteriormente gli standard di vita, l’attenzione è rivolta al fallimento dei politici borghesi nell’offrire una qualsiasi soluzione che non sia la più debole: una guerra che promette poco se non dolore per i lavoratori del mondo.

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Quando chi sta perdendo si porta via il pallone – Pierluigi Fagan

Ieri abbiamo usato una immagine simbolo del mondo come un pallone oggetto di giochi di contesa. Oggi continuiamo con la metafora del sogno di possederlo tutto questo pallone-mondo e laddove la realtà intralcia i sogni, si può arrivare a sottrarre l’oggetto stesso del contendere. Se non vincerò al gioco di quel pallone, mi porto via il pallone o lo buco, così nessun altro potrà giocarvi, fine dei giochi.

Ieri abbiamo assistito in mondovisione, forse per la prima volta che io ricordi, ad una seduta del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Il nostro miglior uomo, nostro in quanto occidentali, ha arringato piuttosto arrabbiato il Mondo dicendo che se questa istituzione planetaria non è in grado di istruire un processo tipo Norimberga, se non è in grado di estromettere la Russia ed il suo fastidioso diritto di veto dal Consiglio di Sicurezza, allora tanto vale che l’ONU si sciolga ed ammetta la sua inutilità ed impotenza, lasciando il campo a qualche nuova forma ordinativa.

Dopo settantasette anni, l’Assemblea dell’Umanità è stata arringata e sferzata da un ex comico ucraino che dopo aver invocato ripetutamente atti che porterebbero alla Terza guerra mondiale, dopo aver arringato e sgridato i parlamenti occidentali distribuendo via Zoom voti dei buoni e dei cattivi, dopo aver detto al parlamento degli ebrei israeliti di decidere da che parte stare nella grande battaglia finale del Bene contro il Male nella piana di Armageddon, arriva a dire al Mondo che deve sciogliere questa sua unica istituzione che ne riflette la globalità, visto che non riesce a decidere da che parte stare.

A fine marzo 2022 si contano 59 guerre attive di varia intensità nel mondo, ma solo la sua conta. Quella in Libia ha fatto pare 15.000 morti mal contati così come quella in Yemen, la ventennale in Afghanistan ha fatto 50.000 vittime civili, forse 200.000 in Iraq, quella in Siria ha fatto circa 500.000 morti, ma nessuno ha mai avuto la possibilità di andare all’ONU a lamentarsene…

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Idee… “Supposte” – Michele Zizzari

 

Da quando è presidente del Partito (ex) democratico, già da tempo democristiano (e pure dinamitardo e di guerra), Letta non ha fatto altro che citare il Papa, su questo, su quello, su ogni argomento… ma da quando il Papa si è espresso chiaramente contro la guerra e contro il finanziamento agli armamenti dicendo “Ѐ una pazzia!”, ha smesso di citarlo e non sa più a chi Santo votarsi… Chi glielo dà uno scoppolone al Letta Marchetta, all’Enrichetto, di Draghi servetto, e ora pure ex chierichetto?

 

Il rampollo Rampinante della propaganda USA-Occidentale – quello in camicia e bretelle un po’ dandy e un po’ gangster che sforna un libro a settimana che poi presenta a reti unificate, pubbliche e private – ha già indicato nel titolo di un suo recente lavoro il prossimo bersaglio che la nostra superiore civiltà democratica deve colpire: “Fermare la Cina”. Speriamo che – trovata un’intesa che cessi il fuoco in Ucraina – non ci si butti presto (sempre col prurito di portare democrazia e libertà in terre di spietate dittature) in un’altra crociata (purtroppo già in corso da tempo) per creare i presupposti di un’altra guerra con l’altro storico e mostruoso nemico degli USA, la Cina, cha da parte sua, alla maniera cinese, citando il verso dell’antico poeta Hui Hong, ha fatto sapere: “Ѐ di chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”.

 

– In Russia si riduce al silenzio chi la pensa diversamente. In Italia si fa uguale, lasciandolo aggredire, insultare e bullizzare sui media e in diretta tivù dai bulli fighetti e rampanti del giornalismo squadrista alla Parenzo-Rampini, Gramellini-Caprarica-Fridman & Company.

