Bruno Arpaia, Alessandra Ballerini con…

…con Chiara Ingrao, Fabio Stassi, Cristina Cassar Scalia –

5 recensioni di Valerio Calzolaio

Ma tu chi sei – Bruno Arpaia

Guanda Milano 2023

Pag. 167 euro 18

Ottaviano. 2019-2022. In esergo Terenzio, Grossman e Leopardi come sintesi centrale. “La morte non è un male… La vecchiezza è male sommo: perché priva l’uomo di tutti i piaceri, lasciandogliene gli appetiti; e porta seco tutti i dolori”. La madre (vedova dal 1988) e il suo unico figlio scrittore sono di Ottaviano, il bel comune a est di Napoli, sul Parco Nazionale del Vesuvio. Lei ci si è sempre vissuta, lui ormai da decenni si è trasferito a Milano e gira per il mondo (soprattutto latino-americano), pur tornando spesso da quelle parti. Ancor di più va e viene in questi ultimi anni, quando in lei si è affacciata prepotentemente la malattia dell’Alzheimer. Va a trovarla nonostante l’arrivo della pandemia, ha provato a farla svagare in Liguria e Toscana, ha proposto di portarsela stabilmente in Lombardia, infine è riuscito a sistemarla in una residenza campana in cui le vogliono bene, lo aggiornano sul decorso o lo accolgono per le frequenti visite. L’autore non scriveva un rigo da più di due anni, pur continuando a pensare, tradurre, appuntare, accantonare narrazioni. La morte è diventata sempre più presente in quei suoi pensieri e nella vita: sa che quella della mamma è prossima; intorno stanno morendo tante persone a lui care (come la cugina Fabiola, Luis Sepulveda, Pietro Greco); forse anche la sua non è lontana. Ha una compagna da quarant’anni ma il rapporto non fila liscio (hanno un amato figlio ed è comunque una consolazione), crescono inevitabilmente i malanni dell’età, l’intensa vita professionale non sempre garantisce il dovuto corrispettivo pratico. E sa da tempo sia che la memoria inganna, ma solo nella memoria la realtà prende davvero forma; sia che la scrittura autobiografica, o dichiarata come tale, non ha funzione terapeutica e anzi contiene sempre un infido germe di violenza verso chi la pratica e verso chi viene tirato in ballo, ma, pur se dolorosa da scrivere, è talora magnifica da leggere. Come in questo caso. Meritevole di fede, letteraria e civile.

Il grande giornalista, traduttore, consulente editoriale e scrittore Bruno Arpaia (Ottaviano, 1957) è da decenni un noto serio appassionato di neuroscienze, convinto da sempre che vadano abbattute le barriere tra cultura umanistica e cultura scientifica. L’intenso bel filo narrativo è costituito dal rapporto con la madre. Il titolo (esclamativo) del libro è l’esordio della narrazione in prima persona, il primo interrogativo appello che l’ormai 92enne pronuncia e poi continua a ripetergli di continuo: “Ma tu chi sei?”. Come è possibile? Quanto è strana e come va assecondata la malattia dell’identità che svanisce? E, allora, lei gli ha mai voluto davvero bene? Ed è decente parlarne e metterla in piazza? Si può denudarsi e mostrarsi sanguinante attraverso vicende personali vissute, sognate, ascoltate, lette? Per raccontare come funziona il cervello (di tutti) e come possono essere alterati i ricordi (di tutti), Arpaia decide di partire dalla propria esperienza, da buchi, mancanze, stranezze e sgambetti del suo cervello e della sua memoria: la dimenticanza totale di alcuni episodi importanti, la difficoltà a collocare gli eventi nel tempo, la leggera forma di prosopagnosia (incapacità di riconoscere e ricordare i volti). I capitoli alternano gli incontri con la mamma e le riflessioni culturali, i surreali dialoghi reali con in sottofondo emozioni e sentimenti da figlio scrittore e le acute toccanti approfondite riflessioni sui libri pubblicati o da iniziare, oppure sulle notizie che aggiungono spunti competenti o poetici all’attesa della morte, alle paure private e alle angosce collettive (come la crisi climatica, la pandemia e la guerra). Per esistere dobbiamo raccontarci, anche a noi stessi: quel racconto, anche se non vogliamo, è pieno di bugie. Ogni memoria inventa e affabula, scandisce il tempo che ci consuma. E l’oblio è una forma di morte sempre presente all’interno della vita. Così, non esistono due ricordi uguali, perché evocare un evento passato ne modifica il contenuto presente e condiziona i progetti per il futuro. Anche la nostra identità è plastica e può essere modificata da nuova informazione. Amelia di Joni Mitchell e Allegro giocoso di Brahms, prima o poi. Uno splendido “romanzo”.

