«Baciammo la terra»

 recensioni di Gianstefano Ancarani e David Lifodi

Mohamed Hussein Geeldon cerca di arrivare in Europa fuggendo da guerra e violenze. È la prima autobiografia di un migrante africano scampato alla morte nel tentativo di raggiungere l’Italia.

la recensione di Gianstefano Ancarani

Esiste una parola, in somalo, per indicare il percorso che si fa per andare a prendere l’acqua: dhaan. Si arriva al pozzo e si scambiano le notizie. Chi va ritorna pieno di storie. Tutti aspettano con ansia il portatore di acqua e di storie. Si crede che raccontare salvi la vita. Ma se dhaan è il simbolo di un viaggio che regala speranza, a far da contrappeso c’è il tahriib, l’emigrazione sregolata praticata da migliaia di ragazzi e ragazze somali che porta con sé tutt’altro che speranza.

Mohamed Hussein Geeldoon, giovane del Somaliland, ci regala questo diario, resoconto del suo tahriib in prima persona, intrapreso per raggiungere l’Europa nella speranza di trovare una vita al riparo da guerre, fame, sfruttamento e violenza.

Notizie sull’aumento delle migrazioni in Europa e sulle morti in mare fanno capolino quotidianamente nelle pagine di giornali, ma poco si sa del viaggio che i migranti intraprendono prima di tentare la traversata. E proprio di questo viaggio Geeldoon racconta, con una lucidità quasi distaccata, dipingendo sfumature tragiche di immagini cariche di ottimismo da una parte e dall’altra sfumature ottimistiche di immagini cariche di tragedia. Nascondigli per sfuggire ai controlli di frontiera, atti di razzismo, paura della morte, compagni di viaggio abbandonati perché troppo deboli, pietà e solidarietà dimenticate fra abusi e torture. Il resoconto che Geeldoon offre è a oggi il più esteso sulla pratica del tahriib e sul tragico traffico di esseri umani.

Geeldoon, da sopravvissuto, incoraggia i giovani a costruire un futuro a casa propria, attraverso associazioni di sensibilizzazione e programmi di sviluppo scolastico per combattere (in Europa come in Africa) sfruttamento, violenza, razzismo e discriminazione che sono purtroppo i “valori” alla base dei sistemi economici, politici e istituzionali, avvelenando le interazioni umane nel mondo inevitabilmente globalizzato.

la recensione di David Lifodi

Mohamed Hussein Geeldon è uno di quelli che non ce l’ha fatta. A caldo potrebbe essere questa la prima interpretazione di un lettore che, con il cuore in gola, segue le avventure di questo migrante partito dal Somaliland, costretto prima a subire le torture e le violenze dei trafficanti di esseri umani sudanesi e libici, e poi a dover prendere la dolorosa scelta di tornare al suo paese.

Mohamed Hussein Geeldon ha la capacità di trasformare il suo viaggio a ritroso in un’opportunità, quella che lo spinge a fondare un’associazione che lavora sul territorio per convincere i giovani del Somaliland a non partire alla volta dell’Europa e a non essere abbagliati dal tahriib, una parola araba utilizzata per descrivere «una forma di emigrazione praticata da migliaia di ragazzi e ragazze somali i quali partono alla volta dell’Europa attraversando Etiopia, Sudan, Libia e Mar Mediterraneo».

Attraverso il mare e il deserto, Geeldon più volte deve abbandonare i suoi compagni di viaggio al loro destino – e molti troveranno la morte – perché lui non riesce ad aiutarli prevalendo lo spirito di sopravvivenza. È anche per questo che l’autore, oggi, cerca di dissuadere i giovani dal buufis, termine colloquiale della lingua somala che «indica una persona che sente il bisogno impellente di andarsene e ha già preso la decisione di partire».

Come ha scritto Ubah Cristina Ali Farah nella prefazione, «è raro imbattersi in resoconti lucidi e coerenti come quello qui offerto da Geeldoon», a maggior ragione se è accompagnato da un vissuto caratterizzato da anni di abusi e umiliazioni.

Baciammo la terra ha il pregio di rappresentare contemporaneamente un percorso terapeutico e una denuncia delle molteplici violenze commesse sui migranti che cercano di introdursi all’interno di quella fortezza Europa che continua a rimanere silente di fronte a quanto accade in Libia e negli altri Paesi africani da loro attraversati nel percorso verso Tripoli.

La vita di Mohamed Hussein Geeldon e dei suoi compagni, come quella di tutti i migranti, è all’insegna della precarietà. Ostaggio e prigioniero dei trafficanti di esseri umani, oltre che di una polizia spesso corrotta, l’autore è testimone delle atrocità compiute dai carcerieri libici. «Vedere le condizioni in cui erano tenuti i prigionieri fu traumatizzante. Alcuni di loro avevano perso l’uso delle gambe e per muoversi dovevano strisciare» annota con terrore Geeldon, che in precedenza aveva già assistito a una sorta di crocifissione di un giovane somalo al quale i suoi aguzzini avevano inchiodato mani e piedi a un tavolo.

Nonostante le avversità trascorrerà molto tempo prima che Mohamed Hussein Geeldon decida di abbandonare l’idea di raggiungere l’Europa per fuggire da un presente caratterizzato dall’estrema precarietà, una scelta non semplice da accettare soprattutto per lui che, in fuga dal caos somalo, aspirava a frequentare un’università di buona qualità negli Stati Uniti. Lo capirà solo quando riuscirà finalmente a tornare a casa sano e salvo, ma soprattutto felice. Dai racconti ascoltati quando era in Libia, Geeldon era venuto a sapere che la vita era durissima anche per i migranti che avevano coronato il sogno di sbarcare nel vecchio continente. Per questo motivo, conclude l’autore, «dopo essere sopravvissuto a tutto quello che ho raccontato ed essere tornato a casa, cominciai a mobilitarmi per convincere la gente a non tentare i viaggi migratori all’estero, perché mi ero reso conto che erano in molti a voler intraprendere il tahriib».

I proventi delle vendite del libro serviranno per aiutare Mohamed Hussein Geeldon e la sua associazione che cerca di convincere i giovani a non emigrare per evitare che finiscano nelle mani di trafficanti senza scrupoli.

Per acquistare il libro si può scrivere a: info@timeforafrica.it

Baciammo la terra

di Mohamed Hussein Geeldon

traduzione di Raphael D’Abdon, prefazione di Ubah Cristina Ali Farah

Gaspari editore, 2020

Pagg. 83,  14,50

Redazione
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Un commento

  • Con la mia classe, qualche anno fa, abbiamo intervistato dei richiedenti asilo, che ci hanno raccontato la loro STORIA, ne è nato un libro. FUORI DA CAVERNA :STORIE DI ADOLESCENTI CHE INCONTRANO IL MONDO. Gemma edizioni.

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