Infatti, mentre affermiamo, convinti, che da noi vige un libero e democratico confronto delle idee, accusiamo chi ha opinioni diverse, chi tenta di articolare un ragionamento o di approfondire i fatti di essere al soldo del nemico di turno, insultandolo in maniera ignobile e dandolo in pasto alla canea dei social. Chi sa cosa si dirà anche di Gian Antonio Stella (non certo un bolscevico) che il 31 marzo mattina, rispondendo a un ascoltatore al Filo Diretto di Radio 3, ha detto… che se i nazionalisti ucraini con le loro milizie neonaziste non avessero cominciata la pulizia etnica contro le popolazioni russofone, negando loro perfino il diritto di usare la loro lingua, e se l’Europa fosse intervenuta allora a fermarla, forse questa guerra, iniziata allora, si sarebbe evitata.

 

– In Russia si licenziano e si tolgono incarichi a chi esprime dissenso. In Italia è lo stesso, si licenzia e tolgono incarichi e stipendio a chi prova a fare un’analisi storica dei fatti (vedi il caso Orsini, e non solo).  E che dire di quel simpaticone di Bonaccini – presidente della Regione Emilia Romagna (visitatissima e frequentatissima da affaristi e turisti russi), che quasi fosse il presidente di uno Stato – ha perfino emesso (in un ridicolo atteggiamento da matrioska con barbetta e occhiali) un “editto bulgaro” (di berlusconiana memoria) con cui invita a licenziare e sospendere dal lavoro e dallo stipendio Orsini e coloro che come lui spiegano i motivi della loro contrarietà alla guerra.

 

– In Russia si pestano i manifestanti. In Italia pure, vedi la mattanza di Genova 2001 (per la quale i responsabili sono restati impuniti e perfino premiati) e l’ultimo pestaggio degli studenti medi (praticamente minori) scesi in piazza durante la pandemia per una scuola che funzioni. Ora – dato il clima di caccia alle streghe scatenato contro i pacifisti, accusati di essere con Putin – si spera di non essere nuovamente pestati manifestando ancora per la pace (cosa, come ricordato, già più volte accaduta).

 

– In Russia decide tutto un uomo solo coi suoi amici oligarchi. In Italia pure, e da tempo. Anche da noi a decidere per tutti sono capi di governo (coi loro amici oligarchi) che da decenni non vengono eletti da nessuno. Eppure impongono la loro politica (spesso contro le opinioni della maggioranza della gente) a colpi di fiducia e senza confrontarsi col Parlamento. A questo proposito, ho la netta sensazione che sia più rappresentativo Putin del popolo russo che Draghi e Biden dei loro rispettivi popoli, data che non sono neppure eletti o eletti da una minoranza della popolazione come Biden negli USA.

 

In Russia domina la propaganda di Stato e non si può chiamare “guerra” la “guerra”.

In Italia è l’identica cosa, regna ugualmente la propaganda di Stato e di Governo (e con essa la pubblicità, che interrompe a ogni istante qualunque dibattito e impedisce a chi dissente di articolare anche un semplice ragionamento); la propaganda più ipocrita del mondo, come nessun’altra ricca di eufemismi, luoghi comuni, citazioni latine, acrobazie linguistiche, contorsioni retoriche, ossimori stridenti, contraddizioni e pregiudizi che mozzano il fiato al libero pensiero. Con lo scopo di non chiamare “guerra” la “guerra” e di non dire che “siamo artefici della guerra” e che “siamo in guerra” anche noi.

 

– in Russia non si mostrano servizi e non si danno informazioni che raccontano l’altra parte del mondo e le voci dell’Ucraina. Lo stesso avviene in Italia, dove per vedere i servizi sulle atrocità delle milizie e delle armi ucraine si è costretti a scavare nel web, esattamente come fanno i russi che si vogliono informare. Perché non si mostrano le interviste delle genti russofone del Donbass che testimoniano la ferocia della pulizia etnica e neonazista ucraina? Perché non si fanno servizi sulla lunga storia di corruzione di Zelensky o della famiglia Biden, anche in Ucraina? Perché si psichiatrizza Putin e non pure Biden, Johnson, Draghi o i reggenti della Nato?

 

– Sì però in Russia i giornalisti e gli avversari politici vengono uccisi e avvelenati. Vero.