 

 

La vita ti sia lieve. Storie di migranti e altri esclusi – Alessandra Ballerini

Prefazione di Erri De Luca; postfazione di Fabio Geda

Zolfo Milano 2023 (integrazione e riedizione di un volume del 2013, più volte ristampato)

In libreria dal 24 febbraio. Presentatelo ovunque!

Pag. 241 euro 17

 

Genova, Lampedusa, Italia. 2001-2022. Carceri, Cie, case d’accoglienza, tribunali, centri antiviolenza, mari mediterranei. 21 luglio 2001, scuola Diaz: “vengo fermata di fronte al cancello da due colossi abbronza­ti, travisati e cattivi che mi spingono via. Io, sotto la luce abbagliante di un elicottero, mi qualifico, loro non lo fa­ranno mai; dico chi sono e da chi sono stata incaricata, di loro si deve ancora scoprire il mandante. Li informo che in quanto avvocato nominato devo assistere a quella che credo ancora essere solamente una perquisizione. Spingono e urlano, nelle mie orecchie su tutti rimane un grido feroce”. “Cosa pensi di fare, avvocato del cazzo, puttana, difendi quelle merde del Social Forum? Allora ti ammazziamo insieme agli altri”. Prima storia di urla e sangue, si continua a Lampedusa con “Il falco e il bambino” nell’estate 2011 e a Ventimiglia nell’aprile dello stesso anno, complessivamente sono sessanta significative vicende vere: donne e uomini di oggi, ragazzi e ragazze, profughi e migranti, naufraghi e salvati, manifestanti e richiedenti, le loro ragioni e vertenze. Con un’avvertenza: “Evidentemente non tutti i giudici sono insensibili, non tutte le «guardie» sono violente e arroganti, non tutti gli uomini sono maltrattanti, non tutti i poteri sono sempre corrotti o ottusi. Ma capita. E quando capita i danni sono incontenibili e im­prevedibili. Ho avuto la fortuna di imbattermi in giudici attenti e corag­giosi, in appartenenti alle forze dell’ordine leali e instancabili, in uomini (e donne) eroici e giusti. E me li ricordo uno a uno con gratitudine e ammirazione. Non sono la maggior parte e per questo sono i più preziosi. Riparano torti, evitano di commetterne, si prendono cura degli offesi. Non ho scritto di loro ma anche a loro dedico quello che ho scritto.”

La bravissima avvocata civilista Alessandra Ballerini (Genova, 1970) frequenta i drammi contemporanei con la paura delle persone perbene, senza filtri e senza ideologie, cercando di essere utile a prevenire, diminuire, scovare menzogne e violenze. Il 21 luglio 2001 era osservatrice per il Genoa Social Forum davanti ai misfatti della scuola Diaz, il 14 gennaio 2013 ancora a Contrada Imbriacola di Lampedusa a visitare per professione e passione i 231 profughi rinchiusi, il 14 agosto 2018 a mezzogiorno non lontano dal viadotto sul torrente Polcevera, appena crollato causando 43 vittime, 11 feriti e 566 sfollati (e da anni accanto alla famiglia Regeni per continuare a far cose con Giulio). Il suo bellissimo libro “La vita ti sia lieve” è insieme diario politico, giornalismo narrativo, griglia critica su cronache quotidiane riferite a diritti umani e migranti. Trovate eventi e personalità di cui abbiamo letto, ascoltato, visto, affrescati attraverso parole, sguardi, sentimenti, odori, colori, spunti che toccano dentro e insegnano molto. Oppure sapiens comuni: donne combattive che cercano di avere la custodia dei propri figli, minorenni abbandonati a sé stessi che chiedono aiuto, prostitute ribelli in un (nostro) paese spesso inospitale. Dedicato alla madre e a Don Andrea Gallo (“immaginandoli insieme”), al fianco delle sue storie (“fascicoli aperti”) Erri De Luca e Fabio Geda. Il titolo riprende l’estremo augurio, sit tibi terra levis, che tanti usano e che da sempre l’autrice sente e porta seco accanto ai vivi, nei campi di accoglienza, nei centri di rimpatrio, in car­cere o nel suo studio legale, mentre ascolta fatti di straordinaria sofferenza, soprusi e crimini: al momento dei saluti, come una silenziosa preghiera per queste crea­ture che hanno già sopportato fardelli insostenibili, le sale alle labbra «che la vita da oggi ti sia lieve». Una parte di quei fardelli si trasferisce inevitabilmente sulle sue spalle e, quando non riesce a reggerne il peso, scrive. Mettere sulla carta i torti e le sofferenze di cui è stata spettatrice aiuta a ristabilire un minimo di distanza e al­leggerire il carico, una sorta di terapia “casalinga” (indispensabile anche a noi lettori), con l’auspicio che la vita, quella di tutti, sia piena, ma lieve. Ballerini fa così del bene pure ad altri, che possono goderne la scrittura intensa e profonda.

