«Black Friday»: a leggere la fantascienza africana…

… si fa sempre bene.

di Clelia Farris (*). In coda una brevissima nota della “bottega” sulla fs afrocentrica.

Cherry Ntumy (**) – Black Friday

Uno degli aspetti che preferisco dell’essere umano è la possibilità di credere e non credere a qualcosa nello stesso tempo.

Negli anni Ottanta, agli albori del linguaggio macchina e dei primi processori, si riteneva che i computer fossero la versione sintetica della mente umana, che riproducessero in forma silicea il lavoro biochimico del cervello.

Si dimenticavano che il linguaggio binario consente solo due opzioni (on/off), mentre noi pensatori di tutti i giorni riusciamo a ritenere vere due affermazioni antitetiche senza andare in tilt. L’aveva già detto Catullo, in tempi non sospetti, che si poteva odiare e amare contemporaneamente, ma qualcuno pensava che si riferisse solo ai sentimenti. Forse lo pensa ancora adesso. Non gli hanno detto che le emozioni fanno parte del pacchetto “pensiero razionale”.

I racconti di Black Friday mi hanno fatto ricordare che si può essere a favore delle innovazioni scientifiche (fantascientifiche, in questo caso), si può ipotizzare un’umanità migliore, empatica verso gli altri e perfino nei confronti degli animali, dei vegetali, e nello stesso tempo vedere i limiti, i timori di una trasformazione così profonda.

Avevo già letto Il fantasma di casa Dzablui nell’antologia Lo specchio brillante – Le donne del solarpunk globale, e avevo pensato che mi sarebbe piaciuto leggere qualcos’altro di Ntumy. Nella brevità di un racconto l’autrice riusciva a mostrare un mondo profondamente cambiato, che meriterebbe lo svolgimento e svelamento di un romanzo.

Lo sfondo della storia è la Mescolanza psichica tra gli esseri umani e il vivente. Una connessione che ha fatto piazza pulita dei conflitti e delle differenze sociali. Ogni comunità umana è una Mente. Perfino le case sono vive, soffrono e gioiscono in simbiosi con gli inquilini. Crolla il confine tra noi e l’ambiente. Per noi tutto ciò che è esterno al corpo è non umano, e perciò utilizzabile, sfruttabile, inerte. Invece la casa del futuro è un organismo che provvede ai bisogni degli abitanti, permette loro di sopravvivere; è un microcosmo che riflette l’attuale macrocosmo, che è vivo, respira e ci fa respirare, e di cui noi misconosciamo l’importanza inquinandolo, alterandone l’equilibrio.

La protagonista, però, è un’anomalia, una donna separata dalla Mescolanza. O meglio, una donna che può liberamente entrare in contatto con qualunque Mente. Laddove la maggioranza segue la corrente, lei esercita una scelta. Ecco, qui si manifesta l’atteggiamento di credere e non credere. È bello che non ci siano più guerre, che l’umanità sia finalmente unita e pacifica, che la fratellanza comprenda anche animali e vegetali, ma c’è un prezzo da pagare, ed è la perdita del libero arbitrio.

La tecnologia ci cambia, è inevitabile. Ci migliora, anche. Credo che piano piano ci stia rendendo adulti. La consapevolezza di noi stessi cresce, si amplia, riesce ad abbracciare anche il resto del mondo, eppure è necessario mantenere la scintilla dell’individualità per prendere decisioni umane.

Anche Adattamento graduale affronta il tema della ribellione alla felicità di stato. Madre e figlia si trasferiscono nella città del futuro, Asante City – ecologica, armoniosa, accogliente – e anche subdolamente coercitiva. Il capovolgimento dei ruoli fa della figlia una conformista ben adattata e della madre una pessimista, scontrosa, quasi gelosa della propria infelicità. Una ribelle, in un luogo che non ammette gli scontenti, che non ha posto per gli scettici, per i nevrotici. “La città li stava metabolizzando tutti, rimuovendo la dura scorza esterna per il bene della comunità. Era una cosa positiva o negativa?

Metabolizzare, parola che rimanda a un processo organico. Tutto sta diventando organismo, il materiale e l’immateriale. Penso all’animale cosmico di Giordano Bruno.

Come la protagonista ribelle, anche noi ci troviamo in difficoltà davanti al cambiamento, climatico o sociale. È inutile chiedersi se porterà bene o male. C’è, è presente. Alcuni aspetti forse vanno assecondati, altri combattuti. Bisogna crederci e non crederci. E rimanere noi stessi, migliorati ma non troppo.