Accade anche in Italia, dove numerosi giornalisti, politici e semplici cittadini che denunciano ingiustizie, corruzione e soprusi sono sotto scorta perché minacciati di morte. E non si tratta solo di una precauzione… visto che l’elenco di omicidi eccellenti, di alti magistrati (Falcone, Borsellino, eccetera, fatti addirittura saltare in aria con tutto il seguito), dei politici freddati, dei rappresentanti delle Forze dell’Ordine e di generali ammazzati (come Dalla Chiesa), di sindaci, presidenti di regione, amministratori pubblici, dei tantissimi giornalisti, militanti politici (un elenco infinito) e perfino alte figure di cultura, eccetera uccisi da mafie, camorre e terroristi neofascisti in collaborazione con servizi, corpi, sicari e funzionari dell’intellingence statale (si dice deviati, ma sempre dello Stato) è davvero sterminato; tanto che ci si può sbizzarrire fino a riempire le Pagine Gialle. E, come in Russia, si tratta di eliminazioni (che in Italia sono definiti misteri perché non si riesce a processare nessuno) eseguite come metodo politico, con tanto di mandanti politici.

Al di là dell’Atlantico poi si è arrivato addirittura ad assassinare presidenti degli Stati Uniti d’America, per non parlare dei numerosi avversari politici eliminati, come Martin Luther King.

Questi mondi che pensiamo diversi, sono più simili di quello che comunemente si crede.

Pensandoci… mi viene un dubbio: ma qual è la differenza sostanziale, voglio proprio dire sostanziale e non apparente, tra il regime autoritario russo e quello della democratura italiana o statunitense?

Apra pure il suo armadio lo Stato o il Paese che non ha ammucchiate di scheletri…

 

Idee “supposte” su Zelensky – Se andassero in onda le volgarissime, inguardabili, machiste e per nulla divertenti gag dell’ex comico televisivo Zelensky (corrottissimo oligarca invasato di ultranazionalismo guerrafondaio al pari di quelli russi e del mondo) tutti avrebbero chiaro di quale sottospecie di umanoide (culturalmente sottosviluppato) tenga ora sotto scacco l’Europa e il mondo e di quale capo di stato sia (consapevolmente o inconsapevolmente) ostaggio il suo popolo. Ora il nuovo eroe dei due mondi, che parla ai parlamenti di mezzo globo (che glielo hanno pure consentito senza vergogna alcuna), al posto di tirarsi su il pacco come nei suoi orribili sketch, tira su i missili Nato che l’Occidente gli ha sconsideratamente consegnato. Tutto questo, più l’assurda e sconcertante sfacciataggine con cui è stato paragonato ora a questo e ora a quello, dà la misura di quanto in basso sia giunta la nostra presunta consapevolezza umana, intellettuale e politica. Se fosse davvero stato un eroe, avrebbe potuto evitare il massacro del suo popolo e la distruzione del suo paese alla maniera di Gandhi, con oceaniche manifestazioni pacifiche di piazza, e non con le armi degli USA e della Nato.

 

 

 

 

scrive Alberto Capece

Ormai la corruzione e i conflitti di interesse, dunque l’inefficienza, non conoscono limite anzi sono divenuti una caratteristica intrinseca e così in vent’anni non solo il gap tecnologico con il mondo altro è svanito, ma addirittura si è ribaltato lasciando all’occidente il dominio nel campo delle narrazioni e gli intrighi cui una popolazione ormai disabituata a pensare presta attenzione e credito, anche quando l’inganno è evidente o addirittura orgogliosamente proclamato. Ma ci dice anche un’altra cosa: il presidente Biden ha annunciato un nuovo patto trilaterale di sicurezza  con il Regno Unito e l’Australia per far avanzare lo sviluppo di armi ipersoniche dimostrando che al dunque l’occidente si riduce all’anglosfera e che il resto dell’Europa può andare a farsi fottere come disse quella vera signora di Victoria Nuland. E infatti ci siamo fottuti con le nostre mani per adeguarci a Washinton. Una fine davvero ingloriosa.

da qui

 

 

Mentre il Corriere delle Balle ci fa sapere che il diabolico Putin ha un’ amante, come probabilmente tutti in quella redazione,  dal computer di Hunter Biden continuano ad uscire documenti che dimostrano la sua corruzione in Burisma, la società energetica ucraina che è diventata il centro del primo tentativo di impeachment di Trump nel dicembre 2019 quando l’allora presidente fu accusato di aver spinto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ad annunciare le indagini sui Biden  per presunta corruzione. Invece si è dimostrato che fu Joe Biden a fare pressione sulle autorità ucraine perché il magistrato che indagava su Burisma venisse rimosso. Ma ci sono anche le prove del coinvolgimento della famiglia presidenziale nel finanziamento dei biolaboratori in Ucraina e della compromissione di Hunter e dei suoi collaboratori in giri di prostituzione, droga e altri tipi di malaffare. Ma poiché Joe e il figlio Hunter condividevano numerosi conti bancari si può  dire che si trattasse di attività di famiglia . I 450 gigabyte di documenti stanno uscendo abbastanza rapidamente perché  Jack Maxey, l’informatore che ha fornito al DailyMail una copia del disco rigido dal laptop abbandonato di Hunter nella primavera del 2021, si è dovuto rifugiare in Svizzera Swiss Transfer, un servizio di file sharing è l’unica che non cancella regolarmente i file e su consiglio di un funzionario dei servizi l’unico modo per evitare di essere assassinato è quello di diffondere più file possibili, anche se non proprio i più compromettenti.