 

 

 

Il Re del gelato – Cristina Cassar Scalia

Einaudi Torino 2023

Pag. 137 euro 16

 

Catania. Fine agosto 2015. Dopo tre anni a Milano e una promozione sul campo, da tre mesi la poliziotta palermitana Giovanna Vanina Guarrasi è tornata in Sicilia, a Catania. Prima si è trasferita cinque settimane in un centralissimo mini appartamento non climatizzato non lontano dall’ufficio, ora da poco più di un mese si è definitivamente sistemata in una casetta alle pendici dell’Etna, a Santo Stefano, un’oasi di pace all’interno di una proprietà più grande, circondata da giardino e agrumeto, con l’edificio principale abitato dalla padrona di casa, materna amabilissima vedova ultrasettantenne, originaria di Ragusa e brava solidale cuoca. Quella domenica, un tempo da lupi impedisce l’uscita in mare sul gommone superaccessoriato della nuova amica Maria Giulia De Rosa, quotata avvocata matrimonialista e regina delle serate mondane, che le presenta tipi fichi di continuo, avendo saputo che Vanina è single da tre anni. Guarrasi risulta vicequestore aggiunto, dura temuta neodirigente della sezione Reati contro la persona. L’ispettore capo Spanò la informa che in alcuni cremosi gusti delle ottime gelaterie di Agostino Lomonaco sono state trovate delle strane pillole. Lei gira sempre con la pistola, preserva fondente nei cassetti, fuma Gauloises, ingozza specialità, decide di inforcare la Mini Cooper bianca parcheggiata davanti al portoncino e va subito a parlare con il Re del gelato, che quella stessa sera però viene ucciso, trovato dal figlio Rino poco dopo mezzanotte dietro il bancone di uno dei negozi, testa sfondata e cassa svuotata. Tutta la squadra dovrà indagare a fondo sulle possibili dinamiche ereditarie, su antiche rivalità professionali, sui eventuali nessi con la criminalità organizzata (tangenti o spaccio che siano), poi su un altro morto.

La brava medica oftalmologa Cristina Cassar Scalia (Noto, 1977) continua a scrivere bei gialli, la divertente serie di Vanina va a gonfie vele e nel 2023 ne usciranno altri due: questo è il settimo, un breve prequel, siamo appena dopo l’arrivo della protagonista sull’Etna; l’ottavo sarà pronto per la prossima estate, il sequel delle precedenti avventure, ambientate a pochi mesi di distanza l’una dall’altra, fra il 2016 e il 2017 (molto prima della pandemia). La narrazione è in terza al passato, fissa sull’apprendistato metropolitano di Vanina, via via che impara a conoscere meglio i colleghi e la città, prendendo appunti sulle “catanesate”: Biagio ancora non lo ha incontrato, capisce solo che ogni tanto Spanò va a chiedere consiglio a un vecchio signore; il Grande Capo Tito Macchia, due metri per centoventi chili di peso, e la splendida ispettrice nemmeno 30enne Marta Bonazzoli, magrissima salutista, si annusano ma ancora non stanno insieme; il vice e gli altri agenti ruotano intorno alle separate stanze dei veterani e dei carusi; appaiono quelli della medicina legale (con Adriano Calì, già amico cinefilo gay) e della scientifica; vari magistrati e magistrate (che impariamo a differenziare); tutti con un rapporto via via più consapevole con lei, qualcuno attratto qualcuno intimorito. L’impianto è sanamente classico: l’incipit con imminente cadavere (da cui il titolo); il delitto da risolvere senza tanti fronzoli; la progressiva emersione delle piste plausibili e dei possibili alternativi responsabili. L’amata Palermo torna con i ricordi del padre, i messaggi con la madre Marianna, le notizie televisive sul magistrato ed ex fidanzato Paolo, oltre che nei modi di fare e dire rigorosamente alternativi (a partire da arancini e arancine). Un paio di mojito vestita fighissima prima di un infrattamento serale in vista di un prossimo episodico autoconclusivo giro di giostra con il bel collega di Giuli.

