Bormolini, Di Marco, Ferracin, Fofi, Godin, «Rossi» e…

… e Silenzi

7 recensioni di Valerio Calzolaio

Guidalberto Bormolini

«Questo tempo ci parla. La rivoluzione spirituale e il sogno di una nuova umanità»: conversazione con Mario Lancisi

TS Edizioni

222 pagine, 16 euro

Cantagallo, circa tremila abitanti in provincia di Prato. Verso il futuro. Capitate presto da quelle parti se potete, non è una pena, troverete respiri di speranza. L’antico piccolo borgo di Mezzana fu abbandonato negli anni Sessanta, non ci abitava più nessuno, nemmeno i pastori. Poco meno di dieci anni fa è stato acquistato (con tante piccole offerte) da un’associazione senza fini di lucro e via via ristrutturato in un villaggio aperto ecosostenibile, per lavorare e, volendo, pregare (senza distinzioni di credo) poi presto anche per accompagnare chi si sente psichicamente disturbato in una Casa del grano e i malati fisicamente terminali al fine vita in un hospice. Sono circa 12 ettari di terreno a mezza costa sui monti della Calvana (bosco, castagni, uliveto, vigneto, erbe officinali, pascolo). Per ora in poco più di una decina di case risiede la comunità di monaci e volontari sotto la guida di padre Guidalberto Bormolini, appartenente al movimento cristiano “Ricostruttori nella preghiera” e lì animatore di “Tuttoèvita” dal 2013. Chi vi abita si sostenta lavorando la terra con coltivazioni biologiche, niente carne macellata. Si tratta di una bellissima esperienza di ecologia spirituale, l’arrivo nel 2015 dell’enciclica papale Laudato sì ha offerto una cornice di riferimento teologico e culturale al progetto e alle varie attività, il borgo e l’associazione sono ormai divenuti uno snodo nazionale per le riflessioni e i movimenti sulla vera riconversione degli stili di vita, dei modi di produrre e consumare, come imporrebbe la crisi globale dovuta ai cambiamenti climatici antropici e agli inquinamenti.

Guidalberto Bormolini è nato a Desenzano sul Garda il 21 agosto 1967 da una famiglia artigiana, ha 55 anni. Ha fatto l’apprendista falegname durante il liceo e studiato successivamente da liutaio, finché è prevalsa la vocazione religiosa, maturata già a 14 anni entrando in contatto con il gesuita Gian Vittorio John Cappelletto (1928-2009) che promuoveva la ricostruzione di cascine e monasteri abbandonati per trasformarli in luoghi di meditazione. Entrato in quella comunità nel 1992, ha trascorso il noviziato a fare il muratore, ha compiuto studi teologici a Roma, ha conseguito il titolo di Baccellierato nel 1998, è stato ordinato prete nel giugno 2000 ad Arezzo, iniziando a insegnare (ancor oggi all’università di Padova) e a ricostruire insieme a persone affette (da malattia esistenziale), facendoci meditare tutti (da tanatologo). Tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 il giornalista toscano Mario Lancisi ha conversato a lungo con padre Bormolini a Firenze e a Mezzana, realizzando così un ottimo interessante volume di brevi domande e lunghe riflettute colte risposte, diviso in nove capitoli (da “iniziamo a sognare” a “preghiera e meditazione per trasformare il mondo”) molti dei quali risultano arricchiti di brevi spunti in forma di scheda, scritti da personalità amiche e ospiti della comunità (Arminio, Caccamo, Branca, Grazia Francescato, Capanna, Svamini Hamsananda Ghiri, Berrino, Scotti). Fra di loro poteva esservi Franco Battiato, che volle padre Guidalberto a Milo, mantenendo poi sempre con lui un’intensa relazione: voleva inaugurare l’hospice con un proprio concerto e il prete scese invece purtroppo lui in Sicilia per officiare il funerale nel maggio 2021.