https://ilsimplicissimus2.com/2022/04/08/ecco-chi-ci-sta-portando-alla-rovina/

 

 

 

 

due convegni

 

21 aprile 2022 ore 16.30, convegno online
L’Europa, l’Ucraina e i confini della solidarietà: il diritto
d’asilo a settant’anni dalla Convenzione ONU sui rifugiati

Università di Perugia
II edizione del Festival delle relazioni internazionali
Per partecipare clicca QUI
Per tutta la durata del convegno,
sarà possibile scaricare gratuitamente la versione integrale in pdf del rapporto
“Ospiti indesiderati.
 Il diritto di asilo a 70 anni dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati”
dal sito 
www.dossierimmigrazione.it

26 aprile 2022 ore 16.00-18.30, convegno in presenza
Ospiti indesiderati.
Il diritto d’asilo a 70 anni dalla
Convenzione di Ginevra sui rifugiati

Roma, Centro Congressi “Gli Archi”
Largo di Santa Lucia Filippini, 20 (zona Torre Argentina)
Il rapporto verrà distribuito in omaggio a tutti i partecipanti fino ad esaurimento copie
Per partecipare è necessario registrarsi su Eventbrite
Per l’ingresso verrà applicata la normativa anti-Covid in vigore

 

 

 

 

Immaginare l’impensabile – Franco Berardi Bifo

 

…Tra gennaio e febbraio Lavrov ha ripetuto molte volte che la Russia stava aspettando una risposta alle sue richieste. Per fermare Putin forse sarebbe bastata una dichiarazione di disponibilità a ridiscutere l’espansione della Nato. O forse no, ma occorreva tentare se non si aveva in mente un progetto di altro genere. Si trattava di aprire una fase di trattative, magari convocare una conferenza internazionale sulla sicurezza di Russia ed Europa, come Lavrov chiedeva. Ma Biden si è limitato a ripetere che i russi preparavano l’invasione, senza far niente per fermarla, senza rispondere alle richieste di Lavrov, mentre il povero Zelensky cercava di minimizzare, di gettare acqua sul fuoco sul quale Biden non smetteva invece di soffiare.

Perché? Forse il presidente voleva cancellare il panico dell’aeroporto di Kabul, la fuga ignominiosa, l’abbandono dei collaboratori americani, il tradimento delle donne afghane? Forse pensava che una bella guerra avrebbe potuto risollevare le sorti del partito democratico e le sue personali agli occhi degli americani? In tal caso ha fallito, perché secondo un sondaggio uscito nei giorni scorsi ieri il 55 per cento degli americani è contrario alla sua politica di guerra…

da qui

 

 

 

 

I SIGNORI DELLA GUERRA – Madredeus

Fuori ci sono i signori della guerra
Stanno già cantando inni di vittoria
Cosa ci consegna la storia di questa terra?
Paura, questo ci consegna
All’interno ci sono uomini che aspettano
Uniti al destino della terra
Non c’è più memoria della pace in questa terra
C’è la paura, questo c’è.

O terra, un altro giorno nasce
ahimè, un giorno in meno prima di morire

C’è così poca gloria in una guerra
E gli uomini che la fanno e non conseguiranno vittorie
Non hanno più memoria della pace in questa terra
C’è la paura, questo c’è.

 

(Traduzione di Roberto Malfatti)

da qui

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

Un commento

  • bruno vitale
    seguire la bottega è diventato impossile, come nel caso ‘elefante’, solo una minima parte dell’intervista johnstone era direttamente riperibile, oggi di nuovo la johnstone non è riperibile nell’ordine annunziato

    chi è che crea disordine per mostrare la sua inutile perizia pseudo-tecnica?

    tornate alla estrema semplicità lineare dello sviluppo del discorso! diffidate degli espertini saccenti e vanitosi!

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