 

 

Notturno francese – Fabio Stassi

Sellerio Palermo 2023

Pag. 148 euro 14

Roma, Nizza, Marsiglia. Un settembre recente. Vince Corso va in stazione per raggiungere in treno la fidanzata Feng al lavoro a Napoli, hanno in programma un romantico weekend. Sbaglia convoglio, sull’altro binario l’identico Frecciarossa conduce a Milano, diretto senza fermate intermedie. Prova a leggere il libro che si era portato (“Notturno indiano”), incontra l’anziano Saverio (seduto al posto con l’identica sua numerazione di carrozza e sedile), anche su suo consiglio decide d’improvviso di effettuare finalmente un’investigazione a lungo rinviata. Vince è nato a Nizza il 24 aprile 1970, questo lo sa. La madre (d’origine siciliana) lo ha concepito quand’era impiegata o cameriera negli alberghi della Costa Azzurra sul Mediterraneo francese orientale, lo ha poi cresciuto da sola con amiche e colleghe, continuando a lavorare e trasferendosi anni dopo a Genova dove Vince aveva fatto il liceo. In punto di morte gli aveva rivelato che con il padre aveva trascorso solo quella fatidica notte in una stanza dello splendido Hotel Le Negresco, la mattina aveva ritrovato sul comodino solo tre libri rilegati di blu. Come mestiere ora Corso esercita biblioterapia: sapiens gli confidano malesseri e lui suggerisce loro un romanzo, a seconda della descrizione dei sintomi e di una minima anamnesi. Vive in una mansarda di via Merulana 268, ha tantissimi libri, dischi di musica francese, l’amico cane Django. Da lì e da altrove ha inviato (al padre) all’indirizzo dell’albergo una cartolina al giorno per cinque anni, pochi mesi prima gli ha scritto una lunga lettera allo stesso modo, capisce che è giunto il momento di visitare di persona dove è stato concepito, un forte decisivo investimento economico ed emotivo, un incerto viaggio a ritroso nel tempo. Lì hanno appeso le sue cartoline, si fa dare il registro d’ingresso del luglio 1969 e domenica 27… qualcosa scopre, quanto basta per proseguire.

Il bibliotecario di origine siciliane Fabio Stassi (Roma, 1962) ha iniziato a scrivere romanzi di vario genere oltre una quindicina d’anni fa, levigati solidi misurati, colmi di notevoli letture e densi di riferimenti ad altrui scritture, seriali quelli con Vince Corso (protagonista anche di vari racconti), narrati in prima persona al passato, qui ancora con 24 brevi capitoli titolati con le secche fasi dell’indagine, fatali all’inizio, meticolose poi. Il titolo del bellissimo suggestivo romanzo rielabora il volume di Tabucchi che Vince si mette nel trolley, stella polare del viaggio, tanto nei passaggi esistenziali quanto nei paesaggi visivi (rivisitati con lo sguardo e il cuore di Izzo). Non a caso la cruciale appendice si chiama “costellazioni, poeti, spartiti, e di Solea”: vi troverete gli innumerevoli libri evocati (come frammento o ispirazione o interludio), le canzoni citate (s’inizia con Caetano Veloso), l’origine di alcune descrizioni o di personaggi, il nome dell’amatissima labrador accucciata quando l’autore lo ha scritto. Il protagonista (detective di enigmi letterari, sentimentali più che gialli) svolge l’indagine più importante della sua vita con la prudenza di un investigatore ormai vicinissimo al proprio obiettivo, ma allo stesso tempo con la trepidazione del latitante all’oscuro dell’identità paterna, pedinatore e pedinato intorno a un eventuale cimitero (incantevole) dove seppellirla. I deliziosi apparati finali sono così completati dalle antiche cartoline con otto amorevoli frasi (ispirate a Osvaldo Soriano) del padre girovago sulla costa francese e dall’indice dei luoghi e delle stazioni ferroviarie attraversate fino a Sète, visto che il figlio spesso suole appuntare citazioni su un taccuino, il Quaderno dei viaggiatori cerimoniosi. Dagli alberghi e dalle pensioni dove la madre aveva lavorato era transitata quasi tutta la letteratura degli ultimi due secoli.

 

 

Il resto è silenzio. Guerre di ieri e di oggi – Chiara Ingrao

Baldini+Castoldi Milano 2023 (1° ed. 2007)

Prima grande presentazione romana 27 febbraio.