 

Luigi Silenzi

«E c’erano gli oleandri. L’identità del paese compromessa da una distorta idea di sviluppo»

Grafiche Fioroni (Sant’Elpidio a Mare)

134 pagine, 10 euro

Porto San Giorgio. Prima e dopo il diluvio del cemento. La Liberazione fu una svolta nell’urbanistica dell’antica bella città marchigiana. Il dopoguerra mise in moto il turismo di massa e la conseguente vertiginosa domanda di seconde case, di alloggi in affitto, di alberghi e pensioni. Nel ventennio 1960-1980 il mutamento è enorme: aumentano la popolazione, la ricchezza, le attività commerciali. Il benessere si diffonde. E inizia purtroppo anche la distruzione della bellezza. Il sensibile studioso locale Luigi Silenzi, militante pensionato, in “E c’erano gli oleandri” descrive scempi con i documenti (anche foto): dai villini ai condomini, il mercato del pesce, l’attesa del porto, l’ipotesi del grattacielo, richiamando i grandi nodi dello sviluppo nazionale, innanzitutto la speculazione immobiliare. La prefazione è del noto esperto italiano (un poco fermano da parte di padre) Paolo Berdini e il volume (patrocinato dal Comune) contiene un bel contributo dell’architetta Silvia Catalino.

 

Tersite Rossi

«Chroma. Storie degeneri»

Les Flâneurs edizioni

188 pagine, 15 euro

Calabria e molto altro. Prima e dopo. Racconto blu, sulle Alpi italiane circa “fra 84 anni”, nel 2016. Nella Nuova Era Climatica la superficie delle terre emerse s’era ridotta della metà rispetto a mezzo secolo prima, a causa dell’innalzamento enorme e repentino del livello del mare; i Poli, semplicemente, erano scomparsi; le terre rimaste s’erano rivelate per larga parte inabitabili, a qualunque altitudine nella fascia tropicale, al di sotto dei mille metri di quota nelle due fasce temperate, australe e boreale. Da oltre ottant’anni sul pianeta si confrontavano sempre i noti due modelli: quello più antico, il gilanico, mutuale egualitario pacifico, quello degli ultimi tremila anni, l’androcratico, competitivo diseguale violento. Si susseguirono anche enormi ondate migratorie e almeno due Guerre Civili Globali, disastri e conflitti hanno già provocato la morte di 9 dei 10 miliardi dei sapiens presenti sul pianeta. Da tredici anni sembrano aver definitivamente vinto i Signori della Cenere, i pochi Alati che vivono in alto sotto cupole sfruttando i tanti ignari sottomessi Terreni, ai quali hanno cancellato ogni ricordo, ma da qualche parte resistono i seguaci della Grande Madre, che forse vivono sotto, nelle Terre Desolate. Tramite un piccione due quindicenni riescono a entrare in contatto; sono Greta, fresca e desolata, ed Emilio, ribelle terreno quasi alato: «La verità sta già correndo, e la rivolta è prossima. Andate avanti e lottate. C’è speranza. Perché loro hanno paura». Ecco un interessante racconto distopico, il terzo di una bella compatta riuscita raccolta di sei.

Tersite (antieroe omerico) Rossi (uomo della strada) è un collettivo di scrittura (prevalentemente due, Mattia e Marco) con all’attivo già quattro notevoli romanzi d’inchiesta sulla sera della “trattativa” Stato-Mafia, sui Sinistri della deriva assolutista, sulla grande crisi economico-finanziaria esplosa nel 2007-2008 (causata dall’interessata finanza speculativa) e sulle conseguenti dinamiche aggiornate del neoimperialismo e del neoterrorismo, jihadista e brigatista. Ecco ora alcuni dei racconti inediti “ammonticchiati” in dieci anni di sodalizio, quello riassunto riprende temi e dialettica del secondo romanzo (“I signori della cenere”), gli altri non sono ambientati nel futuro e descrivono avventure estreme con sagacia e ironia, giocando fra titolo colorato (da cui il titolo) e generi letterari (da cui il sottotitolo). In esergo Pavese: «Ogni nuovo mattino, uscirò per le strade cercando i colori». Qui troverete con stile affinato e attenta scrittura: un prologo bianco, “Le mille e una Camel” (brevissimo); “L’uomo perduto”, un nero fantasy horror noir ambientato in una gola di montagna dalle parti della Sila; il blu fantascientifico; il giallo (quasi) giudiziario “Quasi niente sbagliato”, ambientato in provincia con tanti ragazzi speciali; il rosa “Non pensare all’erezione”, simpatica autobiografia girata da un gran divo porno; il rosso storico “La catena”, con un recente spietato impossibile riscatto fra Usa, Afghanistan e Italia. Si comincia, non a caso, con l’ultima ballata dei Killers. Godibile.