In Madrina l’autrice affronta la presenza dell’IA. Da principio soltanto un’assistente medica virtuale, definita “unità di supporto sanitario e psicosociale”, poi elevata al rango di oracolo e di figura di culto. Nel mondo di Madrina l’attenzione delle persone è rivolta all’essenziale. Transazioni fra esseri umani al minimo, niente discussioni, nessuna perdita di tempo; si cammina veloci, l’auricolare attivo su “qualunque cosa faccia arrivare a fine giornata” – ricorda qualcosa? – e si procede spediti. La gente non ha più né tempo né voglia di conoscere gli altri, ma proprio tramite Madrina si sta formando una comunità differente. Da principio sembra che l’unione sia cementata dalla devozione nei confronti della figura materna che appare sotto forma di infermiera, ma la religione c’entra ben poco. Madrina è un’interfaccia emotiva che cerca il contatto con le persone, il contatto fisico, qualcosa che si è perso per strada, nella nuova società del benessere; “non mi tocchi! È innaturale!” dice il protagonista. In modo ironico, la creatura virtuale comprende meglio di noi, le creature reali, i bisogni della corporeità; la necessità primordiale della vicinanza fisica dei propri simili, una forma di comunità resa obsoleta dalle connessioni informatiche. Siamo sempre in contatto fra noi e non lo siamo mai veramente. Il corpo ha ragioni che la ragione non comprende e la tecnologia fa la capriola e ci obbliga a ripensare a noi stessi, a quello che stiamo costruendo.

E veniamo a Black Friday, la terza punta di diamante della raccolta, che dà il titolo all’antologia.

In Black Friday emerge il feroce sarcasmo di Ntumy. Il racconto si fa beffe della ribellione alla giornata del commercio scontato. È impossibile protestare seriamente contro il sistema, perché ci siamo dentro. Non si può vivere fuori dal sistema umano, a meno di non regredire a uno stadio pre-umano. Dunque qualunque azione di contrasto è ridicola, fasulla, oppositori e status quo sono alleati nella messinscena del conflitto.

Il racconto mi ha spiazzato. Ho pensato che l’autrice fosse troppo pessimista, poi ho individuato una chiave interpretativa nella dissoluzione del conflitto così come siamo abituati a concepirlo, in modo eracliteo (la pace prepara la guerra…).

L’unica nostra “opposizione” alla trasformazione può consistere soltanto nell’assecondare l’organico. Osservare la Natura, adattarla e adattarci, in un gioco di contrappunti musicali che potrebbe condurci fuori dalle onde di morte.

Tutte le storie di Ntumy sono pervase dalla consapevolezza del cambiamento. La Terra sta cambiando e noi, che siamo parte della Terra, come gli alberi, gli ornitorinchi, le api vasaie e i semafori, stiamo mutando con lei.

Siamo l’umanità di transizione, ci sentiamo strani, nervosi, inquieti, come ogni essere che ha perduto il fulcro. Il nostro centro di gravità si sposta, e quant’è difficile restare in equilibrio mentre accade!

(*) Clelia Farris è spesso (non abbastanza però) in bottega con qualche suo racconto e alcune recensioni. Quando esce un suo nuovo libro siamo felicissimi di parlarne perchè – quale più e quale meno – sono tutti belli. E dunque… quando arriva il prossimo?

(**)  NOTA RIPRESA da Atthis Arts

Cheryl S. Ntumy è una scrittrice ghanese di racconti e romanzi di fantascienza, narrativa young adult e romance. I suoi lavori sono apparsi, tra gli altri, su FIYAH Literary Magazine ; Apex Magazine ; World Literature Today ; Best of World SF Vol. 3 e Year’s Best African Speculative Fiction 2022. I suoi lavori sono stati anche selezionati per il Nommo Award for African Speculative Fiction, il Commonwealth Writers Short Story Prize e la Miles Morland Foundation Scholarship. Fa parte del Sauúti Collective, che ha creato un universo condiviso per la fantascienza afrocentrica, ed è membro di Petlo Literary Arts, un’organizzazione che sviluppa e promuove la scrittura creativa in Botswana.

UNA BREVISSIMA NOTA DELLA “BOTTEGA” SULLA FANTASCIENZA AFROCENTRICA

Cfr «Futuri uniti d’Africa» (di Clelia Farris) e Ancora su «Futuri uniti d’Africa» (di db, addirittura con un consiglio musicale). Fra le scrittrici della diaspora africana che scrivono dalle parti della fantascienza la migliore è senz’altro la nigeriana Nnedi Okorafor; cfr queste recensioni ai suoi libri: Nnedi Okorafor: «Chi teme la morte» , «Impara ad aspettarti l’inaspettato» e Tris: la giovane Nnedi, il vecchio Jack più… E se vi ronza in testa la parola «afrofuturismo» usate i TAG e troverete alcuni articoli molto interessanti.

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