Pag. 187 euro 16

Qui. Ora. L’esperta interprete romana Sara è in autobus, ha appena finito di tradurre simultaneamente in un congresso di filosofia, torna a casa stanca, subisce la bulla provocazione del ragazzotto di una banda, da un brandello di conversazione telefonicha ascolta qualcuno si è messo in casa qualcun altro. Sobbalza. Le riemerge dentro in modo annebbiato la storia di Slavenka, l’eroina bruna e bellissima, uccisa sul ponte di Sarajevo, dove si sparavano tutti, assalitori ed assaliti, morta per recuperare il corpo del fratello, ucciso forse dai compagni dell’altro fratello, che combatteva con i bosniaci nazionalisti. L’Antigone di Sarajevo, la chiamarono i giornali, aveva anche un’altra sorella, Musnida (Pacifica è il significato del nome); la musulmana e la slava, la bella e la sbiadita, in una di quelle famiglie in cui le origini e le provenienze si sono mescolate e dove la guerra scava solchi, separa destini. Sara ora vive sola, dopo una dolorosa separazione dal marito, ha delicati rapporti con la sorella e si ritrova proiettata a ricostruire il guazzabuglio di una storia rimossa, di un lutto non elaborato. Le aveva conosciute negli anni Ottanta al festival del Cinema jugoslavo a Pesaro, dove anche Musnida lavorava con lei, mentre Slavenka aveva seguito la sorella per una breve vacanza. Tutti erano affascinati dalla bella e loquace Slavenka, ma Sara aveva stretto amicizia con Musnida, avevano scoperto affinità culturali e condiviso l’amore dei libri, le poesie declamate a memoria in lingua originale. Poi, dopo più di dieci anni, improvvisamente una sera arriva la telefonata di Musnida, è a Roma in fuga dalla guerra. Non aveva chiesto niente, Sara si era sentita in dovere di offrirle comunque ospitalità a casa sua, ora rievoca la difficoltà di accogliere l’Altro o l’Altra, e il suo dolore, i guasti delle guerre.

La colta sensibile Chiara Ingrao (Roma, 1949), oggi scrittrice e animatrice culturale nelle scuole, già sindacalista, interprete, parlamentare, da sempre dirigente del movimento pacifista e anti-razzista, attiva nel femminismo e nel volontariato, riesce con intelligenza e partecipazione a immergerci nelle dinamiche terribili di ogni conflitto armato. Per davvero Il resto è silenzio, titolo che viene dall’Amleto, il saluto con cui si lasciavano Sara e Musnida la sera tardi, dopo lunghe chiacchierate. La premessa alla nuova edizione fa ovviamente utilmente riferimento alla guerra in corso dopo l’invasione russa dell’Ucraina: “La guerra che dopo il 24 febbraio 2022 pare rimbombare ovunque, nelle televisioni e sui giornali e sui social, e qualche mese dopo invece scompare, inghiottita dall’assuefazione. La guerra noiosa, sempre tragicamente uguale a sé stessa, che torna sporadica in prima pagina come minaccia alle nostre bollette del gas, o come cronaca di un dibattito fra potenti. La guerra in Europa, che potrebbe farsi totale e travolgerci tutti ma rimane lo stesso guerra degli altri, come tutte le altre in ogni parte del mondo: non sono mai nostre, le carni che morde e la sofferenza di chi fugge… E la guerra indicibile: il suo marchio a fuoco nelle città e nei corpi congelati o straziati, nelle anime di chi non ha più parole per dirsi”. Fra storia e mito, realtà e narrazione, il bel romanzo nasce da questa indicibilità, dall’impatto duraturo di un’altra guerra europea, dal 1990 al 2001, vicina ai nostri confini, in quella che ancora chiamavamo Jugoslavia (Musnida si autodefinisce ostinatamente “jugoslava”, pure dopo che la Jugoslavia è implosa). La storia delle due sorelle a Sarajevo viene raccontata in contrappunto con quella delle due tebane Antigone e Ismene; in particolare, in tre capitoli si alternano la narrazione in prima persona di Sara e la voce di Ismene. La terza coppia di sorelle è quella romana odierna. E “sorelle” va oltre il dato parentale. I dialoghi e i pensieri richiamano anche Israele e la Palestina, Gaza e le Torri gemelle, l’Afghanistan e l’Iraq. In appendice la stimolante postfazione Noi e la guerra, ieri e oggi di Raffaella Chiodo Karpinsky e la dettagliata cronologia della guerra nei Balcani.

 

Redazione
La redazione della bottega è composta da Daniele Barbieri e da chi in via del tutto libera, gratuita e volontaria contribuisce con contenuti, informazioni e opinioni.

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