 

Giovanni Di Marco

«L’avversione di Tonino per i ceci e per i polacchi»

Baldini+Castoldi

430 pagine, 20 euro

Castelverde del Golgota. 1981-1988. L’improvvisa tragedia della famiglia Deogratias accade nella primavera 1981, Tonino ha poco più di sette anni, muore l’adorata madre partorendo il fratellino più piccolo, Salvatore, e vengono stravolte la sua esistenza quanto quella del padre e della sorella maggiore, entrambi molto silenziosi. Il funerale si svolge il 13 maggio, a un certo punto della cerimonia in chiesa arriva la notizia dell’attentato al papa, Giovanni Paolo II, il polacco Karol Józef Wojtyla (1920-2005). Il ragazzino va a vivere a casa degli zii, la sorella della mamma Nunzia e Saro; padre e fratelli hanno i loro guai; dorme da solo nel letto e nella stanza che erano stati del cugino Santino, sposatosi l’anno prima e residente nella vicina Palermo; è costretto a confrontarsi con le loro abitudini e convinzioni. La via è stretta, proprio di fronte abita la bellissima 24enne Tania, fianchi esili e occhi verdi, madre tedesca morta e amato padre a Calatafimi; il geloso marito Alfredo è quasi sempre fuori paese, così Tania “adotta” il piccolo disperato orfano, lo aiuta con i compiti, ne raccoglie le confidenze e contiene gli umori, ne capisce il fastidio e l’opportunismo per la compassione acritica. Il precoce Tonino è tifoso della Juve e grande appassionato di calcio (pure giocato), conosce squadre risultati giocatori, la madre gli aveva insegnato a leggere a cinque anni. Nell’estate del 1982 lo mandano al catechismo e poi a fare il chierichetto, in parrocchia subisce le attenzioni di Padre Alfio che porta lenti spesse e parla con la lingua di pezza, lo aveva già soprannominato Gatto Silvestro. Ben presto il prete lo violenta psicologicamente e fisicamente, condizionandolo ad accettare un rapporto pedofilo senza dire niente a nessuno. Non proprio subito ma Tania se ne accorgerà e troverà il modo di reagire; Tonino crescerà così fra sogni della madre e brutti incubi, silenzi e paure, crisi di febbre e mancamenti, attacchi di rabbia o cattiveria, fino alla pubertà e all’adolescenza.

Il bravissimo giornalista sportivo Giovanni di Marco (Palermo, 1975) esordisce ottimamente nel romanzo, ambientandolo in un paesino che ricorda il luogo dove serenamente risiede da anni con la famiglia (Marineo) pur trattando una storia che potrebbe essere avvenuta quasi ovunque ed è purtroppo variamente avvenuta in migliaia di altri contesti geografici. Con stile e ritmo, la narrazione è in prima persona al passato. Tonino racconta la propria esistenza da 7 a 15 anni, le ferite che ha subìto e quelle che ha inferto, non sappiamo perché sia stato indotto a parlarne e scriverne, certo una molla gli scatta il 25 marzo 2003, mentre 22enne sta lavorando in un grande magazzino di Monaco, in Germania, quando lo chiamano dalla casa siciliana e gli suggeriscono di comprare l’Osservatore Romano che quel giorno pubblica una breve notizia sul cordoglio di Giovanni Paolo II per la morte di Hans Hermann Groër (1919-2003). Lui sa bene che il reverendissimo cardinale arcivescovo di Vienna dal 1986 al 1995 (poi emerito) era un pedofilo acclarato, che abusò di oltre duemila bambini e ragazzi quando era in funzione e fu denunciato da alcuni benedettini anche successivamente al ritiro in monastero. Infatti, Tania è la sorella di uno di loro, Tonino scopre casualmente centinaia di lettere del fratello Marco, a sua volta violentato da Groër a Hollabrunn e St. Pölten dalla fine degli anni Settanta (ne leggiamo alcune inviate fra il maggio 1982 e l’agosto 1988, in parallelo con le vicende a Castelverde). Il titolo deriva dall’infantile emotivo odio del protagonista per i polacchi ovunque collocati e i ceci comunque cotti, un’associazione mentale con oltraggi e morte, confermata dai casi della vita. Il corposo romanzo è molto bello, mai noioso o pedagogico o pedissequamente cronologico. Riapprendiamo quanto sia assurdamente difficile combattere la pedofilia sia per le colpe delle gerarchie oggettivamente complici (tramite le missive dall’Austria abbiamo una precisa ricostruzione storica di come la Chiesa Cattolica abbia sempre messo a tacere i misfatti con la scusa di evitare scandali) sia per le dinamiche sociali nelle piccole comunità (Tania si attiva senza successo per una denuncia, bisognosa di “prove”, che rischia comunque di rendere ancor più drammatica la vita delle vittime). Ma soprattutto seguiamo la crescita e la “formazione” di un uomo ipersensibile nell’approccio con il dolore e nella scoperta degli altri umani (parenti, avventori del bar, amici, ragazzine, compagni di scuola e gioco) oppure dei modi di dire e chiacchierare, del giocare e dell’apprendere, dei cambiamenti fisici ed emotivi, del fumo e del sesso; presto diventa spesso prepotente cinico crudele violento, senza una dinamica di meccanica causa-effetto fra la fase di traumi occorsi (prima parte) e quella di traumi indotti (seconda). Segnalo la forma mentis del miserabile, a pagina 33. La recita frequente dell’Io confesso lo autoassolve ma non modifica i processi. E Sciascia spiega la paura. Passito di Pantelleria e congrua musica al juke-box (Tania preferisce Vasco).

 

Seth Godin (cura e prefazione)

«Carbon Almanac. Guida al cambiamento climatico»

traduzione di Isabella Riva e Stefano Viviani Stogi

Roi editore

340 pagine (grande formato) per 25,90 euro

Pianeta contemporaneo. Per più di un secolo, abbiamo avuto la possibilità di estrarre energia dalla terra praticamente gratis, sfruttando altri umani. Abbiamo utilizzato quel carburante economico per costruire il mondo che ci circonda, abbiamo realizzato cose straordinarie, sprecato risorse preziose e fatto parecchi casini. Il “Carbon Almanac”, la raccolta sintetica di quanto si sa su passato, presente e futuro del cambiamento climatico. è stato creato da oltre trecento volontari (scienziati, ricercatori, imprenditori, scrittori) residenti in oltre quaranta nazioni (dal Benin ai Paesi Bassi, dall’Australia a Singapore) coordinati dall’eclettico scrittore e curioso imprenditore statunitense Seth Godin (Mount Vernon, New York, 1960). Il volume in grande formato ha un approccio multimediale ed è corredato da tabelle, dati, schede, citazioni, illustrazioni, e ottimamente organizzato in circa duecento voci (un linguaggio informativo, chiaro e semplice) con adeguati indici finali.

 

Goffredo Fofi

«Cari agli dèi»

Edizioni e/o

158 pagine, 15 euro

Il grande colto maestro elementare e irrequieto motore intellettuale Goffredo Fofi (Gubbio, 1937) ricorda belle personalità in “Cari agli dèi”, a partire da uno spunto di Aldo Capitini sulla «compresenza dei morti e dei viventi»: uno splendido testo, indispensabile per rammentare bene. Inizia dai ragazzi ammazzati tra i martiri del nazismo nel giugno 1944, solo per far numero. Indica poi i nomi, racconta chi erano, come e dove li incontrò, perché la loro storia tocca punti nevralgici della società contemporanea: Ezio (un ragazzino goffo e incerto della loro “banda”, morto per un incidente, occasione per riflettere sui preti), Placido (Rizzotto), Rocco (Mazzarone), e poi Panzieri, Lanzardo, Rieser, Michèle Firk, Pinelli, “Sergio” (occasione per parlare di tanti, compreso Rodari), Campanile, Fausto e Iaio, “Pasticca”, Impastato, Flores d’Arcais, Rostagno, Lombardo-Radice, don Diana, Lucio (per segnalare meglio Capodarco), Mariateresa Di Lascia, Langer e tanti altri fino a Leogrande.

 

Francesco Ferracin

«L’incubo della farfalla»

Linea edizioni

134 pagine, 13 euro

Venezia, Berlino e altrove. 1998-2021. Il racconto potrebbe iniziare dalla postfazione dello scrittore e sceneggiatore seminomade Francesco Ferracin (Venezia, 1973)intitolata: “L’INCUBO DELLA FARFALLA sive Franco Battiato e il Regno del Ritorno”, ovvero Francesco e Franco. L’autore incrociò meglio le canzoni del musicista solo nell’estate 1992, un amico stufo dei suoi insopportabili gusti aveva infilato una cassetta nell’autoradio andando in spiaggia al Lido di Jesolo. Questa volta ci fu una folgorazione, le parole evocavano immagini, odori, echi antichi e moderni, un’esperienza sinestetica. La musica di Battiato accompagna Ferracin nei tre decenni successivi, lontano da Venezia durante i primi due, in giro per il mondo a seguire la passione e la vocazione per il cinema. Quando scrive Eight, un progetto di film ispirato a/da Ching sulle leggi della sincronicità, si convince che solo Battiato (in quei giorni di settembre 2005 in concorso a Venezia con il secondo lungometraggio) avrebbe saputo come girarlo. Gli invia una mail, s’incontrano a Padova, parlano di taoismo esoterico, retroguardie artistico-musicali, poesia e cinema trascendentali. Iniziano allora uno scambio di idee e una frequentazione culturale. A fine 2007 Battiato va a Berlino dove Ferracin ora prevalentemente vive, con moglie e infante di due mesi. Lo chiama e si vedono più volte, parlano subito del nuovo film del grande artista, Handel, e negli anni successivi s’avvia la collaborazione su un impegnativo progetto che per varie ragioni non vede la luce, Viaggio nel regno del ritorno. Si confrontano per anni, Ferracin ne stende la sceneggiatura, nel 2013 confida a Battiato di aver scritto nel 1998 un poema epico e fantastico sullo stesso tema narrativo, il monologo di un elfo, spunti da Tolkien (appartenente alla frangia più tradizionalista del cattolicesimo). Battiato è entusiasta del testo, lo rivede e ne realizzano insieme il poema sinfonico L’incubo della farfalla, un successo, appunto!

Pensieri scritti (in genere pensati e scritti su un taccuino a un tavolo di caffè), poesie, musiche, narrazioni sparse di storie tra fiction e realtà, incroci di frasi, versi, toni, stazioni e note musicali (dal mi bemolle al re minore): un’opera musicale in prosa o un’autografia (confessione immediata di un’anima trascendente) o un prosimetro o un poema o il racconto autobiografico di un corpo che prende coscienza di sé attraverso illusioni e contraddizioni contemporanee o la trattazione poetica del venire al mondo e di interrogarsene tramite la fantasia, vedete voi. Irrecensibile, sincronica, elegiaca, curiosa, godibile. Lo stesso autore si serve pure della dotta introduzione “Autografia di un’anima” firmata René A. d’Albion, allo scopo di spiegare il complicato ricorso alla lingua scritta per rivelare quello che solo la musica e la pittura sono in grado di fare, soprattutto i testi (come questi) vergati attraverso un processo di intuizione arazionale. L’opera è breve, divisa in quattro parti interconnesse, sempre intervallando frasi e versi, citazioni e giochi di parole: Impermanenza (titoletti in varie lingue, narrazione in prima), Metamorphosis (24 brevi paragrafi in prima), L’incubo della farfalla (4 movimenti, in terza e prima), El Juego (vari momenti diacronici nel tempo fra il 1890 e il 1995, in prima). L’esistenziale romantico tema narrativo è il ritorno, un percorso verticale a spirale, non orizzontale, né tantomeno positivo. La terza parte, che dà il titolo all’intero volume, prende spunto da un aneddoto sul filosofo taoista Chang-Tzu (369-286 a.C.): addormentato sotto a un albero sogna di essere una farfalla che si posa su un fiore e si addormenta; quando si sveglia non sa se è lui ad aver sognato di essere una farfalla o se è la farfalla che sta sognando di essere un filosofo addormentato; più un incubo che un sogno, suggerì Battiato. Il testo della loro collaborazione è stato rielaborato anni dopo, affinché potesse essere messo in scena nella sua interezza, ora per la prima volta stampato.

 

 

Redazione
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